Gtk 5, Rivista di Psicoterapia

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4. Lingua, mediazione e complessità

Ogni lingua è, connessa con il respiro, e nella psicoterapia della Gestalt la relazione terapeutica è attenta a ripristinare le potenzialità di questa funzione vitale

La lingua trae origine dal corpo, ne fa parte, ma è anche collocata ‘tra’ l’Organismo e l’Ambiente

La lingua non consiste semplicemente nel contenuto che veicola, non è solo razionale grammatica. I silenzi, le pause, il ritmo, l’intonazione fanno parte di una lingua. La comunicazione non riguarda solo la figura. Pur in presenza di barriere linguistiche, anche senza traduzione, comunichiamo e comprendiamo qualcosa. Il suono stesso della voce umana produce effetti fisici e corporei. Vibrazioni, movimenti dei parametro vitali. Ogni lingua è, prima di tutto, una lingua umana, ed entra in risonanza con tutti noi. È connessa con il respiro, e nella psicoterapia della Gestalt la relazione terapeutica è attenta a ripristinare le potenzialità di questa funzione vitale, che dà sostegno all’esperienza attraverso il continuo scambio con l’esterno. La lingua trae origine dal corpo, ne fa parte, ma è anche collocata ‘tra’ l’Organismo e l’Ambiente; ha un senso e una direzione perché c’è un interlocutore che la precede, un ‘altro da me’ da raggiungere, o che mi vuole raggiungere, in un tentativo infinito e mai esaustivo. Lo ‘straniero’ − chi abita un’altra lingua − può favorire la pausa, il fermarsi ad ascoltare la propria voce e quella altrui; ogni vocabolo viene così aperto e scardinato. Il parlare, l’abitare una lingua, anche la propria lingua, può essere scollato dalla vita e limitare le potenzialità di contatto, assimilazione, crescita. Entrando in una nuova lingua, oltre al rischio di utilizzare concetti vuoti di esperienza, c’è anche la possibilità di riappropriarsi di una maggiore spontaneità e flessibilità. Di ricominciare da capo, connettendo singole parole, e intere frasi, all’esperienza. Una possibilità che si apre soprattutto là dove sia presente una spinta relazionale, un interesse ad entrare a far parte di un nuovo contesto, anche linguistico. Si tratta comunque sempre di un processo determinato dall’incontro fra la storia personale e occasioni e limiti del ‘qui e ora’. Per un immigrato, per un viandante che non abita la terra legata alla sua lingua madre, ogni atto linguistico racchiude un’ambivalenza. Imparare o no una nuova lingua, da utilizzare per esprimere concetti, pensieri, sentimenti, emozioni; coltivare o no la memoria di suoni antichi. Molti aspetti concorrono a definire la scelta − o il vincolo – di utilizzare o abbandonare la propria lingua d’origine.

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