Voce per la Comunità

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VOCE per la COMUNITA’ anno della fede

e il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce NOTIZIARIO PASTORALE

NATALE 2012 UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO 1


RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI

Licini don Raffaele, parroco cell. 3283108944 e-mail parrocchia:parrocchiasera@alice.it info@parrocchiebotticino.it fax segreteria: 0302193343 Segreteria tel. 0302692094 Zini don Giovanni tel. 3355379014 Loda don Bruno tel. 0302199768 Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881 Scuola don Orione tel. 0302691141 sito web : www.parrocchiebotticino.it Suore Operaie abit. villaggio 0302693689 Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138 BATTESIMI BOTTICINO SERA BOTTICINO MATTINA SAN GALLO sabato 12 - domenica 13 gennaio 2013 sabato 9 - domenica 10 febbraio 2013 domeniche dopo Pasqua I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e sulla data della celebrazione, il parroco personalmente o tel.3283108944

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI” PARROCCHIE DI BOTTICINO

ORARI S.MESSE Festive del sabato e vigilia

SERA VILLAGGIO ore 16,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

Festive domenica e festivita’

SERA PARROCCHIALE ore 8,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 9,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00 SERA PARROCCHIALE ore 10,45 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

LUNEDI’

CASA RIPOSO ore 17,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

MARTEDI’

MATTINA SAN NICOLA ore 18,00 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 17,30

MERCOLEDI’

MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,30

GIOVEDI’

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 MATTINA S.NICOLA ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

visita il sito web delle parrocchie di Botticino:

VENERDI’ SAN GALLO TRINITA’ ore

www.parrocchiebotticino.it

17,30 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 18,30

La busta per l’offerta in occasione del Natale Da tradizione, in occasione del Natale, viene rivolto ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un offerta strordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale. Gli impegni economici non sono pochi. I Sacerdoti e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno cogliere questo appello e per esprimere l’augurio per le prossime festività. 2

la speranza e la gioia sono possibili

L’Eterno entra nel tempo e Gesù, il Figlio del Dio vivente, ci mostra il suo Volto, ci fa conoscere Dio, il Padre suo, com’egli lo conosce ed è conosciuto; Egli riversa su di noi, nei nostri cuori, lo Spirito Santo come olio di consolazione che sana, guarisce dal peccato e dalle sue conseguenze. Dal Natale del Signore, nulla è più come prima. La terra è «visitata» da Dio e la sua visita è vita e benedizione. Colui che per noi si fa piccolo e diventa uno di noi, richiamando alcune espressioni di PaoloVI, è il rivelatore del Dio invisibile, è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della speranza; Egli è “la via, la verità e la vita”; Egli è il Pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete; Egli è il Pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello. Come noi, e più di noi, Egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore, disgraziato e paziente. Per noi, Egli ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo, dove i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di cuore e coloro che piangono sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono rivendicati, dove i peccatori possono essere perdonati, dove tutti sono fratelli. La fede del discepolo di Gesù è un essere presi da Lui, è una sorta di «innamoramento», è un atto umano, del tutto razionale che è generato da un «incontro» con la sua Persona che rivela Dio e le sorgenti della vita e del senso. Evangelizzare è dunque raccontare come si è stati raggiunti da questa «notizia» buona e bella che ci ha cambiato l’esistenza e aperto le vie della vita eterna. Gesù è venuto per tutti! Le moltitudini sono i destinatari della salvezza, del Vangelo di Gesù e del Regno che in lui si è fatto vicino. Egli cominciò a dire: «Il Regno è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). La «Nuova evangelizzazione» consiste nella conversione, ci ha ricordato papa Benedetto XVI aprendo il 7 ottobre la XIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi. Convertirci, cioè volgerci verso Gesù. Al «presepio» con Maria, Giuseppe, gli Angeli, i pastori ed infine i Magi, sostiamo stupiti, sorpresi dell’amore di Dio che ha avuto compassione dell’uomo ed è sceso a liberarlo. I nostri presepi nelle case, nelle chiese, nei giardini e nelle piazze, ovunque, invitano a prostrarci adoranti e tremanti, presi da meraviglia, resi nuovi dalla Luce e coraggiosi. Ci sia dato di «vedere» l’Amore, nella Gloria dell’umiltà di Dio, Bambino per noi. L’amore senza misura consoli i nostri cuori feriti. La grazia che si rinnova ai nostri occhi nella celebrazione sacramentale del Natale del Signore, sia olio e vino per le ferite dell’uomo in questi nostri tempi investiti da un diluvio che rischia di far morire la speranza. Fatti evangelizzatori, tutti, andiamo a raccontarlo agli uomini che aspettano di conoscere l’Amore anche se non lo confessano, o lo negano e resistono ad arrendersi. Ogni giorno. Giorno dopo giorno ci è narrato tutto ciò nella liturgia, perché celebrato e dunque reale, capace di avvolgerci dove siamo e come siamo. Sempre! È il Natale del Signore! Si rallegri la creazione e soprattutto il cuore, l’intelligenza e la vita di ogni uomo, donna, piccolo e grande, giovane o vecchio, in ogni angolo della terra. La Chiesa proclama questo «Vangelo», colma di gioia e fa esultare il cuore dell’uomo sino a che Dio sia tutto in tutti. Buon Natale a tutti! Buon Natale ai sacerdoti e al diacono, generosi e buoni; alle religiose e a tutti quanti sono impegnati nella pastorale delle tre parrocchie. Servire il popolo di Dio sacerdotale è un dono immenso. Con Gesù, suo Figlio, il Padre dona a noi ogni Bene. Possa questo Bene riempire le chiese di Botticino, ogni casa e famiglia e in particolare dove si vive il tempo della fatica, del dolore fisico e spirituale e l’incertezza del futuro. La speranza e la gioia sono possibili per chi poggia la speranza sulla salda Roccia che è Dio. don Raffaele 3


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incontro con tutti gli animatori pastorali delle tre Parrocchie di Botticino approfondimento pastorale riguardante l’Anno della Fede

“usciamo allo scoperto” LA FEDE VISSUTA La comunità parrocchiale «Caritas Christi urget nos» (2Cor 5,14) «È l'amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge a evangeliz­zare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per procla­mare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr. Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l'annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo» (Porta Fidei 7). L'esperienza dell'amore è sem­pre una forza propulsiva che non può essere imprigionata e così è anche per la fede. È dall'incontro con il Risorto che scalda il cuore con la Paro­la e riconsegna il suo Amore nello spezzare il pane che prende forza l'e­sigenza di testimoniare la fede in Lui. «La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunica­ta come esperienza di grazia e di gioia» (Porta Fidei 7).

il mondo, davanti a tutte le creature; per riscoprire la gioia nel credere e per ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede. L'annuncio del Vangelo è una forma eminente della testimonianza della carità perché ogni uomo e donna hanno il diritto di ricevere il Vangelo della verità e di conoscere l'amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature. Per aiutare le comunità parrocchiali a confessare la fede nel territorio, dando così testimonianza della carità di Cristo che le anima, proviamo a mettere in risalto alcuni stili parrocchiali e di conseguenza — come vedremo in un secondo momento — alcune iniziative pastorali.

Vivere l’anno della fede

L'icona della "porta della fede", che ci accompagna in questo anno, rimanda alla porta delle pecore che è Cristo stesso (cfr. Gv 10,7). Attraverso quella porta, nel battesimo, siamo entrati a far parte del gregge del Buon Pastore, ma sempre attraverso quella porta siamo mandati per cercare la pecora smarrita e ricondurla all'ovile, con la stessa sollecitudine del Pastore. La porta della fede si attraversa sia in entrata che in uscita. In entrata, perché si è deciso di stare con il Signore per vivere con Lui. In uscita, perché la fede implica una testimonianza e un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. Il Signore Risorto, mentre introduce all'intimità della scelta personale della fede, costituisce immediatamente i credenti come testimoni della sua risurrezione. La fede ha sempre un risvolto sociale e non è mai un atto esclusivamente individuale, ma ecclesiale. Si crede nella e con la Chiesa diventando così sale che dà sapore e città collocata sulla cima del monte perché sia ben visibile a tutti. Giustamente, il Papa invita le comunità parrocchiali e tutte le realtà ecclesiali a trovare il modo, per rendere pubblica professione di fede nelle chiese di tutto

«L’uomo ha bisogno di Dio, oppure le cose vanno abbastanza bene anche senza di Lui?», questa domanda di Benedetto XVI, che riecheggia quella di Gesù «E voi, chi dite che io sia?» potrebbe fare da introduzione all’anno della Fede. Un’occasione propizia per riscoprire le radici e il senso del proprio credere e per lasciarsi guidare dalla Parola di Dio e dal Credo apostolico alla ricerca di una vita più ricca di senso e di speranza. In una società sempre più confusa, si sente forte l’esigenza - ben colta dal Papa - di riscoprire le motivazioni per credere. Una domanda, questa, presente anche in molte persone lontane e in ricerca, come pure in chi è più attivo nella comunità cristiana. Vivere l’anno della Fede è la guida ufficiale del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione: un “compagno di viaggio” che presenta, con un linguaggio accessibile, non solo gli aspetti della fede cristiana, ma anche diverse proposte per vivere con intensità questo importante momento ecclesiale. 4

STILI PASTORALI

Ciò che colpisce della prima comunità è la capacità di far fronte alle situazioni che si presentano: inculturazione e capacità di scelte nuove, relazioni non sempre facili interne alla comunità, fedeltà e annuncio del Vangelo, martirio. Non è una comunità statica, ma dinamica, capace di rimodulare sempre se stessa in riferimento alle nuove situazioni. Tutto è affrontato con la passione di chi ha accolto il Vangelo come buona notizia, perché il riferimento è unicamente il Risorto. Il modello della prima comunità cristiana è valido anche oggi, dove la passione fondamentale che deve animare ogni parrocchia resta sempre quella dell’evangelizzazione. La passione per il Vangelo impegna le comunità parrocchiali a essere una presenza significativa e in continua ricerca di linguaggi e forme attuali per favorire l’incontro con il Signore. Forti del solido deposito della fede e della ricca e millenaria esperienza ecclesiale, oggi è necessaria una maggiore fantasia pastorale. Una comunità parrocchiale, ma di per sé l’intera Chiesa locale, che non fosse capace di comunicare con parole nuove la Parola eterna, che non fosse in grado anche di gesti, segni, percorsi coraggiosi, ricercati e sperimentati con fantasia, potrebbe essere un segno pericoloso del calo della risposta al dono della fede che lo Spirito fa costantemente a tutti. È la fantasia del Figlio di Dio che è venuto a cercare l’uomo e lo sa stanare anche se sale sul sicomoro (Lc 19); è la fantasia del seminatore che non guarda il tipo di terreno su cui seminare, perché per lui ciò che conta è buttare il seme; è la fantasia dello Spirito che, come vento, soffia libero e spinge la “barca di Pietro” verso orizzonti nuovi; è la fantasia della Chiesa forte della promessa del suo Signore: «In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre» (Gv 14,12).

UNA COMUNITÀ

GIOIOSA

«S

iamo i collaboratori della vostra gioia» (2Cor 1,24) La confessione della fede avviene anche tramite le opere della fede di cui l’azione pastorale è una espressione eccellente in quanto continua, nel tempo, l’opera stessa di Cristo Buon Pastore. La comunità parrocchiale è se stessa se si pone in continuità con l’azione pastorale di Gesù di far conoscere il Padre perché la gioia possa essere completa: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Basta scorrere alcune icone evangeliche per capire come il mistero della salvezza sia segnato da questo input profondo. Solo qualche esempio: - Il Vangelo come gioia: «Vi annunzio una grande gioia» (Lc 2,1-20). - L’esultanza per le grandi opere di Dio: «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,39-56). - La gioia per la presenza di Cristo: «Ci fu un matrimonio a Cana di Galilea» (Gv 2,1-12; Lc 5,34; Mt 9,15; Mc 2,19). - La gioia di chi è salvato: «In fretta scese e lo accolse pieno di gioia» (Lc 19,1-10). - La gioia nella sofferenza: «Beati voi che ora piangete, perché riderete» (Lc 6,21). - L’ora di Gesù come esperienza gioiosa: «II vostro cuore si rallegrerà e la vostra gioia nessuno ve la potrà rapire» (Gv 16,16-24; 20,19-23). - La gioia, frutto dello Spirito: «Camminate secondo lo spirito» (Gal 5,16-24). - La gioia senza fine: «E tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 21,1-4). La gioia del Vangelo è partecipazione alla stessa gioia (esultanza) di Gesù: «Io ti rendo lode, Padre» (Lc 10,21). Nel Motu proprio Porta Fidei il Papa ricorda che anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione «per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede». È immediato il riferimento alla prima comunità cristiana di Gerusalemme in cui gli apostoli davano testimonianza della risurrezione con grande forza.

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UNA COMUNITÀ

SIMPATICA

«C

on grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia» (At 4,32-35) Con la risurrezione inizia la grande avventura della Chiesa. Tra le peculiarità che la fotografano ai suoi inizi, ci sono quelle della “simpatia” e della “affabilità”. La simpatia non è da confondere con un atteggiamento puramente emotivo. La simpatia, come dinamica psicologica, nasce quando si incontra qualcosa di piacevole che genera attrazione, crea conformità nel sentire e comunanza di sentimenti. La prima comunità cristiana si guadagna la simpatia in un contesto ostile, ma risulta attraente per la forte testimonianza, per il legame della comunione (koinonìà), per il coraggio del martirio e tutto questo perché è appassionata del Risorto. Essa vive alla sua presenza nell’ascolto della Parola, nella frazione del pane e nella condivisione dell’amore. Significativa in tal senso è l’affermazione dell’evangelista Luca, il quale fa notare che proprio in ragione di questa simpatia il Signore «ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,48). In una intervista rilasciata ai giornalisti mentre era in volo verso Londra il 16 settembre 2010, Benedetto XVI affermava: «Una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri e così il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro, serve non per sé, per essere un corpo forte, ma serve per rende-

re accessibile l’annuncio di Cristo Gesù, le grandi verità, le grandi forze di amore, di riconciliazione apparse in questa figura e che sempre vengono dalla presenza di Gesù». Per una comunità parrocchiale, confessare la fede non significa fare proselitismo, ma trasmettere la bellezza e la gioia del credere, contagiando quanti incontra sul proprio cammino. L’azione pastorale della comunità parrocchiale risulta simpatica quando è chiara l’identità della fede, che deve trasparire dallo stile di vita della comunità stessa. Per questo è necessario tornare all’essenzialità della fede; chi incontra la parrocchia, infatti, deve poter incontrare Cristo, senza troppe glosse e adattamenti. La fedeltà al Vangelo si misura sul coerente legame tra fede detta, celebrata e testimoniata. È simpatica e attraente una comunità parrocchiale che si affida al Risorto e per questo sta bene insieme e gioisce nello stare insieme, instaura relazioni semplici perché significative e fraterne. Gusta il bello perché nella bellezza si riflette Dio e quindi promuove la bellezza delle relazioni, della carità, della liturgia e dell’arte. La simpatia di una parrocchia, poi, sta nel sentirsi mandata dal Maestro per cui assume uno stile estroverso, si sente spinta fuori con intraprendenza vincendo la tentazione di arroccarsi in sacrestia per paura. Sa leggere la situazione in cui è immersa con fiducia e testimonia la fede nella carità, nel dialogo, nell’apertura, nell’incontro con la cultura, guardando il mondo con simpatia. Battesimi Botticino Mattina 6 ottobre 2012

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UNA COMUNITÀ

KERIGMATICA

I

I primo esempio di kerygma (annuncio) lo troviamo nel libro degli Atti. È il discorso di Pietro alla folla il giorno di Pentecoste subito dopo la discesa dello Spirito Santo: «Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete -, dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,22). Il centro dell’annuncio di Pietro consiste nella nuda proclamazione «della morte e risurrezione di Gesù Cristo secondo le Scritture», fatta sotto l’azione dello Spirito Santo da chi ne è stato testimone. È di fondamentale importanza quanto afferma ancora nello stesso scritto Luca: «All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”» (At 2,37). La fede si accende come scintilla all’annuncio kerigmatico del Vangelo. Esso consiste nel “notificare” all’uomo che Gesù «è morto per i nostri peccati ed è risuscitato per la nostra giustificazione» e che quindi non c’è salvezza fuori di Lui. Una comunità parrocchiale è kerigmatica nella misura in cui, con il suo esserci in quel determinato territorio, sa trafiggere il cuore, cioè sa condividere le situazioni della vita collocandovi una Parola che provoca, consola e genera adesione. Il primo annuncio è efficace quando cade come seme in ogni tipo di terreno e sa destare un interesse perché incontra la vita. Il cuore dell’annuncio cristiano, comunque, riguarda anche coloro che hanno già una fede che ritengono adulta. È importante, infatti, tornare sempre alla sorgente, all’origine, per rinnovare la giovinezza, la fecondità e la freschezza della fede. Il terreno su cui gettare per primo il seme del Vangelo non è necessariamente quello delle domande fondamentali sulla vita umana, alle quali dare la risposta cristiana. Il terreno della prima semina è anche quello della vita quotidiana con tutti quei momenti che richiedono una svolta.

Quali sono questi momenti? La nascita di un bimbo, il cammino dell’adolescenza e la scelta vocazionale nella giovinezza, l’amore di un uomo e di una donna, la fedeltà alla famiglia e la professionalità, l’esperienza del dolore e della fragilità...... Qui la parola cristiana sa dire qualcosa all’alfabeto della vita umana. L’ importante spesso è non partire dalle domande, ma dalle esperienze antropologiche; queste infatti sono le soglie di accesso alla fede offerte a tutti, perché esperienza comune e condivisa di vita. In tal senso una comunità parrocchiale kerigmatica non dovrà più pensare a un annuncio monolitico, ma differenziato, attento soprattutto alle diverse situazioni di partenza delle persone. Il kerygma è il cuore della missione della Chiesa e di ogni comunità parrocchiale; per questo va necessariamente contestualizzato. Il mondo della fede non ha più caratteri unitari, ci sono situazioni diverse, terreni differenti, sui quali spargere il seme della Parola. Basti pensare a persone non battezzate che domandano di diventare cristiane; a battezzati il cui battesimo è restato senza risposta; a battezzati la cui fede è rimasta allo stadio della prima formazione cristiana e che, dopo esperienze particolari, sentono il desiderio di ricominciare... Insomma, una pastorale parrocchiale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale kerigmatica e missionaria, che annunci di nuovo e senza stancarsi il Vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro alle persone del nostro tempo testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, in suo nome, contribuire a rendere nuova l’intera società. Una parrocchia missionaria si ritrova ogni otto giorni per incontrare il Signore Risorto. A partire da questa esperienza, professa la fede in lui con la testimonianza della carità, andando oltre i luoghi e i tempi dedicati al sacro per raggiungere i luoghi e i tempi della vita ordinaria: famiglia, scuola, comunicazione sociale, economia e lavoro, arte e spettacolo, sport e turismo, salute e malattia, emarginazione sociale... 7


Diocesi e parrocchie in cammino - sinodo diocesano sulle unità pastorali -

Omelia della Celebrazione eucaristica di Apertura di mons. Luciano Monari Vescovo di Brescia Sabato 1 dicembre 2012 - Chiesa Cattedrale

C

hi sei? dove vai? in che cosa speri? Queste domande o domande simili stanno davanti alla Chiesa bresciana che si raccoglie per celebrare un piccolo Sinodo sulle Unità Pastorali. La Chiesa è mistero del Signore risorto che opera nel mondo e nella storia: la si vede, la Chiesa, quando una comunità si raccoglie per ascoltare con fede la parola di Dio e per celebrare l'eucaristia; la si vede quando in una comunità si pongono al centro i piccoli e i deboli, quando ci si accoglie come fratelli e sorelle, quando ci si perdona a vicenda come si è perdonati dal Signore. La si riconosce, la Chiesa, quando ci si interroga per comprendere gli eventi della storia alla luce del disegno di Dio e, alla luce di questo stesso disegno, si prendono decisioni insieme. Il Sinodo è appunto un'espressione straordinaria della Chiesa locale, nella quale il vescovo convoca il presbiterio e tutti i credenti per riflettere sul cammino compiuto, sulle decisioni da prendere, sul futuro verso cui camminare. Chi è dunque la Chiesa? si è domandato il cardinale Scola in un suo libro recente. Chi è la Chiesa bresciana? Siamo noi: un piccolo frammento di umanità, che vive nel territorio di questa provincia e che crede nell'amore di Dio; che ha riconosciuto la rivelazione di questo amore nella persona, nella vita, nella morte di Gesù; che si sente gratificata di questo amore e vorrebbe riversarlo sul mondo intero perché ogni uomo abbia la consolazione di sapersi amato e trovi il desiderio e il coraggio di amare. Forse si può vivere anche senza sapere che Dio ci ama; ma meno bene. Forse, senza contare sulla fedeltà di Dio, si può ugualmente nutrire una qualche forma di sicurezza; ma non così salda e duratura. A noi è stato insegnato a riconoscere nell'esistenza il termine di un atto di amore; a rispondere a questo atto di amore dicendo un sì senza riserve alla vita, nostra e degli altri. Vorremmo trasmettere alle nuove generazioni la convinzione che possono contare sull'amore fedele di Dio che è scritto nelle strutture materiali del mondo, nel corso meraviglioso dell'evoluzione, nel travaglio della storia, nei desideri infiniti del cuore umano, nel futuro misterioso che si profila davanti a noi. Ma come dirlo? soprattutto: come dirlo in modo credibile?

Le parole sono necessarie, ma insufficienti; possono scaldare l'animo per un attimo, ma non riescono a sostenere la fatica quotidiana di vivere. Vorremmo allora raccontare l'amore di Dio con la nostra vita: con una vita libera, gioiosa, attiva, responsabile, creativa, fraterna, generosa, semplice. L'esperienza di vivere in una relazione di amore cambia profondamente il modo di vedere le cose; l'esperienza di vivere in una relazione originaria di amore con Dio rende l'avventura dell'esistenza infinitamente più bella e più degna. Sappiamo che solo l'amore è credibile, che solo una vita trasfigurata dall'amore testimonia la presenza e l'azione di Dio. Il tempo in cui viviamo, proprio per il suo disorientamento e la tentazione diffusa di banalizzare ogni cosa, è un'opportunità unica per comprendere quanto sia preziosa la semplicissima parola del vangelo: "Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la vita per noi. Quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli." "Ecco – dice Dio – io faccio una cosa nuova; proprio ora germoglia; non ve ne accorgete?" All'inizio della vita della Chiesa sta la conversione; e la conversione è il passaggio a un modo nuovo, diverso di pensare e di vivere. L'esistenza di ogni uomo si colloca nel mondo: dal mondo riceviamo il necessario per vivere (nutrimento e vestito, ricchezza e piacere) e nel mondo operiamo con le nostre scelte (progetti e decisioni, lavoro e riposo). Il mondo è sorgente di desiderio per tutte le cose belle e varie che ci fa intravedere e ci promette; è sorgente di paura per tutte le minacce e le incertezze che ci impone. È naturale in noi l'impulso a vivere nel mondo con successo – e cioè, evitando i possibili pericoli e sfruttando le occasioni propizie. Anche il rapporto con gli altri si colloca dentro questo schema: gli altri possono essere un aiuto straordinario a vivere – un aiuto materiale, un sostegno psicologico, una ricchezza affettiva; possono essere anche un ostacolo al nostro successo quando occupano i posti che vorremmo per noi o insidiano i posti che occupiamo. Secondo i casi, perciò, il rapporto con gli altri sarà di amicizia (quando favoriscono il nostro successo) o di inimicizia (quando lo ostacolano). Così appare la vita quando la si considera all'interno dei cicli secolari del mondo. La conversione inizia quando il sistema "io, nel mondo" si arricchisce con l'ingresso di un altro soggetto: "io, davanti a Dio, nel mondo." Quell'aggiunta: 'davanti a Dio' introduce una relazione che muta profondamente l'orizzonte dell'esistenza e fa vedere con occhi nuovi me stesso, gli altri, il mondo. Mi sento dire: "Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni… sei prezioso ai miei occhi… sei degno di stima e io ti amo." Sono parole rivolte a me, a te, a ogni uomo che vive in questo immenso mondo; 8

sono parole che fanno del mondo un ambiente amico, riscaldato da una corrente positiva di fiducia. I problemi rimangono tutti e le sofferenze anche; le paure non sono sciolte magicamente; ma la fatica di vivere è sostenuta da un amore vero e potente. Le prove che segnano la vita rimangono prove dolorose, ma si collocano dentro un'esistenza essenzialmente grata. Di questa esistenza vorremmo essere testimoni. Sappiamo che la nostra testimonianza avrà valore solo se accompagnerà un'esistenza gioiosa, vissuta nella pace, ricca di speranza e cerchiamo di sostenerci a vicenda nel vivere un'esistenza così. Che sia possibile non c'è dubbio: altri ci sono riusciti – i santi; e soprattutto "l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato donato." Per questo camminiamo con vigore. Descrivendo la prima comunità di Gerusalemme, san Luca dice che i credenti "erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere." Ecco, abbiamo deciso di vivere così, camminando insieme, convinti che attraverso questa strada possiamo andare verso un mondo più umano, nel quale l'amore di Dio s'incarna in pensieri, desideri, decisioni e comportamenti. L'ascolto della Parola, anzitutto. È possibile amare ed essere amati senza scambiarsi una parola; ma solo mediante la parola l'amore diventa consapevole, reciproco, umano. Per questo la parola degli apostoli, il vangelo, ci è necessario come l'aria che respiriamo. Ci parla di Gesù, quella parola, e quindi c'insegna il Padre; dichiara l'amore con cui Dio ha creato il mondo e noi nel mondo; corregge e purifica i sentimenti di orgoglio, gli impulsi di autodifesa che emergono dal nostro cuore. È viva, la parola di Dio, è efficace; come bisturi affilato, taglia sapientemente là dove sono annidati i tumori dello spirito e le debolezze della carne. Ci unisce in pace, la Parola di Dio, quando la ascoltiamo insieme e insieme l'accogliamo con desiderio e stupore; ci lega tra noi col vincolo tenace della verità, con lo spirito appassionato dell'amore.

scinati da questo gesto: l'immagine di una vita spezzata e donata agli uomini come nutrimento ci sta davanti come rivelazione misteriosa e sublime del mistero di Dio, come realizzazione luminosa della vocazione dell'uomo. Da duemila anni la Chiesa cammina nel mondo; e per duemila anni ha continuato a ripetere quel gesto obbedendo al comando di Gesù: Fate questo! Continuiamo ancora; continueremo fino a quando il sacrificio di Cristo non avrà trasformato anche la nostra vita in sacrificio autentico e non avrà unito tutti gli uomini col vincolo dell'amore di Dio. E infine abbiamo imparato a pregare. Lo consideriamo un dono: poterci rivolgere con semplicità a Dio – al Dio creatore del cielo e della terra, Signore del tempo e della storia – e chiamarlo Padre; porre davanti a Lui quello che siamo, con sincerità, senza finzione, con la fiducia piena dei figli, con l'obbedienza faticosa del quotidiano, con la speranza nella sua promessa. Nella preghiera entriamo a volte gioiosi, a volte tristi; a volte tranquilli, a volte agitati o angosciati; dalla preghiera usciamo sempre fiduciosi; sappiamo che il nome di Dio sarà santificato, che la volontà di Dio sarà fatta, che il regno di Dio verrà; che il nostro piccolo frammento di vita si salderà con infiniti altri frammenti e che potremo gioire contemplando il disegno completo, frutto della misteriosa storia dell'uomo. E sappiamo che quel disegno finale, composto di miliardi di miliardi di frammenti e di colori, sarà il volto amico del Cristo, l'uomo perfetto, fatto a immagine e somiglianza del Padre, che Dio ha da sempre sognato. Anche la croce, la sofferenza, la morte saranno recuperate per rendere più bello il quadro, come le ombre contribuiscono a mettere in evidenza i colori, le forme, il disegno. Conversione e vita fraterna: ascolto della parola, comunione, eucaristia, preghiera. E' il ritratto essenziale della Chiesa. Naturalmente non è tutto: i cristiani continuano a essere cittadini del mondo e nel mondo debbono studiare, lavorare, creare istituzioni, vivere da cittadini responsabili, accanto a tutti gli uomini,

L'amore ha bisogno di parole, ma non si accontenta di parole. Per questo la legge delle nostre comunità è quella della comunione, una legge dinamica, creativa, che genera sempre nuove forme, che edifica le comunità umane saldandole all'amore infinito di Dio. È concreta, la comunione; è fatta di parole attente, di gesti delicati; richiede disciplina dei sentimenti e dei desideri; esige di contrastare con decisione i risentimenti, di reprimere i moti di orgoglio, le parole arroganti. Ci sentiamo allora discepoli umili, che desiderano imparare dal Maestro, per riuscire a riconoscere, correggere e sanare le tendenze istintive del nostro povero cuore. Per la legge della comunione ogni espressione di Chiesa (la famiglia, il gruppo, la parrocchia…) si sente incompleta e si apre a un rapporto di reciprocità nei confronti degli altri in un dinamismo che non ha limiti. Poi la frazione del pane. Il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, benedisse Dio per quel pane, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: "E' il mio corpo per voi. Prendete e mangiate!" Siamo affa9


Diocesi e parrocchie in cammino - sinodo diocesano sulle unità pastorali - Diocesi e parrocchie in cammino - sinodo diocesano sulle unità pastorali -

CONCLUSIONE DEL SINODO

condividendo con loro speranze e responsabilità. Non bastano le buone intenzioni per amare nel modo corretto; ci vuole anche studio e competenza, capacità di dialogo e di collaborazione. Ma la fede non ci allontana da questi impegni; ci dà anzi un motivo in più per fare ogni cosa con serietà. Sappiamo che contribuire al progresso umano significa rispondere correttamente alla chiamata di Dio, diventare strumenti della sua volontà; e non ci tiriamo indietro.

Dopo quattro giorni di dibattito, preghiera e votazioni, il testo finale del documento del 29° Sinodo diocesano ha ottenuto il voto favorevole di 314 persone. Alla fine il Vescovo ha espresso la sua gratitudine Il Vescovo Monari ha letto il verbale del 29° Sinodo Diocesano alle 17.17 di domenica 9 dicembre. Il testo finale è stato approvato da 314 persone, cinque i contrari e una scheda bianca. Si conclude così il 29° Sinodo diocesano che ha segnato senza dubbio un momento di crescita per tutta la Chiesa bresciana. Ora toccherà al Vescovo, legislatore unico, prendere in mano il testo e sintetizzarlo. Tutte le votazioni finali sono state quasi all'unanimità. Monari ha ricordato che in questa Assemblea sinodale abbiamo valorizzato le opinioni di tutti. Vogliamo una Chiesa significativa e credibile. Che cosa produce il Signore risorto? Se è vivo, agisce e se agisce ci sono degli effetti. Se l'ascolto del Vangelo cambia la vita, se l'eucaristia cambia i rapporti, se il rapporto con gli altri è di amore e di perdono, posso dire che il Signore è risorto. Una comunione senza missione vuol dire che ha perso vitalità e una missione senza comunione è una parola vuota. Il nostro compito è quello di portare Gesù Cristo in ogni ambito in cui viviamo. Tutti gli ambiti possono diventare espressione dell'amore del Signore. Solo insieme siamo Chiesa e possiamo esprimere il mistero di Gesù Cristo in tutte le forme umane a partire dalla comunione e dalla missione che sono correlate.

Si stupirà qualcuno che non abbia parlato delle Unità Pastorali che sono il tema particolare del Sinodo. Ma non è vero: ne ho proprio parlato. Se faremo le Unità pastorali, le faremo per riuscire a vivere più pienamente la comunione come il Signore ce la chiede e come il nostro cuore, mosso dalla sua parola, ha imparato a desiderare. Non c'interessano le ricette pastorali in se stesse; c'interessano le comunità cristiane nella loro bellezza; e la loro bellezza sta nella capacità di aprirsi le une alle altre; di aprirsi tutte insieme al mondo, secondo l'impulso dello Spirito Santo. Non è con una regola in più o diversa che potremo rispondere al desiderio del Signore; ma ogni pensiero saggio, ogni testimonianza autentica, ogni decisione responsabile può essere un piccolo segno di obbedienza al Signore. Il Sinodo rimarrà inevitabilmente monco se io, voi, tutti non faremo un cammino reale di conversione attraverso il quale Dio diventi presenza reale nella nostra vita; se io, voi, tutti, non ci assumeremo umilmente la nostra quota parte di responsabilità e non cercheremo di pulire il piccolo quadrato di terra che ci appartiene per renderlo più pulito, più rispondente al disegno di Dio. A tutti voi, sinodali, chiedo dunque questo: che abbiate nel cuore un desiderio profondo, appassionato di quella comunione che Dio desidera per tutta la famiglia umana e per la quale Gesù ha consacrato se stesso. Abbiate un desiderio e un amore così grande che vi permetta di superare le abitudini mentali, gli interessi particolari, le resistenze istintive al cambiamento. Solo entro questo contesto di desiderio le Unità Pastorali potranno vivere e servire alla Chiesa.

Il 29° Sinodo diocesano si è concluso ufficialmente con la Santa Messa delle 18.30 in Cattedrale che ha aperto anche l’Anno della fede a livello diocesano.

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Messaggio dal Sinodo diocesano alle donne e agli uomini bresciani Riuniti attorno al nostro Vescovo Luciano, noi partecipanti al XXIX Sinodo diocesano sulle Unità pastorali, coscienti e lieti di rappresentare i laici, i sacerdoti e i consacrati della Chiesa bresciana, nel desiderio di camminare insieme, dedichiamo un pensiero alla città e a tutti i Comuni della diocesi. È un pensiero carico di affetto, simpatia e fraterna amicizia verso tutte le donne e gli uomini che vivono e operano in questa terra bresciana. Il nostro impegno sinodale ha riguardato il futuro della missione della nostra Chiesa bresciana, prospettando una rinnovata azione pastorale basata sulla comunione, collaborazione e corresponsabilità fra le varie comunità parrocchiali. Vogliamo condividere il nostro sguardo al futuro con tutti, anche con coloro che si sentono lontani dalla vita ecclesiale, ma che hanno a cuore il bene comune, il sereno domani delle generazioni più giovani, orizzonti di pace, giustizia, progresso e lavoro per tutti. Cogliamo questa occasione per esprimere pubblica gratitudine per gli esempi di civiltà, umanità, dedizione professionale e onestà che troviamo al di fuori delle esperienze ecclesiali. Come cattolici, praticanti e impegnati nelle parrocchie e nelle aggregazioni o istituzioni ecclesiali, ci sentiamo vicini e partecipi alla vita e alle quotidiane vicende di tutti i nostri concittadini, particolarmente in questo tempo di grave crisi economica, sociale e culturale. Raccogliendo volentieri una preziosa eredità che ci viene da un passato lontano e recente, possiamo dire che essere cattolici non ci impedisce di essere cittadini italiani che vogliono il bene e la libertà di tutti (Giuseppe Tovini). Ribadiamo volentieri, pur consapevoli dei nostri limiti, che la nostra appartenenza ecclesiale non rallenta ma rafforza la coscienza della nostra responsabilità civile. Fedeli alla Dottrina sociale della Chiesa, vogliamo essere cittadini onesti e liberi, leali e rispettosi della legalità, dediti con passione al bene comune della nostra città e dei nostri paesi. TESTIMONIANZA DI UN GIOVANE LAICO É in nome di questo indissolubile legame che ci sentiamo, nell'at- Cari sinodali, tuale e difficile stagione, singolarmente vicini a tutte le famiglie, ai al Concilio Vaticano II un vescovo dichiarò: «Siamo lavoratori e ai giovani che soffrono a causa della crisi economica. venuti al Concilio credendo che la Chiesa girasse atE, con indistinta solidarietà, guardiamo alle famiglie di stranieri torno a noi e abbiamo scoperto che noi siamo suoi serche, venuti da lontano con le loro diversità di cultura e di fede, vitori». sono ormai nostri concittadini che partecipano allo sviluppo Sono venuto al Sinodo convinto che le parrocchie gidel nostro territorio. rassero in modo inesorabile attorno ai parroci e qui scoperto, invece, che sono tanti i preti disponibili a Per queste ragioni dobbiamo sentirci tutti più uniti e in un rap- ho girare loro intorno alla parrocchia, cioè a decentrarsi porto di dialogo costante e costruttivo, arricchendoci gli uni gli per ricentrarsi sulle UP. altri dei nostri specifici contributi, nel percorrere in particolare tre Grazie di cuore caro vescovo Luciano per il bene e la sentieri che possono portarci a migliori previsioni e situazioni. passione con cui guida la nostra chiesa bresciana e per Prima di tutto il sentiero, tanto raccomandato anche dal Magiste- la determinazione con cui ha voluto questo Sinodo; ro della Chiesa, del rinnovamento sociale che presuppone neces- grazie cari presbiteri per averci ascoltato con paziensariamente una visione vera e alta della politica: un servizio alla za. comunità, svolto con onestà, saggezza, disinteresse, competenza, Coraggio cari laici la strada è tracciata, il tempo della panchina pastorale è quasi finito. Come scrissi tempo scelte illuminate e condivise. fa sulla Voce del Popolo siamo pronti a scendere in In secondo luogo la salvaguardia e la promozione del valore della campo non contro ma con voi presbiteri, per giocare e famiglia, cellula fondamentale della società e piccola Chiesa do- vincere insieme la sfida della trasmissione del Vangelo mestica. Credenti e non credenti abbiamo la necessità e il dovere in questo mondo che cambia. di promuovere il ruolo della comunità familiare che è il fonda- La parola greca Sinodo vuol dire letteralmente fare strada insieme, cioè camminare gli uni accanto agli almento delle relazioni sociali. tri, sapendo però che davanti c’è solo il Signore Gesù. Infine non possiamo tacere il valore dell'educazione in un mo- Le UP siano un camminare insieme: preti, diaconi, remento di emergenza che preoccupa per il futuro dei nostri ligiosi e laici, per essere presenza al mondo di Dio Pagiovani. Nella terra bresciana che ha donato all'Italia e all'Europa, dre, Figlio e Spirito Santo che amorevolmente ci guida. un patrimonio di idee e strumenti per l'educazione delle giovani Infine, le UP, al di là della conformazione che avranno, generazioni, questa dimensione rimane una priorità per tutti. saranno vere, belle e buone nella misura in cui ognuFacciamo nostra la convinzione di Giuseppe Tovini, pubblico no di noi lo sarà. E la ricetta segreta per diventarlo è amministratore, sposo e genitore: i figli senza la fede non saranno quella di sempre: ascoltare la Parola, cibarsi dell’eucarestia, pregare senza sosta e amare Dio sopra ogni mai ricchi, colla fede non saranno mai poveri. cosa amandolo nel fratello, come ci ha detto il nostro Il nostro saluto vi giunga rammentando le parole di Giovanni Pa- vescovo nell’omelia, citando il testo di At 2,42: “Erano olo II ai bresciani, ribadite anche da Benedetto XVI: E tu Brescia, perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella fidelis fidei et iustitiae, riscopri il patrimonio di ideali che costituisce comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere”. la tua ricchezza più vera, e sarai capace di essere centro vivo di irra- Che le future UP abbiano veramente come tratto codiazione della nuova civiltà, la civiltà dell'amore, auspicata dal tuo mune quello della fraternità. grande figlio Paolo VI. Grazie di cuore a tutti. Roberto Marchina Brescia, 9 dicembre 2012 Domenica 9 dicembre 2012 11


diventare cristiani

“da adulti” I

n una trasmissione televisiva di diversi anni fa, curata da Sergio Zavoli, sui grandi interrogativi dell'uomo, il noto giornalista Indro Montanelli manifestava senza reticenze la sua visione di Dio e della fede: «La fede è un dono - diceva-, è una grazia che si riceve da Dio. Io non ho avuto questa grazia. Per averla avrei dato tutto, il successo che ho avuto nella vita, la vita stessa. Quando mi incontrerò con Dio, gli dirò: Perché non mi hai dato la grazia?». Nonostante la lucidità di queste affermazioni, sono convinto che dietro l'interrogativo sofferto di questo intellettuale che si riconosceva non credente, possa intravedersi un germe piccolo ma autentico di quella fede che sarebbe certamente cresciuto e maturato se fosse stato coltivato e sostenuto dalla testimonianza dei credenti. Sono tanti i «lontani» che cercano Dio a tentoni e attendono di incontrarlo mentre magari già parlano con lui, lo interrogano, lo sfidano con il loro dolore e il loro vuoto esistenziale. I loro interrogativi non possono cadere nel vuoto, ma devono rimbalzare con forza all'interno delle nostre comunità ecclesiali. Come gli abitanti della Palestina di 2000 anni fa, molti oggi ci chiedono: «Vogliamo vedere Gesù!» Le nostre parrocchie sono direttamente chiamate in causa. Come, infatti, credere in Cristo se nessuno lo testimonia con la vita? Dove incontrarlo se i credenti non manifestano il suo volto e il suo amore? Dove sono i cristiani adulti che non hanno paura o vergogna di testimoniare a fronte alta la loro appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa? Dove sono le comunità adulte nella fede, segno e strumento di comunione, di condivisione, di solidarietà, di donazione gratuita, di testimonianza gioiosa? Perché le nostre comunità non crescono nella fede e rimangono spesso bloccate in meschinità puerili che tarpano le ali e condannano alla sterilità? È questo uno dei nodi cruciali più seri della pastorale ecclesiale. La fatica evangelizzatrice delle nostre parrocchie oggi più che mai deve puntare al

raggiungimento di questo obiettivo: formare cristiani adulti nella fede, in un contesto sociale nel quale non è frequente imbattersi in persone adulte e dove sempre più spesso si assiste ad esibizioni infantili e adolescenziali persino da parte di chi è chiamato a svolgere alti ruoli istituzionali e pubblici. C’è la necessità - sempre più pressante - di suscitare, accompagnare e coltivare la fede nell'adulto, valorizzando ogni situazione, perché maturi la consapevolezza del dono ricevuto e la coerenza della sua testimonianza. La vera questione da porre, non sarebbe solo quella di rendere adulti i cristiani - poiché in realtà il cristiano o è adulto o non può dirsi tale - ma forse quella di diventare cristiani «da adulti», anche quando il battesimo lo si è ricevuto da bambini ma crescendo non si è stati aiutati ad accoglierlo e a coltivarlo adeguatamente. Molti dei battezzati che frequentano le nostre parrocchie, infatti, possiedono una fede rachitica, che non è mai cresciuta e che è destinata a rimanere allo stadio infantile. La loro, spesso, è una fede interessata, che cerca Dio solo nel bisogno,

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che pretende che Dio intervenga su comando e assecondando l'emotività del momento. Oppure è una fede che crede più negli oroscopi che nella grazia di Dio, che chiede i sacramenti ma che non li sa vivere, che rispetta anche una certa pratica religiosa ma attribuendole spesso un valore magico-sacrale. A questa tipologia appartengono quei credenti che, nell'impatto con le situazioni più estreme della vita, dicono di «perdere» la fede. In realtà, solo una fede infantile può correre il rischio di andare perduta. La fede adulta, quella fondata sulla roccia, quella provata col fuoco, è impossibile che la si perda. La fede adulta può soltanto crescere all'infinito, tendendo progressivamente alla statura dell'uomo perfetto, Cristo Gesù (cfr. Ef 4,13). Il testimone della fede è, dunque, il cristiano adulto, colui che è «ricolmo di gioia» pur nella prova, poiché sa che la sua fede «è molto più preziosa dell'oro» e, come l'oro, più «si prova col fuoco» più diventa pura e autentica (1Pt 1,7). I nostri fratelli maggiori nella fede ne sono una eloquente e indiscutibile testimonianza: solo la fede ha permesso ai sopravvissuti alla shoah di ritrovare, nonostante tutto, la forza per ricominciare a vivere. Nella sua indimenticabile omelia «pro eligendo romano pontifìce», il 18 Aprile 2005, l'allora Card. Joseph Ratzinger, non esitava ad esortare ad una crescita incessante nella sequela di Cristo per giungere alla pienezza della fede: «Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità... "sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina"», succubi dell'istintività, dell'instabilità, della prowisorietà, del relativismo, determinati solo dal proprio io e dalle sue voglie, condizionati dalle onde della moda e dall'ultima novità. La misura del cristiano adulto nella fede ricordava il futuro Papa - è invece Cristo che dona la sua amicizia perché sia condivisa con tutti, che insegna a fare la verità nella carità, che dona la fede e invia per contagiare gli altri, andando e portando frutto, un frutto che rimanga. Nel Piano pastorale del primo decennio del 2000, i nostri vescovi scrivevano che la fede adulta è una fede «pensata», che sana la rottura tra vangelo e cultura,

che ricuce lo strappo tra spirituale e temporale, che è capace di fare unità tra i vari aspetti della vita (famiglia, affetti, lavoro, politica, economia, tempo libero...), senza lacerazioni, contrapposizioni, incoerenze. Una fede che interpella la persona nella concretezza della sua esistenza, che passa al vaglio le sue scelte, che guarda con occhio critico i suoi comportamenti. Una fede che è capace di rendere conto della speranza che abita la vita del credente, testimoniando a fronte alta le sue radici culturali. Sullo stesso obiettivo pastorale insisteva la traccia di riflessione in preparazione al Convegno di Verona: «Le comunità cristiane devono essere attente a coltivare cristiani adulti, consapevoli e responsabili, capaci di dedizione e di fedeltà. Ce n'è urgente bisogno». È necessario pertanto creare comunità adulte che possano divenire sempre più luoghi di educazione alla fede, palestre in cui tenersi in continuo allenamento, tenendo sempre fisso lo sguardo sulla meta, per vivere un permanente cammino di conversione, per educarsi al dono gratuito e progressivo della propria vita, forgiandosi alla scuola dell'ascolto della Parola, della preghiera, del sacrificio, della vita comunitaria. A questo devono mirare gli itinerari di iniziazione cristiana, i percorsi di catechesi permanente, la formazione all'esercizio della carità e del servizio pastorale. La fuga di tanti giovani e adulti dalle nostre comunità ecclesiali - proprio quando giungono al culmine del loro cammino di iniziazione cristiana - la dice lunga sulla assenza di figure che sappiano porsi come modelli di fede e di vita cristiana. La responsabilità è affidata dunque alle comunità cristiane e in particolare a coloro che in esse detengono la responsabilità della guida, chiamati a divenire i primi testimoni della fede, i primi cristiani maturi e adulti, capaci cioè di testimoniare la fedeltà e l'adesione incondizionata a Cristo e alla sua Chiesa, e se necessario fino al martirio.

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Abbandonare le proprie sicurezze.

Itinerari per adulti Confermare parole in un itinerario di adulti vuol dire portare in discussione le parole che ispirano e determinano la nostra vita, superando quella naturale e immediata ritrosia a mettersi in discussione perché presuntuosamente convinti di non aver bisogno di imparare e maturare. E qui l’educazione degli adulti mostra tutta la sua difficoltà ad attuarsi. Altro che un paio di incontri sporadici! Forse non saranno tanti, ma certamente seri e motivati, quegli adulti che, specie ai pastori, esprimono un bisogno e una ricerca di formazione seria. Ciò è un motivo altamente consolante e incoraggiante che deve spronare tutti gli operatori pastorali a riflettere su quanto gli adulti abbiano bisogno di molto più, in quantità e qualità, di quanto si offre a fanciulli e giovanissimi. Ed è anche onestamente doveroso ribadire come gli itinerari per adulti non possono essere improvvisati o scadere in visioni ideologiche o devozionistiche della fede.

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a chi l'ha detto che i giovani siano il problema e non gli adulti? Sono diverse le scene pietose in cui genitori, insegnanti ed educatori scaricano sui giovani le loro frustrazioni, incapacità relazionali e immaturità. Sono proprio i giovani i maggiori responsabili delle loro difficoltà e crisi esistenziali oppure gli adulti che li hanno educati male? Per dirla in termini di cronaca: è più colpevole la "Ruby" di turno o i genitori che la accompagnano, per soldi e successo facili, ai festini porno? Il problema non sono i giovani - per lo più - ma gli adulti: quarantenni, cinquantenni e oltre che hanno perso molto di quello che, a cantilena, rimproverano ai giovani: principi morali, serietà, disposizione a sacrificarsi.

Carenza formativa Emerge, un po' in tutti i contesti, una carenza formativa. La formazione, da parte di molti adulti, è vista come qualcosa per giovani e fanciulli, al massimo si mostra una parziale disponibilità all'aggiornamento tecnicoprofessionale, ma molto raramente si pensa che, come adulti, abbiamo ancora tanto da imparare e maturare. La mancanza di domanda formativa incide sensibilmente sulla quantità e qualità di proposta formativa. Limitando queste note all'ambito ecclesiale si deve riconoscere come al lodevole e immenso sforzo di attività catechetica (per lo più per i fanciulli) e liturgica, non corrisponde un altrettanto lodevole ed immenso sforzo di formazione, specie biblica e teologica, per adulti. Fatta eccezione per una frequente attenzione ai temi della morale familiare e sessuale, tuttavia non sempre collegati ai contesti adulti, mancano itinerari formativi inerenti al mondo degli adulti che supera l'ambito familiare, cioè a contenuti riguardanti il campo professionale, culturale, sociale, politico ed economico.

Qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi e insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell’intimo dall’avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi. Alla fine, quello che manca è l’umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo.

I surrogati della fede

Di quale formazione parliamo? Dire formazione per adulti è semplice. Ma di quale formazione parliamo? Molto spesso la formazione, specie degli adulti (ma non solo), è sporadica, non costante e programmata solo sull’onda degli eventi (le varie “giornate”, celebrazioni di anniversari, ricorrenze di devozione popolare e così via). Forse è il caso di ricordare che è formazione un itinerario possibilmente settimanale, sviluppato su un arco di tempo congruo, guidato dallo stesso educatore, intessuto seriamente di annuncio, dialogo e verifica personale e comunitaria. Se questa è la struttura, molto altro va detto sui contenuti di una formazione per adulti. Senza scendere nello specifico degli itinerari per adulti, c’è un elemento di fondamentale importanza. Seguendo la lezione di don Milani, si potrebbe dire che mentre l’essere giovani è basato sull’apprendere parole, l’essere adulti è caratterizzato dal confermare parole. Ricordiamo che Lorenzo Milani intendeva per parole quei contenuti mentali capaci di nutrire intelletto e volontà per maturare. Il sacerdote fiorentino fu cosciente che la mancanza di parole era - ed è! - una delle povertà più serie, su cui profeticamente si deve intervenire. Milani, infatti, fu pienamente convinto che la povertà non si misura a pane, a casa, a caldo, ma sul grado di cultura e sulla funzione sociale. Di qui l’attenzione allo strumento parola. «Ciò che manca ai miei figlioli - scrisse nel 1950 - è dunque solo questo: il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradimenti le infinite ricchezze che la mente racchiude». Della parola Milani colse la portata personale, sociale e politica. Ora i giovani le parole le apprendono, gli adulti le confermano. 14

Occorre evitare le trappole che sono dei surrogati della vera fede: essi tolgono la fatica della ricerca di Dio, propongono “ricette” comode e facilmente accessibili, richiedono più un’adesione formale che un impegno di vita coerente, sono più individualiste che comunitarie, raramente portano ad un rapporto vivo con la persona di Gesù. Un’ultima osservazione in materia formativa. Fermo restando il ruolo insostituibile degli itinerari formativi comunitari, va ribadita l’importanza dell’autoformazione. Abbiamo diritto a ricevere da chi è preposto alla nostra educazione, ma abbiamo anche il dovere di formarci, non solo per sopperire alle eventuali carenze delle agenzie educative, ma soprattutto per esercitare la personale responsabilità verso noi stessi. Non si può improvvisare una testimonianza nel mondo familiare, professionale, sociale e politico senza dedicare del tempo a lettura e studio personali, preghiera e meditazione frequente. Per quanto possa appartenere a una comunità viva e seriamente educante, l’autoformazione è il luogo di sintesi che collega l’annuncio comunitario ai tanti ambienti di vita, generando maturità umana e coerenza cristiana. Il crescere facendosi imitatori di Cristo (cfr. Fil. 2, 5) non avviene applicando un modello standard, valido per tutti, ma discernendo quali doni il Signore mi ha dato (Mt. 25,14-30). «Ciascuno - ammonisce l’apostolo Pietro - viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen»(1Pt. 4, 10-11).

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Nuovi stili di evangelizzazione Servono uomini e donne che narrino con la loro esistenza che la vita cristiana è “buona”

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nnunziare Gesù è compito di ogni cristiano. Ma come farlo oggi? «Servono uomini e donne che narrino con la loro esistenza che la vita cristiana è "buona"». Il 21 settembre 1978 a Fulda, in Germania, il cardinale Stefan Wyszynski lanciava un pressante invito alla chiesa per una «nuova evangelizzazione», in vista della rinascita di un'Europa cristiana. Questa formula del cardinale polacco, assunta da Giovanni Paolo II e da lui posta in stretta relazione con l'insegnamento del Concilio Vaticano II, è diventata durante il pontificato di Wojtyla il grande obiettivo per il suo ministero papale e per tutta la chiesa. Da allora si può dire che tutte le chiese locali, soprattutto attraverso le Conferenze episcopali, continuino a ricercare e a proporre cammini pastorali in vista di questo scopo. Occorre però fare subito una precisazione in merito al concetto di nuova evangelizzazione. Il carattere problematico di questa formula è stato così espresso, recentemente, dall'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione: «II rischio che "nuova evangelizzazione" possa apparire come una formula astratta non è

peregrino: perché lo si eviti, è necessario che la si chiarifichi riempiendola di contenuti in modo tale da cogliere il suo senso e le finalità connesse». Ebbene, in ogni epoca storica l'evangelizzazione chiede innanzitutto alla Chiesa e a ogni cristiano il discernimento su come vivere «il Vangelo eterno» (Ap 14,6), su come testimoniare e annunciare, in un mondo che cambia, «Gesù Cristo» che «è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8); ovvero, su come evangelizzare ieri, oggi e sempre. Più in profondità, occorre comprendere che sempre l'evangelizzazione è azione di Cristo nella forza dello Spirito santo. Essa ha come primo soggetto il Signore stesso, e si configura di conseguenza come un'attività dovuta alla sua presenza nella Chiesa «fino alla fine della storia» (Mt 28,20): è il Vangelo di Dio. che si identifica nelle azioni e nelle parole di Gesù Cristo, a sostenere l’evangelizzatore. Ciò che Gesù «fece e disse» (At 1,1) è prolungato dal Risorto, dal Kyrios glorioso, attraverso le energie dello Spirito santo, nella Chiesa (cf. Gv 14,26; 15,26-27). Come lo Spirito ha guidato Gesù nella sua missione (cf. Le 4,18) e ha presieduto alla missione della chiesa (cf. Atti 2,1-13; 13,2-4), così l’evangelizzazione condotta dalla Chiesa è evento pneumatico: testimonianza della Parola venuta da Dio, profezia in atto, «in azioni e parole» (Lc 24,19), con la vita e la parola dei cristiani. Chiarito questo, se è vero che l’evangelizzazione è rivolta a tutti, e nessuno può esserne escluso perché la missione della Chiesa, per volontà del Signore, è universale (cf. Mt 28,19-20; Mc 16,15; Lc 24,47; At 1,8), è altrettanto vero che essa deve

Non basta trascrivere le catechesi e le omelie di cinquanta anni fa sul web. Occorre anche lì testimoniare il Vangelo vivendolo prima di tutto nella nostra vita 16

essere evangelizzazione continua della Chiesa, intendendo tale genitivo in primo luogo come genitivo oggettivo e solo in seconda istanza come genitivo soggettivo, ossia come evangelizzazione degli uomini ad opera della Chiesa. Non si possono dimenticare, al riguardo, le parole profetiche scritte da Paolo VI quasi quarant’anni fa, nella sua splendida Esortazione apostolica Evangelio nuntiandi: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore... Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuoi conservare freschezza, slancio e forza per annunciare il Vangelo». Tra i destinatari dell’evangelizzazione sono da annoverare - sicuramente oggi, ma credo in ogni tempo - i cristiani stessi. Si pensi ai cosiddetti «cristiani a intermittenza», ossia quelli che vivono la pratica cristiana non nel ritmo tradizionale scandito dalle domeniche e dai tempi liturgici, ma in occasione di eventi particolari segnati dai grandi numeri (beatificazioni, celebrazioni dei movimenti, ecc.), e privilegiano altri luoghi come, ad esempio, i santuari. Oppure si pensi ai «cristiani ricomincianti», persone che, dopo aver ricevuto l’iniziazione cristiana, si sono allontanate dalla fede, e in età adulta bussano alla porta della chiesa per riscoprire le loro radici: costoro abbisognano di evangelizzazione, necessitano di una nuova iniziazione, perché spesso la loro conoscenza non è neppure a misura della loro pratica liturgica o della loro vita ecclesiale. Ma non vanno dimenticati neppure i cristiani «praticanti» o quelli «impegnati», sempre esposti

a un rischio assai sottile: la pretesa di annunciare agli uomini un Vangelo che essi non vivono in prima persona. E così finiscono per essere quel sale che, avendo perso il sapore, «serve solo a essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5,13); oppure - il che è ancora più pericoloso - finiscono per imporre pesanti fardelli sulle spalle degli altri, senza che essi li muovano nemmeno con un dito (cf. Mt 23,4). Davvero l’evangelizzazione dei cristiani, di tutti i cristiani, dovrebbe essere un andare oltre l’insegnamento iniziale su Cristo (cf. Eb 6,1-3), in modo da forgiare cristiani maturi, alla statura di Cristo (cf. Ef 4,13). Solo una Chiesa in stato di conversione, in perenne movimento di ritorno al Signore, può accogliere in sé uomini e donne che, toccati dall’annuncio del Vangelo, rispondano alla chiamata del Signore con tutta la loro vita. In tal modo la Chiesa mostra la verità e l’autenticità della salvezza: nella misura in cui si pone nella dinamica della conversione alla signoria di Dio su di lei, può narrare realmente agli uomini un Vangelo capace di mutare i cuori, un Vangelo che salva. Al contrario, dei cristiani mondani possono soltanto incoraggiare gli uomini a restare quello che sono, impedendo loro di sperimentare l’efficacia della salvezza; così essi sono di ostacolo all’evangelizzazione e depotenziano la forza del Vangelo. Sì, solo dei cristiani evangelizzati saranno abilitati alla trasmissione, a evangelizzare gli altri; una chiesa evangelizzata potrà essere una chiesa evangelizzante, obbediente al Signore del Vangelo, colui che l’ha radunata e costituita, e dunque capace di trasmettere ciò che essa ha ricevuto. Facendosi serva del Vangelo, la Chiesa adempie la sua missione, la sua finalità, e realizza la sua ragion d’essere: fuori dell’evangelizzazione, infatti, non c’è azione di chiesa e neppure chiesa.

«Sì, lo stile con cui il cristiano sta nella compagnia degli uomini è determinante: dal “come” dipende la fede stessa, perché non si può annunciare un Gesù che racconta Dio nella mitezza, nell’umiltà, nella misericordia, e farlo con stile arrogante, con toni forti o addirittura con atteggiamenti che appartengono alla militanza mondana!». Enzo Bianchi 17


pressione. Ma forse neppure un Sinodo potrebbe essere sufficiente. Alcuni di questi nodi necessitano probabilmente di uno strumento collegiale più universale e autorevole, dove essi possano essere affrontati con libertà, nel pieno esercizio della collegialità episcopale, in ascolto dello Spirito e guardando al bene comune della Chiesa e dell’umanità intera.»

Il Concilio davanti a noi

profeta di speranza Che cosa ci lascia il cardinale Martini? Come ha interpretato il Concilio? Quale significato attribuiva all’esperienza della responsabilità?

L

a Chiesa, che si appresta a celebrare i 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, dovrà ora fare a meno anche di lui. Stiamo parlando del cardinal Carlo Maria Martini, morto il pomeriggio di venerdì 31 agosto scorso al Collegio Aloisianum di Gallarate (Varese), dove l’ex arcivescovo di Milano era da tempo ospitato. Martini non aveva partecipato al Concilio, ma tutta la sua vita è stata intrecciata alla straordinaria novità con cui la Chiesa del Novecento aveva saputo ripensare se stessa, la fede e il mondo. Di questa novità egli è stato il più lucido e coraggioso interprete nell’episcopato italiano e a una delle conversioni più decisive della Chiesa conciliare, quella del ritorno alla Bibbia e della sua restituzione alla preghiera e alla riflessione dei credenti, ha dato strumento e voce, sia con i suoi studi biblici e la sua riedizione dal greco del Nuovo Testamento, accolta e usata da tutte le Chiese cristiane, sia con la generosa somministrazione della Sacra Scrittura nella «Scuola della Parola».

Riprendere lo slancio del Concilio Alla domanda se non riteneva che la spinta del Concilio Vaticano II si fosse indebolita, il cardinal Martini rispose così: «Non penso ad un Vaticano III. È vero che il Vaticano II ha perso una parte della sua spinta. Voleva che la Chiesa si confrontasse con la società moderna e con la scienza, ma questo confronto è stato marginale. Noi siamo ancora lontani dall’aver affrontato questo problema e sembra quasi che abbiamo rivolto il nostro sguardo più all’indietro che non in avanti. Bisogna ri-

prendere lo slancio ma per far questo non è necessario un Vaticano III. Ciò detto io sono favorevole ad un altro Concilio, anzi lo ritengo necessario, ma su temi specifici e concreti. Ritengo anzi che bisognerebbe attuare ciò che fu suggerito anzi decretato dal Concilio di Costanza, cioè convocare un Concilio ogni venti o trent’anni ma con un solo argomento o due al massimo». Insomma, era chiara a Martini la consapevolezza che il Concilio Vaticano II, a cinquant’anni dal suo inizio, non fosse stato ancora pienamente assorbito dalle comunità cristiane. Lo aveva ribadito, una decina di anni fa, durante un Sinodo dei Vescovi sull’Europa (1999), in un intervento che fece scalpore (e creò un certo e non nascosto disagio nella curia romana): «Siamo indotti a interrogarci se, quaranta anni dopo l’indizione del Vaticano II, non stia a poco a poco maturando, per il prossimo decennio, la coscienza dell’utilità e quasi della necessità di un confronto collegiale e autorevole tra tutti i vescovi su alcuni dei temi nodali emersi in questo quarantennio. V’è in più la sensazione di quanto sarebbe bello e utile per i Vescovi di oggi e di domani, in una Chiesa ormai sempre più diversificata nei suoi linguaggi, ripetere quella esperienza di comunione, di collegialità e di Spirito Santo che i loro predecessori hanno compiuto nel Vaticano II e che ormai non è più memoria viva se non per pochi testimoni».

Ho fatto un sogno Richiamando alla memoria il cardinale Basil Hume, arcivescovo di Westminster, che era intervenuto durante un Sinodo con le parole: «I had a dream», «Ho fatto un sogno», il cardinal Martini disse: «Anch’io in questi giorni, ascoltando gli interventi, ho avuto un sogno, anzi parecchi sogni. Ne richiamo tre. 1. Anzitutto il sogno che, attraverso una familiarità sempre più grande degli uomini e delle donne europei con la Sacra Scrittura, letta e pregata da soli, nei gruppi e nelle comunità, si riviva quella esperienza del fuoco nel cuore che fecero i due discepoli sulla strada di Emmaus. Anche per la mia esperienza, la Bibbia letta e pregata, in particolare dai giovani, è il libro del futuro del continente europeo. 2. In secondo luogo, il sogno che la parrocchia continui ad attualizzare, col suo servizio profetico, sacerdotale e diaconale, quella presenza del Risorto nei nostri territori che i discepoli di Emmaus poterono sperimentare nella frazione del pane. In questo Sinodo sono già state spese parecchie parole per evidenziare il ruolo dei movimenti ecclesiali

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in ordine alla vivificazione spirituale dell’Europa. Ma è necessario che i membri dei movimenti e delle nuove comunità si inseriscano vitalmente nella comunione della pastorale parrocchiale e diocesana, per mettere a disposizione di tutti i doni particolari ricevuti dal Signore e per sottoporli al vaglio dell’intero popolo di Dio. Dove questo non avviene, ne soffre la vita intera della Chiesa, tanto quella delle comunità parrocchiali quanto quella degli stessi movimenti. Dove invece si realizza una efficace esperienza di comunione e di corresponsabilità la Chiesa si offre più facilmente come segno di speranza e proposta credibile alternativa alla disgregazione sociale ed etica da tanti qui lamentata. 3. Un terzo sogno è che il ritorno festoso dei discepoli di Emmaus a Gerusalemme per incontrare gli apostoli divenga stimolo per ripetere ogni tanto, nel corso del secolo che si apre, una esperienza di confronto universale tra i Vescovi che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che forse sono stati evocati poco in questi giorni, ma che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle Chiese europee e non solo europee. Penso in generale agli approfondimenti e agli sviluppi dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Penso alla carenza in qualche luogo già drammatica di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d’anime nel suo territorio con sufficiente numero di ministri del Vangelo e dell’Eucarestia. Penso ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell’Ortodossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica, penso al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale. Non pochi di questi temi sono già emersi in Sinodi precedenti, sia generali che speciali, ed è importante trovare luoghi e strumenti adatti per un loro attento esame. Non sono certamente strumenti validi per questo né le indagini sociologiche né le raccolte di firme. Né i gruppi di

Lo sguardo del profeta Nell’ultima intervista, rilasciata a padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e a Federica Radice, il cardinal Martini con grande franchezza ha riconosciuto che «la Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione». E con coraggio aggiunse: «La chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?» Con ragione, dunque, il cardinal Ravasi in un’intervista alla Radio Vaticana il giorno dopo l’annuncio della morte di Martini ha detto: «Lo sguardo di Martini era certamente tendenzialmente uno sguardo verso l’oltre, che cercava di individuare i percorsi futuri. In questo senso, si può dire veramente che la sua funzione fosse “profetica”, e profeta di per sé è colui che è ben piantato nella Storia e ne intuisce i movimenti, le tensioni». 19


Il Concilio davanti a noi

«TESTIMONI» DEL CONCILIO

cresime 18 novembre 2012

Luigi Bettazzi, tra i più giovani vescovi conciliari Monsignor Luigi Bettazzi, quasi 89 anni di età, è tra le figure più significative del cattolicesimo italiano. Vescovo emerito di Ivrea, ha partecipato ad appena 39 anni al Concilio Vaticano II in quanto vescovo ausiliare del Cardinale di Bologna Giacomo Lercaro, uno dei quattro Monsignor Luigi Bettazzi moderatori del Concilio. (a destra), tra il 1963 e il È in Italia tra i pochissimi testimoni viventi di questo grande evento 1966 vescovo ausiliare di della storia della Chiesa. Riportiamo alcuni stralci delle più recenti inBologna, con l’inglese John terviste rilasciate in occasione del 50° anniversario dell'apertura del VaHeenan, arcivescovo di ticano II, da cui emergono ricordi, imperativi pastorali, attese, speranze. Westminster. «Capii allora che cos'era l'universalità della Chiesa. Incontrai, infatti, confratelli nati e cresciuti in Africa, nell'America meridionale, in Asia. Con le loro storie, con le loro culture quei vescovi rendevano il Concilio antropologicamente "ecumenico". Mi colpì, poi, il dinamismo. Emergevano idee, c'era dibattito, si maturava insieme, passo a passo. Papi compresi. (...) Compresi così l'intuizione di papa Giovanni che volle indire un Concilio non "dogmatico" ma "pastorale", nell'intento di presentare la verità di sempre in modo comprensibile e più facilmente accettabile». Cos'è rimasto? La rivoluzione copernicana contenuta nella Gaudium et spes (non l'umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l'umanità) e quella della Lumen gentium (non i fedeli per la gerarchla, ma la gerarchia per i fedeli) stentano ad affermarsi. Mentre le altre due, il primato della parola di Dio, esplicitato nella Dei Verbum, e la riforma liturgica, che, grazie alla Sacrosanctum Concilium, è più partecipata di un tempo, sono sostanzialmente riuscite. Purtroppo le esagerazioni seguite al Sessantotto permisero a quelli che erano preoccupati dei cambiamenti di dire: «Vedete cos'è successo con il Concilio?». C'era chi a Messa pretendeva di leggere Che Guevara al posto della Scrittura... Insieme all'acqua sporca, però, si è corso e si corre il rischio di buttare via anche il bambino. L'immediato post-Concilio, ha portato in Italia, con alcuni limiti, ad un grande protagonismo laicale. Oggi, pare, invece di assistere ad una rincorsa a chi è più conformista. È così? Forse è vero che dopo tanti secoli clericali si fa fatica ad ammettere la corresponsabilità dei laici. La Chiesa richiama i principi, ma sono i laici che devono dare la loro testimonianza. Le mie diffidenze sono nate (...) dopo Tangentopoli, quando il presidente della Democrazia Cristiana aveva detto: «Vi meravigliate che facciamo così? In politica tutti fanno così». No, allora non dire che sei cristiano: perché il cristiano deve portare in politica la traduzione della sua coerenza con il Vangelo nella onestà e legalità, nell'apertura, nella solidarietà verso i più poveri e disagiati. Non rinuncia al gusto della Questa dovrebbe essere la testimonianza dei laici e come gerarchla battuta. Né alle barzellette. dovremmo richiamarlo di più. «Una mattina», racconta, «il cardinale Ottaviani si svegliò tardi. Chiamò un Le comunità parrocchiali come sono interpellate oggi? taxi: “Portami in fretta al Questo anniversario può e deve costituire un richiamo e una sollecitaConcilio”. Salito in auto, si zione a riprendere in mano i testi del Concilio per portarli all'attuariaddormentò.Quando final- zione. Padre Yves Congar - il teologo, divenuto cardinale al termine mente si destò scoprì con della sua vita - diceva che ci vogliono cinquant'anni perché un Concilio suo grande stupore di tro- venga accolto pienamente e attuato: dunque, questo è il momento per varsi in aperta campagna. ogni cristiano e per ogni comunità. Se ciascuno nel suo piccolo si at“Ma dove mi porti?”. Il taxi- tiva, i risultati poi verranno, come il concilio Vaticano II ha potuto far sta: “Al Concilio di Trento. fiorire semi che singole persone o gruppi avevano seminato. Dove se no?”». 20

APOSTOLI PAOLO APOSTOLI CONTINI IVANA ARICI ANDREA ARICI MATTIA BARBIERI LAURA BENETTI MATTEO BRASILINO GABRIELA BUGATTI MARCO BUSI FEDERICA CARNEMOLLA FRANCESCA CASALI ERICA CASALI LAURA CENEDELLA VALERIA COLOSIO ALICE COLOSIO SARA CREMONESI FRANCESCO CREPALDI LAURA DAMONTI FRANCESCO DI MONDA FRANCESCO DI MONDA LAURA FABBRI MELISSA FACCHINI STEFANO FERRAZZA VERONICA FRATTINI FEDERICO FREDI FEDERICA ESTER GATELLI VANESSA

GORNI GABRIELE GORNI GIANNA GORNI THOMAS LAMPTEY WILHERMINA LEONI LUCREZIA LEONI LUDOVICO LINETTI CHIARA LOCATELLI CARLO

QUECCHIA NICOLA RABAIOLI ANNA RECAMI MATTIA ROCCA ANITA SCALIA GIULIA SCALIA PIETRO SCIOTTI ALESSANDRO TAETTI STEFANO

LONATI BEATRICE LONATI JESSICA LONATI SARA LONATI SIMONA MAGLI STEFANO MEDEGHINI MARTINA MELELEO SILVIA MESCHINI FEDERICA MONTESANI SARA MONTI RICCARDO MORA NICOLA NOVENTA GIOVANNI ONDELLI BEATRICE OROBONI NICOLA PALOSCHI ISABELLA PATUZZO ALESSIA PERSICO RUGGERO PRANDINI ANNA

TAGLIETTI LORENA TAVELLI DAVIDE TEMPONI GIULIA TEMPONI SILVIA TOGNAZZ INGRIDA TOGNAZZI NICOLA TRIGLIA CLAUDIA VALOTTI FEDERICO VANNI SARA VERZELLETTI LAURA VIGORELLI SARA ZAMBONI CHIARA ZANOLA FABIO ZANOLA MATTEO ZANOLA MATTIA ZILIANI LAURA ZILIANI LORENZO ZILIANI LUCA

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Un malessere “adulto”

Per i cristiani può aiutare una rilettura del salmo 37 (36) : «Abita la terra e vivi con fede» (v. 3). Abitiamo spazi, tempi, relazioni, emozioni, idee, sentimenti. Spesso ci sentiamo ad essi estranei, vogliamo evitarli, fuggirli, eliminarli. Ogni luogo ed ogni relazione è la nostra terra e al tempo stesso il nostro esilio o terra del nemico. Abitiamo le nostre realtà senza riconoscere che sono dono del Creatore. A Lui chiediamo di farci visita solo quando siamo in cattive acque, ma non di governarle sempre con la sua grazia. Allora il malessere si avvicina. Sant’Agostino ricorda: «Abitare e diligere», cioè scegliere, amare, scommettere su luoghi, tempi, relazioni a motivo del Cristo a cui appartiene ogni terra, ogni profondità del cielo e della mia persona, ogni principato e potestà di relazione. Quando ci sentiamo in esilio o in terra del nemico, bisogna ritornare a luoghi e relazioni per abitarle in modo diverso, per ridimensionarle nella fede: «Nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (ICor 3, 21-23). Allora il malessere si allontana.

Capita diverse volte di riflettere su forme interiori di malessere presenti negli adulti, specie quarantenni e cinquantenni. Esse hanno delle caratteristiche diverse dal disagio giovanile. Il dizionario non fa miracoli, specie quando si vuol comprendere quello che spesso si vive, quando il conoscere aspira ad essere strumento di liberazione. Malessere è un "non star bene" legato a "inquietudine, turbamento di natura sociale, economica e simile" (Zingarelli). Oppure è "serio abbattimento", che "può rendere inquieti e malinconici" (Devoto Oli). Basta a farcene comprendere anche il perché? Dove nasce il malessere? E quale il farmaco che lo cura? Cercare la gioia nel Signore Un compagno sul nostro cammino

Non ho risposte (ammesso che se ne possano avere). Annaspo nello scovare e sperimentare itinerari di liberazione da ciò che forse è una condizione permanente dell'umanità di oggi (o di sempre?). Ovviamente queste riflessioni non escludono, ma raccomandano, la richiesta di aiuto a psicologi e psicanalisti qualora il malessere assumesse forme particolari, che solamente professionisti qualificati e saggi sanno curare. Qui si percorre una pista di riflessione diversa, ma, anche, parallela e integrante quella psicologica: si tratta di riflettere su quale conforto offra la fede nel Risorto. Egli è Signore sempre, nella buona e nella cattiva sorte. Non è Colui che risolve tutti i problemi (Deus ex machina), ma è Colui che si accosta in persona e cammina con noi, nel momento in cui abbiamo il volto triste (Lc 24). Tuttavia anche coloro che non credono in Dio sperimentano itinerari di liberazione dal malessere: conosco diverse persone che danno, in materia, belle testimonianze di adesioni forti a principi etici, capaci di rinnovare, rinsaldare e rimotivare cuore e mente.

Abitare la terra, vivere con fede 22

«Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo Vuol dire esprimere cuore» (v. 4). Personalmente non riesco a dire che cosa un chiaro e fermo significhi cercare la gioia nel Signore. Sappiamo di cer- NO a chi fonda la carla, sappiamo che è il fine della nostra vita (Aristo- propria vita su tele), sappiamo di non poterne fare a meno. Eppure è queste negatiproprio il cercare la gioia che spesso ci abbatte: la gioia vità. Vuol dire ci sembra irraggiungibile oppure, se raggiunta, così ef- credere che la fimera, instabile, debole. Allora il malessere si avvicina. via del bene è Il salmista non ha dubbi: se cerco la gioia nel Signo- l’unica e sola re, i miei desideri saranno esauditi. Ma come cercarla? per «possedeCi risiamo! Allora tentiamo un’altra strada: lasciamo re la terra» (w. al Signore il potere di scegliere la nostra gioia, dichia- 9-11), «godere riamo la nostra impotenza non solo nel raggiungerla, di una grande ma anche nell’individuarla; in altri termini va sconfit- pace» (v. 11); «non ta quella volontà di potenza che ci allontana da Dio e essere confusi» (v. ci porta a cercare la gioia dove essa non c’è o almeno 19). L’eticità è prima di d e l dove non è autentica e stabile. Se il Signore sceglie le tutto e soprattutto scelta tana. «Il Sinostre gioie, allora il malessere si allontana. «Sta in si- bene. Allora il malessere si allonlenzio davanti al Signore e spera in Lui» (v. 7). Quando gnore fa sicuri i passi dell’uomo... il Signore lo tiene per mano» (w. 23-24). Ci sono itinerari intesi parla molto di preghiera e silenzio, si riori, che attraverso piccole e grandi fasi finisce anche per parlare molto nella preSiamo talora della nostra vita, hanno prodotto terre di ghiera e nel silenzio. Se confidiamo nella vittime apparente stabilità, dove la fede è solo la preghiera come spazio magico in cui di di inquietudini, soddisfazione di essere “un buon cattocolpo il Signore allontana i nostri guai, turbamenti, lico” (Edith Stein), di partecipare alla vita perdiamo tempo, incontriamo narcisisticamente noi stessi, amplificando gli echi seri abbattimenti. ecclesiale e di non aver “grossi conti in Alcuni versetti sospeso con Dio”. La sicurezza del passo, negativi. Allora il malessere si avvicina. del salmo 37 la certezza della terra che possediamo, il Dopo aver ascoltato e studiato scuole, ci aiutano diligerla caramente sono solo il risultato metodi e tecniche di preghiera, s’inizia a sperimentare di frammentazioni multiple della nostra a creare la terra della mia preghiera, del itinerari interiorità dove «a Dio è attribuito il ruomio silenzio e del mio sperare davanti a di liberazione. Lui. Dopo la notte oscura del dubbio (so lo di tappabuchi» (Bonhoeffer). Allora il pregare oppure no?), del lottare col temmalessere si avvicina. Come dicevo: non po (prego abbastanza?), il Signore ci risernego tutti gli itinerari meramente umani va la terra di una preghiera che è ciò che lo Spirito for- di sicurezza, anzi ammiro tutti i non credenti che vimerà nei nostri cuori, in maniera unica ed irripetibile. vono con certezze e serenità la loro vita; voglio solo Allora il malessere si allontana. dire che tutti gli sforzi umani, per noi credenti, devono condurre al Signore perché Lui «segue con amore il noStar lontano dal male stro cammino» (w. 23-24) e allontana il nostro males«Sta lontano dal male e fa il bene, e avrai sempre una sere. Ma forse potevo dire tutto in poche parole: «La casa» (v. 27). Abbiamo creato mille itinerari mentali, salvezza dei giusti viene dal Signore, nel tempo dell’ansovrastrutture ideologiche per giustificare i comprogoscia [del malessere] è loro difesa, viene in loro aiuto e li messi col male esistenti in noi stessi, nelle relazioni, in famiglia, sul lavoro e nelle istituzioni. Vogliamo abitare scampa, li libera dagli empi e da loro salvezza, perché in tutte le terre, buone e cattive, senza fermarci a pensare Lui si sono rifugiati» (v. 39). un po’ su cosa è bene e cosa non lo è. Quando tutta la riflessione morale è legata ai soli sensi di colpa e alla giustificazione dei nostri mille compromessi, quando l’essere virtuosi è un retorico e agiografico richiamo, allora il malessere si avvicina. Star lontani dal male vuol dire... star lontani! Vuol dire fare scelte chiare e precise, correndo i relativi rischi e pagandone i relativi costi. Vuol dire esprimere una parola chiara e forte su quegli spazi e relazioni che non portano frutti di vita eterna, ma Il Signore ti cerca, ti trova e ti sorprende con la Sua presenza. corruzione, gelosie, invidie, calunnie, zizzania, cattiverie (cfr. Gal 5,19-23). “Cerca la gioia nel Signore esaudirà i desideri del tuo cuore”. 23


I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Benedire,spezzare il pane- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Benedire,spezzare il pane - I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia-

LA FEDE HA I SUOI GESTI La fede ha le sue feste. La fede ha i suoi gesti. Attraversano tutta la sua esistenza anche feriale. Dopo aver presentato i segni del recarsi al tempio e dell’ entrare, del Benedire e Spezzare il pane, in queste pagine riscopriamo il valore dell’inginocchiarsi e adorare.

I gesti della fede

INGINOCCHIARSI E ADORARE DAVANTI ALL’AGNELLO

Contempliamo il quadro “L’adorazione dell’agnello mistico” dei fratelli Van Eyck. Vediamo tante figure estatiche, immerse nel verde. Al centro, in alto, lo Spirito Santo irradia i raggi solari della grazia divina. Sopra una collinetta sta l’altare con l’agnello, simbolo del Cristo. Davanti a lui si genuflettono tante figure (angeli e uomini). Il “mettersi in ginocchio”, “l’adorare” è, di solito, gesto faticoso oltre che impegnativo. In questo “oltre”, nel paradiso, pare che, invece, tali gesti facciano parte del “riposo”, della “gioia” della vita eterna. Gli interrogativi Che significato hanno questi 2 verbi “inginocchiarsi” e “adorare”? Sono collegati tra di loro? Quale valenza hanno secondo la Bibbia? Dove li troviamo dentro la liturgia? Commento artistico

IL MISTERO DI UN “OLTRE”

Quest’opera, iniziata dal fratello maggiore Hubert, è stata portata a termine da Jan nel 1432, dopo 12 anni di lavoro complessivo. La chiamano la Cappella Sistina del Nord per il contributo importante dato all’immaginario della fede dei cristiani. È interessante sapere che siamo in contemporanea con gli italiani Masaccio e Donatello. Mentre costoro partono dalle linee prospettiche e costruiscono i corpi umani basandosi sull’anatomia, il fiammingo Van Eyck, continuando e approfondendo con la pittura a olio la ricerca del vero tipica della sua terra, arriva a far apparire il quadro come specchio del mondo visibile. Questa illusione del vero la ottiene sommando un particolare all’altro. Ma, in questo polittico, il pittore opera una magia: va oltre ogni prospettiva, supera le coordinate della storia e arriva al mistero di un “oltre”, più splendido del sole. Qui viene spalancato ai nostri occhi il piano salvifico di Dio: da Adamo al dramma di Caino e Huber e Jan Van Eyck, Adorazione dell’agnello mistico, 1432, Gand, Cattedrale di S. Bavone Abele, dai profeti e 24

dalle Sibille pagane ai Profeti dell’Antico Testamento, dall’Annunciazione (mirabile) al Cristo glorioso sempre presente alla sua Chiesa. È il canto al “Corpo di Cristo” nella sua totalità. È affascinante questa somma teologica che inizia con le ante del polittico chiuse e si conclude con la visione del Paradiso nel polittico interamente spalancato. Puoi contare uno a uno i fili d’erba, puoi accarezzare i tessuti di tutti i vestiti degli Angeli e dei Santi. Questo realismo ottico e tattile ha veramente del prodigioso. Ma insuperabile resta L’Agnello. Circondato dagli strumenti della passione, sgorgante sangue che va a colmare un calice, Egli è il Crocifisso. Ma questo Agnello è così ben fermo sulle sue gambe, da farti esclamare: ”Lui è il risorto!”. Il calice e la vasca battesimale perennemente irrorati di sangue ed acqua ti convincono che Lui può togliere tutti i peccati del mondo. Fino alla fine dei tempi. C’è per noi una sorgente di vita eterna. Qui possiamo contemplare il cibo che sfama ogni nostra fame. Qui possiamo cadere in ginocchio.

Percorso biblico

ENTRATE, PROSTRATI ADORIAMO Tutta la vita in un gesto “Entrate, prostrati adoriamo”. Così recita il Salmo 95,6. È un’invito che coinvolge un’assemblea, un popolo. È un versetto di un inno processionale che si cantava in Israele, in occasione della Festa delle Capanne. La Chiesa fa suo questo salmo e lo colloca, come invitatorio in apertura della Liturgia delle Ore. Il Signore è il tutto Il Salmo celebra una convinzione maturata per il popolo ebraico dalla riflessione su tutta la sua storia: Yahvé, il Vivente è il tutto per noi. Gli abissi della terra, le vette dei monti, il mare sono fatti da lui. Noi stessi siamo opera delle sue mani. Lo diciamo mettendoci in ginocchio, prostrandoci. Posizione faticosa questa: tutto il corpo viene a gravare sulle ginocchia. Non siamo più eretti come nella normalità della nostra giornata e della nostra vita. Tocchiamo la terra. Siamo proprio polvere. Davanti a noi abbiamo il tutto. Con questi 2 verbi (inginocchiarsi, adorare) affermiamo una differenza, una dipendenza e, contemporaneamente, il riferimento (cercato, amato) con Colui che è essenziale. È Dio che ha accompagnato Abramo, Giacobbe, Mosè. È stato con noi nel deserto. Mai ci ha rinnegato. È la guida, il pastore, la roccia di rifugio, l’acqua. Non dobbiamo prostrarci davanti ad altri dei (Es 34,14). Nulla hanno fatto per noi. Non c’erano nelle nostre emigrazioni, nel passaggio dei Laghi Amari, nell’asprezza del deserto. Gli dei sono delle cose (Deut 5,12). Sono immagini di

metallo fuso (Sal 106,19). È proprio buffo che l’uomo, prima li fabbrichi e poi si prostri davanti a loro. Nella migliore delle ipotesi sono pezzi dell’universo, come il sole (Ez 8,16) o le stelle (Sof 1,5). Talora sono statue, immagini del tiranno di turno (Dan 3,5). È paradossale che l’uomo adori chi lo maltratta e dimentichi il Dio che lo rende libero. Gesù, immagine viva del Dio vivo Secondo il Nuovo Testamento, Dio è disceso sulla terra. È apparso, in Gesù, il volto umano del Padre. Il Cristo è l’immagine visibile del Dio invisibile (Col 1,15). È giusto quindi adorarlo come fanno i magi (Mt 2,11-12) o il cieco nato (Gv 9,38) o i discepoli che, dopo la resurrezione, hanno finalmente capito che egli è, per il mondo, la presenza diffusa del Padre (Mt 28,17). L’eternità, spazio di adorazione Dopo i sussulti del tempo, dopo mille idolatrie, nella pace del paradiso, ci si può dedicare all’adorazione. Questo ci dicono nella loro opera, i fratelli Van Eyck. Condensano tante scene dell’Apocalisse (Apoc 4,9-11; 5,6-14; 7,9-17; 11,16-19). Si riconosce che la potenza, la gloria, la maestà di Dio si sono manifestate proprio nell’immagine stessa della debolezza, l’agnello ucciso ed ora ritto in piedi. Angeli ed esseri umani si prostrano ed adorano. Riconoscono l’agnello come fonte d’acqua viva, tesoro, redentore, vincitore sulla morte e sulle forze diaboliche. Il prostrarsi non è più faticoso. Non è il segnale della supplica estrema come per i fratelli di Giuseppe (Gen 42,6), per Giosuè (Gs 7,6) o Abigail (1Sam 25,45) o il lebbroso (Mt 8,2). È il linguaggio della lode, della riconoscenza. È canto, liturgia, esperienza di sazietà e di gioia. 25


I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola-- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia Commento artistico

IN ADORAZIONE DEL FIGLIO

Nelle icone orientali la Natività presenta la Madonna distesa e staccata dal Bambino. Nella pittura Giotto è il primo a far sollevare Maria (che è ancora distesa). Questo suo prendere tra le braccia il Bambino è uno dei più bei gesti che l’arte ci ha regalato. Ma ora siamo nel 1425 circa e siamo in terra fiamminga. Il pittore Robert Campin rappresenta, per la prima volta nella storia dell’arte, Maria addirittura in ginocchio, in adorazione del Figlio. Qualcuno pensa che in questa rivoluzione iconografica, Campin sia stato preceduto di un anno dal Maestro Francke. Ma, mentre il tedesco Francke fa abitare il cielo dal Padre benedicente, dalla cui bocca escono raggi di luce che si fanno carne nel Bambino, Campin compie un’altra rivoluzione. La Natività avviene tutta all’aria aperta. C’è un paese circondato da mura, c’è una chiesa, c’è un castello. La pittura è a olio ed è una delle prime volte che questa tecnica appare. Essa permette impossibili sfumature che sono la passione dei fiamminghi. E permette di popolare il quadro di tante cose che a prima vista non si impongono: chi infatti ha notato subito il cigno, il gruppo delle tre persone che fanno ritorno a casa, il cavallo sotto la sua tettoia? E chi scoprirebbe subito che è appena piovuto, dato che gli alberi si riflettono nelle piccole pozzanghere della strada? Ma tutte quelle fortificazioni? Significano che non siamo in pace. In realtà siamo nella tremenda guerra dei cento anni. La pace che sembra dominare nel quadro è apparente. Al Bambino che nasce si sta chiedendo il dono Robert Campin, Natività, della pace. Lo fa per noi Maria, le cui mani non sono 1425 Gijon, Musée des Beaux-arts giunte perché il forte desiderio materno la spinge ad aprirle, quasi ad anticipare la gioia dell’intimità con il figlio. Ora lei sta in compagnia di Giuseppe, dei pastori (splendidi volti adoranti) e di due donne. La donna che indica con la mano l’altra mano, è Salomè, che, secondo la Legenda aurea nella guarigione della mano paralizzata (secca), è figura della verginità di Maria. Torniamo all’adorazione. Non siamo in chiesa, non siamo in un paese lontano (Betlemme). Siamo a casa nostra e in un periodo preciso della storia. È adesso che stiamo adorando un mistero che ci avvolge tutti e che avvolge tutto. Vademecum liturgico

SOLO DIO È DIO

Mille i gesti con cui la comunità esprime la sua dipendenza, la sua riconoscenza sponsale: Il bacio. La parola adorare in origine indica il gesto di mettere la mano sulla bocca e di inviare il bacio a qualcuno in segno di rispetto. Lo usavano i pagani di fronte alle statue degli imperatori. I cristiani lo riservano a Dio, a Gesù. Colui che presiede, all’inizio e alla conclusione della Messa, bacia l’altare. Dopo la lettura del Vangelo bacia l’evangeliario. Bimbi ed adulti baciano la croce. Inginocchiarsi. La liturgia cristiana di rito latino ha di solito due posizioni: seduti o in piedi. Stare ritti è affermare la propria dignità di risorti. I fedeli si inginocchiano alla Consacrazione (OGMR43). Il sacerdote compie questo gesto in 3 momenti: dopo l’Ostensione dell’Ostia e del Calice e prima della comunione. Ci si inginocchia il venerdì santo di fronte alla croce, nel rito della riconciliazione davanti al confessore. Come il pubblicano diciamo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13). Nella visita in chiesa si cerca la lampada che indica il Santissimo. Ci si inginocchia sui banchi. Si resta concentrati con il capo chino. Questo gesto si protrae nell’Adorazione Eucaristica. Anche dopo l’azione liturgica ed a prescindere da essa, permane la presenza reale del Cristo crocifisso e risorto. 26

Inchinarsi. Celebrare Lo si fa mentre si recita l’espressione del Credo che VENITE, PROSTRATI ADORIAMO riguarda l’incarnazione, durante la Preghiera EucaVenite, cantiamo al Signore, ristica mentre il sacerdote acclamiamo la roccia della nostra salvezza. innalza l’Ostia e il Calice, Accostiamoci a lui per rendergli grazie, mentre si riceve, a conclua lui acclamiamo con canti di gioia. sione della Messa, la bePerché grande Dio è il Signore, nedizione finale. Compie grande re sopra tutti gli dèi. questo gesto chi presiede Nella sua mano sono gli abissi della terra, l’Eucarestia davanti all’alsono sue le vette dei monti. tare o al crocifisso prima Suo è il mare, è lui che l’ha fatto; dell’incensazione. le sue mani hanno plasmato la terra. Incensare. Entrate: prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti. Questo gesto è così alto e È lui il nostro Dio coinvolgente che i martiri e noi il popolo del suo pascolo, rifiutavano di farlo di fronil gregge che egli conduce. te agli imperatori ed alle Se ascoltaste oggi la sua voce! loro statue. Indica infatti il «Non indurite il cuore come a Merìba, nostro totale affidamento come nel giorno di Massa nel deserto, nelle mani di Dio. L’elevardove mi tentarono i vostri padri: si del profumo è il salire dell’anima verso Dio; è ri- mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere. volto all’assoluto. È quindi Per quarant’anni mi disgustò quella generazione e dissi: “Sono un popolo dal cuore traviato, non gesto da riservare a Dio, a conoscono le mie vie”. Cristo. L’incenso avvolge Perciò ho giurato nella mia ira: l’ambiente. A Israele fa ve“Non entreranno nel luogo del mio riposo”». nire alla memoria la nube [Sal 95, 1-11] della gloria di Dio (Es 33,9; 1Re 8,10-11). Nella liturgia cristiana si incensano l’altare, la croce, l’evangelario, il Santissimo Sacramento.

Tramate con noi insieme genitori e figli, in famiglia

GRANDE È DIO

● Guardiamo il primo quadro. L’Adorazione dell’Agnello Mistico dei fratelli Van Eyck. Poniamoci, spiritualmente, in ginocchio anche noi di fronte a Colui che fu ucciso e ora è risorto. Inseriamoci in uno dei gruppi che compaiono: gli angeli (immediatamente attorno all’altare), i pagani e gli scrittori ebrei (a sinistra, in basso), i papi e gli uomini santi (a destra, in basso), gli uomini martiri (a sinistra, in alto), le donne martiri (a destra in alto). Chiediamoci: Per quale particolare grazia rendono lode a Gesù? Che significato ha il sole che tutto avvolge di luce? Perché tutto è immerso nel verde? Che senso ha, in basso al centro, la fonte di acqua? ● Osserviamo il secondo quadro: La Natività di Robert Campin. Assumiamo, di fronte al bambino Gesù, l’atteggiamento di Maria. Chiediamoci: Quali sentimenti esprime? ● Compiamo sempre con solennità il gesto della genuflessione. Entrando in chiesa, tracciamo sulla fronte il segno della croce e poi, con calma, inginocchiamoci su di un banco, rivolti al Santissimo. ● Divisi per gruppi cerchiamo, nei Vangeli, tutti quei personaggi che adorano il Cristo. Poi esercitiamoci a metterci nei loro panni. Così potremo esprimere tutto l’arco dei sentimenti della fede: - la gioia per aver trovato il Cristo dopo averlo cercato (i magi, Mt 2,1-12); - la richiesta accorata di guarigione (il lebbroso, Mc 1,40); - la gioiosa scoperta di un’identità inaspettata in Gesù (i discepoli dopo la tempesta sedata, Mc 6,51-52); - l’accorata richiesta a nome di una persona a noi cara (la donna sirofenicia in Mc 7,25); - il riconoscimento della divinità di Gesù (il cieco nato in Gv 9,38). ● Sostiamo in adorazione davanti al Santissimo, solennemente esposto. Stiamo davanti a lui con i sentimenti dei personaggi e dei gruppi presenti nel quadro dei fratelli Van Eyck. ● Ai piedi del letto, la sera prima di coricarsi, inginocchiamoci. Passiamo in rassegna le meraviglie che, in quella giornata, Dio ha compiuto per noi. Per esse diciamo: “Grazie, Signore”. Se abbiamo delle colpe da farci perdonare, diciamo, come il pubblicano del Vangelo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore”. ● Preghiamo insieme il Salmo 95, riportato in questa pagina. 27


I colori del

Natale

Occorre ridare tutto il suo splendore al tempo del Natale. Ha i colori della vicinanza, della trasparenza, della storicità di un evento:l’incarnazione.

ANNO DELLA FEDE inserto

invito alla fede

I

l tempo del Natale scorre tra la Messa vespertina della Vigilia e la solennità del Battesimo di Gesù. Nella percezione di tanti ha un solo colore: il grigio. È il periodo più popolare, più "italiano". Molti sarebbero pronti a scommettere che è più importante della Pasqua. È tutto appiattito su Betlemme: c'è un bimbo che cattura le nostre lacrime, ma non si decide a crescere e ad imboccare la via per Gerusalemme. Non aiuta, se così viene vissuto, a riconoscere, qua e ora, ove si possa vedere il Figlio dell'uomo (Mt 25, SI-46). È scambiato con la "festa della bontà" o, comunque, con la "festa dei bambini". Come procedere ad una feconda riscoperta? Dio si manifesta in un bambino

II primo testo cui diamo la parola è Lc 2,1-20. Viene proclamato nella Messa di mezzanotte. Accade un censimento, un viaggio, un parto (Lc 2,1-8). Tutto qua. Ma chi è quel bambino? Quale significato ha la sua nascita? Ci vogliono gli angeli a dircelo; serve una luce dal cielo (Lc 2,8-20). Dio, in Gesù, si inserisce nella storia e geografia. Colui che era prima del tempo, nasce da Maria e incrocia precisi personaggi; affronterà precise situazioni. Il Figlio di Dio diventa inquilino della terra. C'è un essere umano in più, ma è quello decisivo: è il Dio con noi. È il fattore Gesù quello determinante per la storia. La sua visibile venuta ha una traiettoria precisa: da Betlemme a Gerusalemme. Il testo di Luca è molto attento a questo: Gesù è pace tra Dio e gli uomini nascendo (Lc 2,14) ed entrando in Gerusalemme (Lc 19,38): viene avvolto in fasce alla nascita, sarà avvolto in fasce nella sepoltura. Viene per restare. Non ci abbandonerà più. C'è, in questo testo, il colore della vicinanza, presenza e solidarietà di Dio. Betlemme manifesta lo stile di Dio. Sempre più il Signore si farà piccolo, sempre più assomiglierà a noi. Sorge un sole ad Oriente Nulla di più abituale e gratuito della luce: si manifesta sin dall’alba; ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene a mancare; si afferma gradualmente, in modo efficace.

Senza la luce, la vita non e’ è. Con la luce crescono le piante, sbocciano i fiori, arrivano i frutti. Con la luce si cammina, ci si orienta. Gesù è la luce di Dio per gli uomini (Gv 1,4). Lo proclama l’inno di Giovanni che viene letto nel giorno di Natale. Lo canta ogni giorno la Chiesa, alle Lodi, facendo sue le espressioni di Zaccaria. Il salvatore dirige i nostri passi sulla via della pace (Lc 1,78-79). Sappiamo che questo era il colore prevalente all’inizio. La solennità del Natale ha preso il posto (nella notte più breve dell’anno) della festa pagana del Sole che si riprende la rivincita. Gesù è la buona stella. Alla sua luce camminano i popoli e giungono così alla meta. Questo viene sottolineato in Mt 2,1 -12, collocato nella solennità dell’Epifania. Dio mostra il suo volto umano La parola - lo sappiamo bene - può essere pura emissione di voce, suono sterile, rumore. Ma può essere anche rivelazione di sé, dei propri sentimenti. Può diventare un ponte tra gli esseri umani; è vera se si trasforma in vicinanza, alleanza, condivisione. Gesù è la parola di Dio. Ce lo racconta Gv 1,1-18. È comunicazione eloquente, sempre in crescendo, in relazione alle varie fasi di una storia di alleanza: creazione, rivelazione ad Israele, vicenda di Gesù di Nazareth. Con l’Incarnazione tutto raggiunge il vertice. Lì siamo in grado di rispondere alle domande più segrete dell’uomo: Dio chi è? Dio com’è? Quali sentimenti coltiva nel cuore? Dio nessuno mai lo ha visto. L’Unigenito che è nel seno del Padre, Lui ce lo ha raccontato (Gv 1,18). Qui la parola non è un libro e neanche un vago accenno di dialogo. È una storia che va da Betlemme a Gerusalemme. C’è il tentativo di spegnere quella luce: l’effetto qual è? Il peccato massimo (l’uccisione del Figlio di Dio) ha come esito di offrire l’occasione di mostrare il cuore del Padre: Dio è amore (!Gv4,7). Abbiamo visto il volto umano di Dio. Ci siamo trovati di fronte a colui che “ha lavorato con mani d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (GS 22). Possiamo dire di aver visto la grazia di Dio (Tt 2,13). Il Natale ha il colore della simpatia, gratuità del Padre. 28

PER CREDERE, CELEBRARE E VIVERE Fede: dal culto alla vita

G

uardando a Cristo, cuore dell'evangelizzazione e alla missione della Chiesa oggi, comunicare il Vangelo, con parole significative e gesti simbolici, costituisce una nuova sfida. Sollecitati da Benedetto XVI con il motu proprio Porta fidei, con cui ha indetto l'Anno della fede a partire dall'ottobre 2012, a 50 anni dall'apertura del Concilio Vaticano II e a 20 anni dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, l'opuscolo che presentiamo raccoglie elementi preziosi e dimensioni dell'esperienza globale della vita cristiana ed ecclesiale, perché la fede ritorni al suo centro e irradi la forza che proviene dai suoi riti, secondo le intenzioni del Signore. Parlare della fede significa individuare alcuni temi che dicono come il contenuto e l'esperienza sulla fede si è arricchita nel tempo, e ciò ha costituito la "historia salutis", la storia della salvezza, nella quale Dio si è rivelato, comunicandosi con la sua Parola e con tutta la pedagogia dei segni, ed è stato interpretato e accolto da ogni generazione, da uomini di fede. Il culmine di questa rivelazione è nel Figlio Unigenito, che ha portato a compimento la salvezza, nella sua morte e risurrezione, insegnando, attraverso i riti, affidati alla Chiesa, primi fra tutti, il Battesimo, (appello alla fede e alla conversione), e l'Eucaristia, (nella quale ha ordinato di rinnovare in sua memoria, il convito della nuova Alleanza), come il culto cristiano si è formato progressivamente, in armonia con lo sviluppo della fede e della vita della Chiesa. Ma la fede come può animare la vita? È da questa forte sollecitazione che l'opuscolo rivela l'attendibilità del messaggio e dei testimoni della salvezza operata da Gesù di Nazareth. Ma la fede ha bisogno di essere celebrata nel rito, perché continui a comunicare il Cristo, nel quale è diventata manifesto e operante la salvezza di Dio. Ecco come la fede può assumere valenze diverse: adorazione, preghiera, decisione, motivazione, comprensione, ringraziamento, fedeltà, lotta contro il male, impegno per la carità e la giustizia, in una parola liberazione e redenzione dell'uomo. Tale liberazione non è mai una conquista autonoma da parte dell'uomo: è opera di Dio che si serve della collaborazione dell'uomo per trasformare l'uomo, da qui una fede che insieme è proposta e adesione, insieme esperienza del mistero da celebrare, da accogliere e da vivere. 29


Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 /24 novembre 2013

Invochiamo il Signore Gesù: "Accresci in noi la fede" La fede è un dono che richiede da noi accoglienza e collaborazione.

L

a lettera apostolica con la quale papa Benedetto XVI ha indetto un ‘Anno della fede’ si intitola Porta Fidei - la ‘Porta della fede’ -. L’immagine è tratta da un testo degli Atti, in cui Paolo e Barnaba, tornati nella comunità di Antiochia che li aveva inviati in missione, raccontano alla Chiesa «tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27). La metafora della porta è suggestiva, poiché evoca l’idea di un cammino, di un passaggio. La fede non è qualcosa di acquisito una volta per sempre, né di afferabile in modo puntuale e immediato: esige piuttosto la gradualità di un itinerario. Inoltre, il testo degli Atti mette bene in luce come in questo percorso operino insieme tanto Dio quanto la persona umana: è Dio che apre la porta, ma lo fa attraverso l’impegno di alcuni uomini, come Paolo e Barnaba, chiamati ad annunciare l’evangelo, e la disponibilità La fede. l’Arca di Pavia. di altri uomini Basilica di s. Pietro in Ciel d’oro. Pavia. e donne, do-

cili nell”accogliere il loro annuncio. Dio apre la porta, senza sfondarla; attende lui stesso la nostra disponibilità a lasciarla schiudere. O quanto meno a non opporre resistenze. La pazienza del cammino è Dio stesso a viverla con noi. In altri termini: la fede è un dono, che tuttavia non si impone, ma chiede la collaborazione di un’accoglienza. Come vedremo meglio, la risposta che il seme attende per portare il suo frutto è quella di un affidamento, che ci chiede di abbandonare un’egocentrica confidenza in noi stessi per porre la nostra fiducia in un Altro e nella relazione con lui.

Avere fede è fidarsi in Dio totalmente Indicendo l’Anno della fede è come se il papa ci chiedesse di metterci con fiducia in viaggio su questa via, facendo nostra la preghiera dei discepoli che nel vangelo di Luca esclamano, rivolti a Gesù: «“Accresci in noi la fede!» (17,6). C’è qualcosa di paradossale in questa domanda. Infatti, i discepoli invocano Gesù chiamandolo ‘Signore’, con il titolo che lo identifica come risorto da morte e posto alla destra di Dio; accolgono la propria povertà e il proprio limite, ma li vivono affidandosi a colui che può colmare il loro vuoto. E cos’è la fede se non questo: riconoscere la signoria di Gesù e confidare in essa, confessando il proprio limite e la propria povertà? Ci può essere fede più grande di questa? Ecco il paradosso della fede! Per essere grande, deve rimanere piccola. Tanto più accetta la propria fatica, la propria mescolanza con l’incredulità, tanto più è grande, perché diventa spazio in cui Dio può manifestare la sua potenza. Avere fede significa, anziché fidarsi di sé e delle proprie possibilità, affidarsi, con fiducia, alla possibilità di Dio. 30

La mancanza di fede di Pietro

na a essere fiducia in se stessi, Pietro si smarrisce. Commenta Agostino: «la presunzione di fermezza impedisce la fermezza di molti», aggiungendo: «nessuno può essere reso forte e stabile da Dio se non chi percepisce tutta la propria debolezza e instabilità». Ed è nel momento in cui annega che Pietro ritrova la sua fede genuina: «Signore, salvami!». Non nella capacità di camminare sulle acque, ma nella consapevolezza di aver bisogno della salvezza del Signore: qui c’è la verità della fede.

Un’altra icona evangelica può aiutarci a comprendere questa dinamica. In Matteo 14,22-33 Pietro inizia a camminare sulle acque, obbedendo alla parola di Gesù che lo chiama: Vieni! Poi si impaurisce del vento e inizia ad affondare. Guardare il vento significa distogliere lo sguardo da Gesù e smarrire il senso della relazione con lui. Lo sguardo di Pietro si posa sul pericolo, non più su colui che è vittorioso sul pericolo stesso. Ma questa ‘distrazione’ nasconde un’insidia più grave: distogliendo gli occhi da Gesù, Pietro giunge a fissarli su se stesso sulle proprie forze. Inizia ad affondare proprio quando giunge a pensare: «guarda quanto sono stato bravo, sono arrivato sin qui, sono diventato La fede in opere di carità capace di camminare persino sulle acque!». Nel momento in cui La fede è un dono, non perché la fiducia nella parola di Dio tor- Dio la darebbe a qualcuno sì e ad altri no. E un dono nel senso che ha la sua sorgente nella relazione di fiducia con un Altro, che chiede alla nostra vita di entrare a sua volta nella logica del dono: sia perché riconosciamo che l’esistenza ci viene donata, sia perché accettiamo di viverla nella forma di un dono, non rimanendo chiusi in noi stessi e nelle nostre sicurezze, ma affidandoci a un altro e alla relazione d’amore con lui, che fruttifica poi nell’amore oblativo per gli altri.

Gesù salva Pietro dalle acque Per questo motivo Paolo può affermare che «la fede si rende operosa per mezzo della carità» (Gai 5,6). Nell’amore per gli altri si manifesta e si accresce l’amore confidente in Dio di chi, pur tuttavia, continua a percepire tutta la fatica del credere. È l’esperienza dei mistici, ai quali non è stata risparmiata la prova dell’oscurità della fede, che però hanno vissuto nell’affidamento amoroso: «Non posso appoggiarmi su nulla, su nessuna delle mie opere per trovare fiducia... Si prova una così grande pace quando si è assolutamente poveri, quando non si conta che sul buon Dio», confessa santa Teresa di Gesù Bambino. La compagnia dei santi e dei mistici ci aiuta a credere sollecitandoci a fare nostro, come loro hanno saputo farlo proprio, il grido del padre del fanciullo epilettico: «Credo; aiuta la mia incredulità!» (Mc 9,24).

Per la riflessione individuale e familiare:

Paolo e Barnaba predicano il Vangelo ad Antiochia, di V. Spisani, Bologna, S. Paolo Maggiore.

1. Invoco costantemente lo Spirito perché mi guidi alla verità tutta intera (Gv 76,73)? 2. Come possiamo riconoscere e valorizzare all’interno della Chiesa i diversi doni dello Spirito, i ministeri, i carismi? 31


1 I TEMI DELLA FEDE Nel tempo dell'oblio di Dio, l'Anno della fede è come la «città sul monte» verso la quale Benedetto XVI invita a salire. Da quel luogo, ci si allontana con la mente e con il cuore dai confinì di questo piccolo mondo abbarbicato al presente; ci si innalza e si spazia verso gli sconfinati orizzonti della realtà futura, dove la luce illumina di speranza l'oggi dell'uomo. Inizia dunque, o riprende, il viaggio alla ricerca di Dio, col proposito di incontrarlo e di reìncontrarlo, ossia di stabilire con Lui un rapporto personale che entri più in profondità nello spazio e nella testimonianza della vita.

La creazione

nel momento della creazione (perché essa è opera di tutta la Trinità), ma si incarna nella storia dell’uomo, perché egli possa avere un modello di quale sia la sua io è il principio, il creatore da cui ha vita tutto vera dignità e perché sia definitivamente liberato dal ciò che esiste. In Cristo la creazione, e in specie male. l'uomo, deturpato dal peccato, ritrovano la sua In Cristo l’uomo ritrova la sua originaria identità bellezza e santità originarie. II peccato ha la sua origine in uno squilibrio di Lo stupore per la creazione rapporto dell’uomo verso Dio, che non si riconosce Di fronte all'universo e a tutto ciò che in esso è creatura e pretende di essere il Creatore. È ciò in cui contenuto il primo sentimento che ciascuno prova, sono caduti Adamo ed Èva. Il loro orgoglio, instillato fin da bambino, è un senso di grande stupore. A que- dal diavolo, ha rotto la comunione con Dio, così che ste sensazioni si aggiunge il desiderio di conoscere l’uomo è sempre segnato dalla tentazione di mettersi i meccanismi del creato, come tutto quanto esiste si al posto del Creatore. Cristo ha mostrato con la sua vita quale sia la vesia composto in maniera così perfetta e sia in grado di rità dell’uomo e come egli debba porsi dinanzi a Dio evolversi e di rigenerarsi nel corso dei secoli. e, nella sua morte e risurrezione, ha riconciliato le E sorgono spontanee alcune domande: Da' dove creature col Creatore, aprendo nuovamente il ponte viene ciò che vediamo? Il mondo è sempre stato così? dell’alleanza con lui. Chi è l'artefice di tutta la creazione? Ricrea così l’identità dell’uomo, fatto a immagine Sembrano domande scontate, eppure sono quelle e somiglianzà di Dio (Gn 1,27), chiamato a corrisponche da sempre abitano l'intelligenza e il cuore dell'uo- dervi con l’esercizio sapiente della libertà e della remo: gli scienziati si prodigano nel cercare di compren- sponsabilità. Ciò perché «la creazione... non è uscita dalle mani dere i meccanismi della natura, di descrivere le creature, di scoprire le leggi dell'universo, ma non riescono del Creatore interamente compiuta» (CCC 302) e a dare risposte adeguate su chi abbia dato origine al l’uomo partecipa liberamente alla sua Provvidenza, completando l’opera della creazione e perfezionandomondo e sul perché l'abbia fatto. ne l’armonia, per il bene proprio e del prossimo. Dio, origine e fine dell'universo È, in altre parole, responsabile della terra, chiamato La risposta a questi interrogativi può venire in certo a conservarne e svilupparne le energie con un progresmodo dalla conoscenza umana, ma resta incompleta so che non a deturpi ma ne risprtti l’ecosistema e l’ecoquando la vita ci pone di fronte non solo la questione logia. Dio ha dato la terra all’uomo perché usufruendo dell'inizio, bensì anche quella della fine, dell'uomo e saggiamente di essa, egli cooperi alla salvezza propria dell'universo. e di tutto il ceaDio stesso nella sua bontà ha voluto venire incontro to; Santa Caterina a questa ricerca da parte dell'uomo e, nella Bibbia, tro- da Siena afferma, vano risposta le tante attese umane: Dio è il principio a questo proposida cui dipende tutto ciò che esiste e lui si inserisce to, che tutto viene intimamente nelle vicende della storia volgendole al dall’amore, tutto è loro vero fine, la comunione con sé. ordinato alla salÈ il fine dell’opera di Dio, che non ha creato per vezza dell’uomo, aumentare la sua beatitudine, ma per mostrare la sua Dio non fa nienbontà e perché le creature partecipino della sua verità, te se non a questo della sua bellezza, della sua gloria (CfrCCC 319). fine» (CCC 313). In questo disegno stupendo di amore ha voluto anche, nella pienezza dei tempi, mandare nel mondo suo Figlio. Era presente, insieme allo Spirito Santo,

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Per la riflessione individuale e familiare: 1. A confronto con la pluralità di visioni del mondo e di religioni, quale valore ha quella cristiana? 2. Come la fede cristiana può contribuire a un rapporto responsabile con il creato? 32

Teodoro Chisi, La creazione (part.), 1588. Craz. Alte Galerie am Landesmuseuum Joanneum.

LA BIBBIA

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La Bibbia è il libro della fede per gli ebrei e i cristiani. Essa si presenta come una grande "raccolta di libri" (così significa il termine greco biblici, "i libri") Infatti sono 73 ; libri racchiusi nelle due grandi parti in cui è suddivisa la Bibbia: Antico Testamento (o "Prima Alleanza") e Nuovo Testamento (o "Seconda Alleanza"). 46 solo i libri che formano l'Antico Testamento, trasmessi a noi prima della venuta di Cristo.

L’Antico Testamento I libri dell'Antico Testamento Nella Bibbia che abbiamo nelle nostre mani, i 46 Libri che compongono l'Antico Testamento vengono raggruppati in quattro ampie raccolte: il Pentateuco, i libri storici, i libri profetici,i libri sapienziali. 1. Il Pentateuco ("cinque astucci" o libri) contiene i cinque libri fondamentali per la fede del popolo biblico: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. 2.1 libri storici narrano la storia e la fede del popolo d'Israele: Giosuè, Giudici, Rut, l-2 Sa-

muele, 1-2 Re, 1-2 Cronache, Esdra e Neemia, Tobia, Giudi tta, Ester, 1-2 Maccabei. 3. I libri sapienziali comunicano l'esperienza di vita, di preghiera e di fede dei saggi d'Israele: Giobbe, Salmi, Proverbi, Qoèlet, Cantico dei Cantici, Sapienza, Siracide. 4. I libri profetici trasmettono la predicazione dei profeti, distinti in Maggiori: Isaia, Geremia (con l'aggiunta di Lamentazioni e Baruc). Ezechiele, Daniele; e in Minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria,Malachia. Come leggere la Bibbia Essendo un libro molto antico, la Bibbia necessita di una guida alla lettura (personale, nei gruppi, in casa e in chiesa) che ne favorisca la comprensione dell’ambiente storico geografico, religioso e sociale. Infatti, pur avendo come autore Dio e contenendo la verità che salva, la Bibbia risente della cultura e dei modi

La Visione di Isaia, min. dalla Bibbia miniata napoletana, 1340. Vienna, Biblioteca Nazionale Austriaca. di esprimersi degli antichi popoli orientali, questi amavano ispirarsi al simbolismo, alle immagini e ai racconti popolari e alle parabole, al linguaggio del mondo agricolo e pastorizio, della guerra e della giustizia. Ma occorre anche saper leggere ogni passo della Bibbia nell’insieme di tutti i libri che la compongono, senza assolutizzare le singole espressioni o i singoli episodi. Infatti non c’è contrapposizione tra Antico e Nuovo Testamento, poiché entrambi contengono l’unico progetto di Dio sull’uomo, che dalla creazione conduce alla fede nella persona di Gesù, il Salvatore. Giustamente diceva sant’Agostino: «L’Antico Testamento è svelato nel Nuovo e il Nuovo è nascosto nell’Antico».

Per la riflessione individuale e familiare: 1. Quanto tempo dedico alla lettura e alla meditazione della Sacra Scrittura? 2. Come accolgo la spiegazione autorevole della Chiesa mediante la catechesi e l’omelia?

La rivelazione del Monte Sinai, min. Catalogna (Spagna), sec. XIV. Saraievo, Zemaljskj Musej. 33


San Giovanni Evangelista, miniatura su pergamena dai “Vangeli di Lorssch”, arte carolingia, sec IX Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana.

2 Il Nuovo Testamento

LA BIBBIA

Il Nuovo Testamento narra il Vangelo di Cristo e le vicende della Chiesa delle origini. Alimenta la vita del cristiano, orientandolo all’incontro con il Padre.

I Libri del Nuovo Testamento II Nuovo Testamento è composto da 27 libri: i 4 Vangeli, il libro degli Atti degli Apostoli, le 21 Lettere degli Apostoli e l'Apocalisse. I Vangeli I Vangeli hanno un'estrema importanza «in quanto sono la principale testimonianza sulla vita e sulla dottrina del Verbo incarnato» (Dei Verbum, 18). In essi è trasmesso quanto Gesù ha operato e insegnato ed è stato narrato dagli Apostoli; gli autori sacri hanno redatto i testi «scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, di altre facendo una sintesi o spiegandole tenendo presente la situazione delle chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferirci su Gesù cose vere e autentiche» (Dei Verbum, 19). La Chiesa, fra i molti scritti su Gesù apparsi fin dall'inizio, ha ritenuto ispirati solo i Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni; gli altri "vangeli" sono detti "apocrifi" e non sono stati accolti nella Bibbia. Essi nel corso dei secoli hanno ispirato la letteratura su Cristo, la pittura e gli affreschi, come pure alcune ricorrenze di origine devozionale (ad esempio il nome dei genitori di Maria, Gioacchino e Anna). Tuttavia, quanto noi troviamo nei Vangeli canonici è sufficiente per la nostra conoscenza di Cristo e per la nostra fede in lui. Fra i Vangeli, possiamo riconoscere I quattro Evangelisti, che i primi tre hanminiatura su pergamena, no una struttura sec. IX, Aquisgrana, Tesoabbastanza simiro della Cattedrale. le, sono infatti detti “sinottici”. Il mate-

riale a cui hanno attinto gli autori è generalmente il medesimo ed è distribuito nello scritto più o meno allo stesso modo, salvo alcune particolarità proprie dì ciascuno. Giovanni ha una struttura propria: qui Gesù utilizza discorsi simbolici, che spesse volte si riferiscono alla sua relazione con il Padre. L’elemento fondante del suo vangelo è la fede: il riconoscimento di Gesù come Messia è da parte dei discepoli sin dall’inizio (Gv 1,41-49), mentre nei sinottici ciò giunge al culmine del ministero di Gesù in Galilea (Mc 8,31). Questa fede è condizione della salvezza e afferma che credere in Gesù implica percepire la relazione singolare tra lui e il Padre. Gli altri scritti del Nuovo Testamento Gli Atti degli Apostoli furono scritti dall’evangelista Luca, che raccoglie le vicende della primitiva comunità cristiana. Le Lettere degli Apostoli: quelle di Paolo hanno un indirizzo ben preciso (ai Romani, ai Corinzi, etc.); le altre sono indirizzate a tutta la Chiesa (e sono dette cattoliche e pastorali). In questi scritti emergono i due grandi apostoli: Pietro, chiamato in modo particolare a “traghettare” i Giudei verso l’incontro con Cristo e Paolo, a cui si devono i primi scritti del NT, incaricato di portare alla fede i pagani. Pian piano la Chiesa diventa così universale, senza confini di nazione o di lìngua. Il Nuovo Testamento nella liturgia Nel corso di tre anni (A-B-C) possiamo accostare i Vangeli sinottici (con Giovanni che interviene in momenti salienti dell’anno) e, collegati ad essi, le altre letture bibliche. La Sacra Scrittura, Parola antica e sempre nuova, letta nella Chiesa, alimenta la nostra fede e ci permette l’incontro autentico con Cristo.

3 IL PADRE La parola “Padre” attribuita a Dio esprime il suo essere e operare nella storia della salvezza. Gesù insegna che Dio è Padre di chi crede fiduciosamente in lui.

II "Padre" nell'Antico Testamento Nell'AT la parola "Padre" non ha un largo utilizzo, appare solo 11 volte e non si riferisce generalmente all'idea di "genitore" del mondo, ma indica il rapporto di Dio con il suo popolo grazie all'alleanza. Dio è Padre del popolo, perché lo chiama ad essergli figlio, ne promuove la crescita, in particolare di quelli che sono più deboli (egli è Padre degli orfani e delle vedove), non impone una legge che debba essere osservata per timore, ma desidera che sia accolta nella fiducia e nell'amore (Dt 6,4-9).

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le opere di generosità anche segrete, che perdona chi ha misericordia verso gli altri; che sa ciò di cui i suoi figli hanno bisogno, che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo. C'è la consapevolezza che Dio non tanto sia "Padre" perché Creatore di tutto, ma "Padre" per chi liberamente lo accoglie come tale diventandogli discepolo. Nei Vangeli di Marco e Luca Marco menziona “Padre” riferito a Dio 3 volte, di cui una è di grande importanza: nell’orto degli ulivi riporta il termine aramaico Abba (papà). Negli altri passi indica Dio come Padre in rapporto ai discepoli esortati al perdono vicendevole. In Luca Gesù si rivolge sempre a Dio, chiamandolo Padre, perfino sulla croce («Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (23,34) e «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46). Di forte espressività è la parabola del cap. 15, dove la figura del padre misericordioso rivela i sentimenti e l’agire di Dio.

Dio Padre secondo il Figlio, Gesù Cristo II significato pieno della paternità di Dio giunge al suo culmine attraverso Gesù. "Padre" è sulla sua bocca il nome più adeguato per indicare Dio (nei Vangeli è utilizzato 170 volte ed è il nome proprio con cui Gesù si rivolge a Dio e vuole che i discepoli usino nella preghiera). Come nell’ AT, però, Dio non è Padre per spadroneggiare, lo è in forza del suo amore. Ne sono una lezione le parabole di Lc 15, che possono essere giustamente definite "dell'amore del Padre". Nel Vangelo di Giovanni Giovanni identifica sempre il “Padre di Gesù” con il Nel Vangelo di Matteo “Dio” di Gesù e nostro: «Salgo al Padre mio e Padre Gesù parla di Dio come Padre in relazione ai discepo- vostro, Dio mio e Dio vostro» (20,17). li (14 volte) Siamo figli di Dio non per natura, ma per grazia, come "Pa- in Gesù Cristo, il quale ci riconcilia con Dio perché dre vostro, quell’amore e quella volontà di amicizia/figliolanza, tiPadre tuo, pica della creazione, torni ad essere autentica. Padre nostro" da Credere che Dio è Padre è credere che Dio è Amore... invocare ...e questo amore è la sua vera potenza, diventando nella pre- così Pastore, che guida e promuove, si pone come ghiera. È il modello, capace di addossarsi i nostri peccati per perPadre nei donarli. cieli (5,45; Gesù Cristo è l’immagine del Padre, tanto che può 6,9); Pa- affermare: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv dre che 14,9). In Cristo Dio chiama ogni uomo ad essergli fivede le glio in una relazione d’amore autentica, costituita dalla preghiere, risposta libera di fede alla sua alleanza. i digiuni e

Per la riflessione individuale e familiare:

Per la riflessione individuale e familiare: 1. Che cos’è per me il cristianesimo? Solo un sistema di pensiero o Buona Notizia di salvezza? 2. Nelle situazioni dell’esistenza, che luce attingo dalla Scrittura, mi sforzo di rileggere la mia vita in base al Vangelo?

Dio e gli angeli del Paradiso, miniatura lombarda, sec. XV. Milano, Biblioteca Trivulziana.

Trinità, di Filippo d’Argenta, miniatura sec.XV-XVI, Museo del Duomo, Ferrara

1. La mia è una relazione con un Dio generico e astratto oppure la sento come amicizia con il Dio-Amore rivelato da Gesù Cristo? 2. Come santifico il nome di Dio nella mia vita quotidiana? Quali sono le mie scelte concrete? 35


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IL FIGLIO: GESU’ CRISTO Gesù è il Figlio di Dio Incarnato. È personaggio storico e condivide la nostra natura umana; è Signore e Redentore perché ci porta alla salvezza e alla comunione con Dio.

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n questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, "colui che dà origine alla fede e la porta a compimento" (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell'amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all'offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione». Sono le parole di Benedetto XVI, nel documento per l'indizione dell'anno della fede (13), le quali invitano il cristiano a riflettere con serietà sulla propria conoscenza di Cristo. A ciascuno, come un giorno ai discepoli, Cristo ripete questa domanda: «Ma voi chi dite che io sia?» (Mt 16,13-20; Mc 8,27-30; Lc 9,18-20) e attende una risposta.

5 LO SPIRITO SANTO Lo Spinto Santo è da sempre all'opera nella storia della salvezza, dalla creazione al suo compimento ultimo. Egli santifica la Chiesa perché cammini speditamente all'incontro con il suo sposo, Cristo.

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Lavanda dei piedi e Ultima Cena. Scuola di Novgorod, XV sec. b) Annuncia che il Regno di Dio è prossimo, anzi si compie nella sua persona: il Regno di Dio significa riconoscere il Padre come Creatore e vivere da suoi figli, intendendo la vita e agendo come Cristo l'ha pensata e ha operato; c) Compie miracoli, per mostrare la sua potenza che non è supremazia, ma servizio al bene dell'uomo. Egli guarisce i malati, risana quanti sono nell'afflizione morale e nel peccato donando il perdono, viene incontro alle necessità materiali e umane di coloro che incontra sul proprio cammino; d) Indica che la mèta della nostra vita non è la morte, ma la risurrezione: si trasfigura davanti agli apostoli, anticipando il suo mistero pasquale; e) Vuole essere presente fino al suo ritorno glorioso: nell'Ultima Cena egli offre la sua vita nel segno vivo del pane e del vino, di cui i discepoli dovranno nutrirsi.

Chi è Gesù? Possiamo avvicinare la figura di Gesù (7-4 a.C. - 30 d.C.) attraverso le parole della Professione di fede, che lo presentano come personaggio storico e, nello stesso tempo, ce lo fanno accostare nella fede. È il Figlio unigenito di Dio, che ha preso la forma umana attraverso il concepimento singolare di Maria, per opera dello Spirito Santo, e ha condiviso in tutto la nostra umanità, eccetto che nel peccato. Per compiere la volontà del Padre di salvare ogni uomo, ha accettato di sottoporsi alla passione e alla morte in croce, risorgendo il terzo giorno. In questo modo l'alleanza originaria di Dio Il mistero pasquale fonda la Chiesa con gli uomini è stata ristabilita per sempre e l'uoNel mistero pasquale, anticipato con l'Eucarimo è finalmente riconciliato con Dio, perché Gesù stia, la Chiesa trova il proprio fondamento: Cristo Cristo ha preso su di sé i peccati di tutti. torna al Padre, ma è sempre I misteri della vita di Gesù presente e con II quadro della vita di Gesù può essere presen- la forza dello tato secondo questi aspetti salienti: Spirito la sua a) Entra nella storia di un popolo a tutti gli effetti: opera continua pur non avendo bisogno di purificazione, chiede sino al suo ridi essere battezzato e in quel momento il Padre torno. rivela che è il Figlio amato e che deve essere ascoltato; Cristo Portacroce, El Greco, Per la riflessione individuale e familiare: 1587-1596, Museu Na1. Come esprimere e professare nel contesto cional d’Art della nostra società la fede in Gesù Signore? de Catalunya 2. Quali sono i principali condizionamenti psicologici e culturali che frenano una serena testimonianza di Cristo? 36

Gesù battezzato da a Bibbia si apre e si chiude menzionando lo Giovanni Battista, Spirito (Gn 12 - Ap 22,17): ciò significa che Oratorio SS.ma «tutta la storia, dalla creazione al compimento Trinità. Sec. XII. ultimo, si svolge sotto il potente "soffio" di Dio. Lo Momo (Novara). Spirito è l'onnipotenza dell'amore con cui Dio attua il suo progetto nel mondo: produce le cose dà la vita, suscita i profeti, giustifica i peccatori, fà risorgere i della sua presenza. Ad Adamo Dio soffia nelle namorti» (La verità vi farà liberi. Catechismo degli adul- rici un "alito di vita" e quell'argilla diventa un essere vivente. ti, pag. 172). Non a caso alcuni simboli dello Spirito sono l'acqua, il fuoco, la nube, il soffio, il vento, la colomba: Il grande sconosciuto questi elementi sono necessari alla vita dell'uomo Pur avendo un molo così importante nella storia e la colomba, che comunemente indica la pace, sidella salvezza, lo Spirito rimane spesso sconosciugnifica che la vita è possibile solo in una convivenza to: più facile è rappresentarsi Dio Padre, facendolo pacificata, con Dio e fra gli uomini. rassomigliare al "papa" dal punto di vista umano; il Figlio si è fatto conoscere in Gesù; dello Spirito fatichiamo a farcene un'immagine, e questo fa in modo Nella storia della salvezza Nei secoli lo Spirito ha formato l'umanità per mezche spesso, anche nella preghiera, è dimenticato. zo dei profeti. Ha ispirato gli scritti dell'AT, che conÈ possibile, però, delinearne l'identità attraverso tengono le loro parole, i gesti, gli insegnamenti su la sua opera nella storia della salvezza. Dio, sul mondo, sull'uomo. Egli ci introduIsraele parla in modo particolare dello Spirito ce nella comuquando pensa al Messia: Dio dona al Messia lo nione con Dio; spirito di sapienza e di intelligenza, di consiglio, di nello Spirito noi conoscenza e di fortezza, di pietà e di timore del Sidiveniamo fragnore (Is 11,2). Chi è colmato di questi doni, produtelli di Cristo e ce i frutti dello Spirito: gioia, amore, fortezza e pace. figli del Padre, partecipiamo della sua gloria, Gesù battezza nello Spirito Gesù vive in unità con lo Spirito. Per opera sua ci rende dunque Maria lo ha concepito; Giovanni Battista battezza santi! con acqua, ma il Messia battezzerà «in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11). Nel Battesimo di Gesù lo SpiriLo Spirito to si posa su di lui e viene proclamato il Figlio eletto; da la vita Mentre tut- per opera dello Spirito Gesù resiste alle tentazioni to era informe nel deserto. Dopo la sua risurrezione, Gesù appare ai discee deserto, lo poli e comunica il dono dello Spirito. Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Con La Chiesa vive nello Spirito Di quel dono pasquale, effuso nella Pentecoste, queste immagivive la Chiesa: ogni epoca lo riceve attraverso i Sani l'autore sacro cramenti della fede, può rispondere al disegno di indica che Dio è Dio e, nello stesso tempo, interpretare alla luce del al di sopra di tutVangelo le situazioni in cui si trova, perché lo Spirito, to ciò che esiste come dice Gesù, «prenderà da quel che è mio e ve e si sviluppa e il lo annuncerà» (Gv 16,14). suo Spirito garantisce che la creazione non Per la riflessione individuale e familiare: sarà mai priva 1. Invoco costantemente lo Spirito perché mi guidi alla verità tutta intera (Gv 16,13)? 2. Come possiamo riconoscere e valorizLa Pentecoste, vetrata di sr Agar Loche, pddm. zare all’interno della Chiesa i diversi doni Chiesa Suore Minime della Passione, Cosenza. dello Spirito, i ministeri, i carismi? 37


6 LE BEATITUDINI

7 LA RISURREZIONE

Le Beatitudini sono l’immagine che Gesù da di sé. Proponendosi a modello del cristiano, chiede che siano il suo “codice” di vita.

La Risurrezione è l’evento che fonda la fede cristiana. Il Padre non abbandona il suo Figlio Gesù e gli dona la vita nuova ed eterna: un traguardo che attende ciascun uomo pellegrino sulla terra.

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ei primi capitoli di Matteo (5,1-12) e Luca (6,20-26) troviamo un momento particolare della vita di Gesù: il Signore indica le esigenze del Regno di Dio e lo stile di vita che deve contraddistinguere il discepolo. Il tutto introdotto dalle Beatitudini. Le Beatitudini mostrano l'identità di Gesù Prima che regole di vita, le Beatitudini si possono identificare come la descrizione che Gesù fa di sé, ponendosi come maestro e modello del discepolo. E lui, infatti, il povero di spirito, mite e puro di cuore (Mt 11,29), che attende tutto dal Padre e con lui sosta in preghiera; è l'affamato di giustizia, quella che ci rende giusti di fronte a Dio e riconciliati con lui; è misericordia per i peccatori, chiamati a rinnovarsi nello spirito (Gv 8,11); ci pacifica con il Padre, a prezzo anche di piangere (Lc 19,41), di essere perseguitato (Lc 16,2829), rifiutato, messo a morte. Gesù propone un nuovo rapporto con il Padre, non basato sull'obbedienza esteriore alla Legge, ma sull'accoglienza e sulla somiglianza al suo amore. Le Beatitudini non promettono una vita lunga, ma una vita grande, di qualità! Le Beatitudini, il "codice di vita" del cristiano Diceva Paolo VI: «Chi non ha ascoltato le beatitudini non conosce il Vangelo. Chi non le ha meditate non conosce Cristo». E, infatti, esse sono la magna charta dei discepoli. Passiamole

in rassegna, secondo la versione di Matteo, per meglio comprenderle e viverle. Beati... I poveri in spirito. Nella Bibbia sono coloro che rinunciano alla presunzione di costruire il presente e il futuro indipendentemente da Dio, lasciando spazio al progetto di Dio e alla sua Parola. Quelli che sono nel pianto. Gesù racchiude tutte le afflizioni, promettendo che se sono vissute nella fede, troveranno consolazione. I miti. I miti vengono ricordati nella Scrittura come coloro che godono di una grande pace (Sai 37,10), contrapposti ai malvagi e ai peccatori. La mitezza è frutto dello Spirito (Gal 5,22) e consiste nell'essere mansueti, moderati, pazienti verso gli altri. Quelli che hanno fame e sete di giustizia. Gesù nell'Ultima Cena donerà il comandamento nuovo dell'amore: esso presuppone la giustizia con Dio e con i fratelli. La giustizia secondo Gesù è l'amoroso atteggiamento di Dio verso gli uomini e degli uomini verso Dio e il prossimo. I misericordiosi. Assomigliare a Cristo significa farsi carico delle insufficienze e delle sofferenze altrui, secondo la parola di Gesù: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12). I puri di cuore. Dice il Salmo 24: «Chi potrà salire il monte del Signore?... Chi ha mani innocenti e cuore puro». Purezza di cuore è conformità alla volontà di Dio, cioè santità! Gli operatori di pace. Solo la pace vera, che nasce dal cuore, è capace di creare l'autentica famiglia di Dio, amati da lui e fratelli fra noi. I perseguitati per la giustizia. Testimoniare Cristo non produce applausi, ma rifiuto, e tuttavia: «Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cicli» (Mt 10,32). Destino meraviglioso e, insieme, grandissima responsabilità!

Per la riflessione individuale e familiare: 1. Quale cammino indicano le Beatitudini per la società in cui vivo? Discorso della Montagna

2. Quale Beatitudine in particolare il Signore mi chiama a vivere in questo momento della mia vita per il mio cammino spirituale e umano? 38

l Figlio di Dio si è incarnato, è nato a Betlem- donare loro lo Spirito Santo e per spronarli alla me, ha predicato il Vangelo del Regno, è mor- missione. to sulla croce, il suo corpo Non fu semplice ricoè stato sepolto. I testimoni di noscerlo: ad esempio, Redemptor, scultore Paul de Doss Moroder. questi fatti ci sono: i discepoi discepoli di Emmaus li che hanno seguito Gesù, Museo sculture in legno “Daetz” di Lichtenstein, ascoltano lo sconoGermania gli accusatori, gli aguzzini, sciuto che si accoPonzio Pilato e i soldati. sta a loro, ma hanno Ma... la pietra gli occhi ottenebrati del sepolcro è rimossa... per riconoscerlo (Lc La mattina di Pasqua le don24,13-16) e Maria di ne vanno alla tomba di Gesù e Màgdala lo scambia notano che la pietra con cui era per il custode del giarchiuso il sepolcro è rimossa. Un dino (Gv 20,15). angelo annunzia loro che Gesù Vedere con è risorto (Mc 16,1-7). gli occhi della fede Le donne corrono a raccontare Sempre in quel giorciò che hanno visto e udito ai dino, Pietro e il discepolo scepoli e così inizia un nuovo tratamato, su invito di Maria to della loro avventura nella fede: di Màgdala, corrono al seCristo è risuscitato, come aveva polcro: Pietro vede il dato predetto (Mt 28,6; Lc 24,6-9). di fatto: ci sono solo i teli e Già, Gesù aveva più volte alluso alla il sudario; l'altro discepolo sua morte e risurrezione. Come? entra nel sepolcro e «vide e Sapendo di poter morire violentecredette» (Gv 20,8): seppe mente, egli aveva espresso anche la cioè interpretare il fatto alla certezza di partecipare al banchetto luce della Parola di Cristo e del regno dei cicli: «Non berrò mai più della fede in lui. del frutto della vite fino al giorno in cui Così l'apostolo Tommaso: lo berrò nuovo, nel regno di Dio» (Mc non si fida dell'annunzio degli 14,25; Mt 26,26-29; Lc. 22,15-20; I Cor altri apostoli, vuole i segni che 11,23-25). la Parola del Signore si è reaCristo, quindi, è cosciente che partelizzata; ma è retto in coscienza ciperà con tutta la sua persona alla vite Gesù lo esaudisce donandogli toria del Regno di Dio e alla volontà di ciò che cerca, ma avverte: «Persalvezza del Padre: tutte le ché mi hai veduto, hai creduto; sue precedenti affermazioni riguardanti la beati quelli che non hanno visto sua morte e risurrezione sono da leggere e hanno creduto» (Gv20,29). nella prospettiva dell'avvento del Regno (Mt 16 È possibile vedere Gesù risorto 19-21; 20,20-28 etc.). e vivo solo «con gli occhi della fede» (P. RousseCiò che fu detto si compie: Gesù è risorto! lot): ciò che l’occhio umano vede sono i segni doNonostante le rimostranze dei discepoli, l'epilogo nati dal Signore, ciò che l’animo percepisce è la si compie e Cristo muore. Al terzo giorno, però, sua presenza nella vita nuova della risurrezione! ecco apparire un annuncio: colui che era morto, è vivo! Il Padre ha "applaudito" alla fedeltà di Gesù e lo ha strappato alla morte. «O notte veramente beata, tu solo hai conosciu- Per la riflessione individuale e familiare: to il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dai morti», 1. Perché la Pasqua di Cristo costituisce canta l'Annuncio Pasquale: è vero, molti furono i il cuore della fede cristiana? testimoni della morte, nessuno della risurrezione. 2. Come posso testimoniare nell’ambiente E, tuttavia, Cristo volle manifestarsi ai suoi discein cui vivo la risurrezione di Gesù? poli ripetutamente per confermarli nella fede, per Con quali segni concreti? 39


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LA SALVEZZA

La salvezza è la risposta di Dio all'incompiutezza dell'uomo e al suo bisogno di redenzione dì fronte al peccato, che deturpa la sua dignità e la sua originaria vocazione.

9 La Chiesa Gesù Cristo inaugura il nuovo popolo di Dio, la Chiesa. Essa è santa per vocazione, è cattolica perché senza confini, è apostolica perché fondata sugli apostoli.

esù guarisce un cieco, G affresco, scuola cassinese. Sant'Angelo in Formis, Capua.

Dio stringe alleanza con gli uomini

La salvezza, quella che abbraccia tutta l'esistenza dell'uomo, è la risposta che Dio offre a chi si affida a lui. È la presenza di Dio in ogni uomo, resa visibile in Gesù, il Figlio, il Salvatore, immagine di un uomo nuovo, che sa di essere amato, voluto, perdonato da un Dio che gli è Padre. La Bibbia è il libro della salvezza: le sue parole rivelano la Parola di Dio che salva. La storia in essa narrata contiene la storia della nostra salvezza. In essa anche noi uomini di oggi cogliamo la risposta di Dio. Come pure vi scorgiamo la presenza di Dio che, in Gesù, opera con noi, apre il nostro cuore al suo Vangelo, ci guarisce, ci perdona e ci offre la salvezza definitiva nella sua Pasqua di risurrezione. Abbiamo bisogno di salvezza? L'immagine proposta può essere considerata il simbolo della condizione umana? L'uomo percepisce il bisogno della salvezza? Nella Bibbia è scritto: «Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata... Ecco, il Signore Dio viene con potenza... Ecco, egli ha con sé il premio» (Is 40,1-2.10). Israele riceve questa promessa: la liberazione è vicina, il peso dell'oppressione è terminato. La voce suona come una speranza: Dio non abbandona l'uomo che ha creato, benché gravino su di lui il peccato e le sue conseguenze. E spera che il Signore si manifesti e compia le promesse! L'uomo di oggi può dire di avere ancora questa attesa? Vive nella speranza della salvezza? La società moderna, con la sua capacità di rispondere ai bisogni immediati dell'uomo, sembra aver offuscato il bisogno di essere salvati. Tuttavia, nella vita di ognuno questo anelito ritorna, soprattutto davanti alle grandi domande della vita, nello scontro con la malattia e la morte. Per ciascuno il problema della salvezza è senza dubbio quello della riuscita definitiva della propria esistenza. Si impegna, con responsabilità e libertà; però, ad un certo punto, si scopre incapace di salvarsi da sé, comprendendo che la salvezza

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è dono di Dio, il solo che può dare un futuro a fronte dell'annientamento della morte. Gesù Cristo, il Salvatore Dio ha dato una risposta al bisogno di salvezza dell'uomo. Nell'AT aveva promesso la liberazione dalle molte forme di schiavitù del popolo: Israele era cosciente della propria lontananza da Dio a causa del peccato e interpretava il castigo come punizione di Dio e la liberazione il premio della riacquistata obbedienza. Nella pienezza dei tempi Dio manda il suo Figlio (Gal 4,4): egli è la nostra salvezza: poiché l'uomo non può perfezionarsi da sé, ci fa partecipi della vita stessa di Dio, recuperando l'identità originaria di creature fatte «a immagine e somiglianzà di Dio» (Gen 1,26) (divinizzazione); ci riconcilia con il Padre (redenzione), pagando di persona nella morte e addossandosi i peccati di tutti (Eb 2,17-18). Gesù Cristo è l'unico mediatore della salvezza, compiuta una volta per sempre con la sua morte e risurrezione (I Tm 2,5-6): tutto ciò è ripresentato a noi nei Sacramenti, particolarmente nell'Eucaristia e nella Penitenza, perché quel dono sia sempre fruttuoso per la vita dell'uomo di ogni tempo. Non è ripetizione (Eb 10,11-18), ma offerta continua, mediante la Chiesa, per la salvezza di tutti.

Per la riflessione individuale e familiare:

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1. Quale prospettiva do alla mia vita? Solo di ricerca del benessere a breve termine, o del bene eterno? 2. Come la speranza della vita eterna orienta la mia libertà nel bene? La fede alimenta i miei criteri di giudizio?

io aveva radunato il suo popolo fin dalla chiamata di Abramo, promettendogli di diventare padre di un popolo numeroso (Gn 12,2; 15,5-6). Israele sarà il segno della volontà di Dio di stringere alleanza con tutta l'umanità, benché spesso questa vocazione fu malintesa e interpretata come un'esclusiva di quel solo popolo. I profeti annunceranno, invece, che Dio stipulerà un'alleanza nuova ed eterna (Is 55,5: «Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano»), che il Messia atteso attuerà in pienezza non solo per gli Ebrei, ma per ogni uomo. Gesù forma la Chiesa Sin dall'inizio della vita pubblica, Gesù proclama che «...il Regno di Dio è vicino» (Mc 1,15) e forma il suo popolo nuovo, scegliendo dodici apostoli; ad essi indica di continuare la sua missione. Simone, a cui impone il nome di "Pietro", sarà la roccia della Chiesa (Mt 16,18). Ecco il nome del nuovo popolo di Dio, che significa "comunità convocata": Gesù desidera riunire in un unico gregge tutta l'umanità, perché sotto la sua guida, possa entrare in comunione piena con il Padre nel Regno dei cicli. Dice la Lumen gentium, 5: «La Chiesa... riceve la missione di annunciare il Regno di Dio e di Cristo e di instaurarlo fra tutte le genti; di questo regno essa costituisce sulla terra il germe e l'inizio. Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e bra-

ma di riunirsi al suo re nella gloria». La sua missione è quindi di essere la traccia storica della presenza di Cristo nella storia dell'umanità e della sua volontà di condurre tutti a salvezza, la quale si è realizzata in maniera sublime nel suo sacrificio pasquale: «dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa» (Sacrosanctum Concilium 5). Chi fa parte della Chiesa? Si entra a far parte della Chiesa attraverso il Battesimo, che ci immerge nel mistero pasquale di Cristo. Ogni battezzato è membro della Chiesa e manifesta la sua appartenenza con una propria vocazione: come ministro ordinato, come religioso, come consacrato, come fedele laico. Il Signore non fa mancare la grazia dello Spirito Santo, dono pasquale del Signore e ad ognuno elargisce un particolare carisma a beneficio di tutti (1 Cor 12,7.11), sicché la Chiesa è come un corpo, «ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro», che «cresce in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,16).

Per la riflessione individuale e familiare: 1. Dedico tempo nella preghiera per discernere la mia vocazione nella Chiesa secondo il mio carisma? 2. Ognuno non è cristiano solo per se stesso, ma per il bene di tutti: come vivo la mia testimonianza nel quotidiano?

VERSO L’APPUNTAMENTO DELLA 28a GMG 2013 A RIO DE JANEIRO a GMG di Rio de Janeiro (23-28 luglio 2013) ha L come tema: «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). Significativa l’immagine del logo. Un

grande cuore, che racchiude in verde la Croce e il “il Pan di Zucchero”, la famosa collina di Rio de Janeiro. Al centro in giallo oro il Cristo Redentore, simbolo della città, nella parte bassa, in blu, è riportato il litorale brasiliano. Benedetto XVI si rivolge ai giovani: «Cari amici... affido ai presenti questo grande compito: portare la conoscenza e l’amore di Cristo a tutto il mondo. Egli vuole che siate suoi apostoli nel XXI secolo e messaggeri della sua gioia». 41


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Maria donna di fede Maria è la madre di Dio. Di lei parlano i Vangeli, che svelano la grandezza della sua missione, vissuta accanto al figlio Gesù. A Lei si affida da sempre ogni comunità cristiana.

S

e ci chiediamo qual è la "verità" su Maria, dobbiamo riconoscere con Giovanni Paolo II che prima ancora che madre di Dio ella è la credente: «Nella Chiesa di allora e di sempre Maria è stata ed è soprattutto colei che è beata perché ha creduto» (Enciclica Redemptoris Mater, 26). In realtà Elisabetta al saluto della giovane madre Maria si sente spinta dello Spirito Santo ed esclama "a gran voce": «Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Possiamo affermare che come l'Antico Testamento inizia con la figura di Abramo "padre

dei credenti", così il Nuovo Testamento si apre con Maria "madre della fede". Ella traccia il sentiero che devono percorrere tutti i credenti in Cristo. Se poi vogliamo conoscere i contenuti della fede di Maria, ci viene incontro ancora Giovanni Paolo II che ci propone un approfondimento in tre direzioni: fede-donazione, in quanto Maria mette tutto il suo essere a disposizione del Signore (Lc 1,38), cioè si abbandona a Dio senza riserve e si consacra totalmente a lui (RM 13); fede-introduzione al mistero, ossia costante e progressivo "contatto con l'ineffabile mistero di Dio" (RM 17); infine fede-peregrinazione, cioè un duro cammino che ha conosciuto una "particolare fatica del cuore" o "notte della fede " (RM 18), e perfino "la più profonda kenosi (svuotamento, debolezza) della fede nella storia dell'umanità" (RM 26), quando partecipò alla "tragica esperienza del Golgota" (RM 26). La sua fede fu come quella di Abramo "sperando contro ogni speranza" (RM 14), sicché ai piedi della croce divenne eroica (RM 18).

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I Sacramenti Nei sacramenti il cristiano trova la presenza e l'azione di Dio. Accogliendoli con fede e lasciando che la grazia di Dio agisca in lui, essi conducono all'incontro con Cristo. Che cosa sono? sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina. I riti visibili, con i quali i sacramenti sono celebrati, significano e realizzano le grazie proprie di ciascun sacramento. Essi portano frutto in coloro che li ricevono con le disposizioni richieste» (CCC 1131). Dalla descrizione del Catechismo, possiamo ricavare gli elementi basilari sulla natura dei sacramenti: a)Sono segni della grazia di Dio, in quanto rendono realmente presente il Signore nella sua Chiesa e, mediante essi, la sua salvezza raggiunge l'uomo; b)Sono istituiti da Cristo, in quanto lui stesso, direttamente o indirettamente, ha stabilito questo modo di manifestarsi nella comunità credente; c) Vengono celebrati nella Chiesa, non sono quindi azioni di magia, ma riti, celebrazioni, momenti in cui l'assemblea cristiana esprime il suo essere di fronte al Signore; d)Il loro frutto dipende, senza automatismi, dalle disposizioni con cui vengono accolti e dalle conseguenti azioni di chi li riceve.

I

Quali sono? I sacramenti sono sette e possono essere suddivisi in tre gruppi: a)Sacramenti dell’iniziazione cristiana: Battesimo, Cresima, Eucaristia. Attraverso questi sacramenti il credente è inserito in Cristo morto e risorto (Col 2,12) e diventa membro della Chiesa (Ef 4,4-5), chiamato alla testimonianza (2Cor 2,14), sostenuto dal Pane della vita (Gv 6,55-57). b) Sacramenti della guarigione: Penitenza e Unzione degli infermi. Attraverso la Penitenza il credente, pentito dei suoi peccati, torna alla santità originaria del Battesimo (Gs 24,23; Lc 15,11-32; Lc 15,4-7); mediante l’Unzione degli infermi è donato il sollievo cristiano a quanti sono nel dolore e nella malattia (Gc 5,14-15). c) Sacramenti per il servizio della vita comunitaria: Ordine e Matrimonio. Questi sacramenti plasmano l’uomo credente: nell’Ordine il credente si configura a Cristo Capo della Chiesa, in modo da poter agire in suo nome nell’insegnare, nel santificare, nel governare (Presbyterorum ordinis, 2), nel Matrimonio l’uomo e la donna, con la loro fedeltà e il loro amore, diventano segno vivo dell’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa (Os 2, 16.21; l Cor7,39). Che cosa operano? I sacramenti sono celebrazioni della Chiesa (ogni sacramento è atto comunitario, non si danno “sacramenti privati”, anche quando la partecipazione è minima, esprime e rappresenta tutta la Chiesa): in essi operano congiuntamente parole e azioni, che manifestano la Parola che Dio rivolge all’uomo e l’opera di salvezza nei suoi confronti. Un giorno Gesù esclamò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi d’acqua viva» (Gv 7,37-38). Nei sacramenti il cristiano attinge la salvezza all’acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14) che l’Agnello, immolato e risorto, dona con abbondanza con l’azione dello Spirito Santo, perché l’uomo sia sostenuto mentre cammina nella fede (2 Cor 5,7) fino alla visione del volto di Dio «così come egli è» (IGv 3,2).

Per la riflessione individuale e familiare:

Scuola fiamminga, i sette sacramenti, Copenaghen, Biblioteca Reale 42

1. Come fare per rinnovare la coscienza della responsabilità che nasce dal Battesimo in ordine alla vita cristiana? 2. Desidero ricevere i sacramenti della fede? Come posso testimoniare la grazia che da essi ricevo? 43


12 LA FEDE NELLA VITA QUOTIDIANA

La fede non è un abito da indossare in determinate occasioni, ma è una luce e una forza che permea tutta la vita, trasforma il nostro modo di pensare, di sentire, di agire, di essere. 1. Nella vita matrimoniale la fede porta ad assumere una concezione cristiana del matrimonio e della famiglia, a considerare il proprio amore come segno e strumento dell'amore di Dio, e quindi a vedere nell'amore di Dio la sorgente, il fondamento e il modello dell'amore umano.

6. Alle donne la fede fa scoprire e vivere il “genio femminile”, che le porta a incarnare il senso dell’accoglienza, della delicatezza, della dedizione, della propria dignità; le induce a immettere dinamiche di amore in questa società arida. 7. Quando i politici e gli economisti accolgono la fede, scoprono che il degrado attuale, alla radice, è determinato dalla carenza di fede. Tutto è concatenato: senza la fede, l’etica manca di un saldo fondamento; senza l’etica, la politica perde la sua anima; senza una buona politica, l’economia assoggetta gli uomini e li lascia in balìa della legge del mercato; senza una illuminata economia, la finanza prevarica e genera gravi crisi e disastri sociali.

2. Essere genitori, alla luce della fede, significa essere rappresentanti della paternità e della maternità di Dio. Significa prendersi cura dei propri figli, accompagnarli nella loro crescita, guidarli con la parola e soprattutto con l'esempio. 3. Assieme ai genitori, gli insegnanti hanno il compito di educare. Ogni discepolo è una persona da formare: una libertà da orientare, una ricchezza di potenzialità da sviluppare, di attitudini da scoprire, di "talenti" da far fruttificare. La fede cristiana ci fa scoprire la grandezza della persona umana, l'originalità di ogni singolo individuo, la sua dignità sconfinata di "figlio di Dio".

8. L’ambiente mediatico, nel quale siamo immersi e viviamo, è uno sconfinato oceano nel quale l’uomo può “navigare”, ma soltanto la fede può offrire una “bussola” per non perdersi. Fede, Altorilievo del 1500, La fede può orientare a vivere Alba, Sacristia del Duomo in maniera autentica, attraverso i media, la dimensione “relazionale”, il dialogo, la reciprocità, l’interattività, 4. La fede vissuta nel mondo del lavoro oggi è la comunicazione, e anche la comunicazione particolarmente impegnativa. Vi sono gran- della fede. di mutamenti epocali. In una società dove il denaro conta più del lavoro, dove il lavoro è 9. La casalinga si trova nel crocevia della nostra attraversato dalla precarietà, l'impegno nuovo storia, nel punto di confluenza di tutte le probledei cristiani è quello di riaffermare la cen- matiche sociali. Più forti sono queste spinte, e tralità della persona e del lavoro, praticando più forte deve essere la sua fede, che si esprime la giustizia con la propria competenza, testi- in tutti i gesti quotidiani nella sua casa e che le moniando la carità con la propria solidarietà, consente di vivere la sua vita come una missiovivendo il lavoro come spazio di fraternità. ne, spesso sconosciuta o sottovalutata dagli altri, ma preziosa agli occhi di Dio. 5. La fede porta i giovani a coltivare la "speranza che non delude" (Rm 5,5), a coltivare 10. Con gli occhi della fede, scopriamo che nei l'amore contro ogni forma di egoismo, a col- poveri, nei malati, nei terremotati e nei sofferentivare ideali alti e nobili, in alternativa al dila- ti è presente Cristo. Questa fede ci spinge alla gante piatto materialismo. La fede li porta a solidarietà, alla vicinanza spirituale e alla lotta costruire un futuro secondo il disegno di Dio. contro ogni forma di male. 44

Dio Non vi siete mai detti “Dio è bello!”? Allora guardate i bambini. Per la verità ne avete un po’ pochi attorno e allora forse la bellezza di Dio rischia di essere dimenticata nel vostro immaginario: non ne avete l’immagine sott’occhio. Qui in Africa è tutta un’altra cosa. Dio continua a mandarci le sue foto ed è un campionario ricchissimo. Ma sono sempre foto. Nel libro della Genesi si dice che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. A deturparla questa immagine ci hanno pensato in tanti, da subito.Allora, non sapendo più come fare a riprodurre al meglio la sua fisionomia perché non la dimenticassimo, Dio, invece di inviare le fotografie, si è presentato di persona: Gesù bambino, suo figlio, nato da Maria, ma fatto da Lui. A Natale in Gesù contempliamo il volto di Dio. Molto meglio che avere davanti una semplice foto. Non che gli altri bambini siano brutti, ma questo è l’originale, lo stampo a cui rifarsi. Peccato che questo stampo non ci piace tanto: lo riempiamo di orpelli che ci impediscono buone riproduzioni. Da subito è poesia: luci, colori, dolci musiche, pacchi-dono, arti culinarie delle grandi occasioni… E’ proprio troppo solo bambino della nostra razza. Dimentichiamo che è anche di un’altra razza ed è sceso da queste parti per rinfrescare la nostra identità, a curarne le ferite, a ripulirci e a ridarci l’alta definizione smarrita. Dice povertà e noi pensiamo sempre da ricchi, anche se non lo siamo. Dice crescita graduale partendo da zero (secondo natura) e noi pretendiamo subito tutto senza fatica e senza pazienza. Dice ospitalità rifiutata ed esilio e noi continuiamo a perpetuare queste stesse situazioni per altri umani. Dice angeli che esultano e cantano per un miracolo così strepitoso nella sua nuda sostanza e noi ci inventiamo babbi natale su slitte, befane su scope e finti alberi alle finestre. Quello stampo va ripulito: ci dobbiamo entrare noi. E’ uno stampo vivo e noi dovremmo seguirne la forma che si modella nell’arco dei suoi trenta e passa anni. Appena ha incominciato a parlare ha subito sbalordito. Aveva dodici anni. Proprio bravo. Un bambino prodigio. Compiacimenti e applausi. Nessun fastidio… è solo un bambino.

dall’Etiopia

è bello

Ma poi i giochi si sono fatti pesanti. Non le ha mandate a dire: le ha dette lui direttamente le cose che con suo Padre aveva deciso di comunicare. … i ricchi che rischiano grosso, affamati che si abbufferanno, lacrime che verranno asciugate (troppi futuri nel suo parlare!), peccatori di cui cercare la compagnia, culti e cerimonie da criticare a morte, vedovelle da prendere come esempio, autorità e professori di religione da evitare come contagio puzzolente, porte strette da attraversare, odiosi nemici da accarezzare, lebbrosi con cui andare a spasso, ultimi posti da preferire, amici e parenti da tenere a bada se si mettono di mezzo, ipocriti da smascherare, tasse da pagare senza batter ciglio, piedi sporchi da lavare, servizi da offrire ma non a pagamento, torturatori da perdonare, croci da abbracciare liberamente… quasi una lista infinita di cose ributtanti. In pratica dovremmo rivoltarci come calzini per assomigliare a Dio. Sembra che non siamo più a sua somiglianza. E’ proprio Dio: immenso, enorme, impossibile da concepire. Eppure se vogliamo vincere, in quello stampo dovremmo entrarci, buttarvicisi. Il Natale ci può dare la convinzione e la spinta per questo passo. Un passo verso un bambino, dopo tutto, misterioso e affascinante. Un bambino così bello da non far paura. Una bellezza in carne ed ossa da non lasciarsi sfuggire, costi quello che costi. Acchiappare un bambino non è poi così difficile. Abbracciare il dio-bambino adorandolo è tutto questo. Io mi fido. Ci credo. E’ troppo bello per non essere vero. Se ci scappa questo di bambino, un altro ce lo sogniamo. don Isidoro

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Natività di Giotto Cappella degli Scrovegni, Padova

IL NUOVO LIBRO DEL PAPA È in libreria in questi giorni il nuovo libro di Benedetto XVI, L’infanzia di’ Gesù, pubblicato da Rizzoli e Libreria Editrice Vaticana. In occasione del Natale riportiamo il capitolo sui Magi.

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L'infanzia di Gesù

DI JOSEPH RATZINGER - BENEDETTO XVI

F

inalmente posso consegnare nelle mani del lettore il piccolo libro da lungo tempo promesso sui racconti dell'infanzia di Gesù. Non si tratta di un terzo volume, ma di una specie di piccola "sala d'ingresso" ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù di Nazaret. Qui ho ora cercato di interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che Matteo e Luca raccontano all'inizio dei loro Vangeli sull'infanzia di Gesù. Un'interpretazione giusta, secondo la mia convinzione, richiede due passi. Da una parte, bisogna domandarsi che cosa intendevano dire con il loro testo i rispettivi autori, nel loro momento storico: è la componente storica dell'esegesi. Ma non basta lasciare il testo nel passato, archiviandolo così tra le cose accadute tempo fa. La seconda domanda del giusto esegeta deve essere: è vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi riguarda, in che modo lo fa? Di fronte a un testo come quello biblico, il cui ultimo e più profondo autore, secondo la nostra fede, è Dio stesso, la domanda circa il rapporto del passato col presente fa immancabilmente parte della nostra interpretazione. Con ciò la serietà della ricerca storica non viene diminuita, ma aumentata. Mi sono dato premura di entrare in questo senso in dialogo con i testi. Con ciò sono ben consapevole che questo colloquio nell'intreccio tra passato, presente e futuro non potrà mai essere compiuto e che ogni interpretazione resta indietro rispetto Fuga in Egitto di Giotto alla grandezza del testo biblico. di Bondone (1266-1336). Spero che il piccolo libro, nonoCappella degli Scrovegni, stante i suoi limiti, possa aiutare Padova molte persone nel loro cammino verso e con Gesù.

Il sogno di Giuseppe di Giotto ,particolare

Nelle pagine sui sapienti venuti dall'Oriente il Papa indaga le ragioni che, sin dalle origini del mondo, spingono l'uomo verso Dio. In un cammino in cui la fede risana il messaggio della scienza.

Con i Magi l’umanità s’incammina verso Gesù

C

he genere di uomini erano quelli che Matteo qualifica come "Magi" venuti dall'Oriente? Il termine "magi" (màgoi), nelle relative fonti, ha una notevole gamma di significati, che si estende da un senso molto positivo fino a uno molto negativo. Il primo significato intende con il termine "magi" degli appartenenti alla casta sacerdotale persiana. Nella cultura ellenistica erano considerati come

"rappresentanti di una religione autentica"; al tempo stesso, però, le loro idee religiose erano ritenute "fortemente influenzate dal pensiero filosofia)", così che i filosofi greci spesso sono stati presentati come loro seguaci. C'è forse in questa opinione un qualche nocciolo di verità non ben definibile; in fondo, anche Aristotele ha parlato del lavoro filosofico dei magi. Anche se i magi non appartenevano esatta-

Epifania di Giotto Cappella degli Scrovegni, Padova

Castel Gandolfo, nella solennità dell'Assunzione di Maria in Cielo 15 agosto 2012 46

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Processione dei Magi di Benozzo Gozzoli , particolari (1420-1497) Palazzo Medici-Riccardi, Firenze

mente al ceto sacerdotale persiano, erano tuttavia portatori di una conoscenza religiosa e filosofica, che si era sviluppata ed era ancora presente in quegli ambienti. Naturalmente, si è cercato di trovare classificazioni ancora più precise. L'astronomo viennese Konradin Ferrari d'Occhieppo ha mostrato che nella città di Babilonia - in epoca remota centro dell'astronomia scientifica, ma ai tempi di Gesù ormai in stato di declino - continuava a esistere «ancora un piccolo gruppo di astronomi ormai in via di estinzione. Tavole di terracotta, coperte di iscrizioni in caratteri cuneiformi con calcoli astronomici, ne sono prove sicure» (Ber Sterri von Bethlehem, p. 27). La congiunzione astrale dei pianeti Giove e Saturno nel segno zodiacale dei Pesci, avvenuta negli anni 7-6 a.C. - ritenuto oggi il vero tempo della nascita di Gesù -, sarebbe stata calcolabile per gli astronomi babilonesi e avrebbe indicato loro la terra di Giuda e un neonato “re dei Giudei”. Sulla questione della stella torneremo ancora più avanti. Per ora vogliamo dedicarci alla domanda su che genere di uomini fossero quelli che si misero in cammino verso il re. Forse erano astronomi; ma non a tutti coloro che erano in grado di calcolare la congiunzione dei pianeti e la vedevano venne il pensiero di un re in Giuda che aveva un’importanza anche per loro. Da Tacito e Svetonio sappiamo che, in quei tempi, circolavano attese secondo cui da Giuda sarebbe uscito il dominatore del mondo, un’attesa che Giuseppe Flavio interpretò indicando Vespasiano, con la conseguenza che entrò nei suoi favori (cfr. De bello ìud. HI 399-408).

Potevano concorrere diversi fattori per far percepire nel linguaggio della stella un messaggio di speranza. Ma tutto ciò poteva mettere in cammino soltanto chi era uomo di una certa inquietudine intcriore, uomo di speranza, alla ricerca della vera stella della salvezza. Gli uomini di cui parla Matteo non erano soltanto astronomi. Erano “sapienti”; rappresentavano la dinamica dell’andare al di là di sé, intrinseca alle religioni, una dinamica che è ricerca della verità, ricerca del vero Dio e quindi anche filosofia nel senso originario della parola. Così la sapienza risana anche il messaggio della “scienza”: la razionalità di questo messaggio non si fermava al solo sapere, ma cercava la comprensione del tutto, portando così la ragione alle sue possibilità più elevate. In base a tutto ciò che s’è detto, possiamo farci una certa idea su quali fossero le convinzioni e le conoscenze che portarono questi uomini ad incamminarsi verso il neonato “re dei Giudei”. Possiamo dire con ragione che essi rappresentano il cammino delle religioni verso Cristo, come anche l’autosuperamento della scienza in vista di Lui. Si trovano in qualche modo al seguito di Abramo, che alla chiamata di Dio parte. In un modo diverso si trovano al seguito di Socrate e del suo interrogarsi, al di là della religione ufficiale, circa la verità più grande. In tale senso, questi uomini sono dei predecessori, dei precursori, dei ricercatori della verità, che riguardano tutti i tempi. Come la tradizione della Chiesa con tutta naturalezza ha letto il racconto di Natale sullo sfondo di Isaia 1,3 e, in questo modo, sono arrivati al presepe il bue e l’asino, così ha letto il racconto sui Magi alla luce del Salmo 72,10 e di Isaia 60. In questo 48

modo, i sapienti venuti dall’Oriente sono diventati re, e con loro sono entrati nel presepe i cammelli e i dromedari. Se la promessa contenuta in tali testi estende la provenienza di questi uomini fino all’estremo Occidente (Tarsis = Tartessos in Spagna), la tradizione ha ulteriormente sviluppato l’universalità dei regni di quei sovrani annunciata con ciò, interpretandoli come re dei tre continenti allora noti: Africa, Asia, Europa. Il re di colore nero ne fa parte stabilmente: nel regno di Gesù Cristo non c’è distinzione di razze e di provenienze. In Lui e per Lui, l’umanità è unita, senza perdere la ricchezza della varietà. Più tardi sono state correlate con i tre re anche le tre età della vita dell’uomo: la giovinezza, l’età

matura e la vecchiaia. Anche questa è un’idea ragionevole, che fa vedere che le diverse forme della vita umana trovano il rispettivo significato e la loro unità interiore nella comunione con Gesù. Resta il pensiero decisivo: i sapienti dell’Oriente sono un inizio, rappresentano l’incamminarsi dell’umanità verso Cristo, inaugurano una processione che percorre l’intera storia. Non rappresentano soltanto le persone che hanno trovato la via fino a Cristo. Rappresentano l’attesa inferiore dello spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo. JOSEPH RATZINGER BENEDETTO XVI

Presentazione di Gesù al Tempio, Giotto , Cappella degli Scrovegni, Padova 49


CARITAS UNITA’ PASTORALE PARROCCHIE DI BOTTICINO

Buoni Lavoro

Si avvisano tutti gli abitanti di Botticino che la Caritas delle Parrocchie di Botticino offre un servizio allo scopo di aiutare chi è in difficoltà con il lavoro. Richiamandosi alla circolare ministeriale del 24 Marzo 2009 n° 44 ogni persona di ambo i sessi può eseguire lavori domestici saltuari fino al raggiungimento di 5000 € annui che verranno retribuiti, comprensivi dei contributi previdenziai e assicurativi FNPS e INAIL, con buoni di lavoro detti più comunemente Voucer. Il servizio che la Caritas intende fare è il seguente: Nelle tre frazioni di Botticino Sera, Mattina e S.Gallo ci sarà uno sportello presso gli oratori dove possono venirsi a registrare chi ha dei lavori da far eseguire e chi è in cerca di lavoro. Badanti, baby sitter, muratori, idraulici, falegnami, addetti alle pulizie cantine e solai, pulizia del verde ecc.. Inutile dire che chi è in possesso di partita IVA non può accedere a tali buoni mentre lo può separatamente dalla propria ditta o impresa naturalmente per soli lavori domestici e non continuativi. La registrazione consiste nel dichiarare: La professione principale, le generalità, il domicilio e i recapiti. Gli incaricati della Caritas si presteranno ad acquistare presso gli sportelli dell'INPS di Brescia i buoni necessari all'espletamento del lavoro da eseguire ed inizialmente a riscuotere presso l'ufficio postale la giusta retribuzione. Gli sportelli della Caritas intendono avviare il Servizio dal 1° gennaio 2013, nel frattempo il sabato pomeriggio dalle ore 16,30 alle ore 18,30 presso una stanza dell'oratorio di Sera verranno date a chi interessato tutte le informazioni necessarie.

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nasce

CONTO per BRESCIA

Il modo più concreto per aiutare chi vive vicino a noi. Cos’è ContoperBrescia. E’ la nuova iniziativa di solidarietà promossa dal Credito Cooperativo di Brescia in favore della Caritas Diocesana di Brescia al fine di sostenere concretamente le persone e le famiglie dei nostri comuni e dei nostri quartieri in difficoltà economica a causa del perdurare della crisi. Chi si aiuta concretamente Le famiglie ove un genitore ha perso il lavoro o è in cassa integrazione, in arretrato con le rate del mutuo o le rette dell’asilo dei figli. I genitori separati che non riescono ad arrivare a fine mese. I pensionati che faticano a pagare le bollette del riscaldamento. Gli ammalati che necessitano di medicine o visite specialistiche e non possono più sostenerne i costi a causa del carovita. Dove arriverà l’aiuto Tutte le donazioni saranno accantonate nel Fondo di assistenza Briciole Lucenti gestito dalla Caritas Diocesana di Brescia. Attraverso questo Fondo le numerose Caritas sul territorio potranno ricevere un contributo in proporzione al numero di nuovi conti correnti aperti presso la filiale del Credito Cooperativo di Brescia a cui fa riferimento la Caritas più vicina. Quanto sarà donato Non si sa esattamente quanto sarà devoluto grazie a questa iniziativa. Di certo è che per ogni nuovo Contoperbrescia aperto, la nostra banca devolverà la somma di € 100. La nostra scommessa? Poter donare oltre 100.000 € in un solo anno. L’impegno del credito cooperativo di brescia È in questo contesto di difficoltà economica che la banca si è impegnata a promuovere questa nuova iniziativa attraverso la proposta di ContoperBrescia. Una soluzione di conto corrente che non guarda al profitto, in linea con i principi cooperativi della mutualità senza fini di speculazione privata a cui da sempre la banca si ispira, perseguendo il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche delle persone che vivono e lavorano sul proprio territorio. Quale segno tangibile dell’importanza riservata all’iniziativa, il 30 ottobre 2012 la Banca ha donato a Caritas Diocesana di Brescia la somma di € 25.000 . 51


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia

UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINO

Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per la famiglia e... dintorni

La casa sulla roccia:

Sulla roccia di Cristo sorge la famiglia come Chiesa domestica novembre 2012 autenticamente significate nel matrimonio sacramento tra un uomo e una donna. La famiglia cristiana, fondata sul sacramento del matriCon un piglio diverso, guardando anche il lato delle framonio è come una piccola Chiesa, una Chiesa domestica. gilità umane, risulta fruttuoso mettersi in ascolto di un braMa in che senso possiamo comprendere il significato pre- no matteano, dove si parla di un importante invito ad un gnante e le diverse sfumature di questa bella affermazione? banchetto nuziale. “Il Regno dei cieli è simile a un re, che Se la lettura delle realtà con le molte testimonianze o l’in- fece una festa di nozze per suo figlio...” (Mt 22,1-14). trodursi nella grande tradizione ecclesiale sono sicuramenNella narrazione si manifesta in alcuni personaggi una te strade fruttuose, non di meno hanno sempre bisogno di persistente fatica nell’ascoltare e nell’accettare l’invito alla ricevere luce dalla Parola di Dio, capace di chiarire nella ve- festa, che volge al dramma quando vengono cambiati derità e accompagnare nella carità. stinatari o quando si scorge un tale entrato nella sala del Prendendo per intero e in maniera unitaria il testo bi- banchetto in maniera inadeguata... blico, balza subito agli occhi l’evidenza della prassi divina Vista la metafora, non mi sembra fuori luogo pensare al nonel suo manifestarsi salvifico: quando Dio parla lo fa con stro argomento. misericordia e attraverso le relazioni umane, prediligendo I primi invitati rassomigliano a coloro che, pur ricevendo quelle coniugali e familiari. il dono del sacramento del matrimonio, faticano ad obbeOra, però, per non dilungarci troppo, è meglio fissare dire a questa vocazione come strada stupenda di santità, l’attenzione su di un paio di brani scritturistici, l’uno tolto dimenticando di coltivare la fede nella relazione coniugale. da San Paolo e l’altro dal Vangelo di Matteo. Quel tale, poi, che non porta l’abito adatto per la festa di Nella Lettera alla comunità di Efeso (Cap. 5), San Paolo nozze, mi ha fatto ricordare i tanti sposi che, sia tra loro intreccia l’amore coniugale degli sposi all’unione tra Cristo che verso la Chiesa, non vivono uno stile stabile (abitus) di e la sua Chiesa, definendo quest’ultimo vincolo il “Miste- vita coniugale buona, con una qualità cioè cristiana, trascuro Grande”. Tale espressione, così solenne e suggestiva, ci rando così l’esigenza intima di portare frutto in un amore trasmette la verità secondo cui il piano di salvezza divino traboccante di testimonianza. si riassume e trova il suo apice in queste mistiche nozze. Ancora una volta, quindi, riconosciamo che sposarsi nel Lo stesso apostolo compie qui una duplice operazione: da Signore è realmente prendere parte all’amore di Cristo; allo una parte, annuncia la salvezza attraverso il Messia e il suo stesso tempo è formare il tessuto basilare della Chiesa, nuovo popolo; dall’altra, riconferma e ridisegna in sovrab- Sposa e strumento di salvezza per tutta l’umanità, attraverbondanza l’importanza dello sposalizio tra un uomo e una so le relazioni di dono e nella forma comunitaria. donna, indicandolo come segno supremo ed efficace di riLa famiglia che sgorga da questa sorgente è così a pieno presentazione delle mistiche nozze. titolo una Chiesa domestica, chiamata a nuzializzare l’inteCosì, il matrimonio in Cristo, cioè nel suo amore all’in- ro popolo di Dio, secondo linguaggi e strumenti originali, terno della Chiesa, ne diviene la manifestazione più eviden- benedetti ed insostituibili. te, pur non essendo ovviamente l’unica. Allora, una prima risposta alla nostra domanda iniziale dicembre 2012 potrebbe essere espressa in questo modo: la famiglia è reL’immagine della casa, come spazio di comunione e di colativamente alla grande Chiesa come una chiesa domestica, munità, diventa un buon tramite per comprendere e tenere dal momento che le mistiche nozze, tra l’Agnello Reden- insieme sia la realtà della famiglia che quella della Chiesa. tore e la Santa Gerusalemme (Ap 21) sono contenute ed In entrambi i casi, infatti, l’idea del costruire stabilmente e 52

dell’abitare protetto vengono affermati senza mezzi termini, aprendo molteplici e ulteriori occasioni di punti di incontro nell’unico segno. Anche il nostro tema annuale, espresso sinteticamente con il titolo: “Famiglia, chiesa domestica”, trova nella metafora della casa un chiaro spunto di riflessione, percorrendo via via le varie parti che compongono una dimora. Prima, però, iniziamo col considerare la collocazione dell’abitazione. La scelta sul dove costruire una casa non è affatto indifferente; molte considerazioni si aprono al riguardo, ora di ordine tecnico-pratico, ora in merito ai gusti e agli affetti. Assodata la possibilità di realizzazione, a qualcuno potrebbe piacere una casa in riva al lago, ad un altro se posta su di un bel colle, come a qualcuno potrebbe legittimamente garbare di abitare in un luogo pianeggiante, oppure in città, ecc... In altre parole, se dall’immagine passiamo alla realtà, i che ambiente far vivere la propria esperienza di coppia e di famiglia? Come collocarsi nella comunità dei credenti, la Chiesa? L’ampio panorama e la salubre natura sono elementi che si possono trovare facilmente in montagna, come di contro un po’ di isolamento e il pericolo di frane fanno rivedere il simpatico quadretto della capanna sullo spuntone della roccia. La pianura offre sicuramente una sensazione di pace e di facilità del vivere, ma alla lunga ci si potrebbe stancare del piattume e dell’aria troppo calda, pesante. Certo, chi vive in riva al lago dà l’idea di aver optato per l’esperienza romantica, sfruttando a puntino gli opposti momenti della giornata (l’alba e il tramonto) per godere della scelta. Anche qui, però, si sa che la bella stagione non dura sempre e che lo scenario non è più così piacevole con l’avvento del grigiore dell’inverno, con vento e gelo che la fanno da padroni. Da ultimo, il vivere in città riserva importanti vantaggi, come i molti servizi a disposizione e le diverse opportunità di incontro, ma ugualmente bisogna guardare insieme alla fatica di condividere spazi ristretti e di assorbire un più elevato inquinamento. Insomma, nessun luogo è così perfetto o completo per scegliere di abitare, a meno che...i criteri si spostino dalle considerazioni di praticità, di estetica e di opportunismo individuale, ai valori di tipo relazionale. Allora, ogni situazione può diventare bella e ogni difficoltà viene affronata con speranza se hai qualcuno da amare, se hai un grembo fiducioso che ti accoglie. Sono le relazioni benefiche e importanti che trasformano tutto l’universo, per il fatto che cambiano il modo di vedere, di sentire e di gustare ogni istante. Insomma, noi viviamo solo in relazione a Dio che ci ama e ci salva, agli altri verso i quali mutuamente dobbiamo vivere il perdono e verso il mondo in cui dovremmo essere amministratori responsabili. Il radicarsi in un territorio

Appuntamento

Santa Messa per famiglie, fidanzati e animatori della pastorale familiare. Ogni ultimo sabato del mese. alle ore 21 Centro Pastorale “Paolo VI”.

specifico, normalmente, è tipico e quasi scontato per una famiglia, come lo è ancor di più per l’immagine della casa; questo, però, non ci deve fermare nel riflettere sul significato di questa speciale “incardinazione” (termine utilizzato per indicare, ad esempio, la diocesi di appartenenza di un sacerdote e dove spesso si svolge il servizio). Il sacramento del matrimonio conferisce il ministero della comunione - fecondità a favore di tutta la Chiesa, con linguaggi e modalità certo specifiche, ma ugualmente fondamentali e irrinunciabili. Non è mai, quindi, un caso o un completo libero arbritrio abitare in un posto o in un altro, assumere una modalità di vita e non un’ altra; se sappiamo ascoltare bene...c’è sempre un grande disegno d’amore a cui aderire, quello di Dio! Le radici di una famiglia devono attingere dalla inesauribile e benefica sorgente dell’amore coniugale, abitato e trasformato dalla presenzaì di Gesù Cristo. Solo così la piccola chiesa domestica potrà fondare e nutrire la grande Chiesa universale. Nello sterminato campo del mondo, anche con il sacramento del matrimonio il Signore fa crescere il suo Regno, piantando il potente seme dell’amore fedele e misericordioso, totale e fecondo. Che dire, quindi, della sostanza e dello stile di vita delle nostre famiglie? O quanto ci preoccupiamo di essere utili strumenti nelle mani del Salvatore per essere sale e luce della terra? In un tempo di perdita di fede e di rilassamento morale, la nuova evangelizzazione passa necessariamente nelle case dei cristiani: qui bisogna vivere e rinnovare un’autentica “plantatio ecclesiae”, un innesto sincero e un radicamento forte del Vangelo nelle storie concrete, quotidiane degli uomini, partendo proprio dai più vicini... don Giorgio Comini

segretariato diocesano pastorale familiare

Pomeriggi di spiritualità coniugale presso Chiesa della S. Famiglia di Nazaret Fantasina - Cellatica (ore 16.00 - 18.00). CALENDARIO ANNUALE: -Domenica 22 gennaio Domenica 26 febbraio - Domenica 18 marzo Domenica 15 aprile - Domenica 27 maggio 53


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La casa-famiglia nel Nuovo Testamento È doveroso in questi giorni soffermarci sulla vita di un sacerdote bresciano che guardando ad una famiglia del Vangelo e leggendo le necessità del suo tempo ha fondato la Congregazione S. Famiglia di Nazareth e la Congregazione delle Suore Umili Serve del Signore: Padre Giovanni Piamarta (1841-1913) proclamato santo il 21 ottobre scorso. Padre Piamarta ha parlato spesso dell’esperienza familiare di Nazareth dove si lavorava, si pregava e ci si voleva bene. Qui il Figlio di Dio ha imparato un lavoro necessario per vivere nella bottega di Giuseppe, ne ha sperimentato la fatica e vissuto l’importanza della costanza, della professionalità e dell’onestà ma anche la solidarietà con chi era nel bisogno. Per questo il nome della Congregazione esprime la sua preoccupazione di preparare i giovani alla famiglia, attraverso la formazione al lavoro e la formazione del cuore, in un clima educativo familiare di servizio. Dal suo diario due brevi passaggi: “ La mia vocazione era quella di pensare ai ragazzi bisognosi di tutto. Ho dovuto inventarmi così un nuovo stile di vita, in parte assai simile a quello dei genitori i quali devono portare avanti la famiglia, provvedendo non solo all’anima ma anche al corpo dei figli, facendo non pochi sacrifici e che, contemporaneamente devono pensare alla loro educazione. Mi sono accorto che queste occupazioni possono portare lontano dal Signore, se ci assorbono totalmente. Mentre possono avvicinarci più sicuramente a Lui se vissute come servizio a Dio nei suoi figli”. “Per “educazione cristiana” ho inteso l’educazione integrale, fatta di preparazione tecnica e di formazione spirituale, per aiutare i giovani a realizzare in una famiglia cristiana. Quale modello proporre? Quello della società attuale che va allontanandosi da Dio e ingolfandosi nella materia e nella corruzione presenta il modello di una famiglia senza basi sicure? Io porto volentieri i miei ragazzi con il pensiero a Nazareth, dove si lavora e dove si vive un amore maturo, cioè ci si vuol bene in tutte le situazioni. Quando oggi si parla d’amore si intende il più delle volte la passione e l’istinto. Ed ecco i frutti: famiglie scisse. Presto sorgono discordie e separazioni. E i figli? ...L’amore maturo esige accettazione dell’altro, comprensione reciproca, capacità di sacrificio per il bene della famiglia: tutto questo brilla di luce splendida nella Santa Famiglia di Nazareth. Guardare per imparare. E poi pregare per imitare, perché l’amore maturo è un’arte impegnativa.” Come lui stesso testimonia, per poter lasciare opere educative e di avviamento al lavoro tuttora viventi, pregava due o tre ore al mattino, prima di iniziare la giornata. 54

La famiglia di Anna e Gioacchino La loro famiglia non è menzionata come tale nei Vangeli canonici. Tutto quello che sappiamo su Anna e Gioacchino viene dalla tradizione e dagli Apocrifi. Ben diverso è per Maria, che non è solo madre o sposa ma anche figlia, la loro. Sono parte di quella catena di generazioni familiari e di fede con le quali inizia il Vangelo di Matteo. Questi due ebrei, molto devoti, sposati da venti anni invocano aiuto al Signore per il dono dei figli, promettendo che se fossero stati esauditi li avrebbero donati a Lui. Hanno sicuramente educato Maria ad ascoltare la voce di Dio, ad essere accogliente …. Alcuni spunti da questa storia familiare dell’ AT che contribuisce a modo suo, attraverso la figlia Maria alla Nuova Alleanza: -Affidare al Signore la vita coniugale e familiare, fare spazio all’azione del suo Spirito in noi. Allora fiorisce la novità di Dio, inaspettata. -Ogni figlio è una benedizione e “ricevuto dal Signore” Gen 4,1, non è proprietà ne un diritto dei genitori, ma un dono. La sua vita diventa una grande ricchezza per sé e per tutti se viene aiutato a scoprire che essa va donata. -La vita è chiamata, vocazione. E’ importante aiutare i figli (e i nipoti) a scoprire che bisogna rispondere e come. La catena dei “si faccia di me secondo il Tuo volere” diventa storia di salvezza per tutti. -Generare alla vita e contemporaneamente alla fede è il regalo più bello che si possa fare a un figlio. - La generazione è la continuazione della creazione (Lettera alle Famiglie n. 9) -Questi nonni dichiarati Santi ci testimoniano l’importanza e la necessità di adulti e anziani che siano un riferimento e il valore della solidarietà tra le generazioni. Non si educa da soli. Chiara Pedraccini

Dall’Omelia di Benedetto XVI per l’ apertura del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione (7 ottobre 2012) l tema del matrimonio, propostoci dal “I Vangelo e dalla prima Lettura, merita a questo proposito un’attenzione speciale. Che

cosa dice oggi a noi questa Parola? Mi sembra che ci inviti a renderci più consapevoli di una realtà già nota ma forse non pienamente valorizzata: che cioè il matrimonio, costituisce in se stesso un Vangelo, una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo scristianizzato. L’unione dell’uomo e della donna, il loro diventare «un’unica carne» nella carità, nell’amore fecondo e indissolubile, è segno che parla di Dio con forza, con una eloquenza che ai nostri giorni è diventata maggiore, perché purtroppo, per diverse cause, il matrimonio, proprio nelle regioni di antica evangelizzazione, sta attraversando una crisi profonda. E non è un caso. Il matrimonio è legato alla fede, non in senso generico. Il matrimonio, come unione d’amore fedele e indissolubile, si fonda sulla grazia che viene dal Dio Uno e Trino, che in Cristo ci ha amati d’amore fedele fino alla Croce. Oggi siamo in grado di cogliere tutta la verità di questa affermazione, per contrasto con la dolorosa realtà di tanti matrimoni che purtroppo finiscono male. C’è un’evidentecorrispondenza tra la crisi della fede e la crisi del matrimonio. E, come la Chiesa afferma e testimonia da tempo, il matrimonio è chiamato ad essere non solo oggetto, ma soggetto della nuova evangelizzazione. Questo si verifica già in molte esperienze, legate a comunità e movimenti, Il Gruppo Galilea è un cammino di ma si sta reafede per persone che vivono situazioni malizzando semtrimoniali difficili o irregolari (es. divorziatipre più anche risposati). Gli incontri sono mensili, nel tessuto al centro la Parola di Dio, con ampi delle diocesi spazi di ascolto, riflessione e condivisione. e delle parrocOgni primo sabato del mese. chie, come ha Gli incontri si tengono da calendario annuadimostrato il “Retrouvaille” propone weekend per le, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, coniugi che vivono un momento di recente Incon(situato in via Gezio Calini, 30 - Brescia) difficoltà, di grave crisi, che pensano tro Mondiale un sabato al mese, alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una dalle ore 17.00 alle ore 19.00. delle relazione di coppia chiara e stabile. Guida e accompagnatore del Gruppo è Familie”

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896

Per info: info@retrouvaille.it e www.retrouvaille.it.

don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio

Diocesano di Pastorale Familiare. 55


Ritualità e famiglia

Pane vino terra la preghiera di presentazione dei doni

C

on la processione e l’offerta del pane e del vino, frutti della terra e del lavoro, i cristiani portano all’altare la loro vita: la fatica nello studio e nel lavoro, la mortificazione del corpo sottoposto ai ritmi e allo stress quotidiano, le solidarietà realizzate, gli incontri e le amicizie... Sono il loro sacrificio che si unisce a quello del Signore. L’offertorio è il momento che prepara il memoriale della croce e la comunione con il Risorto. Insieme a Cristo crocifisso tutto potrà trovare senso, con Cristo risorto ogni cosa potrà essere trasformata. Nell’Eucaristia avviene infatti un incrocio di doni: i fedeli offrono a Dio ciò che è da Lui stesso donato, ricevono da Lui ciò a cui essi pure contribuiscono. Nella preghiera performati-va delle offerte, la terra è celebrata come dono di Dio e il lavoro è santificato. La necessità quotidiana di lavorare è elevata verso il cielo, è innalzata come segno del «più-che-necessario». La fatica e la durezza della quotidianità sono riscattate dal loro destino di maledizione. Nella santificazione del lavoro è dato un senso alla quotidianità che rende possibile la sua trasfigurazione. Secondo la Bibbia il compimento del lavoro, la sua garanzia di «umanità», è il sabato, giorno del riposo e del Il lavoro esprime l’alleanza tra Dio. l’uomo e la terra e continua la creazione. Il lavoro dell’uomo e atto di culto. obbedienza. consegna di sé a Dio che tutto ha creato per l’uomo.

godimento, tempo dedicato alla ricerca dell’«unica cosa necessaria» (Lc 10,41), del Solo che può dare felicità e senso: Dio. La terra è Suo dono, l’uomo ne è il custode. Adamo impone il nome, stabilisce un rapporto, assume una responsabilità (Gen 1 e 2). La creazione non è un atto concluso, l’universo è in «espansione» e la persona umana è uno degli artefici. Sono tre i protagonisti chiamati a stringere alleanza: Dio, l’umanità e il cosmo. Il lavoro esprime questa alleanza e assume il compito di continuare la creazione. Il frutto del lavoro è redento nella prospettiva della vita eterna. La terra, definita liturgicamente come espressione concreta e quotidiana della tenerezza e della provvidenza di Dio, è data a tutti. Si partecipa al dono della creazione attraverso il lavoro. Così la liturgia fonda il lavoro come un diritto. La presenza dei poveri (la disoccupazione) è segno di un travisamento del progetto di Dio e di una contraddizione nella vita collettiva. Per questo Dio li ama di un amore di parte e se ne prende cura.

«Prega e lavora»

Così san Benedetto riassumeva la vita cristiana. Questa sintesi è fondata sull’Eucaristia ed è resa esplicita dalla ritualità liturgica dell’offertorio. La santificazione del lavoro non è l’aggiunta dall’esterno di qualche buon motivo di consolazione religiosa, dentro l ’a l i e n a z i o n e del presente, l’abbrutimento della fatica, della noia e del non senso. È invece la concreta sequela di Gesù 56

Cristo all’interno della professione e del lavoro. La santificazione del lavoro, nel suo significato cristiano, è la ricerca di quegli intermediari che trasmettono, iscritte nel quotidiano, le espressioni del senso e della luce (della «poesia», necessaria come il pane, scriveva Simone Weil) che riscattano il significato esclusivamente materiale del lavoro e impediscono che l’economia si riduca a un sistema chiuso al valore delle persone e sia lasciata ai giochi della concorrenza e della prestazione. Oggi è particolarmente avvertita l’esigenza di un tipo nuovo di santità che porti Dio nel mezzo della vita quotidiana, che renda la fede segno della solidarietà universale e della comunione con ogni persona che soffre e che lotta, che faccia rivivere le grandi aspirazioni di solidarietà e di giustizia che possono ridare prospettive e speranza a un’umanità oppressa e smarrita. Ma come è potuto capitare che la «religione dell’incarnazione» sia diventata, in troppe occasioni, sale insipido, fermento spento, proprio a riguardo del lavoro e dell’agire sociale? Dal riferimento al mistero del Crocifisso si è sviluppata, a volte, una catechesi fallimentare sul piano della concretezza della vita, un’etica astratta e manualistica fuori dalla storia e dal mondo, una spiritualità dove si celebra la scissione e l’incomunicabilità tra le realtà ultime (quelle «religiose») e quella storiche («mondane»). Conosciamo le conseguenze di questi tragici errori: da una parte la fede ridotta all’insignificanza, dall’altra, il lavoro impoverito del suo senso, alienato, corrotto, ridotto alla sua necessità e materialità. Parallelamente la festa si è svuotata del suo senso, diventando evasione e incapacità di celebrare il frutto del lavoro e la riconoscenza al Creatore. Non potrà darsi alcuna santificazione del lavoro, se non all’interno dello sforzo per superare come scivolose

tentazioni quegli atteggiamenti, di pensiero o di vita concreta, che dividono ciò che nel mistero eucaristico del Cristo Uomo-Dio è inseparabile, le cose ultime dalle penultime, la vita eterna dal pane quotidiano: pane, vino, terra dalla vita eterna.

Il pane, intermediario dell’amore familiare

La liberazione dalla schiavitù del lavoro, che la liturgia opera nella forma più radicale, va preparata dalla vita familiare. Il lavoro e la professione, il rapporto con il denaro e con la fatica della quotidianità sono dimensioni necessarie della vita familiare ma anche importanti valori etici da riconoscere e coltivare. Ciò che si vive sul posto di lavoro ha a che fare con le attese più naturali e irrinuncia-bili delle persone. Molto di quanto sperimentato nel lavoro quotidiano è portato in casa; consapevolmente o meno, diventa tema di conversazione o motivo di silenzio, erode o rinsalda la stima di sé e la fiducia nella vita. I problemi economici e legati alla professione provocano tensioni e ansie (le incertezze sulle prospettive di lavoro), sentimenti di inadeguatezza e frustrazione (nei tempi di cassa integrazione o di disoccupazione), serie preoccupazioni (nei momenti ricorrenti di crisi economica), competizioni e rotture nella coppia (per il poco tempo che rimane per il dialogo e la vita insieme). Preoccupazione e frustrazione rendono i genitori taciturni o insofferenti, fanno sorgere problemi d’intesa e di comunicazione. Il lavoro è, dunque, il tema forte dell’esperienza delle mamme e dei papa e, spesso, motivo di preoccupazione per il futuro che accomuna genitori e figli. L’assillo delle raccomandazioni dei genitori a proposito dello studio è, invece, argomento costante delle discussioni con i figli. Scuola e lavoro possono diventare due grandi terreni dell’incontro intergenerazionale, due importanti occasioni di comunicazione, dove la famiglia può concretamente spingersi oltre i ristretti confini dello scambio affettivo per diventare, nella diversità dei ruoli e delle responsabilità, spazio di riflessione e di crescita etica. Il pane portato in tavola racconta e, al tempo stesso, riscatta questa comune fatica. Riveste, per questo mo-

tivo, un significato simbolico fondamentale. Il lavoro dei genitori è tutto riassunto nella metafora del «guadagnarsi il pane», il dono familiare nell’immagine del «levarsi il pane di bocca» per offrirlo. Cibo e bevanda, nella conversazione familiare e nelle ritualità della tavola, diventano intermediari dell’amore. Si può arrivare a casa sfiniti dal lavoro ma sedersi tavola appagati, perché quella fatica è considerata segno e strumento d’amore, oppure umiliati ed avviliti, perché tutto è sentito solo come peso e obbligo. Il lavoro è lo stesso ma il vissuto, che l’accompagna, no. Il cibo è consumato nei due casi, ma la tavola è un’altra cosa.

«Benedetto nei secoli il Signore...»

La liturgia insegna la dignità di ogni lavoro umano.

scolastica e lavorativa come il lievito nella pasta, come la perla nel campo. L’Eucaristia domenicale svela, nellbffertorio, il volto luminoso della fatica quotidiana: «Fiorisci dove sei stato seminato!». «Ovunque tu sei, puoi fare qualcosa». «Tutto è dono: non fare della riuscita (carriera, stipendio...) il tuo obiettivo». «Tutto è grazia: quello che cerchi per te, cercalo per tutti (la solidarietà); quello che puoi fare tu, non aspettarlo dagli altri (la sussidiarietà)». Possiamo vivere il lavoro (lo studio, l’impegno, il servizio) come un risvolto dell’amore e della comunione. Tutto questo, però, è solo desiderio. Nulla ancora accade, fino all’evento del memoriale eucaristico. Senza la presenza reale del Signore si rimane nella cecità, perché non si riconosce ancora il Figlio, che apre gli occhi su quanto prima si era ascoltato e anche fatto. Seguire Gesù Cristo significa immergersi concretamente nella sua morte e risurrezione, come nel mistero della sua vita nascosta nella bottega di Nazaret. Così la dignità dell’attività umana è difesa da ogni abuso e appare chiaro che «avvilire il lavoro è un sacrilegio» (Simone Weil).

Il lavoro è parte necessaria della vita. È importante (ce ne accorgiamo quando manca) ma non è tutto. Da solo non può dare senso alla vita e le sue promesse di salvezza (progresso, denaro, benessere...) sono un pericoloso inganno. Il lavoro è innanzitutto necessità (si lavora per vivere) ma se si esaurisce a questo livello, risulterebbe invivibile ed alienante (si vivrebbe per lavorare). Il lavoro è benedizione quando chi lo compie vi esprime la dignità di essere immagine e somiglianzà di Dio; quando resta attività umana e non mera prestazione. È maledizione quando aliena, rende schiavi ed è vissuto come pura necessità. Possiamo, infatti, vivere scuola e lavoro come destino: vi siamo costretti, non attendiamo che il fine settimana... Oppure come vocazione: senza rifiutarne il dovere, senza limitarci ai loro risultati, li trasformiamo in occasione per amare e migliorare il mondo. La persona attraverso la scuola e il lavoro diventa quindi responsabile del dono di una creatività che la inserisce nel mondo come collaboratrice di Dio. Per questo il lavoro racchiude sempre una domanda di liberazione: il bisogno di essere orientato verso qualcosa di più grande, che tocca la vita umana e la sua pienezza, a una motivazione non limitata solo all’utile e al materiale. Il pensiero di Dio può Nel pane che presentiamoè tutta la essere nella tua vita nostra vita e il nostro lavoro. 57


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Ritualità e famiglia

IL SACRIFICIO

«Ritornato al centro dell’altare, il sacerdote, rivolto al popolo, allargando e ricongiungendo le mani, lo invita a pregare dicendo: Pregate, fratelli. Il popolo si alza e risponde: II Signore riceva. Dopo la risposta del popolo, il sacerdote, con le braccio allargate dice l’orazione sopra le offerte. Al termine, il popolo acclama: Amen» (OGMR 146).

L’

assemblea risponde all’invito, portando, insieme al pane e al vino, il proprio personale sacrificio, che da gloria al Signore. Ma sappiamo ancora che cos’è un sacrificio? Ai piedi dell’altare sono state deposte anche le offerte dei fedeli per partecipare alla solidarietà verso i poveri e alle necessità della comunità. È sufficiente questo gesto eucaristico per fare del rito cristiano un sacrificio personale? La secolarizzazione avanzata non sopporta neppure il nome del sacrificio. Ma senza l’esperienza del sacrificio si può ancora celebrare l’Eucaristia di Gesù Cristo?

La vita come un sacrificio

Fare sacrificio, in senso preciso, significa stabilire una comunicazione fra il sacro e il profano, attraverso l’intermediario di una vittima, di una «cosa» che è distrutta nel corso del rito. Tutta la Bibbia parla in questi termini della fede e così è presentata anche la vicenda e la morte di Gesù: il suo corpo è «dato in sacrificio», il suo sangue è «versato per la salvezza». Nell’Ultima Cena Gesù celebra il suo sacrificio e chiede alla comunità di continuarne il memoriale (il ricordo che diventa vita). La lettera agli Ebrei rivela la verità del sacrificio di Cristo e nello stesso tempo annuncia l’abolizione del sacrificio tradizionale. Dio non ha biNel pane e nel vino sogno di vittime recati all’altare sacrificali: una è simboleggiata l’offerta volta per tutte ha dì ciascuno dei presenti. consegnato il suo Figlio. Il vero culto consiste nella vita, donata come amore. Il sacrificio quindi rimane e il Cristo ne è il sacerdote. È il «sacrificio vivente del nostro corpo» (Rm 12,1). Non può esserci sacrificio senza «vittima» e senza spargimen-

to di «sangue». Un sacrificio addomesticato e reso innocuo non esprimerebbe nulla di sacro, di «tremendo e fascinoso». Si compiono oggi, ancora, sacrifici in questo senso preciso? Sì. Esiste un’esperienza quotidiana, che rimane più che mai «cruenta» perché lacerante e scorticante, e che la secolarizzazione può negare o rimuovere ma non può risparmiare. È la vita comune. Essa può costituire il sacrificio adatto da presentare all’altare. I capricci dei piccoli come dei grandi, l’umiliazione inflitta dall’arroganza, la delusione dell’incapacità di amare, il vincolo della Legge che si oppone alla libera espansione dei bisogni, sono le esperienze sacrificali che la vita in comune (in società, in famiglia, nella comunità, negli ambienti di vita) genera senza tregua.

La fatica del «crescere»

Noi siamo fatti «ad immagine e somiglianza» (Gen 1,26): è l’annuncio esaltante con cui si apre la Bibbia. L’immagine è iscritta nell’intimo (riconosciuta come opera della Grazia nel battesimo) ma alla somiglianzà si accede solo attraverso il sacrificio della «crescita», come appare evidente nell’infanzia. Non è una crescita che termina con lo sviluppo del corpo perché, nella vita interiore e spirituale, si rimane sempre bambini (Mt 11,17). La necessità della crescita si oppone all’arroganza di chi rifiuta la mancanza e pensa di esse re già nella completezza del desiderio realizzato. L’arroganza è la forma di ogni peccato, la causa del fallimento e della deriva dell’avventura umana (in Rm 5-7 Paolo contrappone continuamente Adamo a Cristo). L’arroganza è scatenata proprio dal limite posto della Legge. Nello stravolgimento della «somiglianzà», che non riconosce l’immagine ma vede solo se stesso e i propri bisogni (l’amore di sé fino al disprezzo di Dio), si concretizza il rifiuto di crescere ma questo assume la forma dell’angoscia. Tutta l’esistenza, fin dai primi giorni, è attraversata dall’angoscia: la paura, il pianto, il capriccio, la domanda esasperata e irresponsabile di considerazione, di sicurezza e di affetto, la tristezza, la noia e la demotivazione (ma anche l’invidia, la gelosia, la ripicca, l’immaturità affettiva, l’egoismo...). Secondo la Bibbia non è la creaturalità, non sono i limiti imposti dalla crescita, a condannare all’angoscia: essa si alimenta solo dal peccato. Ne è prova la presenza di un terzo: il serpente. Egli nega il sacrificio: incita al desiderio assoluto e 58

onnipotente («diventereste come Dio» Gen 3,4). Il peccato è verità impazzita: volere tutto, subito, non importa come. Questo atteggiamento usurpa l’immagine di Dio («verità») piegandola ai propri fini egocentrici («impazzita»). È stolta arroganza della propria autosufficienza, negazione del limite e della morte, rifiuto di crescere (cambiare) e di svilupparsi nella somiglianzà.

Dare senso al limite

II desiderio è impulso vitale a essere, capacità e virtualità di «voler essere». Essendo possibilità infinita, la sua legge è l’anarchia, il suo destino l’impossibilità. Si mettono in moto potenzialità, pulsioni, energie ingovernabili: il bambino vorrebbe sempre stare in braccio, pretende tutto ciò che desidera, urla, distrugge e rifiuta; l’adolescente diventa arrogante e aggressivo, manca di rispetto, non ha voglia e non dimostra interessi; il giovane si presenta irriconoscente e ingrato; i partner pensano alla propria individuale «autorealizzazione», si chiudono nella monotonia, non comunicano più. Il desiderio, nel divenire realtà, deve necessariamente essere delimitato (es. gli orari del mangiare per il bimbo, le regole sull’uscire e sul rientrare, il limite posto all’uso del denaro). Si cresce solo dando senso al limite, valore alla rinuncia, significato alla fatica e al sacrificio. Proprio qui sta la difficoltà: sentirsi limitati e coartati scatena l’angoscia, la sconfitta dell’onnipotenza, la paura di essere abbandonati. L’io organizza la sua rivalsa e diventa aggressivo (la mamma cara e dolce diventa d’improvviso «brutta e cattiva», il papa insopportabile, il partner fastidioso). Eppure questa dinamica di «mortificazione» (accettare che il desiderio venga delimitato nel momento in cui si realizza) è la condizione di ogni crescita, di ogni maturazione, di ogni conquista di felicità. La drammatica e rischiosa rigenerazione di sé attraverso il sacrificio appare più chiaramente riconoscendo, alla base dello sviluppo della personalità e della sua evoluzione, una reale diversità tra la persona e l’io. L’io e la persona si comportano in modi contrapposti: la persona si costruisce gradualmente, con molto sforzo e attraverso una continua trasformazione di se stessa. L’io s’impone, invece, impulsivamente e la «regola» del suo comportamento è la negazione delle regole. A ciò che la Persona pensa e si propone non corrisponde immediatamente ciò che l’io «agisce». L’agire dell’io è più simile al gioco, libero, spontaneo, frammentato, contradditto-rio. La persona è costituzionalmente aperta agli altri. L’io, invece, è preoccupato di sé, agisce qui e adesso in base al suo sentire immediato. La libertà della persona si attua nel suo continuo «trascendersi», nel tentativo del superamento di sé (il sacrificio) verso forme d’esistenza più autentiche. L’io è centrato, invece, su di sé. Limitato nella sua esperienza e nella percezione della realtà, vede solo quello che vede, non si accorge e non ammette di non vedere quello che non vede: è limitato alla sola immanenza. Non può andare contro se stesso: oltre alla sua esperienza, qui e ora, non ha altra percezione. L’io non può essere diverso da quello che è. La persona e il suo io sono in perenne conflitto, come bene si osserva quando l’io compie qualcosa che, in realtà, la perso-

na non vorrebbe: «Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto, lo so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo» (Rm 7,15.18).

Sacrificio è darsi

«Sacrificio» è molto più di «rinuncia». La cultura dell’io prevede la rinuncia: per il successo economico l’io può essere disposto a rinunce quotidiane, per il corpo in forma ricorre alla dieta... Il sacrificio, invece, distrugge. Obbedire, per esempio, significa non solo rinunciare a un bene che provvisoriamente viene negato. La frustrazione delle pulsioni produce umiliazione e non solo mancanza. Obbedire comporta la mortificazione dell’io, la resa di fronte ad un altro, l’opposizione radicale alla pulsione di voler essere. La metafora sacrificale è, dunque, la più appropriata per descrivere il travaglio della vita comune. Negli antichi sacrifici religiosi l’offerta è bruciata e non ri-

La vita di famiglia è un severo esercizio e un arrendersi che è vero sacrificio.

mane che la cenere. Il messaggio è evidente: «lo non sono. Quello che ho, l’ho ricevuto, lo non sono migliore degli altri. Tutto è dono.Tutto è grazia». Ciò che si distrugge nell’io non è, quindi, un oggetto ma una relazione; non si perde una «cosa» ma il «criterio di verità» che si è costruito per tutte le cose. Il sacrificio, infatti, è la messa in discussione dell’«arroganza», è la morte dell’«orgoglio» (peccato) dell’io che si considera autonomo metro di misura. Nell’antico dono sacrificale (le primizie della terra, l’offerta dell’animale) il fedele definiva il suo rapporto con la Natura, con gli altri e con sé: un rapporto di umiltà e di armonia, di grazia. Nel corpo dato in sacrificio, nel sangue versato, la consegna del Figlio di Dio esprime la sua totale sottomissione al Padre. Nei racconti dell’Ultima Cena, Gesù comincia a morire nello spezzare il pane. Il «capriccioso» instaura invece un rapporto di arroganza: «lo faccio ciò che voglio», «lo non ho bisogno di mio padre né di mia madre. Non ho bisogno di te. lo sono forte, io posso». E lancia la sfida. L’insuccesso è contenuto già nelle premesse: l’Io arrogante si pone fuori della realtà. 59


- pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

Famiglia e ritualità

gioni) dischiude a esperienze che, trascendendo l’orizzonte dell’io in scacco, aprono una via luminosa di liberazione. Nel rito eucaristico la «cosa» distrutta è l’arroganza (il peccato); lo spargimento di sangue è il dono di Cristo che continua nella lacerante lotta della crescita nell’amore.

L’Eucaristia è sacrificio

La dieta per la linea (quando è culto dell’immagine ) non è, così, un pasto sacrificale. Lo è, invece, il controllo del cibo per rispetto dell’altro: le regole dello stare a tavola, l’attenzione allo spreco, il senso della misura.

L’arrendersi è sacrificio

C’è un solo modo di sconfiggere l’orgoglio: la resa. Arrendersi, consegnarsi come ha fatto Gesù, corrisponde al sacrificio; ne realizza la metafora. Il sacrificio è la capitolazione dell’io quando acconsente di rinnegare il suo mondo immediato («Non la mia ma la tua volontà sia fatta» Lc 22,42). Nel sacrificio avviene un reale processo rigenerativo, simile a quello prefigurato negli antichi riti d’iniziazione con i tre pericolosi passaggi della separazione, della limi-nalità e dell’integrazione. Prima l’io si rispecchiava in sé, ripeteva e riproduceva inesorabilmente se stesso, incapace di creatività (separazione). Ora il sacrificio dispiega un mondo, dove l’io non è più autore: la realtà appare nella sua possibilità, finora neppure immaginata (li-minalità). La persona appare nella sua libertà: non c’è più mera ripetizione del passato né duplicazione del presente ma possibilità inedita di futuro (integrazione). Lo spettacolo del sacrificio è «cruento»: sconvolge un ordine, e non ne crea immediatamente un altro. Il vuoto si ripresenta in tutta la sua insostenibile crudezza. Il «sì» dellbbbedienza (non solo dei figli verso i genitori ma in ogni relazione) non lascia intravedere alcun vantaggio all’io che la patisce. Occorre ancora insistere sulla pericolosità di questo passaggio, sull’improponibilità del sacrificiò nella cultura dell’Io, perché spiega la difficoltà dell’educazione e da ragione della crisi profonda che attraversa la famiglia e ogni convivenza umana. Nel sacrificio l’io non è più confortato dalle sue «ragioni». Qui la vita comune può solo aprirsi al Mistero e alla sua grazia. Solo la parola «simbolica» (i capricci non vogliono sentire ra-

Perché oggi la Messa annoia? Perché i riti sono abbandonati? Perché non hanno fascino? Forse a motivo dei canti poco ritmati? o dell’aura poco sacrale? All’opposto: più il rito è banalizzato, meno parla. Ben poco può rimediare un’aura sacrale artefatta. I riti, defraudati del sacrificio, del suo rischio, del suo travaglio e della sua rigenerazione, si svuotano di ogni interesse. Al più sono vissuti come dovere o come obbligo. La sacralità dell’Eucaristia non sta nella sua forma esteriore ma nel dramma che rappresenta e ogni volta fa rivivere. I toni accomodanti, ritualistici o sacrali, creano solo noia, repulsione, alienazione. Il memoriale dell’ultima cena, o contiene la medesima «violazione del mondo» («tra di voi non sia così» Lc 22,26), la stessa «trasgressione» («vi è stato detto ma io vi dico» Mt 5,20ss) che causò la morte fisica di Gesù, o apparirà inutile, sale senza sapore... L’Eucaristia è sacrificio. La Messa fa tutt’uno con la vita. Il rito si differenzia dalla vita solo per rappresentarne il dramma e comunicare il dono di salvezza. «Il Signore riceva questo sacrifìcio... per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa»

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VIAGGIO ATTRAVERSO LA BIBBIA

Mosè e i suoi fratelli

Mosè affidato alle acque. olio su tela di Nicolas Poussin (1654). Oxford, Ashmolean Museum.

I

I libro dell’Esodo e gli eventi ivi raccontati sono inseparabili da Mosè, protagonista per eccellenza, di cui Dio si servì per far uscire gli Ebrei dall’Egitto e guidarli verso la terra da lui promessa. Sulla sua famiglia, le informazioni bibliche sono disconnesse, sparse in vari libri. Es 2 ci informa che i suoi genitori sono della tribù di Levi; i loro nomi, poi, li scopriamo solo più avanti (Es 6,20); Aronne, suo fratello, è maggiore di tre anni (Es 6,20; 7,7; Nm 26,59). Es 2,4 introduce Miriam in modo anonimo, individuata solo come «sorella», ma abbastanza grande di età, capace di discutere con la figlia del Faraone (Es 2,7). Solo in Es 15, cioè dopo l’uscita dall’Egitto, il lettore scopre che ella si chiama Miriam, quella stessa («profetessa») che più avanti canterà la vittoria del Signore sugli Egiziani. Di questa famiglia, solo le vicende di Mosè ci vengono tramandate in modo dettagliato, a cominciare dalla sua nascita, il cui racconto, in alcuni tratti, ha del leggendario (Es 2,8-22). Nonostante l’ordine di uccidere ogni neonato ebreo, gettandolo nel Nilo, tutte le protagoniste femminili del racconto disobbediscono al Faraone: le levatrici - ironia della sorte - pur essendo egiziane, «temono Dio» e mentono al Faraone; la madre di Mosè nasconde per tre mesi il suo neonato; infine, posto in una cesta, lo affida alle acque del Nilo; sua sorella lo segue dalla sponda del fiume; la figlia del Faraone, nonostante il decreto del re, non esita ad offrire la sua protezione e accetta la proposta di Miriam, riconsegnando il piccolo alla sua vera madre, addirittura assunta come balia. Sarà la figlia del Faraone a dare il nome a Mosè. La radice m.s. stando all’etimo egiziano, significa «figlio». Mentre la tradizione biblica lo fa risalire al verbo ebraico m.s.h., «colui che è stato tratto fuori». Ma sarà proprio lui, Mosè, che «tirerà fuori» gli Ebrei dalla loro schiavitù. Capo carismatico, Mosè lo è in modo evidente: Dio gli rivela il Suo nome, gli consegna le sue leggi, gli parla «faccia a faccia» (Dt 34,10); il suo ruolo è primario lungo la peregrinazione nel deserto. È Mosè che intercede per il popolo quando esso, stanco e sfiduciato, vorrebbe tornare in Egitto. Nonostante i molti prodigi che, attraverso di lui, il Signore riverserà sul suo popolo, Mosè patisce l’onta della cospirazione, tristemente anche da parte dei suoi stessi fratelli: «Maria e Aronne parlarono contro Mosè a causa della moglie etiope che aveva preso, poiché aveva sposato una donna etiope. Dissero: “Solo con Mosè ha dunque parlato il Signore? Non ha

forse parlato anche con noi?” Il Signore sentì. Or Mosè era l’uomo più umile di tutti gli uomini che sono sulla faccia della terra» (Nm 12,1-3). L’episodio citato sopra è preceduto da quello delle quaglie, reclamate nel deserto dal popolo che ha «nostalgia» dei cibi egiziani (Nm 11,5). Nm 12 è un brano unico nel suo genere, in cui vediamo insieme i tre fratelli, purtroppo nella discordia e nell’invidia. Nel racconto sono fusi due temi: l’indignazione di Miriam contro la moglie etiope di Mosè ed il rifiuto del ruolo esclusivo di Mosè come guida d’Israele. Miriam e Aronne, evidentemente, aspiravano a una partecipazione paritaria alla leadership, ma non era questa la volontà di Dio, che, sebbene avesse usato loro come profeti, chiarì inequivocabilmente che quello con Mosè era un rapporto più intimo (Dt 34,10). In particolare Miriam, da simbolo dell’unità nel condividere i trionfi e le speranze di Israele (Es 15), ora si erge a leader della discordia, della divisione e del malcontento. Nonostante la complicità con Aronne, è lei l’istigatrice e la promotrice della ribellione, accecata dalla gelosia e dalla paura di veder minate le velleitarie aspettative (Num 12,1): un posto di potere in una sorta di triumvirato. Nonostante il «noi», è Miriam che parla per tutti e due (in Nm 12,1 la versione ebraica lo mostra chiaramente, usando la forma singolare femminile del passato del verbo «dire» nella frase: «Aronne e Miriam parlò contro Mosè»): è rottura. Quello di Miriam e Aronne contro Mosè non è un parlare sincero, sebbene in disaccordo. Essi «parlano contro», cioè tramano alle sue spalle. La figura di profetessa di lei viene così deturpata dalla gelosia, resa meschina, poiché Miriam ha complottato di nascosto contro suo fratello. Con fine ironia, il narratore biblico precisa: (anche se si mormorava in privato...) «Il Signore udì». Dio ascolta, vede e smaschera quello che Miriam porta dentro: «Perché dunque non avete temuto dì parlare contro il mio servo, contro Mosè? L’ira del Signore si accese contro dì loro, ed egli se ne andò, e la nuvola si ritirò di sopra alla tenda; ed ecco Maria era lebbrosa, bianca come neve; Aronne guardò Maria, e vide che era lebbrosa» (Nm 12,8-10). 61


VIAGGIO ATTRAVERSO LA BIBBIA

VIAGGIO ATTRAVERSO LA BIBBIA Il tentativo di Miriam di privare dell’autorità e della stima il fratello, si rivolse così contro di lei: Dio ristabilì l’autorità di Mosè. La lebbra rende impuro colui che ne viene colpito e questa impurità, come quella di un morto, si trasmette a tutto ciò con cui si viene in contatto. Da «profetessa», Miriam ora assurge a simbolo di divisione: la lebbra era la risposta di Dio per aver peccato contro la verità (motivo per cui i lebbrosi erano visti come morti e perciò esclusi dalla comunità dal punto di vista sociale e cultuale). Mossi a compassione, Mosè ed Aronne intercedettero per la sua Mosè riceve le tavole della Legge, miniatura guarigione (Nm 12,8b-12) e, dopo una settimana d’isolamento, Dio francese dalla Bibbia di Montier-Grandval la guarì ed ella potè essere reinserita tra il popolo (Nm 12,14-15). secolo).Londra, British Museum. «Per un ebreo, la guarigione di un lebbroso ha la stessa portata «Il monteera(XI tutto fumante,era sceso il Signore della risurrezione di un morto. Si tratta di un’azione che Dio riserva nel fuoco»(cf.Es 19,18). a lui stesso e che si compie senza mediazione. Soltanto colui che infligge tale castigo ne può liberare». L’invidia, la gelosia, l’ingerenza verso l’altrui autorità, come abbiamo visto in questa vicenda familiare, sono sentimenti che, sì, sembrano offrire un’unica, negativa chiave di lettura, se con altrettanta negatività viene percepita la risposta divina. Ma l’epilogo del racconto corregge questa visione affrettata, istintiva, umana, al punto da concepirne, accettandolo, il carattere necessario: Miriam, alla fine, è stata restituita alla vita ed alla comunità. Questo, dunque, è l’insegnamento: il peccato di uno solo può bloccare il cammino di tutta una comunità, così come l’espiazione da parte di uno può invece liberarla.

Giosuè successore di Mosè La gelosia superata; paternità in nuce

G

iosuè (dal termine ysh’, cioè

«salvezza») I nella tradizione biblica assurge a figura di I eroe nazionale: con lui si apre la fase dell’occupazione della terra di Canaan, promessa da Dio ai patriarchii. Le sue vicende sono descritte nei ventiquattro capitoli del libro che porta il suo nome. Egli è figlio di Nun, nipote di Elisama (1 Cr 7,26-27), della tribù di Efraim (Nm 13,8.16; Gs 19,49). Mentre il libro dell’Esodo lo ritrae «giovane», «servo di Mosè che non si allontanava mai dalla tenda del convegno» (Es 33,11), il capitolo conclusivo del libro omonimo lo presenta come il conquistatore della Terra promessa, qualificandolo «servo del Signore» (Gs 24,29).

Sentimenti di invidia non risparmiano neanche il giovane Giosuè. Egli si mostra geloso per il dono profetico che viene esteso, oltre ai settanta anziani, anche ad altri due uomini dell’accampamento, Eldad e Medad (dalla radice e/ oc/, cioè «diletto/amato»): «Mosè uscì e disse al popolo le parole del Signore. Radunò settanta uomini tra gli anziani del popolo e li fece stare intorno alla tenda. Il Signore scese nella nuvola e gli parlò: trasse dello spirito che era su di lui e lo diede ai settanta uomini anziani. Quando lo spirito si posò su di loro cominciarono a profetare, ma non continuarono. Ma due uomini erano rimasti nell’accampamento: uno si chiamava Eldad, il secondo Medad. Lo spirito si posò su di loro: erano tra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda; e cominciarono a profetare nell’accampamento. Un ragazzo corse e lo annunciò a Mosè e disse: “Eldad e Medad stanno profetando nell’accampamento” Giosuè, figlio di Nun, aiutante di Mosè dalla sua adolescenza, disse: “Mosè, signor 62

mio, impedisciglielo” Mosè gli disse: “Sei forse geloso per me? Chi può dare dei profeti a tutto il popolo del Signore? È il Signore che da a loro il suo spirito”» (Nm 11,24-29). Il racconto presenta un Giosuè invidioso, che denuncia lo scandalo per un dono che reputa immeritato. Egli considera Eldad e Medad degli intrusi, a conferma di una presunta esclusività che dovrebbe competere solo al «suo» gruppo. Mosso da gelosia, non esita a supplicare Mosè di «catturare/imprigionare/sopprimere» (lett. dal verbo ebraico W) lo spirito di profezia. Mosè corregge Giosuè con risolutezza, come un padre il figlio: «Magari fossero tutti profeti!». La «gerarchia», da Dio proposta, si fonda sulla solidarietà ed accoglienza, libera per riconoscere e valorizzare i carismi, anche al di fuori delle zone di istituzioni. Tra le righe, già si profila una missione da consegnare, spiegata nella decisione di Mosè di cambiargli il nome: Gìosuè-Hoshea («salvezza») diventa Yeho shua’, ovvero «il Signore è salvezza/il Signore salva» (la lettera yod, infatti, ne fa un nome teofori-co). Yehoshua’ dovrà farsi tramite di quell’amore e libertà di Dio nei confronti di tutti gli uomini che tra-

valica ogni cattivo zelo e gelosia. In seguito Mosè lo eleggerà quale suo successore nella missione di guida d’Israele: è la paternità di Dio ad operare in lui, trasversale ad ogni legame di sangue. Su Giosuè infatti «riposa lo Spirito» e Mosè, per ordine di Dio, gli impone le mani, rendendolo così partecipe della sua autorità, al fine di assicurare, dopo la sua morte, un nuovo pastore a questo gregge (Nm 27,15-20).

Pastore, padre e salvatore: chi è il vero salvatore? Morto Mosè, Dio comanda a Giosuè di condurre oltre il Giordano gli Israeliti accampati di fronte a Gerico. Essi prendono possesso della Terra. L’impresa è costellata di eventi tali che anche oggi ne rendono difficoltosa la chiave di lettura. Di come, ad esempio, la prostituta Raab (da «ampio/largo») collabori a questo misterioso disegno di Dio, schierandosi dalla parte dei vincitori in cambio della vita (Gs 2,9-13): tassello chiave nella genealogia di Gesù (Mt 1,5). Dopo la caduta di Gerico, l’esercito di Giosuè marciò sulla città di Ai, nome dolente per il suono e per destino: Acan, nella conquista di Gerico, si era impadronito del bottino che era destinato allo sterminio, alla distruzione. Il voto di sterminio (da herem, «distruzione totale») ai nostri occhi potrebbe stridere con la concezione di un Dio misericordioso, ma Israele deve mantenere la sua identità, non può rischiare di degenerare nell’idolatria mischiandosi con i Cananei. Per questo motivo, la trasgressione del voto di sterminio è considerata come una violazione dell’antica alleanza’. Per comando divino, Giosuè fa lapidare Acan con tutta la sua famiglia; egli poi fu bruciato insieme ai suoi averi e fu sepolto sotto un mucchio di pietre nella valle di Acor - nome che significa «sventura» (Gs 7). Tra le imprese di Giosuè, degno di citazione è anche l’episodio di Gabaon, dove avvenne il miracolo del sole che ritardò a tramontare quasi per un giorno, fino alla vittoria totale d’Israele (Gs 10,12.40) In tutto questo tessuto, il libro di Giosuè evidenzia il raggiungimento di una méta (la conquista della Terra promessa) attraverso l’intervento divino e sotto la stretta osservanza della Legge. È il Signore a mettere in potere di Giosuè tutti i nemici, anzi, Egli è il vero conquistatore del paese che viene donato ad Israele.

Giunto alla fine, Giosuè, ormai vecchio, radunò tutte le tribù e proclamò un solenne discorso. Ancora una volta, come era avvenuto per il «salvato dalle acque», la paternità di Dio si fa presente: Giosuè ricorda agli Israeliti la storia passata, da Abramo fino a Mosè, scandisce gli interventi salvifici di Dio intercalandovi, a più riprese, i propositi di «togliere l’idolatria in mezzo a voi» e di «servire il Signore» (Gs 24). A sigillo di questo discorso paterno d’addio, Israele rinnovò l’alleanza a Sichem.

Giosuè, precursore del Salvatore

sè (cf J. Louis SKA, Discorso inaugurale dell’anno accademico 2000-2001 presso l’Istituto Teologico Marchigiano, Fermo, 2000). Come Giosuè, passato il Giordano, sconfigge i nemici, così Gesù, dopo il battesimo in quelle stesse acque, sconfigge le tentazioni, opera miracoli e, con il suo sacrificio, sconfigge il male peggiore: il peccato dell’uomo. Secondo Origene, «II libro di Giosuè mira non tanto a mostrarci le gesta di Giosuè, figlio di Nun, quanto a descriverci i misteri di Gesù» (Omelie sul libro di Giosuè, I, 3). Interpretazione, questa come Origene stesso la definisce - «spirituale», fondata, cioè, sulla convinzione che il testo biblico non solo narra dei fatti storici, ma attraverso di essi ci aiuta a riconoscere e a comprendere l’azione spirituale di Dio nella nostra vita. Ciò è possibile poiché lo stesso Dio che si rivela nell’Antico Testamento e porta a compimento la sua azione salvifica in Gesù, opera ancora oggi spiritualmente e invisibilmente nella nostra vita. Per Origene, l’ingresso nella terra promessa sotto la guida di Giosuè è «tipo», «figura» dell’ingresso di ogni credente nel regno dei deli sotto la guida di Gesù ed è l’unica azione salvifica di Dio che si dispiega con sorprendente continuità

Secondo molti commentatori, Mosè prefigura Gesù, «nuovo Mosè»: affermazione vera, ma incompleta. Per i suoi, Mosè rappresenta la Legge, è un profeta, garante di una nazione verso il Signore; parla al popolo, offrendo la sua bocca a Dio. Egli, però, è un Israelita come tutti gli altri (infatti muore nel deserto senza poter, egli stesso, condurre Israele alla Terra promessa). Il testimone passa così a Giosuè che, finalmente, guida Israele alla conquista della Terra Promessa. Il nome Giosuè («il Signore salva») richiama un altro nome, più eccelso: Gesù. Stesso nome, stesso luogo di origine del rispettivo mi- in tutta la storia dell’umanità: ai temnistero (il fiume Giordano), ma diversa pi di Giosuè, nella Pasqua di Gesù, missione: il primo introduce nella Terra nella vita di ogni uomo. promessa Israele; il secondo fa entrare i In estrema sintesi, Giosuè ricevetsuoi nel Regno di Dio. Gesù è il nuovo, te da Mosè un «testimone» di convero Giosuè, colui che salda il Nuovo quista per la salvezza di un popolo, Testamento al Pentateuco. Dio è Padre Gesù, al prezzo della croce, ricevette del suo popolo e dell’umanità in senso dal Padre suo un «mandato di salvezvero, ma trascendente (cf S.A. PANI- za» per l’intera umanità. MOLLE, Dizionario di spiritualità biblico patristica. I grandi temi della S. Scrittura per la «lectio divina»/} «Abbà Padre» Boria, Roma 1992, 10-11). In Gesù, la paternità di Dio si fa visibile e operante: «Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Pa are che è con me compie le sue opere”» (Gv 14,7-10). Infatti il suo ministero inizia sulle sponde del Giordano, laddove La presa di Gerico, da una copia si erano fermati i piedi di Mominiata (Francia XV sec.) 63


Tante domande …. quali risposte?

Scuola don Orione

SCUOLA PRIMARIA E SECONDARIA DI PRIMO GRADO

paritarie

via Don Orione 1 Botticino Sera

Perché iscrivere un figlio alla scuola paritaria? Quale futuro per le scuole cattoliche? Quale futuro per la scuola parrocchiale Don Orione?

Tempo di crisi economica e non solo, quindi di fronte alla scelta della scuola primaria o secondaria di primo e secondo grado, i genitori si interrogano su quale possa essere la scuola migliore per il figlio. C’è chi sogna scuole all’avanguardia dove imparare è solo divertimento, c’è chi invece desidera scuole serie Parrocchie di Botticino dove piegare “la gobba” su libri e compiti a non finire. C’è chi vuole essere presente e partecipe alla didattica, c’è chi si affida fiducioso nell’altrui operato, c’è chi aborrisce la scuola pubblica, troppo caotica,e chi odia la scuola privata, dove si dice vengano regalati voti e promozioni a suon di euro. Il pregiudizio è duro a morire. L’unica opportunità che una famiglia sinceramente interessata alla formazione, oltre che alla mera istruzione del figlio, ha è quella di informarsi andando direttamente alla fonte senza dare adito al “si dice” “ sembra che” di chi parla solo per sentito dire. Perché iscrivere il figlio alla scuola paritaria se già esiste e funziona un’ottima scuola pubblica senza costi per la famiglia? Per trovare un ambito più famigliare e solidale ? per avere un contatto più diretto con i docenti ? per paura? per alimentare illusioni di sicura riuscita del figlio? Non intendo addentrarmi nel discorso politico riguardante il criterio di equità e il diritto alla scelta che dovrebbe essere garantito ad ogni cittadino, come avviene nel resto d’Europa, compresi gli stati più laicisti, voglio invece condividere le idee dei genitori che hanno scelto la scuola cattolica e in particolare la scuola parrocchiale Don Orione. Sono sempre convinta che non esistono scuole buone e cattive, ma scuole che rispondendo ai criteri della pluralità e della complementarietà, possono garantire la possibilità di una scelta, perché no, a volte anche obbligata e calibrata alle esigenze di servizi che ogni famiglia ha. Ecco dunque le testimonianze dei genitori interpellati su quali sono gli aspetti caratterizzanti la nostra scuola: - Il rapporto umano con i nostri bambini, perché è la chiave per far amare lo studio così da essere innanzitutto un domani uomini e donne migliori - L’attenzione a chi fa fatica in un’ottica di integrazione- stimolo, con l’aiuto di chi ha la fortuna di avere successo a scuola -La Vostra scuola è da sempre conosciuta come molto seria, una scuola improntata anche sulla “persona”. Una scuola che ha un’impronta cristiana può trasmettere sicuramente dei valori maggiori, soprattutto in tempi come questi dove mancano tutti i valori più belli della vita . Mi piacerebbe molto che i bambini frequentanti la scuola primaria potessero gradualmente abituarsi al grosso cambiamento che dovranno affrontare (dall’asilo alla scuola è tutto un altro mondo) in modo naturale e non troppo dettato da programmi o altro. Ritengo infatti che curare anche la parte umana e psicologica nella loro crescita sia molto importante, hanno tanti anni per imparare tutto quello che a loro servirà. Una buona partenza è molto importante per creare delle ottime basi su cui costruire. “5 anni fa eravamo entusiasti della nascita della ns. scuola elementare e ci siamo sentiti i pionieri della Vs iniziativa per quanto riguarda il percorso formativo avviato. Eravamo consapevoli di inserire nostro figlio in un ambiente famigliare e cattolico, dato anche il periodo durante il quale c’erano 64

varie manifestazioni etniche per generalizzare l’insegnamento religioso riguardante altre realtà presenti nel ns. paese. Poiché G. ha frequentato un asilo con impronta cattolica ci sembrava giusto proseguire questo cammino. Sapevamo che gli insegnati sarebbero stati selezionati con un criterio diverso rispetto alle scuole pubbliche, cioè non a punteggio ma bensì con colloqui personali, ed abbiamo pensato che pur affrontando diversi sacrifici economici per noi era giusto offrire a ns. figlio una continuità nell’insegnamento dato che spesso nella scuola pubblica i docenti si alternano durante il quinquennio.Ns. figlio è stato sempre sereno e desideroso di rientrare a scuola dopo pause o malattie. Gli insegnanti si sono confrontati con noi e ci sono stati vicini sia a livello umano che didattico e si sono sempre resi disponibili, amano il loro lavoro e trasmettono l’entusiasmo agli alunni, un fattore molto importante per l’apprendimento e lo stato psicofisico dei bambini. La scuola allo stesso tempo ha messo a disposizione personale e strutture necessarie per creare un ambiente famigliare assistendoci anche in momenti di difficoltà. Un altro motivo è dato dal nostro lavoro, essendo mio marito imprenditore ed io la responsabile amm.va della stessa azienda, abbiamo valutato anche il fatto che il bambino potesse essere ospitato più ore dopo l’orario normale scolastico con le giornate a tempo pieno e con la presenza del servizio mensa e doposcuola che ci sono stati indispensabili per i primi anni,infatti 5 anni fa la primaria di Botticino Sera non garantiva la mensa e la classe sarebbe stata composta da bambini che facevano i rientri pomeridiani in maniera differenziata e logicamente non offriva il doposcuola. Abbiamo considerato ovviamente la vicinanza dell’istituto alla nostra abitazione, essendo cresciuto ns. figlio andando alle medie è in grado di essere autonomo anche durante il tragitto scolastico. Noi riteniamo che sia importante questo rapporto diretto di collaborazione scuola-famiglia in un ambiente sereno , garantendo continuità formativa e possibilità di crescita reciproca proseguendo il cammino presso la scuola media L’impressione generale è comunque che la passione, la determinazione e la volontà di tutti costituiscano l’energia necessaria che stimola la dinamicità della scuola stessa che considera gli alunni a livello umano e non numerico e dove i principi educativi sono pienamente condivisi dal ns. pensiero. Giova anche la collaborazione con la ns. parrocchia che abbina iniziative scolastiche- religiose e la socializzazione fra le famiglie che vivono nella stessa comunità. L’insieme di questi elementi menzionati ci ha portato alla decisione di inserire anche nostra figlia nella primaria e far proseguire gli studi di nostro figlio alla secondaria. Le ns. aspettative sono che la direzione scolastica mantenga la linea attuale e che continui ad accompagnarci con i servizi offerti ed anche le opportunità formative extrascolastiche che vengono proposte sia a livello psicologico con dei corsi per i genitori che artistico o ludico come quelli attuali. Riteniamo che sia necessario anche proseguire con il dialogo aperto nei confronti dei genitori anche se si sa che ognuno ha pensieri e ragionamenti diversi, ma il confronto secondo noi è il miglior sistema per affrontare anche le problematiche che possono “La Scuola Cattolica si insorgere, facendo sì che non ci siano degli ostacoli ma dei punti di arripone accanto alla famiglia e alla vo e d’incontro favorendo il raggiungimento dell’obbiettivo finale. realtà sociale ed ecclesiale come spazio Un ringraziamento particolare anche alla dirigente che si diculturale e formativo comunitario che promostra sempre attenta ed instancabile coordinando sia dipone e condivide, che coinvolge e ascolta, che si fa datticamente che “umanamente” la vita scolastica di tutti carico dei valori fondanti che costituiscono noi.” la vera ed autentica Educazione. Tutti noi conosciamo la facilità del demolire e la “fatica “ del costruire non una buona scuola, ...La Scuola Cattolica va sostenuta perchè svolge una missione del ma quelle buone relazioni che aiutano ad aftutto particolare e manifesta una ricchezza che va riscoperta e valofrontare qualsiasi ostacolo. rizzata: accanto alle competenze culturali e professionali che mirano Il nostro augurio: che la comunità di a costruire un futuro sicuro per le nuove generazioni, la Scuola Cattolica Botticino sia sempre più consapevole ha come obiettivo primariola promozione dell’uomo visto come creatura di della ricchezza che possiede e faccia Dio e lo vuole rendere capace di accogliere appieno le sfide di una nuova era, il possibile perché questa realtà contisalvaguardando, al tempo stesso la propria autonomia e la propria libertà” nui ad esistere ed operare

Luciano Monari, vescovo di Brescia

La preside 65


Il

IL SEGNO SUL VOLTO

2° tappa - avvento-natale

il volto dell’attesa

I volti delle mamme che aspettano un bambino parlano. Deve essere stato così anche per Maria. Nella sua attesa si è raccolta l’attesa di tutte le genti, di ogni tempo. L’attesa di ognuno perché ognuno di noi ha bisogno di qualcosa. E quando l’attesa si carica di speranza, quando l’attesa è piena di fiducia: ecco il Segno! Ecco sul volto la promessa del Signore che viene!

Vieni Signore Gesù, vieni nella nostra notte, Avvento: il tempo di avvento ci questa altissima notte la lunga invincibile notte, invita a gustare e scoprire il valore e questo silenzio del mondo dell’attesa. Un valore dove solo questa parola sia udita; del tutto umano e neppure un fratello conosce il volto del fratello che può scivolare tanta è fitta la tenebra nella pigriziao nell’inerzia se non è acceso dalla speranza. ma solo questa voce quest’unica voce L’avvento ci rivela un Dio questa sola voce si oda: Vieni vieni vieni, Signore! che si fa uomo e, Allora tutto si riaccenderà alla sua luce nel mistero del Verbo incarnato, trova luce il e il cielo di prima mistero dell’uomo (cfr. GS 22). e la terra di prima non sono più e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi Riscopriamo i testi del Concilio perché anche la morte non sarà più. (David Maria Turoldo - Ballata della speranza)

Da Gaudium et Spes˜22, ``Cristo l´uomo nuovo

In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è « l’immagine dell’invisibile Iddio » (Col1,15) è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’Apostolo: il Figlio di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l’esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato. Il cristiano poi, reso conforme all’immagine del Figlio che è il

primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell’amore. In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l’uomo viene interiormente rinnovato, nell’attesa della « redenzione delcorpo » (Rm 8,23): «Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm8,11). Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza. E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale. Tale e così grande è il mistero dell’uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!

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3° tappa - mese della pacee dell’educazione

la saggezza sul volto

Si dice che la prima impressione conti tantissimo in un incontro. E un volto, uno sguardo, un gesto di amicizia e di accoglienza sono alla base di un vero rapporto educativo. Ma costruire la pace ed educare non sono dinamiche a cui basti un momento: richiedono tempo, cura, costanza. Ecco perché in questo periodo, nel quale negli oratori celebriamo il mese della Pace e la settimana educativa, vogliamo ricordarci che la pace, come l’educazione, non è un traguardo ma un cammino.

La pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Settimana dell’educazione e mese delNon ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”. la pace: nella stagione invernale le nostre comunità colgono l’occasione per Sì, la pace prima che traguardo, è cammino. riflettere sulle modalità e i contenuti del E, per giunta, cammino in salita. proprio impegno educativo nei confronOccorrono attese pazienti. ti delle giovani generazioni. E scoprono che la saggezza non nasce tanto E sarà beato, perché operatore di pace, dall’età, quanto dall’incontro sincero non chi pretende di trovarsi all’arrivo con Gesù. senza essere mai partito, ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai - su questa terra s’intende Riscopriamo i testi del Concilio pienamente raggiunta. Da Gaudium et Spes˜39,

``Terra nuova e cielo nuovo´´

(Antonio “Tonino” Bello - La pace come cammino)

Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità e non sappiamo in che modo sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l’incorruttibilità; resterà la carità coi suoi frutti , e sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l’uomo. Certo, siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo

della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio. Ed infatti quei valori, quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre « il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace ». Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione. 67


x credere

x cercare

x condividere

piccola grande

fede

proposte di qualità adolescenti e giovani NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO durante la settimana varie opportunità di incontro di formazione per adolescenti e giovani nelle rispettive parrocchie presso i locali dell’oratorio

ZONA PASTORALE

GRANDE LA FEDE DEI PICCOLI itinerario di spiritualità per giovani

MARTEDI’ 16 APRILE ore 20,30 al Convento Francescani Rezzato

Corsi per animatori oratorio, per chi vuole fare esperienza in missione, per chi vuole specializzarsi in teatro, animazione e tecniche della comunicazione.... informazioni presso le parrocchie

Celebrazione penitenziale sabato 23 marzo 2012 ore 18.00

presso il Centro Pastorale Paolo VI segue Veglia delle Palme GIORNATA DELLA GIOVENTU’

Emmaus

per chi non esclude la vocazione sacerdotale, presso il Seminario diocesano in via Razziche n. 4 dalle ore 12.30 alle 18.00 nelle seguenti domeniche: 13 gennaio 2013 24 febbraio 2013 17 marzo 2013 28 aprile 2013 26 maggio 2013 23 giugno 2013

Progetto Giovani & Comunità quattro mesi di esperienza per i giovani e le giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la vita comunitaria e il servizio, si confrontano sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristiani info: Ufficio Caritas 030.3757746 Ufficio Vocazioni 030.3722245

Pellegrinaggi

Giornate di spiritualità per giovani presso l’Eremo di Bienno

La fede è vita

Ti seguo… a ruota

meditazioni del Vescovo Luciano 3-5 maggio 2013

(quarta edizione) Pellegrinaggio in bicicletta 28-30 giugno 2013 Pellegrinaggio per seminaristi, novizie, novizi e giovani in cammino vocazionale arrivo in Piazza san Pietro e incontro con il Papa 4-7 luglio 2013

Incontro europeo di giovani a Roma promosso dalla Comunità di Taizè informazioni presso le parrocchie 68

PARROCCHIE DI BOTTICINO

Sichar

DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

gruppo vocazionale diocesano per le giovani e i giovani dai 18 anni aperto al discernimento di tutte le vocazioni (vita matrimoniale, consacrata, missionaria,diaconale, presbiterale… )

Carnevale Botticinese

presso le Ancelle della Carità in via Moretto 33

Tema

seconda domenica del mese dalle 14 alle 19

nella fede, strade di luce 13 gennaio 2013

SFILATA DELLE MASCHERE E CARRI

ore 14,30 partenza dal villaggio marcolini

per il cieco di Gerico (Lc 18,35-43) 10 febbraio 2013 per i dieci servi (Lc 19,11-27) 10 marzo 2013 per gli abitanti di Gerusalemme

(Botticino Sera)

arrivo in oratorio a botticino sera

festa in piazza

con giochi, musica e frittelle

premiazione delle maschere e carri

(Lc 19,28-40)

14 aprile 2013 per Pietro (Lc 5,1-11) 12 maggio 2013 per Maria (Lc 1,46-56)

Esperienze

di carità di festa di fraternità di divertimento Scuola di Preghiera in Cattedrale

LA PREGHIERA E IL RICORDO DELLA FEDE presieduta dal Vescovo

quattro giovedì di Quaresima - ore 20.30 21 febbraio 2013 ho pregato perché non venga meno la tua fede (Lc 22,21-38) 28 febbraio 2013 pregate per non entrare in tentazione (Lc 22,39-46) 7 marzo 2013 Pietro si ricordò delle parole del Signore (Lc 22,47-62) 14 marzo 2013 ricordati di me (Lc 23,26-43) vegliando per i missionari martiri

FANTASIA

Informazioni presso segreteria tel. 030 2692094

LA CAMPANA DE LA CESA (da una poesia” di Trilussa) Che sunèi a fà: la disìa n’à campana, da on pò de tep èn sà, gh’è tanta zènt che la fà aparènsa neènt, ènvece de ègnér detèr, la sà slontana. Ona olta, apena dàe on bòt, la cesa I’era zà piena ma adés gò òia de fà l’altalena per ciamà i Crescià col batòcol. Se l’òm che ma sént él mà crèt miga, che diral Domine Dio? El disarà che l’me sunà l’è piò bù de risveglià la Fede. No! La rizù te la spieghe me; èl gà dit on Angilì, sintat zò sò l’oradèl dèi cop, l’è miga culpa tò, cara campana, se tà set miga buna, ma èl depènd da l’anema Cristiana che la sà fida piò de té perché la conos chèl che la suna.

Avelino Busi

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VIVERE LA NATIVITA’ NEL PRESEPIO

1° presepio vivente del “Castelliere” a San Gallo

Sull’esempio del presepe ideato da S. Francesco d’Assisi la Natività, nella nostra tradizione viene ambientata tra le scene di vita del mondo pastorale e contadino. In prossimità del Natale una trentina di persone ,giovani e anziane di paesi diversi,si stanno impegnando ad allestire il primo presepio vivente del “Castelliere” a San Gallo. Fedeli alla religiosità popolare, accanto all’intima scena della Natività, i figuranti, con gli abiti e gli autentici strumenti del lavoro artigianale e delle attività domestiche o agro-pastorali tipiche della tradizione locale,.si preparano a ricreare quel clima di solidale convivenza che caratterizzava la vita nelle nostre contrade. La sacra rappresentazione verrà proposta in un ambiente di rara suggestione; tra strutture rinascimentali e vedute paesaggistiche che spaziano dalla Maddalena alla pianura. L’appuntamento per rivivere la magia della Natività nel presepio, è fissato nei

giorni 25-26-30 dicembre ‘12 e 6 gennaio ’13 dalle ore 17 alle 19 presso l’azienda agrituristica “Il Castelliere ai Cap”, in via Maddalena 5, a S. Gallo di Botticino.

Si prevedono: parcheggio in località Trinità, percorso a piedi lungo via Maddalena e ingresso libero.

28° edizione

Presepio oratorio San Gallo D

elle grotte, una cascata, e la presenza umana lasciata sullo sfondo. Il Presepio dell’Oratorio di San Gallo quest’anno celebra la nascita di Gesù in un’ambientazione naturale, Primi classificati provinciali Anspi 2012 dove a prendere il sopravvento sono le piccole grandi realtà del creato. In uno scenario che trae ispirazione dal vicino altipiano carsico di Cariadeghe, infatti, la mano dell’uomo viene posta in secondo piano, mentre la culla del Salvatore riceve l’abbraccio della natura, con l’alternarsi del giorno e delle notte a dettare i ritmi della rievocazione. I personaggi in movimento, poi, insieme alle parti dialogate e al verificarsi di diversi fenomeni atmosferici contribuiscono a completare il quadro.

Per quanti vorranno visitare il Presepio, allestito come di consueto presso i locali dell’Oratorio, l’appuntamento è - giorni festivi, dal 25 dicembre al 20 gennaio, dalle 10.30 alle 12,00

e dalle 14.30 alle 19,00, e da quest' anno anche - giorni feriali fino al 5 gennaio, dalle 14 alle 17.

Buon Natale, Gruppo Presepio Oratorio di San Gallo 70

ultimo dell’anno in oratorio Presso gli oratori la festa dell’ultimo dell’anno

per le famiglie Per informazioni e iscrizioni:

con attività di animazione

BOTTICINO MATTINA Tecla 3404179216 - Claudia 3480325970 € 25,00 adulti €15,00 bambini dai 4 ai 12 anni SAN GALLO Silvana 0302199893 Carolina 0302199951 € 25,00 adulti (per bambini prezzo diverso) BOTTICINO SERA segreteria presso oratorio tel.0302692094 € 25,00 adulti € 15,00 bambini

Per adolescenti di 3^ media e 1^ superiore

delle tre parrocchie presso l’oratorio di Sera con possibilità di cena e animazione settembre 2012 Quota di partecipazione €Bellaria 15,00; iscrizione presso la segreteria a Sera. 71


GIORNATA PENITENZIALE e del PERDONO SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE per riallacciare i rapporti di pace con Dio e i fratelli

mercoledì 19 a San Gallo - giovedì 20 a Botticino Mattina - venerdì 21 a Botticino Sera

***Celebrazione Comunitaria della Riconciliazione con confessioni a San Gallo, Botticino Sera e Mattina 16,00 e 20,00 (Villaggio venerdì 21 dicembre ore 9.00) Confessioni individuali lunedì 24 dicembre a BOTTICINO SERA dalle 10,00 alle 11,00 e dalle 15,00 alle 18,30 a BOTTICINO MATTINA dalle 15,00 alle 18,30 a SAN GALLO 18,00-20,00

festività natalizie

***SOLENNITA' DEL SANTO S.Messa nella vigilia ore 17,00 chiesa Sacra Famiglia SANTA MESSA NELLA NOTTE

NATALE

ore 21,00 a San Gallo - ore 22,30 a Botticino Mattina - ore 24,00 a Botticino Sera SANTE MESSE NEL GIORNO come orario festivo. Vespro e benedizione ore 16,00 a S.Gallo e Sera - ore 17,00 a Mattina

*** mercoledì 26 dicembre: S.Stefano S.Gallo ore 10,00 - Botticino Mattina ore 9,30 - Botticino Sera ore 8,00 e 10,45

*** domenica 30 dicembre: SACRA FAMIGLIA: orario festivo ***lunedì 31 dicembre S.MESSA DI RINGRAZIAMENTO a San Gallo ore 18,30 - Botticino Sera ore 18,30 (ore 16,00 villaggio) a Botticino Mattina ore 19,00

***martedì 1 GENNAIO 2013

SS.MADRE DI DIO e GIORNATA DELLA PACE

A BOTTICINO SERA ore 10,45 - 16,00 - 18,45 A SAN GALLO ore 17,30 A BOTTICINO MATTINA ore 9,30 e 17,30

***domenica 6 gennaio EPIFANIA DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo ore 16,00 nelle tre chiese parrocchiali

Vespri - bacio a Gesù Bambino e benedizione bambini

***domenica 13 gennaio : BATTESIMO DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo

sabato 19 gennaio 2013

Liturgia della Parola e Cresime celebrate dal Vescovo di Brescia per le tre parrocchie di Botticino Basilica-Santuario di Botticino Sera ore 16,00

domenica 20 gennaio 2013

S.Messa di Prima Comunione

San Gallo ore 9,45 - Botticino Sera ore 10,45 - BotticinoMattina ore 11,45


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