Trigimontium 1. Oro

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CHIARA MALAGUTI

Il vento scuoteva la loro corsa, sbilanciandoli, per poi muta re repentinamente direzione e spingerli avanti, sofando alle loro spalle con una forza tale che in alcu ni istanti a Flo pareva di volare. Quando poi cambiava ancora direzione e so fava in senso contrario li costringeva ad avanzare a testa bassa, la cenere negli occhi, uno straccio strappato dalle ve sti a coprire naso e bocca. Speravano di riuscire a varcare la soglia della caverna. In caso contrario sarebbero stati confinati per sempre in quella terra maledetta.

Young

Chiara Malaguti Trigimontium. Oro

ISBN 979-12-221-0780-6

Prima edizione agosto 2025 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2029 2028 2027 2026 2025 © 2025 Gallucci editore srl - Roma

Pubblicato in accordo con Grandi & Associati, Milano

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Chiara Malaguti Trigimontium

ORO volume 1

Per Anna, Alessandro, Daria e Marco, sole, pioggia e roccia delle mie giornate

ORO RIO ROC

Graffito sul lato nord del camminamento di ronda di Castel Atro

Heres michi es tu, heredem meam te esse volo ac iubeo.

Lacerto di pergamena salvato dall’incendio di Castrum Vetus

Capitolo 1

Un

castello che non puoi chiamare casa

Scelse di fuggire in piena notte. Le dita contuse seguirono le asperità del muro, fino a raggiungere le scale in legno, dove ogni passo destava cigolii. Si allungò fino al secondo gradino e da lì all’estremità del terzo, toccando i punti più silenziosi, i piedi che suonavano una vecchia canzone su di un pianoforte muto. Si era esercitata per giorni, appena i Guardiani erano impegnati altrove. La malattia della Vecchia aveva facilitato le cose.

Nessun rumore.

L’ultimo tratto era il più laborioso: la distanza che la separava dall’antico portale disadorno era cosparsa di lordura difficile da evitare. La morte della Vecchia, la sera precedente, aveva indotto i Guardiani alle gozzoviglie. Avevano saccheggiato la canipa, la dispensa seminterrata rifornita dai tributi dei contadini. Il braciere incassato nel pavimento in terra battuta gettava

attorno a sé una luce fioca, guidando i suoi passi: individuò così subito due Guardiani, le schiene appoggiate alla porta. Non avrebbe comunque potuto ignorarli, tanto sonoramente russavano. Si fece piccola e strisciò verso l’apertura che conduceva al cortile interno; da lì, con un poco di fortuna, avrebbe raggiunto il cammino di ronda. Scostando la pesante tenda inspirò a fondo l’aria fresca della notte e si preparò alla fuga. I soldati, a differenza dei Guardiani, non erano ubriachi. Doveva sfruttare il breve momento nel quale i due armigeri del turno di guardia si trovavano alle rispettive estremità del cammino di ronda. Il rondello, ricavato nello spessore del muro, era facilmente accessibile dai locali al pianterreno grazie a una ripida scala in legno addossata al muro di cinta. Nascosta dall’ombra del mastio, perlustrò il breve tratto che la separava dalla scala e, quando i soldati di guardia furono abbastanza lontani, iniziò a muoversi rapida. Percorse la scala in legno resa scivolosa dall’umidità notturna, raggiunto il camminamento si nascose all’interno della bertesca, che durante gli assedi veniva utilizzata per la difesa piombante. Si lasciò scivolare silenziosa nella caditoia. Tese l’orecchio: nessun rumore lacerava l’aria fredda della notte.

Puntellandosi alle pareti del foro raggiunse i gattoni e si preparò a lanciarsi nel vuoto. Si tuffò senza

pensarci, con una fiducia cieca negli ordini della Vecchia, serrando le palpebre. Braccia e gambe presero vita propria nel vento che le mozzava il respiro. Il fango del fossato accolse e attutì il suo balzo. Svenne. Un ricordo lontano si fece largo tra sogni neri d’angoscia: Flo tese involontariamente le braccia, con i palmi delle mani rivolti verso l’alto. Aprì gli occhi e si concentrò. Cercò di ascoltare e accogliere quelle parole lontane: le sentì diramarsi da un groviglio che correva lungo braccia e gambe.

Riprese coscienza, si scoprì in posizione fetale, le ginocchia vicine al petto scarno e le mani in una stretta che faticò a sciogliere. Rimase immobile, terrorizzata all’idea di essere scoperta dai Guardiani o dai soldati. Spaventata, non osava muoversi verso il bosco, lontano dall’enorme spianata che circondava il castello. Solo il ricordo delle parole della Vecchia la costrinse ad alzarsi.

Se scompaio troppo presto, fuggi questo luogo mesto, giungi fino a Bosco Atro, scova il luogo ai Tre sacro. Si cosparse il volto di fango puzzolente e si avvicinò cauta al limitare di Bosco Atro. Una luce lattiginosa colava dalle fessure tra le nuvole, come albume dalle crepe di un uovo appena rotto. Se si fosse mossa troppo velocemente i soldati l’avrebbero intercettata, scelse perciò di avanzare strisciando, brevi pause scandite dai periodici richiami che si scambiavano gli

uomini di guardia. L’operazione era lunga e fastidiosa: le zanzare non le davano tregua. Mentre avanzava sentì una fitta di dolore sul palmo della mano: d’istinto si acquattò a terra, temendo le balestre dei soldati di Castel Atro. Flo li aveva osservati spesso esercitarsi con le loro armi di legno e corno nella spianata davanti al castello, seduta tra i merli che coronavano la sommità del mastio, protetta dal tetto di scaglie di pietra e legno di pino. Se l’avevano individuata nonostante l’oscurità, ora avrebbero giocato al tiro al bersaglio con lei. Trattenne le lacrime: il loro odore avrebbe attratto i Guardiani. Dopo alcuni minuti di silenzio tastò cauta la parte dolente: uno spuntone metallico le aveva ferito la mano. Si trattava di un tribolo, uno strumento a più punte, semplice e crudele. Ne aveva visti gli effetti sui cavalli durante l’ultimo assedio. Dall’alto del mastio aveva osservato ogni giorno l’avanzare e il ripiegare delle truppe, le difese in azione, gli arcieri e i balestrieri del castello che decimavano i soldati nemici. In quel momento aveva pregato che non le toccasse mai di trovarsi sotto le loro frecce. Era stato in quei giorni che aveva scoperto come i triboli azzoppassero i cavalli e come la bertesca venisse usata per bersagliare i nemici con il lancio di pietre acuminate, legni infuocati e pece bollente. La Vecchia aveva pregato giorno e notte, nella sua strana e antica lingua, i capelli scarmigliati e le braccia

levate al cielo, ondeggianti come lunghi rami secchi. Forse pregava gli dèi affinché l’esercito dei Priosolis squarciasse la difesa del castello e le liberasse. Ma non era avvenuto. Anzi, i Guardiani avevano sferrato un attacco notturno che aveva decimato le fila dell’esercito nemico. Il giorno seguente i Priosolis avevano ripiegato, portandosi via ogni speranza. Il lugubre richiamo di una civetta la distolse dai suoi pensieri, riportandola alla realtà: se non avesse raggiunto il limitare del bosco prima del sorgere del sole sarebbe stata catturata dai soldati e riconsegnata ai Guardiani.

Iniziò a muoversi più veloce, seppur con grande cautela. La sagoma scura e rassicurante del bosco le indicava la strada, quando un rumore improvviso squarciò il silenzio caldo della notte.

Era il suono di un corno: avevano scoperto la sua fuga.

Sentì il bisogno di respirare profondamente e, non potendo più scegliere il silenzio, scelse la velocità. Si alzò, le braccia lungo i fianchi, i piedi uniti, gli occhi chiusi per un breve istante… inspirò e si lanciò in una corsa folgorante. Alle sue spalle sentiva stridere i bolzoni del ponte levatoio, udiva il rumore degli zoccoli, attutito dall’erba umida di rugiada. Ancora pochi istanti e gli artigli dei soldati l’avrebbero ghermita. Il buio del bosco prometteva salvezza: d’istin-

to vi si lanciò. Gli alberi costrinsero i soldati a trattenere i destrieri, permettendole di rallentare e di portarsi una mano al cuore che martellava impazzito. Le prime luci dell’alba illuminarono un profondo fossato invaso da sterpaglia, arbusti e foglie secche: vi saltò dentro a piè pari, trattenendo il fiato, le braccia strette ai fianchi. I rovi le graffiarono le gambe. La accolse un buio silenzioso e appiccicaticcio, nelle orecchie il nitrire dei cavalli, sulla pelle piccoli artigli appuntiti di rovi e liane. Cadde così, a lungo, atterrando infine su un cumulo di foglie secche. Alzò di scatto la testa e, attraverso il varco che aveva creato precipitando, scorse il cielo che si tingeva di rosa. Iniziò allora a strisciare, puntellandosi sui gomiti e sulle ginocchia, allontanandosi dal varco rivelatore verso la protezione di un tetto di rami intrecciati. Percorse a fatica alcuni metri, rannicchiandosi infine in un’ampia rientranza della parete del fossato. Per la prima volta dalla sera precedente si mise a pensare: ora cosa avrebbe fatto? Era scappata dai Guardiani ubbidendo a un ordine preciso della Vecchia. Aveva osato l’impossibile, approfittando dello scompiglio generato dalla morte della donna più odiata di tutto Castel Atro. E ora? Cosa le sarebbe successo? Il rumore dei passi dei soldati che, legati i cavalli per la cavezza a uno stesso albero, perlustravano il bosco le provocava fitte contrazioni muscolari. Quasi senza fiatare appog-

giò la testa su di una grossa radice sporgente. Chiuse gli occhi, immagini di Castel Atro le danzarono nella mente: le spesse murature si ergevano con la solidità di un pugno sul territorio circostante, coperto di dossi e avvallamenti privi di vegetazione, cicatrici serpeggianti lasciate dalle frequenti battaglie e dalle multiformi opere di difesa. L’ampio fossato fangoso circondava in un mortifero abbraccio le solide e occhiute mura di cinta. Le numerose feritoie che scandivano la cortina difensiva la scrutavano come un ragno le cui zampe, nodose e articolate, si stendevano lignee fino alle torrette difensive. Nell’addome respirava il mastio, cuore pulsante pronto a colpirla. Flo odiava quella bestia velenosa che l’aveva tenuta prigioniera per anni, avvolta nella ragnatela di disprezzo dei soldati e dei Guardiani, e nei silenzi lunghi e appiccicosi della Vecchia. Erano stati quei silenzi a pesarle di più, l’ostilità dei soldati e dei Guardiani poteva sopportarla, ma i silenzi no. Le mura erano intrise di tutte le parole non dette, colate lungo le fughe tracciate dai calcinai sulla malta che, a imitazione di conci di pietra, coprivano le pietre posate dai mastri muratori. Quelle linee, lunghe, dritte e spezzate, formavano una gabbia che la stringeva fin sotto la pelle, artigliandole la spina dorsale.

Intanto lì, nel bosco, il canto variopinto degli uccelli pareva farsi beffe degli urli incolori dei soldati.

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Stampato e fabbricato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di febbraio 2022 con un processo di stampa e rilegatura certificato

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CHIARA MALAGUTI è archeologa medievista, appassionata da sempre di fantasy. Il primo volume della saga Trigimontium è il suo romanzo d’esordio, capitolo iniziale di una trilogia pensata e fatta crescere nel corso di anni.

In copertina

Illustrazione: Giovanna Ferraris

Art director: Francesca Leoneschi

Graphic designer: Giovanna Ferraris / theWorldofDOT

Rinchiusa a Castel Atro fin da quando era piccola, Flo non ha mai visto il mondo al di là delle mura che la tengono prigioniera e ignora chi sia veramente. Fuori dal castello, invece, tutti sembrano saperlo e un destino ben preciso è già stato scritto per lei: il matrimonio combinato con il figlio minore della potente famiglia dei Lagoscuro. La loro unione è la sola speranza di sconfiggere il Crudele, il tiranno che imperversa sulla Terra Bianca. Flo, però, non ha intenzione di accettare una vita che non ha scelto senza prima saperne di più su se stessa, sui poteri che ha ereditato e sui segreti di una terra arcana, popolata di creature magiche un tempo unite da un antichissimo patto.

Il tempo del coraggio era iniziato.

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