L’opinione di Annamaria Parlato
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Claudio Lezoche
Claudio Lezoche è nato a Napoli nel 1929. Pittore e disegnatore, dopo aver conseguito la maturità artistica compie i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Allievo per la pittura di Emilio Notte e per la decorazione di Giovanni Brancaccio, inizia la sua attività nel 1950. Dal 1954 al 1986 insegna al Liceo Artistico di Napoli. Partecipa negli anni Cinquanta a diverse edizioni della Quadriennale di Roma. La prima personale si tiene sempre a Roma, presso la Galleria Zanini, nel 1959. Dopo premi e riconoscimenti, nel 1962 ottiene a Firenze il Premio del Turismo a Palazzo Strozzi per la XIII Mostra del “Fiorino”. Negli anni successivi diverse sono le sue partecipazioni sia in Italia che all’estero. Un’importante monografia del 1983 è stata curata da Franco Solmi; altre due seguiranno nel 1990 e 1997. Sono da ricordare la mostra antologica del 1986 a Ferrara presso Palazzo dei Diamanti, la personale del 2000 alla Casina Pompeiana-Villa ComunaleNapoli e quella antologica del 2011 a Castel dell’Ovo nella medesima città. Ha esposto in Olanda, Svizzera, Stati Uniti e Grecia. La pittura di Lezoche è vibrante e inquietante allo stesso tempo, ci lascia spiazzati quando per la prima volta, con fare silenzioso, ci si accosta ad essa. Il linguaggio di Lezoche con toni sempre più incalzanti, a partire dagli anni Sessanta, ha lasciato un segno nella città partenopea, ha dato luogo a dibattiti e riflessioni, facendosi interprete delle inquietudini contemporanee. Partito dal realismo, si è fatto portavoce di un revival neometafisico, ha rifiutato il concettuale e l’informale, per indossare le vesti di un novello De Chirico. Nei suoi dipinti intravediamo l’eleganza dei soggetti, la dicotomia metafisica tra l’essere umano e la natura, la lotta, sanguigna ed estenuante, la forza, il potere, il dolore, la volontà e il desiderio. L’arte di Lezoche è un mosaico di interpretazioni, più livelli di lettura si possono intravedere nelle sue opere, ed ognuna apre verso un mondo, favolistico e immaginario. Contemplare le sue opere è come viaggiare oltre il tempo, far approdare il visitatore verso mondi sconosciuti, tra spazi dalle tinte metalliche e graffianti ove le ombre si affollano e danno luogo a dimensioni ai più sconosciute. Lezoche abbandonata la materia terrena, si lancia verso un itinerario non facilmente comprensibile al profano, in quanto è un itinerario che vuol essere un pellegrinaggio verso un infinito pittorico d’impronta metafisica. La dominante dei toni scuri e delle tinte più chiare e tenui, rivela nella cromatica spirituale del suo animo, l’incontro dell’artista con tutto ciò che è inatteso, ma profondamente desiderato in un’ansia di luci, spazi, altezze d’animo, libertà, espiazione e redenzione dalla schiavitù della materia. Strane macchine, piante, uccelli, frutta, scene urbane e apocalittiche dalle tecniche miste, prendono forma e vengono fuori preponderanti nelle sue tele. E’ raro, di questi tempi d’interpretazione “eccessiva” della realtà e dei linguaggi pittorici, trovare un artista che esprime nella forma e nella rappresentazione della realtà, una delicatezza gentile e nobile. E’ questa particolare ricerca di sfumature e di forme trasfigurate, senza essere deformate, che rende suadenti ed intellettualmente seducenti le sue opere. Quando affronta la figura, il paesaggio urbano, con le sue periferie ostili, l’indagine è mordente, attenta alla struttura, tagliente: è la sua critica ad una situazione, che non si abbandona a motivi nostalgici di un passato che è stato e non sarà, ma che è cosciente di un destino più duro, pesante, che l’uomo porta come suo fardello.