Riflessione 3_Una questione semplice

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* Enrico Giacopelli /// Compendio al Corso di Composizione Architettonica ////////////////////// FacoltĂ di Architettura /// Politecnico di Torino /////////////////////////////////////////////////////

Una questione semplice



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Indice

Alcune note sul progetto della residenza: progettare un’abitazione; una questione semplice ma complessa.

Enrico Giacopelli

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g r a f i c a e c o n t ro c a n t o a c u r a d i Andrea Cassi


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I. “Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire.” M. Heidegger Progettare una casa (un edificio di abitazione) è per molti versi un atto tipico, quasi un’attività identificativa del mestiere dell’architetto. Per le generazioni di architetti che ci hanno preceduto, ed in particolare per quelle che hanno operato nel periodo della ricostruzione post-bellica e del boom economico, è stata addirittura l’attività prevalente. Nonostante nel frattempo le occasioni per un architetto di confrontarsi con questo tema si siano nettamente ridotte, la progettazione residenziale è ancora oggi una delle prime cose che si insegnano agli studenti delle facoltà di architettura, forse perché la si ritiene un’attività semplice, facilmente trasmissibile e propedeutica ad operazioni progettuali più complesse. In realtà progettare una casa è operazione tutt’altro che semplice. Da un lato perché è un atto che rimanda inevitabilmente a complesse questioni progettuali di ordine superiore che riguardano la relazione fra l’edificio e il suo contesto – fra architettura e tessuto urbano1 - e dall’altro perché i suoi obiettivi non sono mai riducibili a ragioni puramente funzionali. Per questa ragione il progetto di una casa non è mai un puro atto tecnico. Né potrebbe essere diverso visto che il suo scopo è occuparsi di un fenomeno multiforme come quello dell’abitare e riguarda allo stesso tempo la soddisfazione di esigenze materiali e di istanze immateriali, ovvero la necessità di soddisfare i bisogni primari dei futuri abitanti alla luce dei loro modelli culturali, dei loro gusti personali e persino della loro specifica attitudine psicologica. Per di più l’operazione ha a che fare con un oggetto sovraccarico di valori funzionali e simbolici miscelati secondo formule misteriose e mutevoli; un oggetto la cui natura complessa è ben rappresentata dalle figure retoriche attraverso cui si esprime il senso della casa nella nostra cultura: rifugio e teatro della vita dei suoi abitanti; tempio in cui si consumano i riti della famiglia; museo in cui quei riti e i loro protagonisti fissano nello spazio i segni della propria auto rappresentazione ad uso consolatorio e di pubblica ostentazione.

“ L’utilizzo convenzionale della casa è molto spesso una schiavitù; è molto spesso carico di tensioni emulative, carico di falsi bisogni che sono bisogni di prestigio, indotti, consumistici, mentre la casa potrebbe essere il cantiere franco, sereno, significativo di una riappropriazione da parte dell’individuo del proprio spazio abitativo” Renzo Piano

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“ Se vuoi essere felice per un’ora, ubriacati. Se vuoi essere felice per tre giorni, sposati. Se vuoi essere felice per una settimana, uccidi un maiale e dai un banchetto. Se vuoi essere felice per tutta la vita, fatti un giardino.” Carlo Scarpa

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Progettare una casa richiede dunque all’architetto – oltre a competenza nell’uso di procedure compositive specifiche e solide conoscenze tecniche – doti di capacità di ascolto2, di sintesi creativa e disponibilità alla sperimentazione. Chi si applichi a tale attività deve saper indagare le esigenze dei futuri abitanti per coglierne, oltre i risvolti più pratici e materiali, anche quelli più nascosti ed inesprimibili e - grazie a una certa dose di “virtù divinatorie” di cui deve esser dotato naturalmente o che deve acquisire con l’esperienza - saper prevedere l’evoluzione nel tempo dei bisogni così identificati. Ciò che viene richiesto ad un architetto infatti è, in definitiva, di saper mettere ordine al sistema – non sempre coerente - delle esigenze materiali e immateriali dei propri committenti e di intuire come dare loro soddisfazione in termini spaziali, affinché gli edifici risultino realmente adatti ad accogliere il quotidiano manifestarsi e il progressivo divenire di tale insieme di aspirazioni e di necessità pratiche. In altre parole “..l’architetto caratterizza. Identifica speciali configurazioni dell’attività umana e organizza il loro movimento. Sviluppa uno schema chiarificatore, un disegno a cui si sottomette tutto il processo costruttivo. In questo schema deve esserci un’immagine guida che dia alla gente la possibilità di comprendere dove sta, sia nello spazio, nel tempo e nell’ordine delle cose. La gente deve aver coscienza di dove sta.” 3 Questo compito – alla base dell’essenza dell’attività dell’architetto e della sua utilità sociale – non è mai facile da svolgere. Risulta però particolarmente complesso nel caso di un edificio in cui l’investimento emotivo degli utenti nei confronti del prodotto finale del progetto rappresenta un fattore determinante del problema. Per questo, se “la progettazione architettonica: progettazione di manufatti edilizi e del loro inserimento in sistemi complessi, è di per sé un’attività intrinsecamente difficile” 4, la progettazione di una casa - per le ragioni su esposte - è dunque attività difficile e complessa, sebbene il numero esiguo di variabili tecnologiche5 e funzionali in gioco, non la renda particolarmente complicata6. Per meglio comprendere questo apparente paradosso, può essere utile confrontare un’abitazione con edifici caratterizzati da un rapporto diametralmente opposto fra “complessità” e “complicazione” come un aeroporto e un ospedale la cui progettazione, a causa dell’enorme


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numero di variabili distributive e tecnologiche in gioco, è evidentemente un fatto terribilmente complicato7, tuttavia – dal nostro punto di vista (e solo da quello) - meno complesso di quello di un’abitazione8. Estremizzando, potremmo infatti sostenere che la progettazione di un aeroporto o di un ospedale si riduca all’applicazione meccanica di sofisticate procedure di allocazione razionale delle funzioni in vista di una corretta gestione di flussi di persone, energia, informazioni e merci. Operazioni che di fatto richiedono al progettista una solida competenza degli aspetti tecnici e funzionali delle attività che si svolgono nei due tipi di edifici9 ma che non mettono in gioco nessuna sua particolare sensibilità ed attenzione minuta per le esigenze degli utenti di tali edifici. I migliori aeroporti sono quelli in cui il progettista risolve con semplicità ed eleganza il tema del disegno del modulo base da ripetersi identico fino a coprire tutta la superficie necessaria10; i migliori ospedali quelli in cui le funzioni sono collocate secondo sequenze determinate dalle procedure diagnostiche e di cura e in cui è garantita una certa flessibilità e la possibilità di implementazione tecnologica e spaziale. Le migliori case sono invece quelle in cui l’attività dell’abitare oltre a trovare soddisfazione sul piano pratico, si ricongiunge con la sua natura di atto poetico11, come in un rascard walser o nelle abitazioni di Palladio, Aalto, Wright, Loos, Ando, Scarpa,…., al cui esempio dovrebbero tendere i nostri timidi e maldestri esercizi progettuali. A sottrarre dall’ambito “poetico” aeroporti e ospedali contribuisce la loro condizione di “non luoghi” 12 destinati ad un uso temporaneo e finalizzato da esigenze pratiche da parte di una massa di soggetti eterogenei la cui natura e personalità – percepita in termini globali si smaterializza riducendosi ad una pura astrazione statistica priva di identità specifica. Non a caso per un aeroporto o un ospedale parliamo di “utenti”13, non di “abitanti”, come per una casa. Un’astrazione statistica come l’utente non esprime desideri, non ha esigenze e sogni personali come l’abitante di una casa; esprime solo bisogni materiali e primari “statisticamente significativi” che richiedono spazi e strutture di servizio funzionali, efficienti, neutri; meglio se sempre identici. Nel caso di una abitazione questa riduzione ad un entità astratta dell’utente non invece è mai ammissibile. Anche nel caso in cui la progettazione riguardi edifici collettivi - laddove il rapporto diretto tra

“(...) Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà un nonluogo. L’ipotesi che qui sosteniamo è che la surmodernità è produttrice di nonluoghi antropologici e che, contrariamente alla modernità baudeleriana, non integra in sé i luoghi antichi: questi, repertoriati, classificati e promossi «luoghi della memoria», vi occupano un posto circoscritto e specifico.” Marc Augè

Woody Allen e l’Orgasmatron nel film The Sleeper, 1973

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progetto e futuri abitanti è inevitabilmente labile e mediato - esso è sempre necessariamente ricostruibile con l’ausilio di metodi indiretti in grado di offrire un’idea sufficientemente chiara delle esigenze specifiche dei “committenti potenziali”.

Le Corbusier al Weissenhof di Stoccarda

Archizoom, Distruzione degli oggetti, Gazebo, Allestimento di stanza, 1971

“(...) Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo. I miei spazi sono fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà (...). Georges Percec, Specie di spazi

Un aeroporto o un ospedale possono essere infine assimilabili a delle grandi “macchine”, ad oggetti d’uso finalizzati ad un unico scopo14: la cura delle malattie per un ospedale, lo smistamento dei passeggeri in transito per un aeroporto. Una casa invece non è mai riducibile a puro oggetto funzionale, nonostante i tentativi in tal senso operati – nel particolare contesto storico dell’inizio del XX secolo - in ambito funzionalista15. Le funzioni che vengono attribuite alle abitazioni sono troppo delicate sul piano relazionale, emotivo e simbolico per poter essere ridotte – sul piano progettuale – ad un semplice problema di aggregazione di spazi funzionali. Neppure Le Corbusier - cui si deve il concetto di “machine à habiter” 16 e la promozione del principio di assimilazione della casa moderna ad un utensile - ha mai ceduto alla tentazione di disegnare case sulla base di programmi riducibili a ragioni esclusivamente tecniche, tecnologiche e funzionali, ben consapevole di quanto gli “ingranaggi” della casamacchina fossero costituiti più di sentimenti e di emozioni che di mattoni e cemento. In villa La Roche è infatti il piacere per la spazialità complessa e sorprendente a guidare la composizione; in villa Savoye l’organizzazione a tre livelli è un pretesto per dar forma ad una “promenade architecturale” lungo la quale si sviluppa la vita degli abitanti; e persino le semplici case del villaggio di Pessac si fanno interpreti della volontà di M. Frugés di dotare di un tetto le famiglie degli operai della propria fabbrica e del desiderio di contribuire alla loro emancipazione dalla condizione proletaria attraverso la proposta di modelli abitativi dedotti dalla tradizione borghese. E’ dunque lo stesso Le Corbusier a ricordarci con l’esempio che, se di macchina si deve parlare riferendoci ad una casa, lo si può fare solo con l’accortezza di riferirci alla particolare categoria di oggetti che possiedono in egual misura la capacità di offrire risposte alle esigenze materiali e ai bisogni più intimi e specifici dei propri utilizzatori17. La pratica quotidiana ci rivela infine che un’abitazione è anche il luogo


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della sovrapposizione funzionale, lo spazio abitato in cui si realizza la massima stratificazione di usi. Nessuna attività in una casa ha infatti una corrispondenza diretta, esclusiva e definitiva con un solo ambiente né, per converso, ogni ambiente domestico è destinato ad un’unica funzione18 (nemmeno il bagno o la cucina che evidentemente sono gli ambienti più specializzati della casa) per quanto grande sia la casa in questione e numerosi gli ambienti che la compongono. In più ogni luogo della casa possiede, per chi lo vive, un significato che trascende l’ambito della pura e semplice funzionalità in virtù dell’investimento emotivo che ciascuno riversa sul proprio habitat domestico. “Le stanze - ci dice ancora Charles Moore - sono spazi aspecifici, scenari vuoti per l’azione umana, in cui realizziamo i riti e le improvvisazioni della vita. Forniscono opportunità generali affinché le cose accadano e ci permettono di fare ed essere ciò che desideriamo.” 19 Per questo motivo il progetto di una casa non può essere gestito con semplici regole per l’allocazione razionale delle funzioni, ma solo con principi compositivi in grado di generare soluzioni spaziali che garantiscano agli ambienti domestici un sufficientemente grado di flessibilità e di aleatorietà. “Con gli strumenti architettonici – ci ricorda Aldo Rossi - noi favoriamo un evento, indipendentemente dal fatto che esso accada; e in questo volere l’evento vi è qualcosa di progressivo.(…)Perciò il dimensionamento di un tavolo, o di una casa, è molto importante; non come pensavano i funzionalisti, per assolvere una determinata funzione ma per permettere più funzioni.” 20 E ciò che vale per un semplice oggetto, vale ancor di più per l’intero ambiente domestico. Al contrario di una casa, un aeroporto e un ospedale garantiscono la soddisfazione di esigenze meramente funzionali21 e sono luoghi della specializzazione, dove ogni spazio è destinato ad una specifica funzione ed ogni funzione è esattamente collocata in uno specifico spazio. Anche per questo – sebbene possa apparire a prima vista paradossale – si tratta di oggetti meno complessi di una casa. La complessità a cui ci riferiamo non è infatti riferita al numero delle funzioni e degli spazi che un edificio contiene, ma al grado di complessità relazionale tra gli spazi stessi e al grado di stratificazione di usi e bisogni (anche non solo materiali) a cui ogni spazio deve dar risposta. Una complessità che, appartenendo alla grande casa di lusso come al più

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“(...) I hear that you’re building your little house deep in the desert You’re living for nothing now, I hope you’re keeping some kind of record.” Leonard Cohen, Famous blue raincoat, 1972

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modesto appartamento, impegna il progettista - in ogni occasione di confronto con il progetto di un’abitazione - a porre la propria creatività e la propria competenza al completo servizio della realizzazione del sogno di qualcuno.


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Note

1. La piena consapevolezza dello stretto rapporto tra tipologia edilizia e morfologia urbana, è certamente una conquista dell’architettura del XVII secolo (Ch. NorbergSculz Architettura barocca, Electa, Milano 1971, pag…..) che ne ha fatto un elemento connotativo del suo modo di intendere e di costruire lo spazio urbano. Il tema ha però conosciuto da allora diverse declinazioni e, al particolare punto di vista elaborato dalla cultura neoclassica, si è rifatta un’intera generazione di architetti e critici a noi vicina che lo ha ricollocato al centro della propria riflessione sull’architettura e la città, a partire dagli anni 1960. (Cfr. A. Rossi, L’architettura della città, Clup Milano, 1978 (1966), C. Aymonino, L’abitazione razionale, Marsilio, Padova, 1977, l’esperienza di “Roma Interrotta” promossa da Piero Sartogo nel 1978 (cfr. Aaron Betsky, Roma interrotta, Johan&Levi, Londra, 2010) e, con riferimento alla realtà torinese: A. Magnaghi, P.G. Tosoni, La città smentita, Ed.Libreria Cortina, Torino,1989. Ma anche, da un’angolatura del tutto diversa eppure così rilevante per la sua influenza sulla cultura dell’urban planning: G. Cullen, Il paesaggio urbano. Morfologia e progettazione Calderini Editore, Bologna 1976 (1961)). Contemporaneamente all’elaborazione dei testi citati, James Stirling ha offerto un’originale interpretazione moderna della visione “urbana” del progetto. 2. Capacità di ascolto e di sintesi che il progettista deve mettere in gioco sempre: sia quando agisce per conto del committente di un’abitazione privata con cui interagisce direttamente, sia quando è chiamato a dare forma all’abitazione degli anonimi inquilini di un complesso edilizio. Nel primo caso egli conoscerà i desideri del proprio committente attraverso fonti di prima mano, per lo più orali (ma non solo, perché prima o poi il committente tirerà fuori il suo schizzo e la sua bella raccolta di riviste di architettura…!), nel secondo caso, dovrà affidarsi, oltre che alla propria esperienza e sensibilità, soprattutto a fonti indirette costituite di norma da dati statistici relativi alla struttura del mercato e alle caratteristiche della popolazione a cui è rivolta la costruzione. In un caso e nell’altro il progetto – per possedere una qualche oggettiva qualità ed utilità - dovrà rappresentare la sintesi creativa ed originale (ovvero non frutto della pedissequa applicazione di modelli e di moduli messi a punto una volta per tutte e proposti in ogni occasione) delle indicazioni provenienti dalla committenza (qualunque sia il media utilizzato per ottenerle), elaborata alla luce della propria concezione formale, dei modelli abitativi di riferimento più appropriati per la specifica occasione e delle sollecitazioni provenienti dal proprio committente (sottoforma di un soggetto singolo o di un promotore immobiliare) in modo da tener conto di tutti gli elementi in gioco e di far modo che la soluzione proposta risulti ampiamente condivisa da tutte le parti in gioco. 3. C.Moore, G. Allen, D. Lyndon, La casa: forma y diseño, Editorial G. Gili, Barcelona, 2002 (“The place of house”, N.Y,1977) pag.31 4. Biagio Garzena “Intervento per il seminario sull’insegnamento della progettazione architettonica” in: Il gioco paziente, a cura di P.G. Tosoni, Torino, Celid 1992, pagg. 84-87. 5. La forma con cui telematica, elettronica e domotica sono presenti nell’ambiente domestico è tutt’ora piuttosto modesta nelle forme e nella sostanza, sicché l’infrastrutturazione impiantistica di un’abitazione è ancora di norma di una semplicità estrema: un impianto elettrico, talvolta implementato da uno di trasmissione sonora, un impianto d’allarme, un impianto telefonico raramente basato su fibre ottiche ma spesso integrato con un sistema wi-fi, un impianto di riscaldamento ad acqua calda, un impianto di adduzione acqua e di smaltimento reflui (dove a possedere virtù tecnologiche innovative sono solo gli apparecchi allacciati), un impianto del gas e, raramente, un sistema di aspirazione centralizzata, di condizionamento e di gestione domotica del consumo energetico gestito con soft-ware e hard-ware specifici.

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6. Sfruttando la lieve ma sostanziale autonomia sul piano semantico dei termini “complicato” e “complesso” (cfr. Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana di G. Devoto e G.C. Oli (Milano, Le Monnier, 1967), con tali termini si vuole qui alludere a fenomeni di scala diversa e di diversa intensità qualitativa. “Complesso” è infatti un fenomeno “che presenta difficoltà di comprensione o di classificazione o di orientamento dovute sia alla profondità sia all’oscurità dei concetti” mentre “complicato” è quel fenomeno che presenta difficoltà di comprensione a causa della sua natura “oscura, tortuosa, difficile a chiarirsi” per motivi non sempre inevitabili. Il concetto di “complessità” è dunque pertinente ad ambiti tematici ricchi di implicazioni e di sfumature, quello di “complicazione” si addice invece a fenomeni caratterizzati solo da un’articolazione intricata dei meccanismi e delle parti di cui sono composti. 7. Aeroporti e ospedali sono considerati gli edifici più complessi sul piano dei contenuti tecnologici. 8. La complessità a cui facciamo qui riferimento attiene agli edifici progettati su misura e ai complessi edilizi i cui progetti sono fondati su ipotesi insediative, distributive, tecnologiche ricche e innovative come quelli posti a corredo del testo, mentre è totalmente assente nella produzione seriale e banale tipica del mercato speculativo e di molta edilizia pubblica. 9. La prevalenza nel progetto di questi edifici degli aspetti tecnici e distributivi crea di norma un deficit nella soddisfazione delle esigenze personali degli utenti che infatti non frequentemente provano, in un aeroporto o in un ospedale, la sgradevole sensazione di esser preda di macchine indifferenti se non addirittura ostili. Raramente gli aeroporti sono concepiti in funzione dei bisogni reali dei milioni di passeggeri costretti a infinite ore d’attesa, essendo l’organizzazione degli scali governata soprattutto da ragioni di sicurezza e dal tentativo di sfruttare le occasioni commerciali offerte dal grande numero di frequentatori. Solo pochi privilegiati e ricchi passeggeri godono di spazi attrezzati per attendere l’imbarco in modo rilassato e senza sprecare il tempo. Tutti gli altri sono invece costretti a far passare il tempo vagando tra aree di attesa scomode, rumorose e inadatte allo scopo, inutili e costosissimi shop centers e bar di mediocre qualità, senza neppure avere accesso ad una presa elettrica per ricaricare il cellulare o ad un ambiente “Wi-Fi” in cui lavorare connessi in rete. Analogamente gli ospedali sono concepiti troppo spesso non in funzione delle esigenze dei pazienti, ma in funzione di quelle - non sempre trasparenti e spesso conflittuali dei gruppi professionali operanti in tali strutture. Più che la qualità degli spazi, sono quindi spesso la professionalità e l’umanità di alcuni operatori a rendere accettabile l’uso di un ospedale. La recente introduzione del principio di “umanizzazione” tra i requisiti obbligatori nelle trasformazioni delle strutture edilizie italiane, segnala come la gravità della situazione sia stata percepita anche dai responsabili della sanità nazionale e apre – nonostante i modesti risultati fin qui raggiunti dall’applicazione del principio agli spazi di degenza - qualche speranza per il futuro. 10. Il che non impedisce che anche nel campo degli aeroporti si realizzino delle ottime architetture come lo scalo di Stanted di N. Foster, l’aeroporto di Osaka di R. Piano o quello di Brajas-Madrid di R. Rogers in cui il concetto della semplicità modulare è affrontato in modi diversi ma sempre magistrali. 11. “Poeticamente abita l’uomo” ci ricorda Holderling in una sua poesia del 1804 su cui Heidgger costruisce il suo ragionamento sull’abitare (cfr. M. Heidegger “Costruire, abitare, pensare” in: Saggi e discorsi, Mursia, Milano, 1976). 12. Sul concetto di “non luogo” si veda : M. Augé, Non luoghi, introduzione a una metodologia della surmodernità, Milano, Eléuthera Editrice, 1993 13. “Utente” è il termine generico e impersonale con cui si definisce l’utilizzatore anonimo di un servizio. “Abitante” è invece colui che intrattiene con un luogo un


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rapporto ben più stretto e ricco di implicazioni emotive, fino ad identificarsi con il luogo stesso. 14. In realtà alcune recenti progetti in campo ospedaliero – primo fra tutti l’Hôpital Pompidou di Parigi (arch. Aymeric Zublena) – tentano una ricucitura con il tessuto urbano assegnando un certo grado di “porosità” all’edificio ottenuta trattando l’area di ingresso come una galleria coperta in cui collocare servizi pubblici non sanitari (banche, uffici postali, bar…) liberamente accessibili. Analogamente gli aeroporti si stanno viepiù trasformando in centri commerciali che sfruttano le potenzialità economiche offerte dalle masse di utenti e viaggiatori. 15. Sui temi dell’Abitazione razionale e dell’approccio funzionalista all’architettura si vedano il già citato: L’abitazione razionale. Atti dei congressi C.I.A.M. 1929-1930, a cura di C. Aymonino, Venezia-Padova, Marsilio, 1971 e W. Gropius, La nuova architettura e il Bauhaus, Milano, Abscondita, 2004. 16. Le Corbusier, Vers une architecture, Paris, Edition de l’Esprit Nouveau, (1923) (trad. it. Le Corbusier, Verso una Architettura, Longanesi, Milano, 2003) 17. Categoria cui appartengono a pieno titolo la caffettiera Moka, l’aliante, l’Orgasmatic del film di Woody Allen “Il Dormiglione” e pochi altri ancora. 18. Ad esempio in questo momento, sebbene una delle stanze di casa mia sia specificatamente dedicata e organizzata per consentire un’efficiente attività lavorativa e di studio, sto scrivendo questa lezione sul mio portatile collegato ad Internet attraverso un impianto wi-fi seduto al tavolo da pranzo dove ieri sera ho mangiato con gli amici. Questa collocazione apparentemente impropria in uno spazio domestico destinato ufficialmente ad altre funzioni, mi consente però di non sentirmi isolato dalla mia famiglia che mi gira rumorosamente attorno (è domenica e siamo tutti a casa), di dare – quando mi stufo di scrivere - un’occhiata alla televisione, di guardare fuori in giardino cercando l’ispirazione e di godere della consolante vicinanza dei libri della mia biblioteca e della mia musa ispiratrice. Il fatto di sentirmi “al centro” della casa prevale dunque sugli aspetti esclusivamente funzionali dell’attività che sto svolgendo e mi conduce a sperimentare alcuni livelli di flessibilità degli ambienti di casa mia, attribuendo alla zona pranzo una funzione nuova, temporanea (appena il rumore aumenterà me ne andrò) e non prevista quando ho progettato questa casa. 19. C.Moore, G. Allen, D. Lyndon, Op. cit. pag.80 20. A. Rossi, Autobiografia scientifica, Milano,Il Saggiatore, 2009 (1981) pag.26 21. Pensiamo ad esempio ad un gate o ad una sala operatoria: strumenti iperspecializzati per consentire lo svolgimento di una sola funzione: imbarcare persone con ordine su un aeroplano, intervenire chirurgicamente su un paziente.

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* Tutte le immagini e le citazioni che accompagnano il percorso bibliografico sono rigorosamente estratte e rubate dalla rete in nome di una non meglio identificata Open Source Architecture (OsArch) sviluppatasi dall’avvento del World Wild Web ad oggi. L’invito è quello di indagare, di rubare a vostra volta.


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Rifle s s i o n i * Enrico Giacopelli /// Compendio al Corso di Composizione Architettonica ////////////////////// Facoltà di Architettura /// Politecnico di Torino //////////////////////////////////////////////////////

* Enrico Giacopelli (1959), architetto, parallelamente all’attività professionale svolge attività di ricerca e di docenza in campo universitario ed extrauniversitario, contribuendo ad orientare la propria attività professionale verso temi che comportano un approfondimento metodologico e una riflessione sui riferimenti storici dell’agire professionale. Ha sviluppato attorno al tema della conoscenza, della salvaguardia e della valorizzazione del patrimonio architettonico moderno parte della propria attività professionale attraverso progetti di restauro e recupero, approfondimenti scientifici, consulenze e attività di animazione culturale.Tra gli esiti di tale azione: la catalogazione del patrimonio dell’architettura moderna di Ivrea / la redazione delle Normative di Salvaguardia dell’architettura Moderna di Ivrea / la consulenza al Nuovo PRG di Ivrea relativa al tema dell’architettura moderna / la progettazione del MaAM / la consulenza per il restauro del Quartiere Canton Vesco / il restauro delle Officine ICO di Figini e Pollini / la consulenza per la conservazione del Centro Congressi La serra di Cappai e Mainardis. Al restauro delle Officine ICO sono stati assegnati nel 2009 la Menzione d’Onore “Medaglia d’oro all’architettura italiana” della Triennale di Milano e il “Premio In-Arch”. È professore a contratto di Composizione Architettonica presso la II Facoltà di Architettura di Torino ed è coordinatore e docente della “International Summer School of Ivrea”.


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