Cronache di fine impero

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Dal centrosinistra vecchio e fallimentare che in quindici anni non ne ha indovinata una: ha confuso Berlusconi per un vero statista, si è illuso e si è lasciato fottere dalla bicamerale poi finita nel Patto della crostata. Non ha fatto una sola legge (quando ne aveva la forza e i numeri in parlamento) per limitare lo strapotere del magnate che scendeva in politica. Quel centrosinistra vecchio, chiuso in se stesso, con la puzza sotto il naso, i vestiti impregnati del profumo dei salotti buoni e l’intransigenza barricadera agitata nelle piazze per eccitare i sempre meno nostalgici dei dogmi inviolabili. Quello, che prima di capire e unirsi in un solo partito, con un progetto credibile e un’idea vincente del Paese, si ostinava a ragionare sui massimi sistemi, trascurando le domande più terrene e immediate della gente, che hanno sempre la priorità rispetto alle pur rispettabili astrazioni metafisiche e alla costruzione degli organigrammi da cui discende la linea del partito. Il centrosinistra che ha bruciato uno dietro l’altro tanti capi e capetti. E quando ha vinto, seppur di un soffio, ha governato per pochi mesi, dando di sé un’immagine devastante, comunicando benissimo la lacerazione, i personalismi, la confusione; male, quanto di buono aveva avviato.

Il vestito nuovo dell’Imperatore

Alla vigilia del battesimo del termovalorizzatore di Acerra, tutti avrebbero giurato sull’ennesimo successo del Cavaliere, che - riportava una nota stampa - aveva addirittura partecipato ai celeri lavori di costruzione, facendosi fotografare con tanto di elmetto per dimostrare come si potesse coniugare la sicurezza con l’efficienza. Il “serial collier di Hardcore” (questa, la dissacrante etichetta attribuitagli dalla satira ancora non allineata) era l’unico, paradossalmente, a respirare aria di declino, proprio nel momento del suo maggior trionfo. Cosa poteva temere uno che ha vinto tutto e su tutti, ha fondato un partito che sembra la filiale del colosso Mediaset, ha conquistato tutto quello che c’era da conquistare, cambiato di fatto la Costituzione, stretto in un angolo il Parlamento democratico, messo in ammollo i piedi e il resto in acque territoriali fuori dallo Stato di diritto, sospeso i fastidiosissimi processi, umiliato la magistratura, seminato psicosi, incoraggiato cacce alle streghe? Come può aver paura chi non ha un nemico e nemmeno un avversario temibile? Cosa mai potrà turbare i suoi sogni di grandezza, i suoi trionfi, la sua sete di gloria e onnipotenza nei secoli dei secoli amen? La giornata era cominciata male. Lo specchio scippato alla strega cuneese di Biancaneve per monitorare le microfibre di cheratina che coprono il diradamento del cuoio capelluto gli era inavvertitamente scivolato dalle mani e si era infranto rovinosamente. «Sette anni di disgrazia!» aveva subito pensato. «Addio presidenza della Repubblica!». Stava ancora coltivando il suo narcisismo quando due mercanti di Forcella, assoldati da un’anonima signora, gli consegnarono il vestito che avrebbe dovuto indossare nel pomeriggio. Silvio confessò loro di non vederlo, ma prontamente i due furfanti lo convinsero che l’abito era stato cucito con una stoffa magica molto elegante che solo gli stupidi non riuscivano a scorgere. «Meraviglioso!», esclamò l’imperatore. «Con quello addosso, potrei riconoscere gli incapaci che lavorano nel mio impero e saprei distinguere gli stupidi dagli intelligenti... metterò quel vestito!». Pagò contento i due truffatori e inserì l’importo nella nota spese del Governo, accanto a voci voluttuarie che, a dar credito a certi proverbi, riducono l’uomo in cenere. Fu così che i suoi ragazzi di bottega, per non apparire stupidi, si convinsero che indossasse un vestito bellissimo e cominciarono a lusingarlo. Gianni Letta, l’unico contrario alla patetica operazione, rassegnò le dimissioni da consulente. Al suo posto fu nominato l’avvocato inglese David 36


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