Francesco Arecco Fondazione Orestiadi, Gibellina, 2013

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arca e nascondimento

Atelier di Francesco Arecco A cura di Ilaria Bignotti Giorgia Salerno Pietro Caccia Dominioni Matteo Galbiati Gibellina , aprile 2013

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arca e nascondimento

Atelier di Francesco Arecco A cura di Ilaria Bignotti Giorgia Salerno Pietro Caccia Dominioni Matteo Galbiati Gibellina , aprile 2013


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Il museo l’artista e la gente

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l Museo può essere un luogo speciale, una terra di sogni per le nuove generazioni? Un artista può insegnare a creare? Trasmettere la passione per l’arte? Ludovico Corrao diede vita al Festival delle Orestiadi e alla Fondazione per dare alle persone la possibilità di partecipare alla costruzione della speranza attraverso la creazione artistica. Dopo il terremoto del 1968 l’emigrazione era la sola risposta che i politici sapevano dare alla gente che aveva perduto tutto ciò che possedeva: un luogo dove vivere in pace e armonia. Corrao allora chiese ai migliori artisti italiani di dare una risposta al bisogno di speranza della gente. Gibellina presto divenne un museo d’arte contemporanea all’aria aperta e la Fondazione un luogo dove oggetti provenienti da culture diver-

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se potevano dialogare in una speciale gara di bellezza. Per secoli il Mediterraneo ha ispirato numerosi artisti e la bellezza ha plasmato anche il più semplice oggetto artigianale. Per testimoniare tale particolare creatività Corrao ha raccolto splendide opere d’arte. Il museo espone i colori speciali e i tessuti delle terre che si affacciano sul nostro grande mare mostrando tracce e simboli di civiltà antiche rimasti indenni nella loro purezza attraverso i secoli. Corrao ha iniziato questa raccolta quando era ancora uno studente, i suoi genitori erano artigiani e lui era cresciuto in un ambiente creativo. Sino alla seconda guerra mondiale gli artisti in Sicilia e in molti paesi del Mediterraneo lavoravano presso l’ingresso della loro bottega per godere del bel tempo e chiacchierare con i clienti. Ancora oggi nella Medina di Tunisi o nell’antico mercato del Cairo si possono osservare gli artigiani al lavoro. Nelle moderne città europee è difficile vedere un’esperienza creativa in corso d’opera. Anche nelle nuove chiese è sempre più raro vedere nascere in

itinere le opere d’arte di grandi artisti come avveniva nel Rinascimento. L’arte contemporanea si trova nelle collezioni private o in musei poco accoglienti. Oggi la Fondazione Orestiadi vuole mantenere viva l’utopia di Ludovico Corrao: essere un luogo di incontro tra gli artisti e le nuove generazioni. Con questo ambizioso scopo Francesco Arecco ha incontrato gli studenti e li ha sfidati ad aiutarlo a costruire insieme un’arca. Un semplice gesto per creare un luogo speciale dove piccole creature e vegetazione possono vivere. Un modo per mostrare come ciascuno può costruire una casa e salvare l’esistenza di un mondo speciale, una metafora per ricordare agli studenti che il futuro dipende dalle loro scelte personali. Il Museo non vuole essere un luogo morto dove la gente passa senza lasciare traccia della propria presenza. L’artista americano Richard Serra ha sentito il bisogno di dare allo spettatore la possibilità di interagire con l’opera: può attraversare le sue sculture. A Gibellina la gente vive un’esperienza più profonda perché sono im-

mersi in una citta affollata da sculture di artisti contemporanei e circondata da una natura di straordinaria bellezza. Inondati dalla luce gloriosa di una splendida campagna, i pazienti contadini sono abituati a cambiare l’aspetto della terra con il loro lavoro. Come può uno studente oggi sperimentare di dare nuova forma al futuro se non ha mai avuto un’esperienza concreta? Come può provare la bellezza dell’arte contemporanea? Il lavoro con l’artista dà emozione, fa sentire il momento creativo e percepire la profondità della bellezza. Confrontarsi con l’arte e dialogare con gli artisti costituisce un’occasione unica per capire la modernità e conoscere una pagina importante della storia del nostro territorio. Francesca Corrao

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Francesco Arecco per Gibellina

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n tumulo di pietre si scorge dalla distesa collinare del Baglio Di Stefano. Ogni pietra posta racconta una storia. È una storia, è una voce, un canto: è vita. Tutte quante stanno lì, immobili nel tempo, ad assistere inerti allo scorrere della vita. Francesco Arecco reinterpreta per Gibellina i soggetti più rappresentativi e studiati della sua ricerca artistica: l’Arca e il Nascondimento. L’Arca, da antiche reminiscenze nasce dal concetto di sepoltura. Piccoli tumuli di pietra venivano adoperati per custodire i corpi e le anime dei defunti. Nell’installazione realizzata per la Fondazione Orestiadi, Arecco si confronta con la terra di Gibellina. Una terra che, colpita nel ventre dal suo stesso movimento oscillatorio, porta con sé la storia di un popolo che ha saputo ricostruire e dare inizio

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ad una nuova vita e ad una nuova luce, quella della speranza. Ogni pietra, ogni sasso è stato raccolto, dai bambini del luogo, nella valle del Belice e dallo stesso artista nelle zone rurali del Piemonte, sua terra natia. Sassi, pietre, ciottoli espressione di diverse memorie costituiscono una rete, si fondono in una corazza e danno luogo ad una tana. Il tumulo, nato per custodire ciò che è prezioso, come corpi e anime, qui custodisce la vita. All’interno, fra i cunicoli delle pietre, piccoli animali costruiranno la propria tana, la vegetazione si innesterà, accogliendo l’agglomerato di pietre come elemento proprio. Cosi come le mille sfaccettature di un individuo che costituiscono la sua complessità, allo stesso modo le pietre si fonderanno l’una con l’altra per custodire il ciclo della vita e farne parte. La pietra, simbolo di costruzione e fondamenta, ha per Gibellina un valore peculiare, che non in ultimo, riconduce alla sua identità di piccola montagna – Gebel Zghir. Ciò che è rimasto a seguito del terremoto, infatti, sono solo ruderi. La pietra, nuda, coperta da un velo di cemento, come nel Cretto realizzato da Alberto Burri, è l’unica traccia presente della vecchia città.

Allo stesso modo in Nascondimento, Arecco pone elementi estranei all’ambiente per trasformarli in parti integranti di esso. In perfetta analogia estetica con i cavalli scuri che emergono dalla distesa bianca della Montagna di sale di Mimmo Paladino, piccole e poliformi sculture in ebano, spezzano le pareti chiare del Granaio, ma che ben si mimetizzano trasformandosi in nidi, tane e presenze di vita, che lì dimorano da tempo e vi hanno trovato rifugio. Il tempo agirà su esse: vento, piogge e sole muteranno il loro aspetto ma le sculture raccoglieranno i pensieri e le storie di quel luogo che ha assistito e resistito ad intemperie naturali e culturali. Diviene, così, quasi un auspicio quello di Arecco il poter proteggere e salvaguardare la storia di un luogo che tuttora è crocevia di popoli e culture. Giorgia Salerno

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L’Arca di pietra: una pelle dura e un’anima colma di sentimenti

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rancesco Arecco in molte delle sue recenti occasioni espositive – soprattutto in quelle che vedono, come in questo caso, coinvolte le Arche e i Nascondimenti – ha saputo accompagnare l’opera fuori dallo studio perché fosse ammirata fin dal suo nascere. Inizialmente l’ha resa partecipata nella fase installativa, ora anche in quella creativa e costruttiva. Se prima gli occhi incuriositi del pubblico si appassionavano nel vederlo lavorare sotto il loro sguardo animosamente alla scultura che si materializzava, martellando e incrociando, poco a poco, squame profumate di legno, oggi quello stesso pubblico si emoziona e diverte nel prendere parte attivamente alla “costruzione” dell’opera. Le mani di chi guarda s’incrociano con quelle dell’artista, seguendone e condividendone gesti, fatiche e l’esperienza di vivere un momento irripetibile. Le idee connesse alle Arche sono cresciute e si sono modificate in corso d’opera, rimodellandosi sulle nuove esigenze e sugli stimoli dettati delle proposte che via via hanno preso consapevolmente corpo. Arca è quindi un progetto che ha assunto grandi ambizioni: iniziato dalla canonica e consueta scultura da “interno” si è poi sviluppato consegnando le opere successive alla loro dimensione più consueta e abituale che è quella dell’ambiente. Inserite

nel contesto del luogo e recependone le specificità – prima temporaneamente poi permanentemente – le Arche hanno esteso, di volta in volta integrandola, la partecipazione fattiva e reale anche dei loro possibili referenti: i critici e i curatori, le istituzioni, le municipalità, il pubblico. Sono diventate una vera e propria rete in cui ogni opera, a suo modo, ha messo in dialogo personalità e individualità diverse e le ha fatte lavorare per trovare una nuova sensibilità che Francesco Arecco ama definire come “rinascimento paleolitico”. Definizione significativa perché implica una rinascenza avendo come punto di partenza i valori e la forma mentis più antica e più semplice, scevra da inutili sovrastrutture. Significa far rinascere la complessità del pensiero da un nuovo punto zero, da un nuovo punto d’origine. Che già sta dentro e fuori l’Arca. Arecco ha allora certamente meditato sulle caratteristiche di questa terra: sull’impronta “geologica” di questa stupenda parte di Sicilia; sulla severa natura, spesso aspra e dura, che non ha mai fatto troppi sconti all’uomo, costretto a forgiarsi dentro tempre e caratteri tenaci e fortemente orgogliosi; sulle “presenze” di Gibellina, inevitabile raffronto con la storia, e non solo artistica. Ha pensato all’eredità di Ludovico Corrao e al suo spirito appassionato che, con il

Festival delle Orestiadi e l’omonima Fondazione, attraverso la partecipazione e la condivisione dell’esperienza nel segno dell’arte, ha sognato si potesse restituire speranza e dignità alle persone. Un atto di coraggio che, in tempi di crisi, Francesco Arecco ha scelto di materializzare nuovamente con il segno, reale e presente, di una scultura da lasciare vicina alle tante altre di chi l’ha preceduto in questi luoghi. Una scultura nuova per lui, con cui sottolineare e rendere quanto mai solido e concreto non solo lo spirito di Corrao e dell’arte di Gibellina, ma anche il suo percorso di artista fin qui compiuto. Sfidando molte difficoltà, non da ultima quella del materiale da usarsi, Arecco ha saputo coraggiosamente mettere da parte il legno – suo materiale d’elezione, mezzo sicuro e protetto – per qualcosa di più solidamente permanente e per ciò ha voluto, proprio per questo luogo, realizzare la sua prima Arca di pietra. Una prima volta che certamente qui, più che altrove, ha merito e logica di essere. Sarà stata forse la vicinanza – che ora diventa vero dialogo – con l’opera di Richard Long, o il colore delle pietre delle montagne che stanno attorno e svettano incombenti, qui a poca distanza da La porta del Belice di Consagra e il Grande Cretto di Burri, qui dove l’Arte ha la naturale propensione nel volersi fare grande,

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ecco solo qui Arecco ha potuto creare, con altre mani, il suo primo intervento in cui, ad accumularsi, sono stati frammenti di pietra, qui la sua scultura è “cresciuta”. In un ambiente dove le menti da sempre intrecciano i propri percorsi e fondono le proprie esperienze, partendo dalla considerazione di una terra scalfita e afflitta, che ha dovuto sempre ri-costruire la propria identità – un’identità per altro ricca – dove i luoghi sono di transito e crocevia di pensieri e di vita, Arecco ha voluto fortemente prodursi in uno sforzo – non solo mentale ma anche fisico – che abbracciasse persone e personalità differenti. Temperamenti dissimili che ritrovassero una loro unità nella coralità dell’agire per e attorno all’opera. Qui doveva essere la sua Arca condivisa, opera che unisse e avvicinasse spiritualmente gli animi della gente, i cui sentimenti, ora, sono sepolti, racchiusi e protetti dalla sua monumentale forza. Partito sempre da lontano – ci sono pietre provenienti da altri luoghi che avvicinano e unificano latitudini diverse – Arecco crea un simulacro che apre l’interrogazione sul suo essere contenitore di qualcosa, sull’essere scatola protettiva dal contenuto misterioso e non precisato. Un’opera che, come sempre, esce dal tempo e si dilata nelle coordinate di passato presente e futuro.

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Questa volta il suo intervento ha qualcosa di ancor più magico, sofisticato e intenso, non solo per il carattere – si diceva – veramente monumentale della scultura o per la fatica svelata che necessitata all’atto costruttivo, ma anche per l’incanto di sentire che a stratificarsi non sono stati unicamente i frammenti di roccia: vi è qualcosa d’altro. Essere presenti e contribuire ad erigere Arca Gibellina 2013, ha dato a tutti i partecipanti la consapevolezza salda di quel dato invisibile, spirituale e interiore che sta dentro al cuore vivo di ogni opera d’arte: il suo essere testimonianza presente e attiva dell’animo e del pensiero. L’azione di Arecco deve essere letta tanto come ad un altro modo per intendere, di più e meglio, alla scultura, quanto alla volontà silenziosa che resta intimamente e immanentemente celata dentro l’opera, cosa che la fa diventare, una volta finita, quel catalizzatore attrattivo e potenziale delle emozioni anche di chi al osserva in un secondo momento. Emozioni che sono ora tutte lì conservate. Comprendere quello spesso strato delle cose – di cui anche Ilaria Bignotti ha, acutamente, fatto riferimento nel suo testo – è diventato esercizio educativo nella prassi del fare di Arecco che, ancora in questa circostanza, ci ha guidati, indicandocela, alla logica seminascosta – pur

in evidenza – dell’arte. Nascondere e mettere in evidenza – come i Nascondimenti – tanto evidenti da dover essere ricercati, tanto manifesti da doverne scoprire la presenza; essere e celare; manifestare e sparire: queste sono le coordinate su cui ha orientato gli sguardi Arecco, lasciandoci davanti agli occhi un interrogativo grande come un’Arca e il segreto della sua risposta… Che sempre sta nella domanda stessa, una domanda pesante oltre 50 tonnellate. Ci ha anche guidati, come un pifferaio magico da un’opera all’altra al suono dolce e petroso del flicorno, in processione a creare un percorso che diventa nodo e vincolo tra linguaggi e istanti differenti. Lui davanti e tutti gli alti dietro a seguire, a imitare, a guardare, a scoprire. Si dice che l’opera sia di un artista, ma qui forse, come lo stesso Arecco vorrebbe fosse ricordato, l’Arca non è di Francesco ma anche di Francesca, Ilaria, Giuseppina, Pietro, Giorgio, Alessandro, Matteo … e degli oltre trecento ragazzi delle scuole del territorio e dei loro professori, della gente di Gibellina. L’Arca, che ha vissuto una genesi partecipata, ora rimane lì imperturbabile e inamovibile. Questa vuole restare solida a sfidare il tempo e la storia, senza dimenticare mai di recepire l’interferenza e le decisioni della Natura – cui resta sempre umilmente sottomes-

sa – e delle altre genti che verranno a scoprirla rinnovando la profondità del proprio senso. Rimane permanente questo guscio di pietra che ricorda antiche tombe o vestigia di lontane civiltà. Perdura immobile e funziona, per incubare gli animi e gli sguardi a memoria imperitura. L’Arca diventa in questo modo uno scrigno della memoria, come tutte le arche che la storia ci ha tramandato. Anche l’Arca di pietra nasconde qualcosa. Dentro alla sua pelle ruvida, dietro quel carapace di pietra, albergano un cuore e un’anima vivaci e vitali. Come i sorrisi e i gesti di tutti coloro che hanno aiutato a comporla e di cui resta, perdurante, una traccia molto più forte di quella sola pietra che ciascuno ha disposto nel mucchio tra tutte le altre. Resta una storia vissuta con i suoi segreti, messaggi, desideri e sogni, che quest’Arca, sfidando il tempo e le sue avversità, custodirà e testimonierà per sempre a chi nel tempo sopraggiungerà a scoprirli. Matteo Galbiati

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Della forma e della materia. Nascondimenti.

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rancesco Arecco ha portato a Gibellina Nuova i suoi segreti oggetti fatti di schegge di legno: si chiamano Nascondimenti. Non sono nascosti però. Né si nascondono. Occhieggiano puntuti dalle bianche mura del Baglio di Stefano: qualcuno si inerpica sul grande portone; una mezzaluna di più piccoli e scuri si spingono verso la grande montagna di Mimmo Paladino. Non temono il confronto con le grandi dimensioni: nella loro piccola e cocciuta presenza, si difendono bene e reggono il dialogo con le opere esposte, invitando il visitatore a aguzzare la vista nella emozionante avventura che gli offre questa città. Luogo dove gli artisti hanno potuto dar forma alle loro visionarie speranze, dove l’utopia per una volta ha

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perso la “u” ed è diventata concreta realtà, Gibellina Nuova accoglie nella Fondazione Orestiadi il crocevia di ricerche culturali che s’inerpicano tra i sentieri d’Occidente e s’incrociano lungo le vie orientali. Anche le relazioni tra le opere esposte al Museo, spesso, sono nascoste: non possiamo avvicinarci ad esse con le convinzioni apprese sui banchi di scuola – da noi si impara una delle innumerevoli storie dell’arte che i millenni hanno visto nascere; possiamo iniziare a guardarle con gli occhi nuovi. Gli occhi che hanno avuto i bambini invitati da Francesco Arecco a completare la sua Arca, l’altra opera realizzata a Gibellina con le pietre di tanti paesi. Ai bambini abbiamo chiesto: cosa c’è di strano su queste mura? E loro hanno risposto, sorridendo, con gli indici tesi verso i Nascondimenti. I bambini giocano spesso a nascondersi. È un modo per chiedere di essere guardati, e non, semplicemente, visti. I bambini hanno forse capito che Francesco Arecco giocava al loro stesso gioco: i Nascondimenti nascondono qualcosa. Una nuova idea. Un’altra possibilità. Il margine dell’errore e il limite della ragionevolezza. Ci hanno insegnato che Michelangelo diceva che da ogni blocco di pie-

tra bisognasse toglierne il soverchio per vedere la Forma: l’Idea allora appariva, nascosta dietro pesanti coltri di Materia. L’artista la vedeva prima degli altri, e in questo era la sua fatica quotidiana. Andare oltre lo spesso strato delle cose. Cinque secoli dopo, Alberto Burri ha affidato alla materia grezza di sacchi consunti e impasti di cemento il compito di rivelare, nascondendolo, il dolore della mente e le piaghe dell’anima: la sua storia individuale diventava assunzione di una tragedia collettiva, nel Grande Cretto che nasconde il passato, ma senza negarne le radici, perché da esso trae la forma. Francesco Arecco nasconde qualcosa: lo fa a modo suo, come ogni artista ha fatto e farà: dietro all’immagine appuntita, nel nido di ogni Nascondimento, è l’immagine–uovo che aspetta la primavera per schiudersi e prendere il volo. La primavera siamo noi. Ilaria Bignotti

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Š Gianni Polizzi

Nascondimento Gibellina ‘13, 2013 installazione sitospecifica composta da 12 sculture in acero, ebano e abete rosso di risonanza, dimensioni variabili

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L’Arca di Francesco Arecco e il cerchio di Richard Long

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ssere venuti a Gibellina, in terra di Sicilia, e aver partecipato alla realizzazione dell’opera di Francesco, sono state due grandi emozioni. Il paesaggio solitamente aspro, secco, duro, era invece pieno di luce, verde, ricolmo di vita, di gioia e questa gioia noi l’abbiamo raccolta dentro di noi e l’abbiamo riversata fisicamente nella realizzazione dell’Arca di pietra. Trovare un cumulo di terra con le relative pietre a fianco che aspettano... e al di là della strada un magnifico Richard Long che riposa, mi ha commosso. Vedere queste due opere, una in crescendo e l’altra in attesa, mi hanno spinta a prendermi cura della seconda, per ridarle lustro, per far sì che potesse dimostrare ai visitatori tutta la sua bellezza e forza. Aver deciso di mettere a confronto queste due opere dall’apparenza simili, ma in realtà molto diverse è stata una bella scommessa. Le due opere si parlano, dialogano tra loro, mantenendo ciascuna la propria identità, ma con dei punti in comune. In primo le pietre, raccolte, pietre trasportate, pietre che racchiudono tante storie, pietre con un’età ignota, pietre che ci ricordano la nostra Madre Terra che tutto ci dà. Pietre che sono la base della nostra vita, la forza su cui noi viviamo, cresciamo. E che dire del senso religioso: per Long solo il fatto di raccoglierle, trasportarle e disporle in cerchi o in rettangoli, è un rituale, un omaggio, una dichiarazione d’amore verso la Terra, verso Colui che ci ha creati. È qualcosa che ci ri-

porta agli antichi riti magici, alla forma perfetta, il cerchio, mentre la linea diritta ci avvicina all’infinito, all’ignoto. E poi al di là della strada l’Arca di Francesco. Tutti pensiamo all’Arca come a qualcosa che contiene, che nasconde, che cela, che ci permette di affrontare il pensiero della morte e della vita in vari modi. A noi che l’abbiamo costruita pietra su pietra, ha dato la possibilità di pensare, di nascondervi i nostri stati d’animo, i nostri sentimenti. Entrambe queste opere difficilmente verranno distrutte dall’uomo, forse scompariranno per incuria, la natura si riapproprierà di qualcosa che le appartiene, ma rimarranno come simboli del pensiero e dell’ingegno umano, come icone di un passato colmo di emozioni e di Fede. Giuseppina Panza di Biumo e Pietro Caccia Dominioni

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Tumuli di pietra

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ibellina, Gemona. Terre di sisma, di morti e rinascimenti. Terre di terrore e di nuove speranze. Il tumulo di pietra di Francesco mi rimanda ai resti della caserma “GOI” di Gemona. Anche la “GOI” la sera del 20 di maggio fu un tumulo di pietra. Come una nave che sprofonda seppellì dentro di sé vite di amici. Quasi una creatura morente. Ero giornalista, allora, e scrissi “Le pietre, a toccarle, trattenevano ancora un poco di calore.” Gibellina. Ancora un tumulo di pietra dalle pazienti mani di Francesco. Anche da queste pietre e dai pertugi mutevoli alla luce riflessa sul calcare, calore. Ma queste pietre, grazie a Dio, emanano, non trattengono calore. E questo tumulo non si inabissa. Emerge. Creatura di calcare, composta per essere vista, per essere ricordata. Opposti destini, opposte testimonianze della evanescenza umana. Anche il tumulo di Francesco è ripetizione incessante di gesti faticosi di pietra in pietra. Gesti rituali, solenni forse, tuttavia illusori, evanescenti. Ma se la gestualità delle membra è soggiogata, al pari di Sisifo, alla limitatezza della condizione umana, la mente e il cuore sono liberi. illimitatamente, di sognare e di gioire. Giorgio Massarotto

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Se tocco capisco

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egli ultimi decenni, un profondo mutamento antropologico, è definito dall’antinomia digitale-manuale. Il digitale che una volta era un termine riferito all’azione delle dita, identifica oggi un ambito del conoscere che si contrappone alle mani. Sembrano queste, essersi staccate dal palmo, identificandosi esclusivamente, come appendice diretta per le nuove strumentazioni digitali. Oggi quello che è digitale non è manuale. Eppure come scriveva Henry Focillon nel suo Elogio della mano “…La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. [...] La presa di possesso del mondo esige una sorta di fiuto tattile. La vista scivola sulla superficie dell’universo. La mano sa che l’oggetto implica un peso, può essere liscio o rugoso, che non è inscindibile dallo sfondo di cielo o di terra con il quale sembra far corpo. L’azione della mano definisce il vuoto dello spazio e il pieno delle cose che lo occupano”. La mano con le dita. La mano ci conduce verso una conoscenza diretta del mondo, attraverso essa l’esperienza delle cose diventa fisica. Un museo deve essere il luogo dove il virtuale progredisce verso un’esperienza totale e complessa, perché tutti i sensi possano concorrere al processo cognitivo. Mi raccontava Ludovico Corrao che Mario Schifano, quando nel 1984 soggiornava a Gibellina per un suo atelier solo dopo alcuni giorni acconsentì che i bambini delle scuole potessero incontrarlo, temendo il loro giudizio più di qualunque critico.

Francesco Arecco trent’anni dopo, per realizzare la sua Arca, chiama di buon ora al Baglio Di Stefano, trecento bambini e ragazzi - nativi digitali - dalle scuole di questo lembo di Sicilia, chiedendo loro di portare una pietra per completare la sua opera, accompagnati dagli insegnanti che trent’anni prima avevano conosciuto Schifano. Per un giorno le loro mani accarezzano pietre, ruvide, polverose ed abbandonano le tastiere gli ipad e iphone. La mano torna ad essere protagonista del fare arte, assecondando i pensieri arcaici e vitali, che riaffiorano per incanto da dove stanno deposti, schiacciati dalle mille quotidiane immagini della realtà virtuale che in ogni istante preme sul nostro pensiero e sulle nostre elementari istanze di toccare, sentire, gustare, ascoltare e anche vedere. Le mani costruiscono un arca, un tumulo di pietre, una forma antica quanto l’uomo. Le mani dei bambini che accarezzano le loro pietre, le mani che si alzano nel cortile del baglio Di Stefano, al mattino, per mostrarle, le mani di Francesco e di tutti quelli che le hanno depositate sull’Arca, per un attimo ritornano ad essere quelle che con le dita misurano il peso delle cose. Il museo ritorna ad essere il luogo dove, come amava ripetere Munari “L’arte visiva non va raccontata a parole, va sperimentata: le parole si dimenticano, l’esperienza no. Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco.” Enzo Fiammetta

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Arca Gibellina ‘13, 2013 pietra di Vita ed altre pietre, cm.240 X 800 X 480 cm

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Selezione di eventi

Francesco Arecco

nasce nel 1977 a Gavi, in Provincia di Alessandria, in una zona del Basso Piemonte che è sempre stata territorio di incontri fra culture diverse. È umanista e scienziato e crede nel rinascimento di oggi tramite lo studio e il lavoro. Collettivo, perché solo insieme agli altri uomini si realizzano i grandi progetti che la mente del singolo può concepire. Compie studi classici ed artistici, di diritto e naturalistici, a Genova, Pavia, Milano. Svolge tre professioni autonome e collegate; quella di artista, quella di avvocato, quella di naturalista. Questa impostazione gli permette di avere libertà di scelta ed espressione in ciascuna delle tre professioni, sotto i profili emotivi, economici, di rapporti professionali. Come giurista e naturalista è specializzato in ambiente ed energia, ed ha scritto, curato o coordinato il primo Codice dell’Energia italiano, 5 libri della collana energetica Ipsoa WKI, Energia da Biogas per Edizioni Ambiente. Ha ideato e coordina la formazione in materia di rinnovabili Nextville Edizioni Ambiente e il Master Energia Sostenibile e Fonti rinnovabili Ipsoa WKI. È membro dell’advisory board del progetto europeo E-hub sull’energia da distretto. Come umanista ha ideato e curato Tempo al tempo, riflessione corale sul concetto di tempo edita da Mimesis e resa libera su Internet: http://www.mimesisedizioni.it/Mimesis/ Tempo-al-tempo.html Come artista visivo compie una ricerca volta a realizzare installazioni e sculture ripiene di senso. Con tecniche di liuteria e carpenteria, usando legno o pietra, realizza casse armoniche, strutture di aspetto lineare e minimale che fanno intuire una dimensione interna, un senso profondo reso potente dal mistero. Totem, sarcofago, arca, medicina sono temi storici che entrano in questa ricerca. Ha appreso il senso delle proporzioni da Mirco Marchelli, la poetica da Giovanni Soldi, la sintesi e il professionismo da Luciano Fabro.

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Mostre Personali - Arca e Nascondimento, installazione sitospecifica, Chiesa dei SS.mi Agata e Carlo, Reggio nell’Emilia, 10 - 25 novembre 2012 - Arca e Naviglio, installazione sitospecifica, Palazzo Giureconsulti, Milano, Opening della settimana della Comunicazione, 1° - 7 ottobre 2012 - Nascondimento, installazione sitospecifica, Chiesa di S. Giuseppe e Burella casa Piazzoni, Festival Comodamente, Vittorio Veneto (TV), 8 - 10 settembre 2012 - Arca, installazione e performance, bosco dei Cappuccini, Gubbio, 7 - 8 giugno 2012 - Arca, installazione e performance, Parco dell’Arte Vivente, Torino, 19 maggio 2012 - Il nome segreto delle cose, con Giancarlo Soldi, Welink, Torino, dicembre 2011 Mostre Collettive - Rebus naturae, Ex Ospedale Soave, Codogno (LO), giugno 2013 - E quindi uscimmo a riveder le stelle: il viaggio, Galleria S. Fedele, Milano, maggio 2012 - Con gli occhi alle stelle, Fondazione Lercaro, Bologna, aprile 2012 - E quindi uscimmo a riveder le stelle: dove sono?, Abbazia di S. Remigio, Parodi Ligure (AL), settembre 2011 - Selezione al premio Guerrieri Rizzardi - Fondazione Canova, Barchessa Rambaldi, Bardolino (VR), settembre 2011 - E quindi uscimmo a riveder le stelle: dove sono?, Galleria S. Fedele, Milano, maggio 2011 - Arte, musica e birra, Galleria Bianconi, Milano, maggio 2011 - Il segreto dello sguardo, Galleria S. Fedele, Milano, maggio 2010 Premi - Premio Rigamonti, Centro Artivisive S. Fedele, 2013, Milano - Menzione speciale della Giuria al Premio Guerrieri Rizzardi - Fondazione Canova 2011, Negrar (VR) - Menzione speciale della Giuria al Premio Nocivelli 2011, Brescia - Menzione speciale della Giuria al Premio artivisive S. Fedele 2011, Milano Catalogo personale a cura di Flaminio Gualdoni, Galleria Bianconi, 2010, Milano Testi critici di Ilaria Bignotti, Maria Chiara Cardini, Andrea Dall’Asta S.I., Pietro Caccia Dominioni, Matteo Galbiati, Flaminio Gualdoni, Kevin McManus, Francesca Passerini, Michele Tavola

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Hanno aiutato Francesco Arecco alla realizzazione di Arca Gibellina ‘13: Ilaria Bignotti, Giuseppina Panza di Biumo, Alessandro Bellini, Filippo Binaggia, Antonio Binaggia, Pietro Caccia Dominioni, Tonino D’Aloisio, Matteo Galbiati. Persone che hanno deposto una pietra nell’Arca: Antonino Abate Gianvito Abate Silvia Abbate Alex Accardi Domenico Accardi Emanuele Accardo Miriam Adamo Gianvito Adragna Giulia Agosta Irene Agosta Letizia Agueli Marius Dumitru Aicoboaie Giuseppe Aiello Sophie Alcamesi Carmelo Alcide Maria Antonina Alfeo Salvatore Amico Salvino Amico Pasqua Amodeo Sofia Amodeo Ylenia Ancona Giuseppe Angelo Angela Anzalone Arianna Anzalone Salvatore Maria Ardagna Alessio Michele Asaro Salvatore Asaro Francesco Asta

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Fahmi Ayed Giuseppe Baiamonte Antonino Baio Letizia Balsamo Lionello Balsamo Marta Balsamo Ottavio Balsamo Vito Balsamo Elena Bambina Deborah Barbera Nicola Bellacera Arianna Beltrame Riccardo Bertolino Giovanni Bianco Roberto Bianco Simona Bianco Simone Bianco Giuseppe Bica Enza Maria Binaggia Pietro Binaggia Martina Biondo Sara Biondo Vito Biondo Vito Biondo Aurora Maria Bivona Monica Blunda Antonino Bonanno Antonino Bonanno Enrico Bonanno Roberto Bonanno Serena Bonasoro Antonino Bonino Salvatore Bonino Alida Bono Carola Bono Alessandro Bonura Fabio Bonura Flavia Bonventre Francesco Bonventre Milena Briganò Giuseppe Bruno Mirella Bruno Francesco Bua Michele Bua

Federica Butera Giuseppe Butera Maria Pia Cacioppo Adele Calamia Davide Calamia Francesca Calamia Giuseppe Calamia Natale Antonino Calandrino Filippo Caltagirone Laura Campanella Serena Campanella Domenico Campisi Leonardo Cangelosi Anthony Cangemi Calogero Cangemi Noemi Cangemi Raffaele Cangemi Noemi Capo Salvatore Capo Samuela Capo Vito Capo Francesco Caradonna Giuseppe Caradonna Giuseppe Caradonna Ignazia Carbonello Giuseppe Caronna Giuseppe Caronna Irene Casarrube Grazia Cascio Michele Casciotta Antony Pio Cecchetti Tommaso Cento Magda Chiarenza Andrea Maria Ciacio Luca Ciaravolo Manuel Ciaravolo Salvatore Ciaravolo Nicolò Ciulla Roberta Maria Civello Salvatore Civello Giuseppe Colombo Riccardo Comito Giuseppe Lino Conticello Antonella Coraci

Salvatore Cordio Roberta Corleo Vito Corona Alessio Corso Massimo Corso Vincenzo Corso Andrea Costa Federica Costa Marco Costa Martina Costa Giovanni Costante Pietro Crescente Calogero Cucchiara Giuseppe Cucchiara Giuseppe Cucchiara Alessandro Cuscino Salvatore Cuttone Serena D’aguanno Valeria D’aguanno Antonino D’Antoni Francesco Darbisi Imade Darouache Sala Giovanni De Cesare Antonio Pio De Giorgio Michela Noemi De Giorgio Concetta De Martinez Angelo De Simone Giorgia Di Benedetto Simona Di Benedetto Ivan Di Giovanna Dario Di Giovanni Manuel Di Giovanni Vitalba Di Giovanni Alessia Di Girolamo Carlo Di Girolamo Antonia Di Maio Francesco Di Maio Pietro Di Maria Riccardo Di Maria Carmelo Di Simone Flavio Di Simone Ivan Di Simone Antonino Di Stefano Antonio Giuseppe Di Stefano

Francesca Di Stefano Francesco Di Stefano Francesco Pio Di Stefano Nicolò Di Vita Salvatore Ditta Baldo Drago Danilo Drago Francesco Drago Salvatore Drago Ayoub Drine Nadia Eterno Enrico Maurizio Etiopia Clara Faraci Jessica Faraci Piero Favata Francesco Paolo Ferrante Gaspare Ferrante Greta Ferrante Chiara Ferrara Pierfelice Ferreri Alessia Ferro Alice Ferro Daniele Ferro Francesca Ferro Josè Ferro Aurora Fici Antonino Fontana Dominique Fontana Erica Fontana Fabrizio Fontana Francesca Fontana Fulvio Fontana Gianni Fontana Giulio Fontana Massimiliano Fontana Rosa Fontana Bartolomeo Formoso Annalisa Fundarò Alessia Gallo Sofia Gallo Isabel Gaudino Giuseppe Gaudioso Adele Gentile Samuele Gentile

Tiziano Gentile Veronica Gentile Giorgia Giacalone Gaetano Giambalvo Santo William Giambalvo Giuseppe Giancontieri Pieramaria Giaramida Cosimo Giaramita Noemi Giglio Antonino Gioia Angelo Giordano Giulio Giordano Ilaria Girlando Leonardo Girlando Vincenzo Girlando Gianvito Grassa Pietro Greco Simone Greco Claudia Grillo Annalisa Gruppuso Giorgia Guarisco Luis Esteban Guarisco Simona Guccione Giuseppa Guinci Veronica Guirreri Marco Gullo Antonino Alessandro Ienna Marina Impellizzeri Simona Impellizzeri Antonino Ingoglia Rosario Ingoglia Marino Inguetta Benedetta Innocenti Pierluca Inzirillo Gianni Ippolito Ilaria Ippolito Vita Maria Ippolito Michele Kopeschy Angelo La Pillo Marianna La Porta Domenico La Rosa Mariangela La Rosa Alessio Lanfranca Giovanni Lanza

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Giuseppe Lanza Bryan Lanzoni Alice Laudani Federica Maria Carol Lauria Giuseppe Salvatore Lazzara Fabio Leggio Valentina Lena Veronica Libera Lena Vincenzo Giuseppe Leone Alice Licinio Giuseppe Lipari Angela Maria Lombardino Rosario Lombardino Antonina Lombardo Doriana Lombardo Arturo Giuseppe Lombardo Angela Longo Luca Lucchese Madalina Iuliana Lungu Francesco Lupo Aleandro Luppino Mauro Macaluso Vito Macaluso Antonino Maggio Rosario Maggio Vincenzo Maggio Giulio Maltese Isabella Maltese Salvatore Maltese Miriam Mancino Martina Mancuso Antonio Manfrè Francesco Manfrè Vincenzo Manfrè Alessandro Mangogna Gianni Onofrio Maniscalco Manuel Domenico Maniscalco Simona Marchese Fabrizio Marrone Giuseppe Marrone Vincenzo Marrone Paolo Martino Silvia Masciopinto Carlo Maurizio

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Giulia Maurizio Giuseppe Maurizio Leonardo Maurizio Silvia Maria Mauro Youssef Mekaoui Viorel Mercas Daniele Messina Pietro Miceli Sergiu Mihai Michiu Mariachiara Milazzo Salvatore Milazzo Valerio Mirabile Angelo Mistretta Francesco Mistretta Vanessa Mistretta Francesco Monachino Brigitte Montalbano Alessia Maria Morsellino Amira Moussa Housem Moussa Francesca Mulé Alex Nastasi Sonia Nastasi Carmine Dilan Noto Emilia Nucera Valentina Oliveri Antonino Olivieri Gheroghe Oproiu Giovanni Orlando Abir Ouertani Yahia Ouertani Francesco Pace Giuseppe Pace Francesca Padronaggio Giuseppe Palermo Arianna Maria Palmeri Benedetto Gabriele Palmeri Federica Palmeri William Pasini Samuele Passalacqua Antonino Passanante Francesco Passanante Giovanni Patti Salvatore Patti

Antonino Pedone Girolamo Angelo Pedone Alessandra Pellicane Lorena Pellicane Giuseppe Pernice Emilio Piccichè Antonino Pilato Andrea Salvatore Piraneo Nunzio Marco Piraneo Tatiana Piraneo Fabrizio Rosario Pirrello Alessia Pirrone Giuseppe Pisano Antonina Federica Pisciotta Simona Pizzitola Antonio Pio Pizzolato Francesca Pizzolato Giada Pizzolato Leonardo Pizzolato Michele Plaia Sofia Plaia Michele Polizzi Rosario Polizzi Andreea Cerasella Potorac Gianni Prinzivalli Loredana Purrazzello Caterina Rabbito Flavia Ragona Milena Ragona Giovanni Rallo Giuseppe Rallo Alejandro Randazzo Erika Randazzo Nicolò Luigi Reina Raffaele Renda Vincenzo Robino Graziella Rossello Fabio Rubino Federica Rubino Mario Rubino Monica Rubino Miriam Ruffino Baldassare Russo Giacoma Russo

Karim Saad Gaspare Sacco Achraf Said Aiman Said Jaouhar Said Sofia Said Yassine Said Zaccaria Said Lisamartina Saluto Lucia Saluto Melania Saluto Mariella Sana Emanuele Santangelo Francesco Sapiente Pietro Saverino Elisa Savona Katya Scandaliato Marta Scarcella Paolo Scavuzzo Vincenzo Scavuzzo Vincenzo Schifano Salvatore Scianna Cristian Sciortino Giorgia Scordato Vincenzo Scurto Amin Sghaier Dhaker Sghaier Leonardo Sieli Vincenzo Signorelli Vincenzo Salvatore Signorelli Christian Signorello Vito Signorello Manuel Sillitto Giovanna Simeti Letizia Simeti Morena Simeti Paola Maria Simone Rocco Sinacori Emanuele Spagnolo Leonardo Spagnolo Luciano Spina Marina Spina Rosalia Spina Daniele Filippo Stabile

Marcello Stabile Melissa Stabile Giuseppe Stallone Angelo Emanuele Stillone Davide Sutera Giorgio Tagliavia Silvio Tagliavia Antonio Tamburello Vincenzo Tamburello Antonio Tarantola Danilo Tarantolo Lorena Tarantolo Antonio Terranova Fabio Terranova Roberto Terranova Miriana Tilotta Nicolò Tilotta Paolo Tramonta Giuseppe Tramonte Valentina Tramonte Giovanna Triolo Crispino Riccardo Truglio Giuseppe Tusa Pietro Vaccara Ylenia Vasile Dario Giuseppe Vella Beatrice Verde Ester Verde Federica Verde Francesco Verde Giorgia Verde Luigi Verde Salvatore Verde Gabriele Antonio Viola Adriana Viscò Felice Vivona Emanuele Vultaggio Hassine Zegnani Walid Zegnani Alice Zummo Beatrice Zummo Gianvito Zummo Giuseppe Zummo Giuseppe Zummo

Mario Zummo Paolo Zummo Stefano Zummo

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Istituto di Alta Cultura Fondazione Orestiadi Onlus www.fondazioneorestiadi.it

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.............................................................. presidente Francesca Corrao vice presidente Giulio Ippolito direttore arti visive Achille Bonito Oliva direttore Museo delle Trame Mediterranee Enzo Fiammetta direttore artistico Claudio Collovà biblioteca EMPEDOCLE Elena Andolfi amministrazione Giuseppe Pace cordinamento tecnico Tonino D’Aloisio progetto grafico Ninni Scovazzo ufficio stampa Alberto Samonà assistenza tecnica Salvatore Zummo Santino Formoso Enzo Falco Zahra Said ..............................................................

vini


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