FOGLIE n.22/2020

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Economia

15 Dicembre 2020

L’ALBA DELLA WEB TAX?

EURISPES OSSERVATORIO SULLE POLITICHE FISCALI «Come noto le multinazionali del Web godono di una non più ammissibile omessa tassazione dei loro miliardari profitti. Ciò che, dopo anni di dibattiti è stato finalmente compreso, è che per affrontare fenomeni come quello della tassazione dell’economia digitale, occorre adottare una nuova prospettiva. Già all’Ecofin di Tallin del 21 settembre 2017, del resto, anche l’Europa aveva capito la ineluttabilità di trovare una soluzione operando, principalmente, in due direzioni: tassazione sul fatturato, e/o evoluzione del concetto di stabile organizzazione. Con, sullo sfondo, il tema dei Big Data». Spiega così in una nota l’avv. Giovambattista Palumbo, Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali: «La stabile organizzazione, in particolare, costituisce la codificazione del principio per cui uno Stato può tassare gli utili di impresa solo qualora il non residente eserciti la propria attività in tale Stato mediante una sede fissa di affari. Ma di quale sede fissa hanno bisogno gli operatori del Web? E, però, la citata definizione di stabile organizzazione trova consacrazione sia nelle norme interne sia nelle convenzioni internazionali. E questo è stato, fino ad oggi, il principale ostacolo all’introduzione di una norma ad hoc che fermasse l’“emorragia fiscale”. Insomma, l’approccio al fisco del mondo digitale deve essere darwiniano. Nel senso che vi deve essere un’evoluzione giuridica al passo con quella tecnologica. Chi opera (e guadagna) nel nostro Paese deve sottostare alle leggi nazionali come tutti i normali cittadini. E lo deve fare in quanto soggetto allo Stato di diritto e non come “contributo” volontario alla propria comunità locale di riferimento (parole di Facebook). Il 13 dicembre 2018 il Parlamento europeo, riunito in plenaria, ha del resto votato ed approvato due relazioni che chiedevano all’Europa di introdurre un sistema comune di tassazione per i servizi digitali. Il Parlamento europeo aveva in sostanza proposto alcune modifiche alle proposte già avanzate nel marzo 2018 dalla

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Commissione europea, aggiungendo all’elenco dei servizi che possono essere considerati entrate fiscali la fornitura di «contenuti su un’interfaccia digitale come video, audio, giochi o testi» – indipendentemente dal fatto che tali contenuti fossero di proprietà della società fornitrice o che questa ne avesse acquisito i diritti di distribuzione – e riducendo la soglia minima al di sopra della quale i redditi di una società sono soggetti a tassazione – qualsiasi società che generi entrate all’interno dell’Ue superiori a 40 milioni di euro durante l’esercizio finanziario, mentre nella proposta della Commissione europea l’importo era di 50 milioni di euro. Veniva, invece, mantenuta l’aliquota del 3%, sempre proposta dalla Commissione, con la prospettiva di passare al 5% dopo due anni dall’entrata in vigore delle nuove regole. L’obiettivo era quello di colmare il divario tra la tassazione dei ricavi digitali e quella dei ricavi tradizionali laddove, in media, le imprese digitali sono soggette a un’aliquota fiscale effettiva pari solo al 9,5%, rispetto al 23,2% per i modelli d’impresa tradizionali. Soltanto determinate entità dovrebbero comunque essere considerate soggetti passivi, dovendosi, nelle proposte richiamate, considerare come tali le entità che soddisfano congiuntamente le seguenti condizioni: - l’importo totale dei ricavi (a livello mondiale) dichiarati dall’entità per l’ultimo esercizio finanziario completo per il quale è disponibile un bilancio consolidato supera i 750.000.000 di euro; - l’importo totale dei ricavi imponibili ottenuti dall’entità nell’Unione durante tale esercizio finanziario supera i 40.000.000 di euro. La strada della tassazione di tali tipi di attività sta comunque per essere intrapresa, o è già stata intrapresa, singolarmente, da vari Paesi. Con la Digital service Tax inglese, per esempio, si mira ad intercettare i proventi derivanti da operazioni tramite piattaforme telematiche e social network, Big Data, on line marketplace eccetera. La Digital service Tax inglese è quindi specificamente mirata su determinate digital business activities, i cui proventi


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