Pagina del pollo 58 - L'etica originaria

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La Pagina del Pollo 58 L’etica originaria Articolo estratto dall’uscita di settembre-ottobre 2016 della rivista Fly Line

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L A PAGINA DEL POLLO 58 Roberto Messori

Ennesimo grido d’allarme sulla degenerazione di una parte della pesca a mosca. So bene che non tutti pescano solo a ninfa ceca, che non tutti strapopolano i “no kill pronta pesca”, che molti Pam sono “sani” ed amano ancora cercare luoghi ameni, torrenti e fiumi non troppo manipolati dove esprimere il bisogno di una disciplina alieutica di qualità, magari con qualche comprensibile cedimento al lato oscuro della forza, succede anche a me. Tuttavia è sempre necessario non abbassare la guardia, e ricordare cosa, la nostra disciplina, sotto sotto rappresenta. 2


È È

un vero delitto che importanti studi di antropologia, sociologia e psicologia scritti da uomini di pensiero per le masse, affinché il singolo possa comprendere i meccanismi che sono alla base della nostra società, così da contribuire al suo miglioramento nel momento in cui la democrazia gli consente di mettere una scheda nell’urna, siano invece studiati attentamente quasi solo dagli esperti delle multinazionali dedite principalmente al profitto, dai politici dediti esclusivamente al potere e da qualche regista le cui opere sono surclassate dai film di cassetta. In compenso il popolino è bombardato da TV spazzatura, film d’azione promafia, telefilm dove poliziotti e criminali camminano costantemente puntando semiautomatiche ovunque, telequiz dalle domande demenziali (almeno nel vecchio “Lascia o raddoppia?” serviva erudizione vera), mentre mode e tendenze sono costruite ad arte, nelle

quali il prodotto proposto non è scelto in base alla qualità, ma alla regola psicologica che potremmo esprimere come “compri anche tu quello che comprano tutti”. Internet è un esempio lampante: nelle classifiche dei click o dei mi piace i più cliccano dove il numero è maggiore, perché è così che la nostra natura ci spinge a fare. Del resto è una delle prerogative della democrazia: 1000 ignoranti promulgano una legge che 10 sapienti avevano sconsigliato, specie se sono stati bombardati da propaganda continua. Se il popolo tedesco avesse letto, invece del Mein Kampf di Hitler, la Psicologia delle folle di Le Bon, manuale operativo dei dittatori europei del XX secolo, delle moderne multinazionali nonché di ogni politico, probabilmente la storia sarebbe stata diversa. È vero, con i “se” bisogna stare molto attenti, io ad esempio mi chiedo sempre: “E se

A fronte, Marc Chagall, Il gallo, che per noi è ancora un pollo. Picasso ha un po’ stancato, abbiamo sostituito il gallinaceo. Al centro, tra le infinite immagini online per “TV spazzatura” abbiamo scelto questa. È carina... No? Qui a destra, il “manuale del dittatore” che tutti dovrebbero leggere.

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fossi stato un pesce?”. Tornando a noi, i Pam non fanno eccezione, dovrebbero, ma non è così. Dovrebbero perché sono appassionati di un atavismo primordiale, perché l’etica della disciplina impone dei limiti, perché le leggi della natura divengono le loro leggi, perché lungo i fiumi si dimenticano gli stress sociali e perché si riappropriano del piacere dei propri istinti. Dovrebbe, ma non è così. Gli sport, come sappiamo, sono guerre ritualizzzate, dove si pone un limite ad ogni potenziale evento cruento e si sostituisce il proiettile che colpisce con una palla da infilare in rete, o qualcos’altro di analogo. Caccia e pesca non sono sport, per quanto la pesca venga definita “sportiva”, soprattutto la caccia non lo è, che si conclude inevitabilmente in modo cruento, “Guarda, giocano a rincorrersi, chi vince mangia” dice il bradipo ne “L’era glaciale”. Ma la pesca? Sarebbe uno sport se anche il pesce fosse consenziente e si divertisse, ma così non è, di “sportivo” c’è solo l’idea che il no kill lo faccia diventare tale, ma vale solo per noi umanoidi predatori. Noi dovremmo considerarci fortunati: pescando a mosca possiamo decidere, dopo aver vinto la guerra, se uccidere o lasciar vivere l’avversario. Chi vince mangia non è un vicolo cieco, ma un’opzione. Premesso ciò, è sempre più diffi-

“La guerra è la continuazione dello sport con altri mezzi” (von Clausewitz & Fly Line).

cile esercitare la nostra passione conservandone l’etica originaria. Ma qualè l’etica originaria? E perché è così difficile conservarla? Andiamo per gradi.

L’etica originaria

È preoccupante il fatto di doverlo ricordare, ma è inevitabile quando tanti sembrano averla dimenticata.

La pesca con la canna è nata certamente nei tempi più antichi quale ausilio alla caccia ed alla raccolta, ma poi, nel corso dei secoli, si è progressivamente evoluta in modo da esaltare sempre più taluni aspetti di intimo piacere che inevitabilmente comporta. Non è facile né immediato definirli, ma potremmo accennare all’assenza dei pericoli e della foga predatoria tipici della caccia, ad essi subentra invece la contemplazione, poi l’insopprimibile piacere del contatto con l’acqua che scorre, pregna d’un fascino magnetico che apre cuore ed animo, le necessarie astuzie impongono riflessione ed osservazione per indagare il comportamento di esseri alieni che prosperano in un mondo ben diverso dal nostro, ed il tutto è sempre circondato da un’aureola filosofica che porta a riflettere sulla vita e conduce inevitabilmente alle domande fondamentali. Anche perché noi veniamo dall’acqua, primo perché è da lì che la vita s’è evoluta, poi perché almeno per nove mesi siamo pesci. Fine anni ‘70, torrente Dardagna, Appennino bolognese. In quel tempo per l’etica del Pam la “pesca facilitata” era un’idea aberrante, tutt’al più, causa Halford, le dry fly erano più “pure” delle wet fly. La ninfa ceca? Allora avevano altri problemi, i cechi, col comunismo.

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Lungo i fiumi, alla fin fine, è molto più facile trovare pace e serenità che in qualunque altro luogo del mondo. La pesca si può esercitare in tanti modi ed essere praticata da carogne come da santi, escluso San Francesco, e non tutti lungo i fiumi diventano filosofi contemplativi, ma è indubbio che questi sentimenti e piaceri ne facciano parte. Ebbene, io ritengo che la pesca mosca si sia evoluta proprio in funzione di detti sentimenti e percezioni. La Pam è la tecnica che li evolve ai massimi livelli e non credo che sia necessario spiegare il perché, quasi tutti, sotto sotto, lo sappiamo bene. Ma forse un piccolo promemoria non farà male. Non abbiamo bisogno di pasturare sporcandoci mani e inalare puzze ributtanti per falsificare il fiume, ma dobbiamo indagarlo per comprendere qual’è la pastura che, stagione per stagione, giorno per giorno, ora per ora, la natura fornisce ai pesci sotto forma di magici insetti alati.

Non compriamo vermi o bachi da infilzare con l’amo, ma dobbiamo replicare quella magia con sete e piume d’uccelli, non lo crediamo neppure noi, ma è autentica creatività artistica, seppure non fine a sé stessa. Non lanciamo lontano le nostre esche con l’ausilio di pesi, lo facciamo invece con complessi volteggi grazie a lunghe lenze e corte canne elastiche e leggere e ad un’abilità da giocoliere che perfezioniamo per tutta la vita. Tutte queste scelte non servono a facilitare le cose, quindi le catture, ma anzi a renderle più difficili, ed è in questo che sussiste l’unico concetto davvero sportivo: il piacere aumenta vincendo sfide ardue.

In alto, pastura artificiale inglobante cagnotti, un cagnotto verrà infilzato nell’amo. Al centro e in basso, “pastura” naturale prodotta dall’ambiente acquatico e sua imitazione (H. longicauda), non puzza, non sporca, non inquina, ma, soprattutto, richiede maestria, pazienza e conoscenza della natura.

Il carnivoro affamato cerca la preda più facile, l’animale debilitato, ferito o la sua prole più indifesa. Noi no, noi sfidiamo l’avversario più forte e più smaliziato, perchè sarà la sua cattura a soddisfare il bisogno di vittoria. Il record del fiume e della vita resta sempre il nostro desiderio inconscio, oppure consapevole. Credo che le pagine più belle mai scritte sulla pesca a mosca, pregne di questi sentimenti, si trovino alla fine del libro del De Boisset “Les mouches du pêcheur de truites” del 1939, dove il

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Albertarelli lo chiamava “lavorare per il cestino”, oggi per fortuna il concetto è cambiato, ma ciò che ne è rimasto ha contagiato anche la pesca a mosca. Per prendere molti pesci esistono diverse tecniche “volgari” nelle quali il fine è necessariamente la quantità, senza preoccuparsi della qualità, nella Pam dovrebbe essere esattamente il contrario. Tutto nella pesca a mosca è elaborato ai fini qualitativi di ogni singola cattura, o almeno così dovrebbe.

vecchio pescatore descrive l’impeto dei giovani assetati di prede a confronto con i suoi sentimenti dopo tanti anni di pesca e di esperienza, sentimenti assai più vicini a quell’essenza che porta sempre più verso la qualità, abbandonando progressivamente, lungo la lunga strada, la smania di infinite catture. Potremmo assimilarlo ad un processo erotico raffinato, dove la tensione di un lungo atto preliminare porta al massimo nella ricerca dell’eccitazione al fine di aumentare un piacere quasi parossistico della conclusione.

Commandos in alta tecnologia: sopra, in veste anti-pesce; sotto, in veste anti-uomo. Solo che gli uomini da combattere sono armati pure loro, i pesci invece sono gli stessi da svariate centinaia di milioni di anni: pacifisti e disarmati.

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La difficile conservazione

Ho conosciuto pescatori di tutti i generi. Ho amici che non concepiscono la pesca se a sera non portano in famiglia il cibo per la cena, e ne ho altri che non ne sopportano l’uccisione. Ho amici che lungo il fiume devono fare tabula rasa, come se fossero sempre impegnati in una gara di pesca, ed altri che vagano lungo le rive alla ri-

cerca di una preda degna, indipendentemente dal trattenere o meno il pesce. Ho amici che vanno a pescare e non si pongono problemi, se catturano sono contenti, altrimenti sono contenti lo stesso, magari un po’ meno, ed altri che se non catturano diventano delle belve frustrate difficili da sopportare. Ho amici che ne devono prendere più di te, ed altri che quando ti vedono prendere un pesce sono contenti come se lo avessero preso loro. Comunque sono tutti amici che, come me, lungo i fiumi stanno meglio che da qualunque altra parte e io sto bene con loro. Questo per dire che possiamo essere molto diversi e “l’etica originaria” può benissimo essere trasversale a qualunque “tipo psicologico”, per usare un termine junghiano. Dov’è invece che l’etica inizia a degradare? Pazientate, so di averlo già detto più volte, ma uno dei più importanti ingredienti del degrado è l’invasione del


meccanismo commerciale e consumistico nel mondo pammistico. Una volta v’erano alcuni negozi specializzati ed il negoziante era sempre un esperto della materia. Le canne erano in bambù, oppure in fibra di vetro per chi preferiva risparmiare, le code in seta o Pvc e con poche tipologie, DT o WF. Come oggi, le mosche si compravano o costruivano. Stavo per dire che le mosche di allora catturano come quelle di oggi, ma anche le canne in bambù e le code di allora funzionavano come quelle di oggi: non saranno mai quelle a farvi catturare di più, se pescate davvero a mosca. Poi sono arrivate le canne in grafite, poi ad alto modulo, poi ancora più alto, poi a modulo stratosferico, poi hanno inserito molecole strane, cose coi nani, insomma, e le code? Decine e decine di tipi con rastremazioni diverse, in Pvc, in kevlar, in aramidica, in nylon, in seta, in seta misto poliestere... Per non parlare di nylon sempre più robusti, i cui nodi si rompono più o meno come quelli degli anni ‘70. La tecnologia avrebbe evoluto ogni aspetto e può anche dar-

si che qualcosa qua e là sia vero, ma è anche vero che io pesco con canne in bambù, code Cortland 444 SL comprate 30 anni fa e non credo proprio di avere meno possibilità di cattura di chi si serve di canne e code all’ultima moda. E fin qui nulla di male, si tratta solo di scelte. Il problema è che il martellamento commerciale, le vere o false innovazioni tecnologiche, le mode, gli slogan, le discussioni, la foga di novità hanno rivoluzionato la pesca a mosca e, credo che pochi se ne rendano conto, oggi i pesci siamo noi, pronti ad abboccare all’ultima esca presentata in Internet come il top di gamma. Metteteci anche un bel “mi piace”. L’interesse per i fiumi si è spostato verso l’interesse per le novità, che è esattamente ciò che la moderna strategia commerciale ha come obiettivo. Vestitevi di tutto punto e guardatevi allo specchio, coi vostri waders in Goretex, gli scarponi con chiodi al titanio, il giubbino ipertecnologico dotato di innumerevoli tasche ed accessori, la collana con tutti gli ammennicoli

magnetici, la camicia traspirante che s’asciuga all’istante e tutto il resto, per andare nel no kill ripopolato ad uso e consumo, dove sfoggiare la tecnologia in fila con altri pescatori alla moda. In fila o in sfilata? Tecnologia e consumismo vi propongono attrezzi sempre più prestanti indipendentemente dalla vostra capacità, sono gli stessi dei campioni, pertanto con essi prenderete pesci come i campioni. E i fiumi? I fiumi non sono più i luoghi dove “è molto più facile trovare pace e serenità che in qualunque altro luogo del mondo”, ma il posto dove spianare l’ultimo grido in tema di attrezzatura o abbigliamento. Non si percorrono più le rive indugiando alla lunga ricerca di una preda, si vuole catturare subito, senza camminare troppo, senza attesa, e tanto pesce, nello stesso posto. I fiumi non resta che adeguarli, così li si riempiono di pesci, grossi, si pagano i permessi e finalmente si può catturare a più non posso. Altro che ambiente selvaggio! Basta l’illusione: – Cazzo, ‘sta canna è una bomba!

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I gestori di tratti no kill sono i veri pescatori e noi le trotelle sottomisura. Ma fin qui nulla di male, il problema è che i restanti fiumi, le cosiddette “acque libere” sono abbandonate a sé stesse, quasi nessuno si occupa più di loro, della loro protezione, o rinaturalizzazione, o di difenderle dall’antropizzazione. Ma dove è scritto che il pescatore a mosca deve anche essere un attivista ambientale? È improponibile, si va a

monte trascinata da ninfe appesantite che mai potrebbero volteggiare”. Lo so, la tecnica è piuttosto redditizia, ma anche la bolognese è redditizia, come lo sono la pesca al tocco col verme o con le larve di insetti, o la Roubasienne. Non vorrei essere troppo drastico, ma il pescatore a mosca che rinuncia al volteggio per prendere più pesce non è un pescatore a mosca, ma un pescatore al tocco che usa un’esca finta anziché

vera. Nessuno si offenda, credo di aver espresso una logica inconfutabile ed ho il massimo rispetto per i pescatori al tocco, tecnica che ho praticato in gioventù.

E allora?

Cosa dovrebbe fare oggi il Pam per la “conservazione” dell’etica originaria? Beh, se ha letto questo articolo ha già fatto tanto, significa che, forse, si è posto almeno il problema, anche se poi mi ha mandato a quel paese. Del resto io, più che informare, altro non posso fare. Internet, chi più chi meno, ci sta trasformando in un tessuto cellulare, trovare la nostra identità, isolarla e chiederci chi siamo e cosa vogliamo credo francamente sia impossibile, anche perché sono loro a stabilire chi siamo e cosa vogliamo. Loro, i padroni della terra. Pensavate che non esistessero? Tanti anni fa i nostri figli erano educati, nel bene e nel male, dai genitori. Successivamente dai genitori e dalla scuola. Poi dalla scuola e dagli amici. Dopo, gli educatori sono diventati i

pesca per divertirsi, mica per scornarsi coi mulini a vento dei poteri economici e politici, lasciamo la lotta a quei pochi coraggiosi che ne sentono il bisogno e torniamo ai Pam del giorno d’oggi. Passiamo al terzo paragrafo relativo all’etica originaria, “... complessi volteggi grazie a lunghe lenze e corte canne elastiche e leggere e ad un’abilità da giocoliere...”. Per una tutt’altro che indifferente percentuale di pescatori dovremmo scrivere “brutali ribaltamenti della lenza a Sopra, rete neuronale del nostro cervello; al centro, la rete di Internet; a sinistra, la rete... Di noi pescatori, o di noi “pesci”? La verosimiglianza è inequivocabile quanto inquietante, giacché ci siamo tutti dentro. A fronte in alto, posto perfetto per una dry fly, ma anche per liberare un po’ la mente.

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Beatles e i Rollingstone, poi Madonna e i Nirvana, oggi gli educatori sono Internet ed i social. Sono educatori pericolosissimi, noi stessi caschiamo in terrificanti bufale disinformanti. Internet ha la peculiarità di estrarre il peggio dalle persone. Se Freud, Jung, Le Bon, Wilhelm Reich (autore di Psicologia di massa del fascismo) e Canetti (autore di Massa e potere) fossero ancora vivi, credo che sorriderebbero compiaciuti fregandosi le mami dalla soddisfazione, poiché


Internet ed i social darebbero loro modo di analizzare la psicologia di massa usufruendo di uno strumento d’indagine straordinario, ma poi le loro opere aggiornate, ancora più argute ed illuminanti, rimarrebbero più misconosciute delle precedenti. Pur ammirandoli molto in apparenza, non sempre gli uomini prendono sul serio i loro grandi pensatori (Freud). Non è una bufala di Internet come la lettera di Albert Einstein indirizzata alla figlia perduta (lo sapevate? C’è ancora, online), questa citazione la trovate in Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Ed era solo il 1921.

L’ultima chance

Internet è sia il Mein Kampf di Hitler che la Psicologia delle folle di Le Bon, nei suoi pixel trovate i più grandi ed efficaci tentativi di mistificazione finalizzati a dirigere l’opinione della gente, come trovate le grandi verità, ma la sua struttura enfatizza le prime e nasconde le seconde. La sua struttura è all’80% massa, quindi superficialità, banalità, stupidità, meschinità e violenza, il 15% informazione dal potere, tra blob di politici e giornalismo vario, ed il 5% (ad essere ottimisti), informazioni abbastanza corrette ed a volte sorprendentemente evolute, più spesso esagerate. Per arrivare alle verità non basta cercare, occorre averne sete, e non si può dissetare una massa già ubriaca. Non so se a voi capita lo stesso, ma quando vago nella natura alla ricerca della bollata di una trota riesco a pensare in modo più libero, almeno questa è la percezione, ma devo essere solo. Se la mia attrezzatura è più artigianale che tecnologica sono più contento, se con me ho solo lo stretto necessario mi sento più in armonia, per non dire meno buffo, mi sento, insomma, più uomo del fiume che cellula del consumismo.

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A sinistra, pesca a mosca nel III Reich. Due pescatori che a quell’epoca (negli anni della “ricrescita” della Germania, che Hitler stava riaffrancando dalle pesanti imposizioni del Trattato di Versailles con i sistemi che oggi conosciamo bene) confidavano certamente in un futuro di pace e benessere... Non vorrei che oggi fossimo tornati in una situazione più o meno simile. Sotto, no kill come un telefilm, dove tutto deve crearsi, svolgersi e risolversi in un’ora, tutto artificiosamente e programmaticamente, pubblicità compresa. Qui l’abbiamo aggiunta noi, ma potrebbe diventare vera. Il mio pensiero va al pesce, al suo ambiente, alla sua fame, al cibo che brulica tra i sassi del fondo e che, di tanto in tanto, magicamente risale verso il cielo e vola via. Se mi siedo su un sasso, complice un po’ di stanchezza e di voglia di pregustare la prossima buca, entro in uno stato di “riflessione automatica” e penso cose che in città di rado mi vengono in mente. Se un fruscio improvviso mi spaventa mi aiuta a comprendere di quanto mi sono allontanato dalla natura, dalle sue leggi semplici, ma terribili. Leggi terribili? Tra gli animali non ci sono terroristi fanatici, progettisti di bombe antiuomo, depositi di missili termonucleari, e branchi di animali democratici che fomentano guerre nei paesi totalitari per vendere più armi e garantirsi il potere nei parlamenti delle società cosiddette civili, quali paladini della democrazia. E tutti usano Internet, dall’Isis per cercare adepti tra psicopatici disperati che non hanno più nulla da perdere fino ai paesi occidentali che sfruttano qualunque tragedia in vista delle prossime elezioni. L’unica mia “consolazione” è che non posso far nulla per cambiare le cose, e pensarlo mi fa sentire meno frustrato: è un po’ poco. Ricordo una vecchia foto dei tempi del nazismo dove due pescatori a mosca, in wading, osservano una grossa fario appena catturata e tenuta per la coda. Illustrava la vita nella Germania

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nazista prima della guerra, tra il ‘33 ed il ‘39, quando Hitler promettava la pace e consolidava il suo potere. Chissà, forse quei due pescatori credevano in un futuro di pace e benessere, la disoccupazione calava, l’inflazione era stata contenuta e il Führer sembrava davvero l’uomo del destino, mentre loro si divertivano prendendo trofei a mosca in bellissimi fiumi. Il destino sarebbe arrivato meno di un lustro dopo, destino che noi conosciamo bene. Ecco, guardando il futuro mi chiedo se non si stia ripercorrendo quella strada. Non vorrei davvero

dovermi riconoscere in quella foto, tra qualche tempo. La fario comunque non era niente male. La caccia è una disciplina cruenta, la pesca può non esserlo ed è per questo che le è riconosciuta un’aureola di filosofica contemplazione. La pesca a mosca rappresenta il suo vertice più elevato, purché si svolga senza barare. Barare significa ripopolamenti, pesca facilitata, eccesso di tecnologia, ingerenza del consumismo e, in definitiva, abbandono progressivo dell’etica originaria. Vedere tanti pescatori affollare i


L’inesistente livello di controllo nell’inserimento di informazioni in Internet facilita lo sviluppo di fenomeni virali in cui trovano ampio spazio notizie non confermate, da incredibili bufale a falsità d’ogni genere. Le implicazioni sono affrontate in un articolo di Walter Quattrociocchi (dell’Istituto IMT Alti Studi di Lucca) apparso sul numero di febbraio 2016 di “Le Scienze”. In basso, il fascino di una dry fly: qualcuno lo percepisce ancora?

no kill, non quelli veri (che da noi praticamente non esistono più, ammesso che siano mai esistiti), la dice lunga sull’animo umano, sulla sua condizionabilità, sulle sue debolezze e sui suoi bisogni. Il vero ambiente naturale viene sempre più sostituito da un telefilm dove in breve tempo, senza tante storie, si svolge l’avventura, sempre garantita, esattamente come ce l’aspettavamo. Non mi stupirei se nei no kill inserissero intervalli pubblicitari. È per questo che io considero la pesca a mosca come una sorta di ultimo

baluardo, l’ultima possibilità di ritrovare un po’ di verità, un contatto con la natura tale da fornirci un diverso punto di vista sulle nostre aberrazioni. Inoltre i pesci hanno una caratteristica straordinaria, non parlano mai, e, ricordando la massima di Sant’Egidio: “L’ignorante parla a vanvera, l’intelligente parla al momento opportuno, il saggio parla se interpellato, il fesso parla sempre”, probabilmente i veri geni sono loro, i pesci.

Riabilitazione della dry fly

Ho pescato e pesco con tutto, ninfa leggera, streamer, sommersa alata, ninfa appesantita... Cerco di essere ra-

zionale, ma se sono nella stagione giusta e le condizioni sono accettabili parto sempre a mosca secca e se c’è attività la prediligo anche se le abboccate sono meno frequenti. Mi piace la mosca secca, mi piace realizzare imitazioni, mi piace lanciarla e vederla derivare galleggiando, cerco di studiare gli insetti che vedo sia in acqua che in volo, di memorizzarne l’immagine percepibile, confrontare un insetto alla sua imitazione per me è un piacere, che dire? Ne sono affascinato. Valutare dry fly ben fatte non sarà come ammirare i dipinti di Emil Nolde o di Vincent van Gogh, nel senso che non mi emoziono allo stesso modo, ma provo comunque un piacere sottile e irrefrenabile. Nell’osservare una banale effimera oppure un bizzarro coleottero la mente va subito alla ricerca di come potrei imitarlo al meglio conferendogli la necessaria galleggiabilità. Trovare situazioni di selettività dove la mosca deve possedere caratteristiche tali da ingannare un pesce difficile è una sfida troppo intrigante per rinunciarvi e per me rappresenta il massimo della passione. Poi anch’io voglio catturare, pescare a lungo senza risultato mi demotiva, ma piuttosto che mettermi in una lama e far razzolare per ore ninfe piombate sul fondo vado alla ricerca di una situazione diversa, provo a raggiungere punti scomodi, provo anfratti e luoghi anche minuscoli alla ricerca di un pesce isolato, lascio che la mia intuizione ed il mio senso dell’acqua suggeriscano cosa fare per trovare un pesce in attività. Se non ne trovo? E difficile. C’è sempre qualche pesce “controcorrente”, e se proprio non si batte chiodo passo alla ninfa, che non disdegno affatto. Adattarsi alla situazione è l’atto primario quando si va a pescare e comprenderla è determinante. Anch’io ho passato fasi dove volevo catturare a più non posso, soprattutto più dei compagni di pesca, ma il motore era sempre il desiderio di un grosso pesce. Per la verità di grossi ne avrei presi parecchi, ma quello mi è sempre sfuggito. Temo, oggi, di essermi rassegnato: con la secca non lo prenderò mai.

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