Libro + 50 Lettere dal Marketing

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La Società del Marketing | aprile 2012

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Lavoro e formazione: l'importanza dell'esperienza all'estero Intervista a Pierluigi Celli, DG Luiss Guido Carli Censis, 7 marzo 2012 Gli scenari del lavoro al 2020 - del 18/4/12 Domenico De Masi S3 Studium

1. Nel 2009 Lei ha inviato una lettera al quotidiano La Repubblica, in cui suggeriva a suo figlio di lasciare l’Italia, affermando che il bel Paese “non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio”. Ad oggi la sua opinione in merito è cambiata? Ritiene ancora che l’unica opportunità per i giovani sia quella di abbandonare il Paese e cercare una realizzazione professionale all’estero? R: La lettera nasceva come provocazione sulla base dell’esperienza che stavo facendo in università nell’accompagnare al lavoro i ragazzi che si laureavano. Un impegno che assorbe gran parte della mia giornata lavorativa insieme al tempo dedicato ad ascoltare gli studenti nei loro problemi quotidiani. Le difficoltà crescenti di trovare occupazione e di incontrare prospettive soddisfacenti, mostravano con chiarezza l’accentuarsi della crisi che allora non sembrava sollecitare riflessioni né interventi. Il contesto generale, poi, segnalava un paese in degrado progressivo e quasi inarrestabile, con sbandamenti preoccupanti sia a livello politico-istituzionale che civile. Da allora, l’argomento della disoccupazione giovanile e della contrazione delle opportunità lavorative è diventato quasi di moda sulla stampa, nei convegni e nelle prese di posizione pubbliche. Le soluzioni non sono ancora arrivate, ma almeno il contesto sociale e politico è cambiato, sembra esserci una diversa sensibilità alla questione morale, e la speranza che si ponga mano in qualche modo al problema si sta facendo più concreta. Io credo, per quello che mi è dato di vedere, che i giovani possano trovare nell’esperienza all’estero confronti e arricchimenti personali e professionali utilizzabili positivamente. Del resto i circuiti internazionali, per gli studenti, si stanno moltiplicando, e questo è un bene. Se poi tutto questo sarà possibile utilizzarlo in patria è un desiderio che sta a cuore a tutti noi. Per chi abbia interesse genuino per le sorti del nostro paese, poter contare su di una generazione più ricca di saperi, più aperta, e meno condizionata da logiche di appartenenza o da devozioni improprie, non può essere che un vantaggio.

2. Partendo dal discorso inverso, noi in questi anni abbiamo “esportato” tanti talenti, ma quanti ne abbiamo attirati sul nostro territorio? L’Italia non dovrebbe preoccuparsi maggiormente di attirare "nuove menti" per migliorare il confronto internazionale? Quale dovrebbe essere in tal senso il ruolo delle Università? R: Per attirare risorse competenti e di pregio dall’estero bisognerebbe offrire condizioni almeno compatibili con quelle presenti oggi in altri paesi evoluti o in quelli che hanno imboccato risolutamente la via di un rapido sviluppo. Cosa che l’Italia ancora non sembra assicurare. La logica meritocratica nella valutazione, selezione, promozione e accompagnamento nella crescita professionale dei talenti e dei volenterosi, è tutt’ora largamente casuale e limitata, quando non addirittura negletta od ostacolata. Altrettanto si può dire dei riconoscimenti economici da agganciare ai curricoli e ai risultati. Le nostre università, poi, con lodevoli eccezioni certo, sono ancora largamente dominate da atteggiamenti difensivi di antiche corporazioni, in cui la tutela di posizioni di potere e della discrezionalità nei percorsi di carriera più o meno familistici offre condizioni opache che scoraggiano anche quelli disposti a rischiare. È chiaro che il superamento di queste forme di arroccamento autoreferenziale si presenta come una condizione minima per superare le diffidenze esterne: chi vale vuol essere sicuro di capire su che terreno e con quali regole si gioca, mentre l’impressione più accreditata è che principi e valori correnti legittimino comportamenti non comparabili con gli standard internazionali. Negli anni recenti, la perdita di reputazione del paese all’estero ha fatto il resto.


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