Stazzema - Un paese nella Storia dell'Arte

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alba tIberto beluffI

Stazzema

Un paese nella Storia dell’Arte



alba tiberto beluffi

Stazzema

un paese nella Storia dell’Arte


Stazzema

Un paese nella Storia dell’Arte

Con il contributo di

Testo introduttivo Michele Silicani Sindaco di Stazzema Prefazione Tiziano Panconi Testo storico - critico Alba Tiberto Beluffi Coordinamento Egidio Pelagatti Ufficio Cultura del Comune di Stazzema Progetto grafico Jacopo Cannas

Elenco delle opere riprodotte: Filadelfo Simi, Un mazzo di fiori (1890) Filadelfo Simi, Le Parche Filadelfo Simi, Stazzema, la vite (1890) Filadelfo Simi, L’altalena (1894 ca.) Filadelfo Simi, Un riflesso (bozzetto) Nera Simi, Castagni in Versilia Renzo Simi, Stazzema, la via nuova

Per approfondire la conoscenza di Filadelfo Simi www.albatibertobeluffi.com


Filadelfo Simi, uno stazzemese illustre

È un motivo di onore per l’Amministrazione Comunale di Stazzema patrocinare e sostenere la mostra che i cittadini del paese di Stazzema hanno voluto dedicare ad uno dei suoi abitanti più illustri, Filadelfo Simi. Il Simi è per questo Comune una sorta di bandiera, una sorta di cittadino onorario che ha portato il nome di questi luoghi da Parigi a Venezia a Firenze, fino a creare in questo angolo di Alta Versilia una sorta di scuola, che grazie anche alla figlia Nerina, ha istruito e allevato artisti di ogni nazionalità fino ai giorni nostri. La riscoperta di Filadelfo Simi anche nella nostra Versilia, grazie anche alla preziosa e appassionata opera della Banca della Versilia, della Lunigiana e della Garfagnana che ha costituito un proprio fondo che raccoglie alcuni dei quadri più belli dell’artista nato a Levigliani, è il senso di una azione culturale che mira a conoscere e valorizzare le risorse presenti sul territorio, che questa Amministra-


zione non solo ha sempre condiviso, ma anche incentivato. Il patrocinio e il contributo a questa mostra che si tiene nel paese di Stazzema è l’ulteriore prova di questo impegno e di questa sensibilità, di questo desiderio di ricordare i grandi uomini di questa terra e riaffermarne il valore assoluto che hanno avuto nella storia dell’arte. Ricordare Simi nei luoghi di Simi, dove operò, dove visse e nacque è riaffermare quanto fertili e generose sono sempre state queste montagne, queste vallate nell’ispirare il genio di un artista come Filadelfo Simi e quanto lo furono il Simi e sua figlia Nerina nel volere in questi luoghi tanti altri volenterosi e validi giovani che con pazienza ed ingegno impararono l’arte e il disegno. Ancora oggi capita di incontrare artisti che si formarono a Stazzema e portarono il nome del nostro Comune in giro per il mondo: sono le tracce di un’opera che fu fertile e non sterile, che seppe guardare al futuro e perpetuarsi nel tempo. L’opera che questa Amministrazione Comunale, la Banca della Versilia, della Lunigiana e della Garfagnana, la signora Alba Tiberto Beluffi, gli abitanti di Stazzema è una azione comune per dare a Filadelfo Simi quel posto che merita e che già i maggiori critici hanno assegnato a questo pittore che fu attento non solo ad operare per la sua arte, ma anche a lasciare una traccia di sé in questi luoghi, anche attraverso l’opera di sua figlia e dei suoi allievi, di cui speriamo un giorno ospitare una mostra in questi luoghi così belli e generosi. Il Sindaco di Stazzema Dott. Ing. Michele Silicani


Prefazione

Nel panorama artistico e nel contesto socio-culturale ottocentesco la Toscana, con Firenze capitale anche italiana dal 1865 al 1871, ebbe certamente un ruolo centrale per la rinascita o meglio per il “risorgimento” intellettuale delle arti visive. Una regione che, dalla ben nota restaurazione macchiaiola in poi, conobbe un crescendo di possibilità espositive - prime fra tutte quelle offerte dalle promotrici fiorentine, alle quali partecipavano artisti da tutta Italia producendo sollecitazioni, arricchimenti e un confronto diretto, poliedrico e continuo di esperienze diverse. In tale contesto si colloca anche la vicenda umana e artistica di Filadelfo Simi, pittore di eccezionale talento, la cui riscoperta critica si deve principalmente agli studi puntuali condotti negli ultimi vent’anni da Alba Tiberto Beluffi. Così come l’Italia preunitaria era l’insieme dei piccoli staterelli regionali, così la Toscana granducale si presentava come una serie di


territori indipendenti, con le sue province, le sue città, i suoi paesi e i suoi campanilismi, ognuno con qualità estetiche e morali specifiche e con i suoi maestri, alcuni grandissimi, pronti a rappresentare nella loro arte la vita quotidiana – per lo più legata alla plurisecolare civiltà contadina – della loro terra d’origine o d’adozione. Molti i cenacoli artistici e i luoghi rappresentati nell’arte toscana del secondo Ottocento da Castiglioncello in poi: le vedute fiorentine e del Mugnone di Borrani, le scene di Caccia ambientate in Maremma da Cecconi, ancora la Maremma e poi le marine tirreniche di Fattori, le campagne brulle del Gabbro di Lega, le osterie settignanesi di Signorini e Focardi, il Lago di Massaciuccoli e le Apuane di Angiolo Tommasi, le campagne di Fauglia descritte da Kienerk e dai fratelli Gioli e via di seguito proseguendo in un album interminabile di luoghi, fino alla Stazzema di Simi, definendo così la geografia artistica regionale. Stazzema fu per Simi il luogo prescelto per coltivare serenamente i propri affetti, dove instaurò una vera e propria scuola alla quale convennero una cospicua quantità di artisti, anche di grande talento come Ugo Bertellotti o il faentino Antonio Argnani, tutti inesorabilmente influenzati dalla sua grande personalità di artista. Lontano dalle eccitazioni intellettuali di Parigi e di Firenze, in questo ambiente protetto e familiare, Simi recuperò soprattutto la sensibilità e la quiete interiore che riflesse nelle pacate rappresentazioni neo-rinascimentali di quelle figure immobili e maestose di contadine che vivono di spiritualità, della luce nuova del Naturalismo toscano e, al contempo, della grandezza antica di Leonardo e del Rinascimento. Tiziano Panconi

Tiziano Panconi, critico d’arte, curatore mostre Polo Espositivo Terme Tamerici di Montecatini.


Stazzema Un paese nella Storia dell’Arte di Alba Tiberto Beluffi

Ai miei nipoti Michela, Angelica, Matilde e Max che, attraverso il loro nonno, da Stazzema, paese entrato nella storia dell’arte, hanno tratto le loro radici.

Notizie storiche Stazzema, il cui nome deriva da Statio hiemalis (accampamento d’inverno), era un antico baluardo militare dove si accampavano le truppe dell’esercito romano di stanza nei lunghi periodi invernali in Alta Versilia. È un bellissimo paese nel cuore delle Alpi Apuane, che lo sovrastano con il Procinto e il gruppo dei Gemelli. È dotato di un bel Santuario, a cui un tempo convenivano anche da molto lontano processioni di fedeli attirati dalla fama miracolosa della Madonna del Bell’Amore. Lungo il percorso che dal Santuario porta alla fine del paese, a fianco della strada principale, sono incastonati autentici gioielli artistici come la torre dell’orologio, dono dei Medici ai paesani risalente al 1739, il cui meccanismo è stato messo in opera dai Tommasi, finissimi armaioli e impareggiabili artigiani della lavorazione del ferro, e 9


la fontana detta della Carraia del XVI secolo, a cui i paesani fin dai tempi remoti attingevano l’acqua e in cui lavavano i panni. Sul ‘saldone’ sorge la bella chiesa romanica del IX secolo con lo stupendo soffitto a cassettoni, l’organo barocco e l’elegante campanile. Filadelfo Simi Qui decise di soggiornare nei periodi di vacanza e di relax Filadelfo Simi. Nato nella vicina Levigliani nel 1849, il giovane Artista si era diplomato alla Scuola di Nudo dell’Accademia di Firenze e poi, con l’aiuto del suo mecenate, Ing. Angiolo Vegni, aveva fatto un apprendistato di quattro anni a Parigi alla Scuola di Leon Gérôme, venendo a contatto con artisti internazionali. La foresta di Fontainebleau, è la più impegnativa delle opere di questo periodo. Di grandi dimensioni (cm.270 x cm.185), esposta al Salon del 1878, quest’opera misteriosa, dipinta en plein air, sembra accompagnarci lungo un magico percorso nei meandri della natura fino a percepirne il mistero palpitante. Altro capolavoro del periodo parigino è il Ritratto di vecchia signora che oggi è esposto alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze. Il viaggio in Ispagna e il soggiorno in Umbria Nel 1876 con l’americano Alden Weir fece un viaggio in Ispagna, dove realizzò alcuni capolavori come il finissimo Cortile spagnolo o i luminosi interni moreschi dell’Alhambra. Dopo una sosta in Isvizzera, dove dipinse il magistrale Locarno – La Madonna del sasso, giocato su tonalità grigio azzurre di impalpabile suggestione, si stabilì a Papigno, in Umbria, dove restò per almeno tre anni, abitando in casa del parroco e trasformando la canonica in una “splendida sala d’esposizione”, come osservò lo scrittore Mario Pratesi che lo andò a intervistare. 10


A Papigno dipinse alcuni capolavori come Il berretto rosso o I pescatorelli, ma anche opere di ispirazione verista come I giocatori di morra o La tisica o il San Gerolamo, che la critica stroncò come opere in cui si dava il mal esempio del gioco d’azzardo o in cui trionfava il gusto del brutto, ma che oggi hanno la dignità di stupendi capolavori. Questa stroncatura però venne compensata dall’acquisto da parte del re Umberto I di un quadro del Simi, di rilevante penetrazione psicologica, “Costume umbro”. Ritorno in ‘patria’ Dopo il ritiro umbro, il richiamo della patria lo indusse a ritornare nei posti dove c’erano le sue radici, ma al paese natìo preferì, come abbiamo detto, Stazzema, dove col tempo acquistò prima lo Studio nella contrada del paese denominata Scala, poi, nel 1899, un rustico sotto il Procinto che egli a poco a poco ristrutturò e ampliò trasformandolo in una confortevole casa di campagna che denominò La Villanella e che oggi la gente del paese chiama la casa del Pittore. Qui si rifugiava come nella sua insula felix con la famiglia che nel frattempo aveva formato: nel 1888, infatti, aveva sposato a Firenze una bella ragazza di Seravezza, alta e slanciata, Adelaide Beani, di tredici anni minore di lui, che egli dipinse e raffigurò in molte opere che testimoniano tutto il suo amore coniugale. Da questa unione nacquero due figlioletti, Lorenzo e Nerina. In questo periodo, nel 1887, ritrasse I miei Genitori, in due stupendi ritratti che, per la nobiltà della fattura, ci rimandano al Rinascimento. Ideati in dittico, furono esposti alla Esposizione universale di Parigi nel 1889, dove furono premiati con la medaglia di bronzo. Furono poi divisi, su consiglio di Annigoni, per la Mostra retrospettiva di Palazzo Strozzi nel 1958.

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Un polo d’attrazione per gli artisti Con la presenza di Filadelfo Simi la vita artistica del paese cominciò a fermentare, a prendere una fisionomia e Stazzema a poco a poco divenne così un centro vivissimo d’arte e un polo d’attrazione straordinario per gli artisti. Dapprima furono i pittori locali a cercare la vicinanza del Maestro come il piccolo Egidio Tommasi, destinato a divenire un Maestro dell’affresco nella Chiesa di San Francesco a Lucca, dove era diventato frate, o Pippo Bresciani di Capriglia o Ugo Bertellotti, figlio di Ettore, autore di un autentico capolavoro, Le carezze del nonno, in cui l’impronta del Simi prepotentemente si individua, o il Bramanti di Stazzema “forte pittore e scultore” come lo definisce il Gherardi (1). A poco a poco agli allievi locali si aggiunsero gli allievi dell’Accademia fiorentina, dove il Maestro insegnava, o dello Studio Internazionale che aveva aperto in Corso dei Tintori a Firenze dove, sempre con l’aiuto del suo mecenate, l’Ing. Angiolo Vegni, il Simi aveva preso abitazione. Il sodalizio con Vittorio Giorgini La vita artistica del paese assunse una fisionomia ancora più definita quando Vittorio Giorgini, industriale del marmo, che si era affidato all’amico Simi per coltivare la sua innegabile predisposizione per l’arte, nel 1913 si fece costruire vicino a quella dei Simi una casa di campagna denominata La Silvana. Fra i Simi, i Giorgini e i loro figlioletti si stabilì un rapporto di lavoro e di svago, di caccia e di buona pittura, di giochi e di musica, che rese la vita familiare dei Simi e dei Giorgini armoniosa e serena e che dava al paese un’ impronta sempre più consistente di fucina dell’arte. Entrambi, infatti, Filadelfo e Vittorio, si esercitavano a dipingere i luoghi più tipici del paese tanto che, attraverso i loro quadri, oggi (1)

G. Gherardi, Stazzema, la perla dell’Alta Versilia, Camaiore, Tipografia Benedetti, 1935

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possiamo ricostruirli e riconoscerli come ad esempio La via nuova di Vittorio, che riproduce la strada più importante del paese o Il Berlingaio, tipico scorcio di Stazzema o la via della vite che riconosciamo attraverso quello splendido capolavoro che è Stazzema, la vite di Filadelfo. Vittorio Giorgini, che aveva già affidato a Filadelfo un settore nuovo dell’attività della sua Ditta, la produzione artistica di statue, fontanelle, frontoni e altri pezzi decorativi d’arredamento, contribuì alla fama del nostro Pittore all’estero quando, con la sua complicità, gli fece ottenere la committenza da parte della comunità italiana di Porto Alegre, in Brasile, di un Monumento a Garibaldi e ad Anita, monumento che oggi si può ammirare, artisticamente recintato, all’ingresso di un parco della città, dove festosamente fu collocato nel lontano 1911. Non che Filadelfo Simi fosse prima sconosciuto all’estero, in paesi lontani: anzi, nel 1908 aveva già avuto delle committenze importanti in Canada e in Egitto. Si tratta della Madonna di Halifax, grande statua marmorea della Vergine commissionatagli attraverso la mediazione di una suora, sua allieva, dall’Accademia di Monte San Vincenzo, Nuova Scozia, ad Halifax (Canada), che oggi si trova nella splendida cappella di quella Accademia, o della grande tela de La Sacra Famiglia collocata nella Chiesa della Comunità italiana al Cairo, commissionatagli dal Convento di Santa Caterina di Alessandria. Nella dolcissima figura della Madonna e nelle sembianze dei tre angeli si possono riconoscere le soavi fanciulle di Stazzema, mentre nel San Giuseppe possiamo ravvisare il bel vecchio, dalle mani nodose, che posò per Vincè. Filadelfo, intanto, a Firenze completava il suo curriculum da professore accademico. Nominato nel 1888, dopo le varie tappe dell’iter 13


professionale, nel 1910 veniva eletto Presidente della sezione di pittura dell’Accademia, onore e onere che aveva cercato di rifiutare, ma che portò con grande dignità, equilibrio e competenza fino alla fine della sua vita. Continuava a seguire i suoi allievi della Scuola Internazionale di Corso dei Tintori, aiutato in questo dalla familiarità con le lingue straniere come il francese e l’inglese che volle che anche i figli apprendessero. “La fama del Simi – scrive il coevo Gherardi, autore del già citato prezioso libretto “Stazzema – La perla dell’Alta Versilia” – attirò a Stazzema un’eletta schiera di giovani desiderosi di essere suoi allievi”. Fra questi Antonio Argnani di Faenza, ritrattista di teste coronate e di star dell’epoca come Lyda Borelli e Lina Cavalieri. Del resto i grandi periodici dell’epoca non gli lesinarono soddisfazioni. La Tribuna Illustrata nel 1893 pubblicò a tutta pagina Un riflesso dell’arte del Botticelli, oggi alla Galleria d’Arte Moderna a Roma. Sempre nello stesso anno la Illustrazione Italiana dedicò un’altra intera pagina a La ricamatrice, altro assoluto capolavoro tutto giocato su cromìe chiare di incredibile trasparenza per cui posò Bice, una parente della moglie che ritroviamo come modella anche ne La madreperla, finissimo capolavoro acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, nella cui sede prestigiosa tuttora si trova. Lorenzo Simi Col passare degli anni i figli crescevano e diventavano importanti. Lorenzo, detto Renzo, nato a Firenze nel 1889, scelse gli studi umanistici, ma aveva una buona mano anche come pittore. Aveva frequentato per anni anche la Scuola libera del nudo e dal padre apprendeva l’arte di trattare i colori e di dipingere. Si laureò in Lettere Antiche e cominciò ad insegnare Italiano e Latino al Liceo Michelangelo di Firenze. Amava molto Stazzema e 14


- Filadelfo Simi, Un mazzo di fiori (1890) Olio su tela, cm. 128x102,5. Firmato in basso a sn. tav. i


- Filadelfo Simi, Le Parche Olio su tela, cm. 220x252. Non firmato. tav. ii


- Filadelfo Simi, Stazzema, la vite (1890) Olio su tela, cm. 39,5x31. Firmato in basso a dx. tav. iii


- Filadelfo Simi, L’altalena (1894 ca.) Olio su tela, cm. 138x70. Non firmato. tav. iv



- Filadelfo Simi, Un riflesso (bozzetto) Olio su tela, su cartone, cm. 27,5x18,5. Firmato e datato 1887 in basso a sn. tav. v


-Nera Simi, Castagni in Versilia Olio su tavola, cm. 45x38. Firmato in basso a dx. tav. vi


- Renzo Simi, Stazzema, la via nuova Olio su cartone, cm. 40x50. Firmato in basso a sn. tav. vii


appena poteva, come tutta la famiglia Simi, si rifugiava nell’insula felix dove aveva passato un’infanzia e un’adolescenza felici all’ombra del Procinto, in un magico scenario che egli felicemente ritrasse. Aveva sposato una fanciulla di Firenze, Vittoria Pasquinucci, che non poteva dargli figli, ma che, di temperamento sereno e festaiolo, seppe animare il paese con feste a cui tutta la gioventù del paese partecipava. Renzo portò a Stazzema un giovane amico, Pietro Annigoni, pittore esordiente, innamorato dell’arte e dello stile di Filadelfo. La presenza di Annigoni accanto a Renzo rese ancora più animata la vita del piccolo paese. Facevano capo all’Albergo Procinto dove c’era la bella signora Fernanda che amava gli artisti da cui si faceva volentieri ritrarre e dei quali raccoglieva autografi, caricature e schizzi satirici in un album tuttora in possesso della famiglia e oramai storico. Renzo divenne l’anima di un cenacolo che si costituì attorno a lui e ad Annigoni, cenacolo di cui facevano parte altri artisti che cominciarono a salire in paese diventando presenze familiari. Erano personaggi locali come Leone Tommasi o naturalizzati come Mario Parri. Leone Tommasi, capostipite di una dinastia di artisti pietrasantini (suoi figli furono Marcello Tommasi, scultore eccellente e Tommasi Ferroni, pittore nei cui quadri è tipica e particolare la presenza del surrealismo inserito in un contesto essenzialmente purista), aveva murato alla Tacca Bianca dell’Altissimo una sua scultura, la Madonna dei Minatori. Col tempo ha conquistato i mercati internazionali sempre attenendosi ai modelli puristi. Suo figlio Marcello di lui scrisse: “Non si propose di fare né arrivò mai a fare della falsa scultura classica, ma dell’arte greca ritrovò le leggi che fece proprie indagando il vero”. 23


Mario Parri, nativo di Serravalle Pistoiese, aveva frequentato la Scuola di Scultura dell’Accademia di Firenze ed era stato allievo di Filadelfo Simi nella Scuola Internazionale di Corso dei Tintori. Dal Maestro aveva assorbito i principi fondamentali della sua arte: il rigore e la perfezione nel disegno o nel modellato e l’amore per la grande arte del nostro Rinascimento con una assoluta predilezione per Donatello. Uomo di cultura, umanista profondo, dal carattere riservato, fu grande amico di Leone Tommasi che lo indusse a trasferirsi a Pietrasanta, dove visse negli ultimi vent’anni della sua vita. Stazzema divenne il ritrovo dove si ordirono gli accordi per una intensa attività promozionale a Firenze di questi artisti: Renzo Simi, che si era fatto un nome di rispetto come critico d’arte, presentò al Lyceum nel 1939 il giovane Annigoni con un Discorso sull’artista e sull’arte che fu pubblicato e che convinse Annigoni a non volere altro critico al di fuori di Renzo. Quando Renzo morì, infatti, cominciò a presentarsi da solo, divenendo critico di se stesso e gestendo la sua arte in prima persona. Renzo presentò Mario Parri, così schivo e reticente, alla Galleria Firenze, Pietro Annigoni a sua volta lo presentò alla Galleria Spinetti. Era il 1958: Renzo era già morto. Ma il sodalizio fra Pietro Annigoni, i Giorgini e Nera Simi continuava, tanto che alla Mostra retrospettiva di Palazzo Strozzi, organizzata dal Comune di Firenze su proposta di Giambattista Giorgini nell’estate del 1958, voluta da Nerina, il curatore sarà Pietro Annigoni. Stazzema era presente nella figura del Sindaco, Bruno Antonucci, componente del Comitato d’onore. I personaggi, come abbiamo visto, sono sempre gli stessi, solidali e costruttivi, uniti nel nome di Filadelfo Simi. Erano passati 35 anni dalla sua morte, ma che il nostro Pittore fosse già stato accantonato lo possiamo purtroppo dedurre dalle parole con cui Pietro Annigoni, oratore alla cerimonia d’apertura, esordì nel suo discorso: “Pochi 24


oggi sanno di Filadelfo Simi (…)”. Renzo, consapevole di questo processo, già diversi anni prima aveva però profetizzato: “Il tempo renderà giustizia a mio padre”. Aveva compreso che se anche gli Impressionisti prima e i Macchiaioli poi avevano, nel gusto del pubblico, surclassato la pura arte classica che si rifaceva ai Maestri del Rinascimento, questo filone purista aveva una vita autonoma, mai spenta da nessuna corrente innovatrice, sempre fresca, sempre risorgente, a testimoniare la vitalità di una tradizione plurisecolare ben connaturata nella cultura universale dell’umanità. Gli ultimi anni di Filadelfo Filadelfo, forse, aveva capito che il suo modo di dipingere andava incontro ad un processo di accantonamento, ma fino all’ultimo continuò a credere che la vera arte fosse la sua. Era di temperamento sereno, non influenzabile: continuò a produrre opere sull’ordito di un disegno perfetto, spesso su carta quadrettata per misurarne le proporzioni. Continuò a partecipare alle Mostre, a seguire i suoi allievi con partecipazione e con affetto. Nelle lettere che di loro ci sono rimaste si intuisce un afflato, una corrispondenza d’amorosi sensi, come di figli grati nei confronti di un padre-maestro. Lavorò fino all’ultimo, morì in servizio come Preside dell’Accademia fiorentina, la più illustre del mondo, per un attacco cardiaco, nel 1923. Riposa a Firenze nel suggestivo cimitero di San Miniato, detto delle Porte Sante, accanto alla moglie Adelaide che lo seguì a un anno dal suo decesso. Renzo durante la prima guerra mondiale venne richiamato. Fu congedato solo nel 1919. Riprese la sua vita, alternando all’insegnamento i soggiorni a Stazzema. A un certo punto dovette però rinunciare alla Villanella, che aveva ereditato dal padre, e si stabilì 25


in casa Gherardi, in paese. Un malore l’aveva colto lungo il sentiero impervio che portava alla Villanella. Continuò a frequentare Stazzema e quando, nel 1943, la morte prematuramente lo colse volle essere sepolto nel piccolo cimitero del paese, dove tuttora riposa accanto alla moglie Vittoria. Nera Simi, la tradizione continua Con Nera Simi, figlia secondogenita di Filadelfo, però l’arte continuò ad abitare a Stazzema. La sua lunga vita, quasi centenaria, consentì al piccolo centro di prorogare il fervore artistico, ormai connaturato nel tessuto sociale del paese, fino alla soglia degli anni Novanta. Nata a Firenze nel 1890, Nerina Maria, in arte Nera, come lei amava firmarsi, divenne fin da piccola l’assistente del padre nello Studio Internazionale di Firenze. Preparava le matite, mescolava i colori, assisteva gli allievi che dovevano posare, sistemava l’ambiente e intanto assorbiva la tecnica e i segreti dell’arte, fino a diventare la migliore allieva del padre. Si iscrisse all’Accademia diplomandosi, poi cominciò ad insegnare a Firenze nell’Istituto delle Montalve, denominato Alla Quiete, sempre assistendo il padre nella sua attività artistica. Infine, alla morte di lui, gli subentrò nell’insegnamento, ereditandone talvolta gli allievi. Nera e Stazzema, un rapporto speciale Fra Nera Simi e Stazzema da sempre si era instaurato un rapporto speciale. Non solo l’infanzia felice, l’amicizia con i piccoli Giorgini – specialmente con Vittorina, la minore della nidiata –, non solo l’atmosfera serena e semplice paesana, ma specialmente la disponibilità della gente, che aveva compreso l’importanza sul territorio di queste presenze, le resero ancora più caro il paese. E quando, morti i suoi genitori, morta improvvisamente l’amica del cuore Olga Rizzioli, con cui aveva stabilito una convivenza, morto 26


precocemente il fratello Renzo, Nerina o la Signorina, come tutti la chiamavano, si ritrovò sola nello Studio di Scala, che aveva ereditato dal padre, il paese la circondò d’affetto e di premure, aiutandola in tutto e per tutto. Lo stesso fecero alcuni allievi particolarmente affezionati come Nelson Weith, nobile Artista americano oggi trapiantato a Firenze. Infaticabile lavoratrice prese in mano la situazione con passione ed energia, continuando ad insegnare a Firenze, alle Montalve e nello Studio paterno, e a soggiornare a Stazzema dove era amata e stimata e dove molti allievi la seguirono per mantenere la continuità didattica ma anche per simpatia verso questa persona amabile, riservata e modesta, brillante nel suo senso dell’umorismo tipicamente fiorentino e capace di trasmettere loro la maestrìa dell’arte paterna. A volte alternava le sue vacanze con soggiorni in località diverse invitata da amiche di vecchia data o da allieve affezionate che, al piacere di ospitarla, univano il desiderio di dipingere con lei. Così successe a Forte dei Marmi, ospite di Vittorina Giorgini, dove dipinse il magistrale Capanno sul mare o a Venezia, ospite della famiglia di Olga Rizzioli, dove compose capolavori come Laguna veneta o in Val di Fassa, di cui ritrasse le montagne imponenti, o in Sardegna, nel nuorese, ospite di Francesca Devoto, dove compose una serie di Costumi sardi e soprattutto, capolavoro di questo periodo, la bellissima Canestraia dall’abito tradizionale, la cui gonna rossa fiammante con orlo dorato è armoniosamente composta intorno alla fanciulla seduta. La scuola di Nera Per Nera il disegno era il segreto e la base inconfutabile del saper dipingere. Il suo insegnamento e la sua scuola si basavano sulla perfezione dell’ordito disegnativo. Era una disegnatrice eccellente: Annigoni non prendeva mai alla 27


sua scuola un allievo se prima non avesse fatto un biennio propedeutico presso Nerina, come ricorda Guarnieri. Una sua allieva, Jaqueline Taber, ricorda che su un singolo disegno si poteva lavorare per diversi mesi. La scuola di Nera si basava preferibilmente sulla tematica ritrattistica, ma, come pittrice, Nera era bravissima anche nel paesaggio. Stupende le sue marine dell’Elba, dipinte durante un soggiorno sull’isola con suo padre. Nera aveva 22 anni. Queste marine stupirono Giampalo Daddi che in esse vide “la padronanza del colore unita alla giusta interpretazione della luce” e fu conquistato dalla loro “luminosità”. Molti suoi quadri si rifanno al paesaggio familiare, magistralmente riprodotto, dell’Alta Versilia, come ad esempio Castagni in Versilia o ritraggono scorci tipici del paese di Stazzema, come Lavandare. Il capolavoro paesistico di Nera Simi resta Il ponte del diavolo, dipinto in Garfagnana, finissimo studio di un ambiente articolato, giocato su tonalità calde, di una poetica finezza e di una raffinata precisione. Come ben riconobbe Annigoni, non è tuttavia vero che l’arte di Nera Simi sia di stretta derivazione paterna. A poco a poco andò elaborando un tipo di pittura più personale, più aperto all’innovazione espressionista. Certe pennellate sicure e magistrali, certe tecniche come la graffiatura che ritroviamo in talune opere, i colori meno sobri e meno spenti, danno al suo modo di dipingere un tocco di autonomia che la sottrae alla dipendenza dell’ arte paterna che, tuttavia, rimase per lei il modello per eccellenza a cui guardare con rispetto e con assoluta dedizione, come ben appresero i suoi allievi che, nello Studio fiorentino, lavoravano in mezzo ai capolavori di Filadelfo appesi alle pareti. Trent’anni dopo la Mostra di Palazzo Strozzi un’altra retrospettiva straordinaria di Filadelfo Simi fu organizzata al Palazzo Mediceo dal 28


Comune di Seravezza. La curarono Andrea Conti e Giampaolo Daddi che firmarono il bellissimo catalogo. Nerina seguì l’allestimento della Mostra dallo Studio di Scala, ormai molto anziana e con problemi di salute invalidanti. L’assisteva il giovanissimo dott. Maurizio Bertellotti, oggi medico condotto di Stazzema. Fra il giovane medico e l’anziana Maestra si stabilì un rapporto di tenera amicizia che ha lasciato tracce profonde nel cuore dell’esordiente professionista, il quale, sensibile collezionista e intendente d’arte, oggi si sente quasi depositario e custode del patrimonio artistico e affettivo che questi straordinari Artisti hanno lasciato in retaggio al paese. Altri personaggi di questo paese hanno subìto la suggestione di queste lontane presenze, che hanno fatto di Stazzema un luogo dell’arte, e si sono attivati perché questo patrimonio venisse coltivato e preservato e non si esaurisse nell’oblio del tempo che passa. Le Istituzioni, del resto, hanno ben capito che questo paese è depositario di una eredità straordinaria che va ben custodita e messa a frutto. L’arte tornerà ad abitare a Stazzema. Nerina aveva partecipato a qualche collettiva con il fratello e il padre e anche dopo la morte del padre non potè sottrarsi a qualche pubblica esposizione perché ufficialmente invitata. Ma la prima Mostra personale di Nera Simi si fece solo dopo la sua morte, nel 1987, organizzata dagli eredi. La Galleria che la ospitò fu Il Magnifico di Firenze. Annigoni, che collaborò alla stesura del catalogo, disse che allora “quasi per magia apparve la sua opera di pittrice, rivelando in lei una delle più significative pittrici italiane di questo secolo (…)” opera che per decenni era stata “chissà perché tenuta gelosamente nascosta”. Questo certamente avvenne per la modestia del suo carattere, ma 29


anche per una specie di frattura che si era instaurata nel corso della sua esistenza fra l’arte e l’insegnamento. Era più importante per lei mandare avanti gli allievi: la sua produzione pittorica non doveva essere esibita, doveva essere solo un modello. Così Nerina nella sua lunga vita si dedicò ad allevare con totale dedizione, fin quasi sul letto di morte, intere generazioni di artisti. Quando morì, alla soglia dei 97 anni, la radio e i giornali anche d’oltreoceano e d’oltremanica parlarono di lei e da quel momento la Signorina (“la più brava maestra di disegno del mondo”, come scrisse nel necrologio Annigoni), cominciò a diventare una autentica leggenda. Un’eredità straordinaria L’eredità straordinaria che Stazzema si trova oggi a dover gestire è in sintesi questa: il paese è stato descritto ampiamente nelle loro opere dagli Artisti che l’hanno frequentato. Questo fenomeno non è nuovo. L’Italia è eccezionalmente fornita di luoghi incantevoli che hanno indotto i pittori soprattutto locali a ritrarli nelle loro opere. Solo che qui non si tratta di pittori della domenica, ma di artisti grandi e veri, di eccezionale rilevanza ed eccellenza. Fin dall’ultimo decennio dell’ottocento, quando Filadelfo Simi la scelse come privilegiata sede della sua arte, Stazzema è stata un polo di artistica attrazione. Vittorio Giorgini seguì il maestro e l’amico e dopo di loro, a poco a poco, salirono a Stazzema amici, conoscenti ed allievi che ne propagarono la fama. Le bellissime opere realizzate nel paese, animate da modelli locali e ambientate in luoghi familiari, messe in esposizione in centri importanti, comperate da Gallerie di fama mondiale, raffigurate in giornali specializzati a tutta pagina, divennero un evento di cui andare orgogliosi. Stazzema, per la suggestione del luogo e per la felice concomitanza di questi eventi, è diventato un paese degno di entrare nella storia 30


dell’arte. È questo il retaggio che oggi va ben gestito e ben preservato. Inoltre gli allievi di questi maestri venivano da tutte le parti del mondo, erano internazionali. Questi allievi fecero conoscere Stazzema anche oltreoceano, dando a questa località un’impronta e un respiro cosmopolita che sprovincializzava l’ambiente. Ci sono ancora oggi artisti americani che frequentano questo paese sull’onda di affetti e di memorie lontane e per tutti citerò la pittrice Stella Eric, allieva di Nerina, di cui conserva affettuosamente la memoria. Stazzema nelle opere del Simi Incantato dalla bellezza delle fanciulle in fiore e dei bei ragazzi dell’epoca, Filadelfo li ritrasse (2) in quadri che sono dei capolavori come Un riflesso dell’arte del Botticelli, dipinto nel piccolo appezzamento di terreno di Scala che egli con la moglie Adele coltivava con cura e che nel quadro acquista un respiro e un’ariosità straordinari. Fu esposto a Venezia nell’esposizione del 1887 e venne subito acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma; come Un mazzo di fiori, incantevole composizione di una leggiadria veramente floreale, oggi al Castle Museum di Nottingham, o La famiglia in villeggiatura, dove il profumo dei pini sembra avvolgere un gruppo tutto al femminile di familiari e di amiche in sorridente relax o Le Parche dove tre avvenenti fanciulle si presentano con innocente malizia come le divinità che presiedono all’esistenza, garbatamente insidiate dal bel ragazzo del paese o Primavera di Vittoria, di ispirazione botticelliana, in cui una soave fanciulla, dal volto serenamente malinconico, avanza coronata d’alloro, con un abito festosamente floreale pannegDalla lettera di Filadelfo alla figlia Nera del luglio 1919: “(…) Domani salirò a Stazzema per vedere se trovo qualche bel tipo di ragazza (…)”. (2)

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giato in modo seducente. Era il 1917 e il Simi compose quest’opera quasi scaramantica in previsione benaugurante della vittoria. Oppure Il saluto, in cui due fanciulle, una seduta e l’altra in piedi che agita un fazzoletto, sono raffigurate sotto i bei monti che sembra quasi di poter toccare dal pianaccio della Villanella. O come Il sole in montagna, quadro importante, dipinto a larghe pennellate, di vaga tendenza espressionista e altri ancora dove il paese, i suoi monti, il suo cielo, la sua vegetazione alpestre, ma soprattutto la sua bella gente vengono glorificati e trasfigurati in composizioni piene di poesia e di affettività. Prese a modello anche i bambini come i piccoli cenciosi di quel capolavoro assoluto che è Stazzema, la vite o i vecchi quali Vincè, venerabile e autorevole come un antico patriarca, che ha alle sue spalle un magistrale scorcio di vegetazione tipica dello stazzemese. La popolazione di tipi fisici così caratterizzati oggi ci guarda da queste opere, rendendo viva e intramontabile un’epoca da loro abitata, da non dimenticare, perchè viva parte del retaggio straordinario di cui abbiamo parlato. Questa brava gente dell’epoca era ambientata in contrade o in abitazioni studiate, adatte a far loro da cornice, come la casa di Ettore, costruzione pregevole e articolata, costruita nel centro del paese. Qui ambientò La preghiera della sera, imponente sacra rappresentazione di un momento mistico in cui dodici personaggi, ben caratterizzati, si raccolgono in preghiera al suono delle campane dell’or di notte o La gelosia, ambientata nell’aia di Ettore detta della battitura, in cui un marito geloso sospetta una tresca fra la bella moglie e un giovane contadino alle sue spalle. O come La Villanella, dove ci sono stupende scenette di interno: Mentre il bimbo dorme o Al Colle, inverno in cucina o Lezione di calza o Il piccolo sbucciapatate. Era la sua casa e lui la riprodusse con amore così come aveva ri32


prodotto con amore i membri della sua famiglia, i suoi bambini ne L’altalena o nei ritratti infantili fino ai ritratti importanti della loro giovinezza, o la Moglie, da quando era incinta (La moglie incinta) o leggeva il giornale (La moglie che legge il giornale) fino a quando era impietosamente invecchiata. Nel fiorire dei suoi quadri sempre raffinati, sempre estremamente accurati, si legge l’amore di un Artista affettivamente ricco verso il paese, verso l’arte, verso la famiglia, verso gli amici, verso la gente. È questo l’amore che deve essere ricambiato. È questo il retaggio che dobbiamo preservare. È questa l’eredità straordinaria che Stazzema ha ricevuto, entrando di diritto nella storia dell’arte.

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Finito di stampare nel mese di luglio duemiladieci presso la Tipografia Menegazzo di Lucca



“La collezione Simi della Banca di Credito Cooperativo di Pietrasanta, la monografia e l’attività espositiva di Alba Tiberto Beluffi hanno contribuito a stimolare una più mirata attenzione sull’ opera del lucchese che, maestro dalla produzione limitata, è firma rara sul mercato toscano”. Giuseppe luigi Marini, allemandi “il valore dei dipinti dell’800”, scheda Simi filadelfo. “Per risvegliare un po’ di orgoglio versiliese ci voleva una signora di Milano, la prof.ssa Alba Tiberto Beluffi (…). La dinamica signora ha riscoperto un grande artista della nostra terra (…)”. avv. Paolo tommasi, presidente della bCC, nella presentazione della monografia “filadelfo Simi – un uomo, un artista”, alba tiberto beluffi, Pisa, Pacini editore,1996 .

alba tiberto beluffi Nata a Milano, laureata in lettere Classiche, autrice di saggistica, alba tiberto beluffi dal 1990 circa si occupa di filadelfo Simi, dei suoi figli renzo e Nera, dei loro rapporti con il territorio e con gli artisti dell’epoca e soprattutto dei loro legami con la famiglia Giorgini di cui ha studiato i componenti e il loro operato. Di tutti questi personaggi ha curato mostre e scritto cataloghi, pubblicando diversi preziosi inediti, rintracciati nell’archivio Simi da lei acquisito nel 2002. la sua monografia (“filadelfo Simi – un uomo, un artista”, Pisa, Pacini editore, 1996) è stata giudicata fondamentale per gli studiosi di questo Pittore di cui ha curato anche un filmato omonimo girato nei luoghi in cui l’artista visse ed operò. Ha collaborato con la banca di Credito Cooperativo di Pietrasanta, contattando eredi, gallerie e collezionisti e dando la sua consulenza per la costituzione di una prestigiosa Collezione delle opere di filadelfo e di Nera Simi, di cui l’allora Direttore Giovanni tosi è stato l’appassionato ideatore e promotore. In copertIna: filadelfo Simi Un mazzo di fiori, olio su tela (1890)


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