La Conquista

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LETTURE

SIMONBOLIVAR L’UOMOCHE SOGNAVALANAZIONE LATINOAMERICANA Ancor oggi, per molti sudamericani, è il Libertador. Pensieri e parole di un generale venezuelano che temeva gli Stati uniti, «destinati a infestare l’America di miseria in nome della libertà». E che, per inseguire libertà e unità, si fece caudillo. Vanamente.

N

ei primi anni del XIX secolo si chiuse la lunga dominazione europea sul centro-sud del continente americano, da secoli diviso tra Spagna e Portogallo, le cui crisi istituzionali aprirono la strada alla nascita degli stati sudamericani. Preceduto dalle rivolte degli indios peruviani guidati da Tupac Amaru (represse nel sangue e succedutesi dal 1780 al 1883) e dalla rivoluzione antifrancese degli schiavi di Haiti (1804), il processo d’indipendenza fu caratterizzato dalle sollevazioni e dalle campagne militari di ufficiali come lo spagnolo José de San Martín, passato dalla parte dei ribelli e il creolo venezuelano Simon Bolívar. Ma la formazione degli stati indipendenti fu segnata da un profondo contrasto tra borghesia urbana (centralista e autoritaria) e borghesia della provincia (federalista e democratica): uno scontro dentro cui si determinò il fallimento dell’ipotesi cara a Bolívar di una nazione latino-americana unita su base federale. «Una sola deve essere la patria di tutti gli americani... noi ci affretteremo, con il più vivo interesse, a disporre da parte nostra il patto americano, che, formando di tutte le nostre repubbliche un corpo politico, presenti l’America al mondo con un aspetto di maestà e grandezza senza precedenti nelle nazioni antiche». Questo scritto del 1818, è uno dei numerosi testi in cui Simon Bolivar esplicita la sua idea di unità politica dei popoli americani e che – insieme al suo ruolo di guida militare – fece di Bolivar il rappresentante più illustre di un possibile assetto geopolitico basato soprattutto sulla specificità culturale dell’America latina. Fino ai giorni nostri, quando, per molti latinoamericani Bolivar è ancora il «Libertador» dal colonialismo spagnolo e, contemporaneamente, la prima illustre vittima del nuovo colonialismo (economico) statunitense

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che contribuì in maniera decisiva a far fallire il sogno unitario. In effetti sia le potenze europee che gli Stati uniti d’America erano poco propensi ad accettare la creazione di una super-nazione che avrebbe reso più difficile ogni tentativo d’influenzare l’America del sud. Proprio Bolivar, nel 1823 – opponendosi alla proposta d’invitare gli Stati uniti al congresso dei rappresentanti delle nazioni latinoamericane – esplicitava così i suoi timori verso la politica egemonica degli Usa: «Una volta sottoscritto il patto con il forte, è eterna la sottomissione del debole. A ben considerare, avremo tutori nella gioventù, padroni nella maturità e infine nella vecchiaia saremo liberi...». Nel 1829, sarà ancora più esplicito segnalando gli Stati uniti come i nuovi coloni che «sembrano destinati dalla provvidenza a infestare l’America di miseria in nome della libertà». Quest’avversione per l’ingombrante vicino nordamericano derivava a Bolivar da considerazioni di ordine politico e culturale che costituivano il cuore del suo pensiero politico. Egli coglieva la profonda distanza che separava l’indipendenza nordamericana dagli inglesi da quella sudamericana da spagnoli e portoghesi. Gli Stati uniti erano figli di una cultura prettamente europea (basti pensare a quanti e quali legami uniscano la dichiarazione d’indipendenza di Filadelfia con i diritti dell’uomo e del cittadino proclamati dalla Rivoluzione francese del 1789) e si realizzava dentro un’ordine sociale tipicamente europeo, figlio della colonizzazione inglese, cioè del paese economicamente più progredito del vecchio mondo: spirito illuministico, libertà dei commerci e progresso scientifico sono gli archetipi dell’indipendenza nordamericana. Al contrario, l’indipendenza delle repubbliche latinoamericane dal colonialismo iberico era figlia del crollo


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