FESTIVAL DUNI 19ma edizione Matera 2018 Fondato da Saverio Vizziello Direttore artistico Dinko Fabris Collaborazione MaterElettrica Progetto grafico Mauro Bubbico Rocco Lorenzo Modugno Comunicazione Floriana Tessitore e Walter Vitale Amministrazione e Organizzazione Dario Vizziello Collaborazione per la ricerca iconografica, per le didascalie e per i luoghi storici dei concerti Nicoletta Montemurro Collaborazione e coordinamento Giornata di Studi su Trabaci Giuseppe Barile, Centro Studi Giovanni Maria Trabaci Fotografie SABAP/BAS. Soprintendenza archeologia belle Arti e Paesaggio della Basilicata scattate da Francesco Pentasuglia e Mario Calia Testi e cura musicologica del Libro del Festival Giuseppina Crescenzo
ZÉTEMA GIO: MARIA TRABACI Centro Studi – Irsina
Saverio Vizziello, direttore del Conservatorio Duni di Matera, musicista e organizzatore culturale, è il fondatore ed animatore del Festival Duni dal 1999.
Un festival per Duni nella Città dei Sassi saverio vizziello
Il Festival dedicato a Duni è sempre stata una delle principali manifestazioni musicali della Città dei Sassi. Con il recupero sistematico delle opere di questo illustre compositore, il Festival ha anche progressivamente colmato il vuoto soprattutto estivo di eventi in città, affiancando alla proposta di rarità e riscoperte assolute anche spettacoli di immediata fruibilità (musica sinfonica e pop) raggiungendo nel tempo la media di circa 7.000 spettatori paganti l’anno. La caratteristica del Festival è sempre stata quella di coniugare la musica al territorio, e i Sassi sono sempre stati il palcoscenico naturale della manifestazione: piazzette, vicoli, chiese rupestri e, ultimamente, la Cava del Sole (cava di tufo diventata arena all’aperto contenente circa 2.500 spettatori) trasformati grazie ad una programmazione attenta ai luoghi storici, in straordinarie sale da concerto. Dopo la nomina di Matera a Capitale Europea della Cultura 2019, ho deciso di riportare il Festival all’idea originale, quella di una manifestazione dedicata principalmente al tempo di Duni e ai suoi precursori, dunque al repertorio soprattutto rinascimentale e barocco, eseguito però seguendo le ormai consolidate prassi storiche e affidato ai migliori specialisti presenti nel territorio a fianco di grandi artisti della scena internazionale. Il tutto da svolgersi sempre nel fantastico ed irripetibile scenario dei Sassi. A questa operazione filologica ho però voluto affiancare una novità assoluta per l’Italia: l’abbinamento con la musica elettronica, che ultimamente ha avuto uno sviluppo significativo nella nostra città grazie alla scuola di Musica Elettronica ed Applicata nel Conservatorio Duni di Matera. La scelta di affidare la direzione artistica del Festival Duni a Dinko Fabris, autorevole esponente della comunità scientifica musicologica internazionale, legato da anni al Festival e a Matera (dove insegna musicologia all’Università) e alla consulenza di Fabrizio Festa per la musica elettronica, saranno determinanti nell’avviare questa nuova formula del Festival Duni e farne un tassello significativo delle manifestazioni che caratterizzeranno il 2019 di Matera.
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Dinko Fabris è un musicologo di fama internazionale, professore di storia della musica nella sede di Matera dell’Università della Basilicata ed è stato dal 2012 al 2017 primo italiano presidente della International Musicological Society.
I suoni antichi e moderni di un “paesaggio urbano” unico al mondo dinko fabris Direttore artistico Un festival musicale che unisce le suggestioni ancestrali del ventre di Matera ai suoni antichi storicamente eseguiti e filtrati e riproposti in dialogo con le più avanzate tecnologie del nostro tempo. Questo il segreto della nuova formula avviata quest’anno del Festival Duni, fondato 19 anni fa con un’intuizione lungimirante, perseguita nel tempo con costanza e passione da Saverio Vizziello, attuale Direttore del Conservatorio Duni di Matera. Egidio Romualdo Duni (Matera 1708-Parigi 1775) fu un musicista di alta reputazione europea, legato a Farinelli, collaboratore di Goldoni e considerato il padre dell’Opéra-Comique francese. Ma Duni è anche il cittadino di Matera più famoso nel mondo e segno di una cultura del sud Italia capace di imporsi con la tenacia e la volontà a livello internazionale. Negli anni a Duni il “suo” Festival ha dedicato progetti ed iniziative che hanno lasciato tracce importanti: dalle incisioni discografiche (L’isola dei pazzi, Giuseppe riconosciuto), alle produzioni in prima moderna del Catone in Utica e del Nerone, accompagnati da convegni di studio e pubblicazioni. A partire da quest’anno 2018 il Festival intende esplorare i repertori musicali del tempo di Duni e dei suoi predecessori, con uno sguardo dal sud, pensando ai tanti compostori lucani e meridionali che hanno costruito la storia della musica e della cultura europea: si pensi a Gesualdo da Venosa e a Giovanni Maria Trabaci da Irsina, e poi Marcantonio Mazzone da Miglionico, Gregorio Strozzi da San Severino, i membri della famiglia Duni pensando solo alla terra di Basilicata. I 15 concerti di questa edizione presentano per l’intero mese di ottobre musiche in gran parte di questi autori e di loro autorevoli contemporanei, dal primo Rinascimento al pieno Settecento, con una triplice scelta condivisa da tutto il team del Festival: per la prima volta tutti i concerti utilizzano strumenti storici e voci specializzate nella musica antica, tutti si svolgono esclusivamente tra i tesori architettonici della Matera storica dei Sassi, patrimonio Unesco, e in gran parte fondono i timbri antichi con la nuova tecnologia elettronica di MateraElettrica, il progetto d’avanguardia creato e diretto a Matera dal compositore Fabrizio Festa. Si comincia il 1 ottobre con le incantevoli arie secentesche di Luigi Rossi, musicista nato in Puglia che dopo aver studiato e lavorato a Napoli per 14 anni nei circoli aristocratici e alla corte spagnola, divenne nella Roma dei Barberini il compositore più importante del suo tempo, incaricato da Mazzarino di portare in Francia l’opera italiana, e coerentemente la conclusione il 31 ottobre è affidata alla ricostruzione di un “pasticcio” operistico finora del tutto sconosciuto che coinvolse Duni a Roma nel 1732 insieme a prestigiosi colleghi (Porpora, Carlo Broschi Farinelli e altri) sul celebre libretto di Metastasio
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della Didone abbandonata: Duni seguì un secolo più tardi lo stesso percorso europeo di Rossi, da Napoli a Roma e poi a Parigi. Il “pasticcio”, che è dunque una vera riscoperta musicologica, sarà incastonato in un suggestivo spettacolo sul mito immortale di Didone che si svolgerà nell’atmosfera magica e misteriosa degli ipogei del MUSMA, uno dei più bei musei di scultura contemporanea d’Europa. Gli altri appuntamenti presentano musiche del tardo Rinascimento per insieme di strumenti a fiato (Gabrieli e Trabaci), un prezioso concerto dedicato alla polifonia cromatica di Carlo Gesualdo da Venosa e Pomponio Nenna da Bari a confronto con i grandi fiamminghi Rore e Lasso (“Saturno e la Polifonia”), un confronto tra poesia e musica di autori meridionali a cavallo tra Cinque e Seicento con voce recitata e cantata, seguito da un programma su Petrarca musicato a voce sola nel Seicento. Duni sarà naturalmente protagonista, oltre che nel “pasticcio” di Didone, con l’esecuzione dell’integrale delle Sei sonate a tre da lui pubblicate a Rotterdam nel 1738 (che confluiranno nel primo cd monografico) e del programma di arie virtuose per soprano con l’orchestra barocca del Festival Duni. Uno spazio particolare è dato quest’anno a Giovanni Maria Trabaci, in collaborazione con la sua città natale, Irsina (un tempo chiamata Montepeloso): di questo grande protagonista del primo Seicento, che influenzò Frescobaldi e fu il primo italiano a dirigere la cappella reale dei viceré spagnoli di Napoli, sarà eseguita in maniera filologica la Passione secondo Matteo per la prima volta in Basilicata (dopo la prima assoluta avvenuta a Napoli), prima tappa di un progetto elaborato in partenariato con Giuseppe Barile e il Centro Studi Giovan Maria Trabaci, che porterà al Festival Duni l’integrale delle quattro Passioni di questo autore stampate nel 1634 e considerate un unicum nella storia della musica prima di Bach. Sempre in collaborazione con Irsina sarà eseguito un recital di musiche di Trabaci per clavicembalo e sarà organizzata una giornata di studi. La scelta degli interpreti è stata impostata su due direttrici: sono stati coinvolti tutti i migliori specialisti di musica antica attivi sul territorio lucano e nella vicina Puglia (l’Orchestra di Santa Teresa dei Maschi di Bari diretta dal suo fondatore Sabino Manzo, il Duni Ensemble con Claudia di Lorenzo Natalia Bonello Luca Tarantino Leonardo e Piero Massa, Maria Antonietta Cancellaro, i cantanti Nicola Schiavone, Beppe Naviglio, Anna Maria Sarra, Antonio Giovannini, Valeria La Grotta, Mimì Coviello, Valeria Polizio, la regista Antonella Rondinone, l’attore Vincenzo Failla e così via), con importante ricaduta di valorizzazione e incentivo per futuri progetti, accanto a gruppi e professionisti di grande fama internazionale, in gran parte mai ascoltati a Matera, come Antonio Florio e il suo gruppo storico Cappella Neapolitana (per l’occasione unito ai giovani del progetto napoletano ScarlattiLab), Concerto Soave di Marsiglia con la cantante di origine argentina Maria Cristina Kiehr e l’ensemble Daedalus di Ginevra diretto da Roberto Festa, il soprano Gemma Bertagnolli e il violinista e direttore d’orchestra Federico Guglielmo, il Coro Mysterium Vocis di Napoli e poi solisti affermati come il liutista Franco Pavan, il cembalista Francesco Cera, l’organista Carlo Maria Barile. A questo parterre impressionante di specialisti di musica rinascimen-
tale e barocca con strumenti originali, si uniscono e si sovrappongono gli interventi di elaborazione elettronica e videoimmagini di MateraElettrica, con un pool di giovani compositori ed elaboratori preparati ed animati in gran parte nei corsi del Conservatorio Duni di Matera da Fabrizio Festa: Giampaolo Cassano, Tommaso Colafiglio, Antonio Colangelo, Luca Centola. Questi interventi saranno particolarmente significativi in alcuni programmi del Festival, sovrapponendosi ed integrandosi con i suoni originali nella Passsione di Trabaci e nel progetto conclusivo intorno a Didone, ma anche in due concerti autonomi interamente basati su “sintetizzazione” e “automazioni” elettroniche dei suoni: il progetto Mater Gaudiosa per voce ed elettronica, e Una modernissima storia antica: Tastiere, Automi, Automazione che pone a confronto le tre età della tastiera, dal clavicembalo al pianoforte e al clavinet (con Festa dialogano due illustri docenti nei conservatori lucani, Alessandro Marangoni e Cosimo Prontera). Tra le manifestazioni collaterali, oltre alla giornata di studi su Trabaci, non mancheranno presentazioni di libri e dischi e incontri didattici e culturali. Un momento particolarmente emozionante sarà il ritorno a Matera dei cubani Teresa Paz e Aland López, direttori dell’ensemble Ars Longa de la Habana, in un recital che vuole ricordare l'esordio in Italia del loro gruppo a Matera nel 2004, diretti da Claudio Abbado in un programma dedicato a Gesualdo. Gli spazi più suggestivi ed adatti alla musica dei Sassi di Matera e del centro storico risuoneranno per un intero mese gioiosamente sulle note antiche e contemporanee del Festival: il MUSMA , Casa Cava, le Chiese di San Pietro Barisano e di San Pietro Caveoso, Madonna delle Virtù e della Palomba, quella del Cristo Flagellato, Palazzo Viceconte, e il Museo Ridola. E le trasferte in luoghi altrettanto fascinosi come Irsina, inserita tra i borghi più belli d’Italia e oggetto di una straordinaria riscoperta internazionale, o la deliziosa Venosa patria di Orazio e di Gesualdo. Questa nostra proposta, quella di far risuonare luoghi storici così suggestivi con la musica più adatta a quegli ambienti è stata subito accolta con entusiasmo dalle Istituzioni, in particolare da Francesco Canestrini e dai funzionari della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Basilicata. Ringrazio, inoltre, per la fiducia accordata al nostro Festival e il generoso spirito di collaborazione i sindaci dei tre Comuni coinvolti e tutti gli enti regionali e locali, l'Università della Basilicata, il Conservatorio di Matera e il Polo Museale della Basilicata, oltre agli organi di informazione. Ho lasciato per ultimo l’accenno all’imminente apertura dell’anno 2019 in cui Matera sarà Capitale Europea della Cultura, anche per il rischio di inflazione di parole già prodotto da questo titolo nei mezzi di comunicazione. Se è vero che tra le motivazioni che hanno portato Matera dapprima, nel 1993, al riconoscimento dei Sassi come Patrimonio Mondiale dell’Umanità per l’eccezionale Paesaggio Culturale che vi è custodito da secoli, e poi al titolo di Capitale europea il prossimo anno anche per la sapiente miscela di salvaguardia del proprio passato e delle proprie tradizioni con spirito innovativo aperto al digitale, il Festival Duni è già tra le realtà pronte a dimostrare queste caratteristiche di tradizione e innovazione culturale ai visitatori di Matera 2019. Questo libro di sala, con le immagini dei luoghi e i rari programmi sonori che descrive, ne è una ulteriore dimostrazione.
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Una modernissima storia antica fabrizio festa MaterElettrica
Le apparenze, è noto, spesso ingannano. A tale aurea regola non sfugge neppure la storia della musica, e in particolare quella legata all’intrecciato evolversi della tecnologia delle tastiere e della progettazione di automi e macchine automatiche destinate per l’appunto alla produzione musicale. Fin da quando l’uomo è stato in grado di realizzare manufatti ha cominciato ad immaginare che, accanto a navi, a vasi, a tessuti, insomma a tutto ciò che costituiva la sua attività più o meno quotidiana, fosse necessario costruire altro. Teatri, ad esempio. Maschere per il teatro; strumenti musicali e sonori per il teatro e per il semplice intrattenimento; e automi in grado di suonare senza il diretto intervento dell’uomo. Se ne trovano in tutto il Mediterraneo fin dalle epoche più remote. Il principio che sta alla base di tali progetti da allora ad oggi non è mai cambiato: individuare una forma di energia indipendente (o quasi) da qualsiasi azione umana, che permetta ad appositi dispositivi di risuonare. L’acqua e il vento sono stati i primi “carburanti” di questi automi. Ovviamente, l’automa in passato (e per la verità è in gran parte così anche ai giorni nostri), poteva eseguire solo ciò che era stato “programmato” a fare, ovvero poteva eseguire solo quei suoni (organizzati sicuramente in altezze, a volte anche in durate ed intensità) che forma e materiale gli consentivano di produrre. Dal Rinascimento in poi, con lo sviluppo della meccanica e nel contesto del vasto e spesso acceso dibattito tra teorici “etecnici”, che vide tra i protagonisti proprio i musicisti, lo sviluppo di tale progettazione conobbe un rapido incremento. Potremmo dire che il punto di svolta è costituito dall’opera di Athanasius Kircher. Nella sua Musurgia Universalis, pubblicata a Roma nel 1650, sull’onda degli studi, che in quei medesimi anni stavano orientando la ricerca scientifica verso il calcolo combinatorio su base logico-matematica (non è certamente un caso che proprio il giovane Leibniz avvierà un importante epistolario proprio con Kircher), e potendo Kircher avvalersi della solidissima tradizione matematico-astronomica gesuitica (basterebbe qui citare la centralità di una figura come quella di Christophorus Clavius) – eccolo progettare e costruire un vero e proprio elaboratore musicale: l’Arca Musarhitmica. A tutti gli effetti, si tratta di un calcolatore a fini musicali, il cui scopo è quello di elaborare tutte le combinazioni possibili dato un “input” definito, come diremmo oggi. Nel Nono Libro (II Tomo), la Quinta Parte è significativamente intitolata: Musurgia Thaumaturga sive De Omnis Generis Instrumentis Musicis Automatis, sive Autophonis. Kircher progetta, dunque, autofoni, strumenti musicali automatici su base idraulica. La programmazione sfrutta cilindri a loro volta progettati attraverso quelli che oggi chiameremmo fogli di carta
Fabrizio Festa è compositore, direttore d’orchesta, music designer, saggista e da lunghi anni docente al Conservatorio Duni di Matera. Nel 2014 ha dato vita, tra gli altri, al progetto MaterElettrica che dal 2018 è partner del Festival Duni.
perforata, anticipando così di oltre un secolo e mezzo Joseph-Marie Jacquard, il quale a sua volta aveva sfruttato per il suo telaio il cilindro progettato e realizzato dal più celebre costruttore di automi del Settecento: Jacques de Vaucanson. Se a tutto questo aggiungiamo che nel 1759 Jean-Baptiste Thillais Delaborde, anche lui un gesuita, progetta e realizza il clavessin électrique (clavicembalo elettrico), la prima tastiera della storia a sfruttare l’energia elettrica quale “motore”, intuiamo facilmente come lo sviluppo tecnologico nella costruzione degli strumenti a tastiera abbia trovato fertile terreno di scambio e d’innesto proprio nell’elaborazione di sistemi (teorici e tecnici) di elaborazione automatica del calcolo combinatorio. Delaborde pubblica nel 1761 il saggio Le clavessin électrique: avec une nouvelle théorie du méchanisme et des phénomènes de l’électricité, e lo pubblica in quella Parigi dove Egidio Romualdo Duni, nel medesimo anno, è divenuto direttore musicale della Comédie Italienne. Per quanto possa sembrare strano (le apparenze ingannano appunto) la cosiddetta Età dei Lumi e soprattutto l’ideologia romantica spingono la composizione musicale in una direzione diversa da quella tracciata dai Kircher, dai Mersenne, e in genere da quanti avevamo sviluppato le loro teorie, i loro progetti e le loro realizzazioni pratiche nell’ampio e fecondissimo alveo del neoplatonismo. Per tutto l’Ottocento gli studi di scienza della musica si orientano più sulla fisiologia uditiva e sull’acustica (sempre non perdendo di vista il quadro emozionale), nel mentre la progettazione di sempre più ardite macchine di calcolo automatico getta le basi della moderna computazione elettronica. Certamente, dal punto di vista della soluzione di problemi legati alla performabilità ed all’efficienza degli strumenti musicali nel XIX secolo si compiono fondamentali passi in avanti: basterebbe pensare alle meccaniche degli strumenti a fiato ed al perfezionamento del pianoforte, il primo strumento prodotto in serie della storia della musica. Il successivo punto di svolta è costituito da un lato dalla
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nascita degli elettrofoni, dall’altro dall’invenzione del computer. È cambiato, però, il paradigma di riferimento: non più l’armonia delle sfere, la bellezza del creato, la gloria di Dio. Ora siamo agli inizi della quarta rivoluzione industriale. L’etica è quella del capitale. Allorquando Harry Olson e Herbert Belar costruiscono per la RCA il primo sintetizzatore della storia – il MARK I – lo fanno con il dichiarato intento di risparmiare sui costi delle produzioni musicali, ovvero mirando ad utilizzare la macchina al posto dei musicisti in carne ed ossa. Comunque sia, dal Telharmonium (Taddeus Cahill, 1897) ai giorni nostri le strade della musica (composta ed eseguita), dell’elettronica e dell’informatica si sono spesso, molto spesso, sovrapposte. E sovente tali intrecci si sono focalizzati proprio sulla letteratura musicale tra Sei e Settecento. Jazz, Rock, Progressive, in un modo o nell’altro hanno sentito l’esigenza, per così dire, di tornare alle origini, tant’è che Wendy (all’epoca Walter) Carlos incide uno dei primi LP in cui tutta la musica è realizzata con il Moog intitolandolo: Switched-On Bach (1968), a cui seguirà The Well-Tempered Synthesizer (1969). Il successo fu (e lo è ancora) eccezionale. La straordinaria storia dell’intrecciarsi tra musica, elaborazione algoritmica del calcolo e automazione, se pur qui narrata per sommi capi, lascia intendere che la scelta di unire musica antica e tecnologia contemporanea non ha nulla di esotico. Anzi, andiamo ad aggiungere un tassello ad un mosaico ampio, complesso, ricchissimo di sfumature. Storia, filosofia, etica, tecnologia si sovrappongono per poi farsi da parte al momento in cui entra in scena la musica. La magia del suono – quella che cercheremo di evocare nelle nostre rielaborazioni e nelle nostre composizioni – è l’obiettivo cui guardiamo oggi con una meraviglia che ha un sapore antichissimo. Di un’emozione così profonda siamo grati al Festival Duni, che ha voluto rendere partecipe MaterElettrica di questa esperienza.
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Sassi che cantano: ambiente, musica e architettura in festival Arch. francesco canestrini Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Basilicata
Nel 1955 vedeva la stampa Singende Steine… dell’etnomusicologo tedesco Marius Schneider (1903-1982), uno studio su tre chiostri catalani, più volte tradotto in italiano con l’evocativo titolo Pietre che cantano…, ove si indagavano le relazioni tra architettura medievale e musica sulla base della rilettura dei capitelli figurati romanici interpretati come simboli di note, disposte in ordinata successione e corrispondenti puntualmente agli inni gregoriani dei santi dedicatari dei tre complessi religiosi. Un contributo fondamentale non solo alla decodificazione, ancora oggi oggetto di discussione, delle figurazioni zoomorfe e antropomorfe di questa straordinaria stagione della scultura occidentale, ma anche premessa ineludibile per ogni studio sulle relazioni tra i linguaggi dell’architettura e della musica in età medievale. Con le immagini e i ‘suoni’ dei capitelli catalani di Schneider in mente ora guardo e ‘ascolto’ con diversa attenzione i chiostri e le chiese lucane che costituiscono una parte rilevante del patrimonio storico-artistico della nostra regione. Proprio in alcuni di questi monumenti a Matera, Venosa e Irsina sono ospitati quest’anno, i concerti del festival dedicato al compositore lucano Egidio Romualdo Duni. Se la musica è di per sé un bene culturale, anche attraverso la sua concretizzazione in codici miniati con notazioni, nell’editoria specifica, negli strumenti e nei beni identificati da iconografia musicale, la sua esecuzione in edifici a carattere monumentale ne amplifica naturalmente il messaggio espressivo, concatenando i linguaggi delle diverse forme artistiche. Il revival della ‘musica antica’, dagli anni Settanta del Novecento, ha riscoperto l’esecuzione in luoghi storici come alternativa alle ambientazioni ‘fredde’ e all’acustica secca degli auditori costruiti in età contemporanea, dando nuova vita alle potenzialità sonore delle architetture storiche, soprattutto preottocentesche. In accordo con i responsabili del Festival Duni la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Basilicata, ha inteso proseguire questa linea ospitando i concerti nella Chiesa del Cristo Flagellato, annessa all’ex ospedale di San Rocco a Matera e in importanti architetture simbolo della città come la Chiesa di San Pietro Barisano. Non meno interes-
sante è il dialogo occasionato dall’inedito incontro tra le tracce superstiti delle civiltà antiche emerse sul territorio lucano e i testi e brani strumentali secenteschi presentati nel concerto al Museo Ridola, cui farà riscontro il contrastante dialogo tra l’arte contemporanea e il mondo dell’opera della prima metà del Settecento con Il dramma di Didone allestito al Museo MUSMA.
Francesco Canestrini, architetto con vasta esperienza di dirigenza nell’amministrazione pubblica dei beni culturali, è Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Basilicata.
Proprio un’architettura che si delinea come contemporanea nella relazione spaziale tra musicisti e pubblico e nelle tecniche costruttive, ma che riusa ambienti seicenteschi, come Casa Cava è sembrata la sede appropriata per un concerto che mette a confronto strumenti antichi e nuove tecnologie elettroniche e ritroverà, in questo splendido spazio per la musica, la puntuale corrispondenza visiva e fisica alle armonie sonore elaborate dagli esecutori. La scelta dei luoghi impegnati dai concerti del ciclo, effettuata in collaborazione con la soprintendenza intende aiutare lo spettatore, anche non specialista, a conoscere i monumenti e a rivivere quel legame tra la sensibilità visiva e l'ascolto della musica colta, spesso dimenticato dalla cultura occidentale contemporanea, ma che Schneider ci ha insegnato a ricomporre.
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lunedì 1 ottobre ore 20 chiesa del cristo Flagellato concerto d'inaugurazione
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luigi rossi dalla puglia a napoli, roma e parigi Arie a una due e tre voci
Luigi Rossi (1597/1598-1653)
Chi può resister Duetto (gp/lp) Che più far degg’io Duetto (gp/lp) Speranze sentite Duetto (fa/ef) E che pensi mio core Duetto (ef/fa) Mio ben teco’l tormento a voce sola (lp)
Michelangelo Rossi (1601/2-1656)
Toccata VI per cembalo
Luigi Rossi
Si o No, dissi al mio cuore Duetto (gp/lp) Oh gradita libertà Duetto (gp/lp) Che pretendete begli’occhi da me Duetto (ef/fa) Due labra di rose Duetto (fa/ef)
Giovanni Girolamo Kapsperger (1580 ca. -1651)
Passacaglia (strumentale) dal Quarto libro di Intavolatura di Chitarrone (Roma 1640)
Luigi Rossi
Gelosia Cantata a voce sola (gp) Io mi glorio esser amante Terzetto (fa/ef/lp) Federica Altomare, Esther Facchini, Giuseppina Perna soprani Leopoldo Punziano tenore Franco Pavan e Pierluigi Ciapparelli tiorbe Luigi Trivisano clavicembalo Cappella Neapolitana Jr Direttore Antonio Florio
in collaborazione con ScarlattiLab dell’Associazione Scarlatti Ente Morale di Napoli e il Dipartimento di Musica Antica del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli
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Luigi Rossi musico di tre Corti Dinko Fabris
Nonostante il ruolo eminente di Luigi Rossi nella storia della musica europea sia fortemente legato ad uno dei due melodrammi da lui composti poco prima della metà del Seicento, L’Orfeo, che nel 1647 fu il primo melodramma italiano scritto per essere eseguito in Francia su committenza del primo ministro Mazzarino le oltre 300 composizioni vocali che circolarono a suo nome ne attestano una importanza forse superiore nel processo di trasformazione e confluenza della monodia (o aria) su basso continuo nella successiva cantata da camera. La carriera di Rossi si può suddividere in tre periodi basati su altrettanti centri artistici e culturali di primaria importanza nella prima metà del Seicento: un quindicennio di formazione e avvio professionale a Napoli, capitale del viceregno spagnolo; il lungo periodo a Roma, dal 1620 alla morte, contraddistinto dalla sua fama legata alla famiglia del papa Barberini; il periodo francese, ristretto cronologicamente e non del tutto felice ma, come si è detto, fondamentale per l’immagine internazionale del compositore. Da questa triplice carriera Luigi Rossi derivò una fama che al suo tempo era seconda probabilmente soltanto a quella di Claudio Monteverdi e superiore a tanti altri grandi protagonisti coevi. Luigi era nato a Torremaggiore di Puglia, cittadina dominata dalla casata dei duchi Di Sangro, intorno al 1597/98: l’anno preciso non è stato mai appurato perché gli atti di battesimo un tempo custoditi nella chiesa madre furono distrutti da vari cataclismi durante i secoli. I feudatari del luogo (che avevano anche il titolo di principi di Sansevero) portarono con tutta probabilità il giovane Luigi a studiare a Napoli, dove avevano in piazza San Domenico Maggiore il palazzo di rappresentanza, che era stato peraltro collegato al tragico episodio dell’uxoricidio compiuto da Gesualdo da Venosa (che abitava in realtà un più piccolo palazzo dei Di Sangro oggi non più esistente ma collaterale a quello principale più tardi abitato anche dal principe alchimista Raimondo). Non sappiamo nulla sul periodo di studio del piccolo Luigi tra la Puglia e Napoli, ma in un manoscritto di musica per tastiera in partitura conservato alla British Library di Londra (Ms. Add 30491) appartenuto allo stesso Rossi e da lui in parte compilato di suo pugno, si trova una iscrizione di proprietà (“Este libro es de Don Loise Rossi”) e una sorta di triste autobiografia dell’autore scritta in un codice cifrato che dice: “Libro di canzone franzese del signor Gioanni Demaqque | Che fu maestro di Luigi Rossi sfortunato | E sfortunato fu da quando naqque Poiche 14 anni in corte è stato | Nepur un mezzo grosso mai a alquistato”.
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Infine sempre in codice è presentata l’importante informazione” Questo libro loi fece fare il duca di Traetta, per me Luigi Rossi”. Veniamo così a sapere che sicuramente prima del 1620, data in cui Rossi si trasferì a Roma e dunque termine ultimo per la stesura del manoscritto, gli era stato commissionato il libro dal duca di Traetta (feudo appartenente alla potente famiglia napoletana dei Carafa, il cui contatto con la musica nella stessa epoca è testimoniato dal manoscritto per chitarra Chigi I.VI.200 della Biblioteca Vaticana datato 1599 e dedicato alla duchessa di Trajetta). Luigi aveva allora passato già 14 anni alla corte vicereale di Napoli, probabilmente come allievo e poi aiutante di Jean de Macque, il grande compositore fiammingo chiamato a Napoli in casa del padre di Carlo Gesualdo principe di Venosa dal 1586 e poi divenuto maestro della Real Cappella del viceré dal 1599 alla sua morte avvenuta nel 1614. Il contenuto del manoscritto rivela infatti i rapporti del giovane Rossi con i più importanti musicisti napoletani di quegli anni, le cui sperimentazioni influenzarono anche Frescobaldi, poiché sono copiati brani per tastiera di Macque, Trabaci (il primo italiano eletto al posto del fiammingo maestro della Real Cappella), Stella, Lambardi, Rinaldo dall’Arpa, Ippolito, Fillimarino e lo stesso Gesualdo (nel manoscritto è copiato anche il Lamento d’Arianna di Monteverdi e rara musica per viola bastarda). Nel 1620 la carriera di Luigi conosce una svolta decisiva perché è chiamato a Roma al servizio della prestigiosa famiglia Borghese, dove si adopra per far entrare anche un arpista napoletano (in quell’anno è scritta l’unica sua lettera autografa conosciuta, diretta al marchese Enzo Bentivoglio protagonista della musica a Roma e protettore di Frescobaldi). Raggiunto dal fratello Giovan Carlo che suonava a sua volta l’arpa, Luigi sposa a Roma nel 1627 una giovane arpista, Costanza da Ponte, il cui fratello era anche virtuoso dello strumento. Nel decennio successivo Luigi Rossi era già considerato uno dei musicisti più importanti di Roma, grazie all’assunzione come organista dal 1633 e poi maestro della chiesa di San Luigi dei Francesi (il riferimento a Roma per la Francia) e in quel periodo, appena eletto il nuovo papa Urbano VIII, entrò al servizio dei potenti cardinali “nipoti” Francesco ed Antonio Barberini, che avevano appena inaugurato nel teatro costruito nel proprio palazzo romano una forma speciale di melodramma di soggetto sacro con il Sant’Alessio di Stefano Landi. Nel 1642 la carriera romana di Luigi è all’apogeo con la sua prima opera allestita appunto nel teatro Barberini, Il Palazzo incantato di Atlante, tratto da Ariosto. In quegli stessi anni le sue prime composizioni vocali cominciarono a circolare anche fuori da Roma e soprattutto in Francia. Divenne celebre il suo Lamento della regina di Svezia che fu spedito su sua richiesta anche al cardinale Richelieu nel 1641 e nel 1645 Leonora Baroni figlia di Adriana Basile e tra le più celebrate canterine romane s’incaricò di consegnare musiche vocali di Rossi a Cristina di Francia, reggente dello stato di Savoia. Ma intanto nel 1644 la morte del papa Barberini, filofrancese, e l’elezione del suo successore di simpatie spagnole, Innocenzo X, obbligò i cardinali Barberini a rifugiarsi in Francia sotto la protezione del nuovo primo ministro cardinale Giulio Mazzarino, che immediatamente accolse sotto la sua ala dal giugno
1646 anche il loro musico Rossi, commissionandogli il già menzionato Orfeo. Iniziava così il terzo straordinario periodo per l’ormai cinquantenne pugliese-napoletano. L’operazione Orfeo era politica, come si comprende anche dalla scelta di questo soggetto mitologico (esattamente come le prime opere di Firenze e Mantova quasi mezzo secolo prima): Mazzarino voleva imporre in una Francia turbolenta per la reggenza della regina spagnola l’opera italiana. La reazione della Fronda fu violentissima ma per motivi non musicali, anche se furono sottolineate le stranezze di quell’opera: una durata esagerata con troppi recitativi in italiano e soprattutto l’uso di cantanti castrati considerato una barbarie. Come era avvenuto a Monteverdi nel 1608, Luigi non poté rivedere sua moglie Costanza rimasta a Roma, che morì nel novembre 1646 mentre lui lavorava a Parigi all’opera e tornò a casa solo e avvilito nel 1648, e anche meno fruttuosi risultarono altri due viaggi successivi in Francia. Eppure i musicisti francesi dettero prova di onorarlo e stimarlo enormemente e molta musica di Rossi circolò in Francia con la semplice attribuzione a “Monsieur Luiggi”. Tornato a Roma definitivamente nel 1651, famosissimo ma non ricco, terminò la sua vita nella Città Eterna il 19 febbraio del 1653. Il catalogo delle sue musiche vocali, stabilito in oltre 300 brani da Eleanor Caluori nel 1981, soffre della difficoltà quasi insormontabile di datare gran parte di quelle composizioni, spesso giunte fino a noi in numerose copie anche molto lontane dal tempo della redazione originale. Allo stesso modo solo alcuni brani rivelano l’autore del testo letterario, in genere poeti della stessa cerchia barberiniana frequentata dal compositore. Tutti i generi vocali alla moda intorno alla metà del Seicento sono testimoniati da questo straordinario repertorio di Rossi: si va dall’aria monodica ancora legata agli esperimenti del primo Seicento (variazioni melodiche su basso spesso ostinato) alla canzonetta strofica di tipo operistico; dal lamento su tetracordo discendente (come il già menzionato lamento della regina di Svezia “Un ferito cavagliero” che è tra le poche composizioni databili, sapendo che la morte del re di Svezia era avvenuta in battaglia nel 1632) alla vera e propria cantata da camera articolata in più sezioni (recitativi e arie in successione). Conosciamo anche la data di “Gelosia ch’a poco a poco” su testo del poeta Domenico Benigni (cameriere segreto del papa e molto richiesto come autore di testi musicati dai più importanti compositori romani) indicata nell’anno 1646 (manoscritto della Collezione Barberiniana nella Biblioteca Vaticana). La sua forma è già quella di una cantata matura che nella seconda metà del Seicento presenterà sempre l’alternanza tra recitativi e arie, qui adottata in forma miniaturistica. Il dramma della gelosia è espresso dalla protagonista vocale attraverso una serie di vocalizzi di grande impegno virtuosistico. Anche l’altro brano “a voce sola” in programma, “Mio ben, teco il tormento” è un capolavoro di grande impegno vocale e splendido risultato artistico: si tratta di variazioni sulla Passacaglia, tra le più riuscite del secolo e degne di essere paragonate alle simili arie-lamento di Monteverdi o Cavalli. Le altre composizioni sono deliziosi duetti che toccano tutte le forme più alla moda negli ambienti cardinalizi romani del tempo: soprattutto arie su bassi ostinati e e canzonette
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di grande freschezza e spontaneità. Eppure tutti i brani di Rossi sono costruiti su un sapiente contrappunto che a volte emerge come in un gioco perfetto di simmetrie e incastri (per esempio sul testo “Si o No, dissi al mio cuore”, che già nel titolo presuppone un gioco di contrasti). Perfino la lezione cromatica di Macque e Gesualdo, appresa da Rossi al tempo del suo apprendistato napoletano, si scopre a tratti dietro la scrittura leggera e luminosa di questo protagonista della musica secentesca. Nonostante l’esordio giovanile come allievo di Macque e il manoscritto di Londra, l’unico brano strumentale sicuramente di Luigi Rossi (a parte due danze per chitarra attribuite a “Seigneur Luiggi” e i Ritornelli per strumenti inseriti nelle sue opere e oratori) è una Passacaglia scritta probabilmente durante gli anni trascorsi in Francia, poiché in quella nazione si trova la maggior parte delle fonti: un brano dall’armonia ricca ed avventurosa che può forse anche raccontare della consuetudine domestica di Luigi col mondo sonoro dell’arpa tripla. Per il programma odierno, oltre ad un'analoga Passacaglia del collega di Rossi Kapsperger “Il Tedesco dalla Tiorba”, è stato volutamente inserito un brano di un altro Rossi non appartenente alla stessa famiglia ma esattamente coevo: il genovese Michel Angelo Rossi, detto “dal violino” per via dello strumento con cui si era messo in luce al suo arrivo a Roma negli stessi anni del meridionale Luigi. Michel Angelo produsse negli anni Trenta del Seicento almeno un fortunato libro di Toccate e Correnti, più volte ristampato, che accoglie dieci toccate molto cromatiche e avventurose nello stile di Frescobaldi, che lo hanno fatto definire il suo migliore continuatore.
antonio Florio — nato a Bari, ha ricevuto una formazione classica, diplomandosi in violoncello, pianoforte e composizione al Conservatorio di Bari, sotto la guida di Nino Rota. Ha in seguito approfondito lo studio degli strumenti antichi e della prassi esecutiva barocca, studiando clavicembalo e viola da gamba. Nel 1987 ha dato vita al complesso di musica antica “Cappella della Pietà dei Turchini” con cui ha fortemente innovato “dal sud” la concezione della prassi esecutiva di un repertorio straordinario, quello della musica napoletana dei secoli XVII e XVIII, recuperando con una duplice azione di ricerca musicologica – da sempre condotta con il musicologo Dinko Fabris – e di esecuzione capolavori del tutto sconosciuti, che sono stati riproposti nelle più prestigiose sale e rassegne del mondo ed incisi in oltre 50 cd, con decine di capolavori rari o mai prima ascoltati. Oltre alla sua storica formazione, nel 1999 e nel 2000 ha diretto l’Orchestra Sinfonica di Santiago de Compostela nel marzo 2018 al Teatro Regio di Torino ha diretto l’allestimento scenico di “Orfeo” di Monteverdi (definito dalla critica “impresa di valore culturale altissimo”) e nella stagione lirica 2018 del Teatro San Carlo dirige la prima esecuzione moderna del “Siroe re di Persia” di Leonardo Vinci. Ancora più numerose sono state le esecuzioni di repertorio sacro e strumentale della musica napoletana dal 1400 al 1800, compreso un programma commissionato al violoncellista Giovanni Sollima con un suo brano appositamente composto per il gruppo di Florio e inciso in cd. Non meno impegnativa è la sua attività didattica: ha tenuto seminari e masterclass sulla vocalità barocca e sulla musica da camera, tra le tante istituzioni europee, per il Centre de Musique Baroque di Versailles, per la Fondation Royaumont e per il Conservatorio di Toulouse. Come titolare della cattedra di musica da camera al Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli, ha creato un corso avanzato di vocalità e interpretazione del repertorio barocco, soprattutto fondando un Master di II livello universitario in Musica antica unico in Italia. È co-direttore artistico dello “Scarlatti LAB”, laboratorio per la musica barocca a cura dell’Associazione Scarlatti di Napoli. Numerosi sono stati i riconoscimenti ottenuti durante la sua carriera. Nel 2004 nell’ambito del Festival di musica antica del Mediterraneo Mousiké di Bari, Antonio Florio ha ricevuto il primo “Premio per la diffusione della Musica Mediterranea”. La registrazione dvd dell’opera “Alidoro” ha ottenuto il prestigioso “Diapason d’Or” e “Orphèe d’or-Paris-accademie du disque lyrique”. Insieme a quest’ultimo, ad Oviedo in Spagna, gli è stato attribuito il premio “Luis Gracia Iberni” – corrispondente all’italiano premio Abbiati – per la “miglior direzione musicale” in occasione della prima esecuzione in tempi moderni dell’opera “Ottavia restituita al trono” di Domenico Scarlatti, presentata a San Sebastian nell’agosto del 2007. Nell’ottobre 2008, insieme con i Turchini, si è aggiudicato inoltre il “Premio Napoli”, nella sezione “Eccellenze Nascoste” della città. Ha partecipato al Festival “MITO” presentando in versione concertistica l’opera” Aci, Galatea e Polifemo” di Haendel nel Teatro dell’Arte di Milano, poi nel giugno 2009 in versione scenica, con la regia di Davide Livermore, al Teatro Regio di Torino. Sempre nel 2009, ha presentato “La Partenope” di Vinci in coproduzione con il Teatro S. Carlo di Napoli e vari teatri spagnoli ha ottenuto il Premio Oviedo per la miglior produzione teatrale. Nel 2010, ha diretto “Orfeo e Euridice” di Fux alla Konzerthaus di Vienna, e in più occasioni l’orchestra barocca “Casa da Musica” di Oporto e l’Orchestra di Galicia-La Coruna.”Nel 2012 ha diretto alla Konzerthaus di Vienna “Dorimena e Tuberone” di Francesco Conti e “Incoronazione di Poppea” di Monteverdi al teatro Calderon di
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Valladolid con la regia di E. Sagi. Al Ravello Festival dell’agosto 2016 ha eseguito nel fascino della notte il “Fairy Queen” di Henry Purcell basato sul “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare. Dopo aver cambiato il nome del suo gruppo storico in “Cappella Neapolitana”, dal 2016 Florio ha creato un nuovo centro di musica antica nel cuore di Napoli, presso la Domus Ars (nella splendida chiesa barocca di San Francesco delle Monache a Santa Chiara) con cui è giunto nel 2018 alla terza edizione della rassegna “Sicut Sagittae”. La consacrazione internazionale della sua costante opera di riscoperta dei tesori di Napoli è giunta con la direzione artistica della 19ma edizione del prestigioso Festival “Misteria Paschalia” di Cracovia che si terrà nel 2019.
cappella neapolitana e scarlattilab. Le vicende artistiche di Antonio Florio e del suo complesso si fondono. Nel 1987 ha fondato e da allora diretto il nucleo storico della Cappella della Pietà dei Turchini, con cui ha animato il Centro di Musica Antica di Napoli da lui diretto fino al 2010. Dal 2016 il gruppo è stato rinominato Cappella Neapolitana, rinnovando ancor più le tante iniziative di riscoperta e valorizzazione del patrimonio musicale napoletano e meridionale nel mondo e proseguendo le incisioni discografiche con la casa spagnola Glossa. Nel 2010 ha creato presso l’Associazione Scarlatti Ente Morale l’esperimento unico in Italia dello ScarlattiLAB, un workshop di avviamento professionale dei migliori studenti del Dipartimento e Master di II livello di Musica Antica del Conservatorio di Napoli, da lui co-fondato insieme a Dinko Fabris, con cui dirige da allora il Laboratorio. Anche in questo programma si uniscono le forze già esperte dei membri della Cappella Neapolitana, al basso continuo, con gli straordinari giovani cantanti che hanno concluso il percorso professionale.
Chi può resister, chi? Chi può resister, chi? Troppo forti guerrieri Son due begl’occhi Nuovo stral nel mio cor Che non si scocchi. V’è quell’ancor Che dal bel crin uscì. Chi può resister può Una viltà che ferisce, La bellezza, un cor amante Porti pur lunghe le piante. Sempre mai d’amor languisce Della crudeltà che adoro Il primo guardo altro non fu Misero me ch’un dardo Che le vene passando il fianco aprì Chi può resister può Quando vidi le faville Che s’appressero al mio core Per estinguer tanto ardore Io ricorsi alle pupille Versai sopra gli incendi acque di pianto Ma di spegner ohimè non ebbi il vanto Ch’il foco prese forza e si nutrì Chi può resister può
E che pensi mio core E che pensi mio core, Con tanto dir no? Fuggi chi ti sprezzò, Lasci il regno d’Amore. Sì, sì mercede della mia fede odio e fierezza. Nò, non dura lo sdegno ovè bellezza. Nò, non se ne parli più, Fermo del mio desìo, la mia fede, Il cor mio sarà sempre qual fu. E se fìa mai, spietati rai, ch’io mi lamenti, O tormenti m’aprino il petto, Adorar le sue pene anco è diletto: Dì mio core, seguirai beltà crudele? Sii a me sempre fedele, Nel mio martire senza gioire, Sarà sempre amante, Chi dimanda pietà non è costante.
Che più far degg’io (attr. a Rossi incerta) Che più far degg’io? Ahi lasso, già tacendo ard’il mio cor E l mio ben, Filli mia, non sent’amor Sì questo sol mi resta a far, Sospirar, lagrimar non posso più. Su, mia lingua, che fai? deh, parla tu. Misero ohimè come fia Che il mio real mal narra e distingua Amor che lega il cor, lega la lingua.
Sì o no dissi al mio cor Sì o no dissi al mio cor: No, rispose e morte fu, Che servir non si può più, Senza premio a tanto amore. Né perché un dì risponde sì Mi potrà far beato Mai non giunge quel dì d’un sventurato.
Mio ben, teco il tormento Mio ben, teco il tormento Più dolce io troverei, Che non altri il contento. Ogni dolcezza, è sol dove tu sei E per me Amor aduna, Nel girar dè tuoi sguardi, ogni fortuna.
Oh gradita libertà Oh gradita libertà, Oh beata servitù, Chi d’amabile beltà Fido servo un giorno fu, In quel punto, in quel momento Alle gioie morì, nacque al tormento; Alle pene morì, nacque al contento. Morì dunque alle pene Quell’infelice Apollo Che in verde lauro inorridì la speme. Nacque dunque al contento La gran madre dÈ numi allor che pianse Sotto l’ombra d’un pino il suo tormento? E la dea Citerea, se lo svenato Adone Provò forse in amor gioie più stabili? Ah miserabile datevi pace! D’amor la face con fiamme ultrici, Anch’i numi del ciel rende infelici.
Hor se nel cielo istesso, Un verace contento amor non ha. Dalle spiagge Sicane toglie un sol di bellezza,
1. I testi
Speranze sentite Speranze sentite, Vi chiami anco Amor, Dal mesto mio core, Perché vi partite? S’uno sguardo che severo Saettò di Lilla il ciglio, Per dar morte al mio pensiero, Dal mio sen vi dona esiglio. Deh, pietosa al mio periglio, Nel mio cor fermate il piede. Siate grate alla mia fede, Se da lei fuste schernite. Al sen d’un bel sembiante, Il desìo non sciolse il volo, Senza voi che fuste solo La raggion ch’io venni amante. Deh, fermate almen le piante: Nel mio cor, benché tradito, Sono al cor d’ Amor ferito, Le lusinghe anco gradite.
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Il dio dell’ombre e del baratro immane, Mentre sen corre a serenar l’ombre, Mesce al foco natio o fiamme d’amore. Dolce fiamma che m’ardi nel seno, Dure pene non temo da te. Se nel regno dell’alme dolenti, Anch’ì numi d’Averno aman contenti. Del tuo foco soave l’ardore, Più gradita la vita ne fa. Del tuo raggio serena la luce, Ch’anch’ì Numi d’Averno al ciel conduce. Armati, stancati contro il mio core, Fervido amore con mano arciera. Pria che l’alma amor mi fera, L’alma istessa io perderò, Dolcemente io morirò. Che s’un’anima è ferita Se d’amor son le ritorte. È miseria d’un core anche la vita, È delitia d’un core anche la morte.
1. I testi
Che pretendete begl’occhi da me? Che pretendete begl’occhi da me? Ch’io v’ami e v’adori, E non chieda mercè? Morir non vogl’io Per vostra beltà, S’ho dato il cor mio, Pretendo pietà. Sì, sì, così và: S’ho dato il cor mio, Pretendo pietà. Per desìo d’oro, Il nocchier solca il mar, Torbido o in calma. Corre a stragi un cor guerriero Perché brama nobil palma. Anco un’alma ad un sembiante, In amor serve costante, Pur che goda la mia fé. Serva pur chi vuol servire, Senza speme di conforto, Di mercede ho gran desire, Io che sono amante accorto, Viv’assorto in mar di pianto. Chi non sa che talor vinto Spriggionar dai lacci il piè.
Due labra di rose Due labra di rose, Fan guerra al mio core, E prodigo amore e dolcezza: Che più s’aspetta In quel labbro di riso? Ahi che saetta! Gelosia (Cantata. Testo di Domenico Benigni) Gelosia ch’a poco a poco nel mio cor serpendo vai, non entrar dove arde il foco: vero amor non gela mai. Da me che brami? Forse vuoi tu ch’io più non ami! Lasciami, gelosia! Disleal, con piè furtivo, Cerchi indarno entrar nel seno: Il mio foco è così vivo Che non teme il tuo veleno. Dimmi, che vuoi? Sprezza mia fè gli assalti tuoi. Furia dell’alma mia, Perché ritorni ohimè? Lasciami, gelosia! Ma crudel, tu pur piano Nel mio cor stai sulle porte. Fuggi, oimè, lontano! Del tuo gel è Amor più forte! Da me che speri? Godendo io sto, DÈ miei pensieri. Furia dell’alma mia Non più rigor, no! Lasciami gelosia! Io mi glorio d’esser amante Io mi glorio d’esser amante, Bench’ogn’ora voi mi ferite, Occhi belli incrudelite Ch’io sarò sempre costante. Fulminate, saettate, luci serene e vaghe, che non vuol il mio cor altro che piaghe. Nell’imperio d’Amor c’è questa usanza, Che chi non vuol penar non ha costanza.
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giovedĂŹ 4 ottobre chiesa di santa maria delle virtu'
2. vivaldiana
Le 9 Sonate per violoncello di Antonio Vivaldi (o forse Antonio Vandini?) Antonio Vivaldi (1678-1741) Sonata I in Si b RV 47 Largo-Allegro-Largo-Allegro Sonata II in Fa RV 41 Largo-Allegro-Largo-Allegro Sonata III in la min RV 43 Largo-Allegro-Largo Allegro Sonata IV in Si b RV 45 Largo-Allegro-Largo-Allegro Sonata V in mi min RV 40 Largo-Allegro-Largo-Allegro Sonata VI in Si b RV 46 Largo-Allegro-Largo-Allegro Sonata VII in la min RV 44 Largo-Allegro-Largo-Allegro Sonata VIII in Mi b RV 39 Largo-Allegro-Andante-Allegro Sonata IX in sol min RV 42 Preludio-Allemanda-Sarabanda-Giga Vito Paternoster violoncello solista Sofia Ruffino viola da gamba Annalisa Ficarra clavicembalo
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Antonio Vandini in un disegno di Pier Leone Ghezzi (1721)
Le sonate per violoncello di Vivaldi Dinko Fabris
Il violoncello era uno strumento ancora relativamente “giovane” come solista al tempo di Vivaldi. Le prime sonate virtuose a solo erano state composte a partire dalla seconda metà del Seicento in ambito bolognese (Gabrielli, degli Antonii, Jacchini e Bononcini) ma anche Napoli si allineò presto tra le sedi dove il violoncello era in grande voga già alla fine di quel secolo. Anche nella enorme produzione strumentale veneziana di Antonio Vivaldi il violoncello occupa un posto rilevante, con 27 concerti giunti fino a noi (RV 398-424) e altri di cui si ha solo qualche frammento, inoltre è presente in 18 concerti “per molti stromenti” e naturalmente come strumento di basso continuo in tutta la sua opera. A questo si aggiungono le 9 Sonate per violoncello e basso continuo (RV 39-47) eseguite integralmente in questo concerto per la prima volta in Basilicata ed in genere di rara esecuzione. Questo gruppo di sonate è tramandato da almeno cinque fonti manoscritte conservate in tre biblioteche europee (Conservatorio di Napoli, Bibliothèque Nationale de France a Parigi e Schönbornsche Muskbibliothel a Wiesentheid) e soprattutto una stampa musicale coeva. Stranamente queste fonti sembrano correlate, nel senso che di ogni sonata conosciamo almeno due fonti, tranne che per le due Sonate RV 39 e 42. La fonte più importante è quella di Napoli perché contiene annotazioni della mano dello stesso Vivaldi, che dunque supervisionò almeno questa stesura delle Sonate con correzioni e commenti. Anche la fonte di Parigi è collegata a Vivaldi perché è di mano di un copista noto per aver realizzato varie copie di musiche vivaldiane a Venezia. La stampa musicale fu realizzata a Parigi dallo stampatore Le Clerc proprio intorno all’anno di morte di Vivaldi, tra il 1740 e il 1741: questa fonte è la più ambigua e la più discussa. Sembra improbabile che lo stesso compositore abbia predisposto ed inviato per la stampa a Parigi queste Sonate, che peraltro presentano un’altra caratteristica tipicamente vivaldiana: l’assemblaggio a modo di “pasticcio” di alcuni tempi ricavandoli da precedenti brani composti per altri strumenti, in modo da completare la serie di 6 composizioni come tradizione. In realtà sappiamo che Vivaldi non autorizzò più alcuna edizione a stampa di sue composizioni dopo la sua opera 12 stampata ad Amsterdam da Le Cène nel 1729 e che la cosiddetta opera 13 apparsa a stampa attribuita a Vivaldi col titolo Il Pastor fido, era in realtà opera di Nicolas Chédeville. È probabile dunque che il prestigioso editore parigino Le Clerc abbia avuto il manoscritto delle Sonate vivaldiane senza l’autorizzazione di Vivaldi e attraverso un tramite che aveva avuto accesso alle fonti manoscritte oggi conosciute: si è fatto a questo proposito il nome dell’ambasciatore francese a Venezia, Jean-Vincent Languet conte di Gergy, che intorno al 1725 aveva commissionato
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a Vivaldi diverse composizioni poi disseminate in Europa. Secondo la specialista Bettina Hoffmann, che ha pubblicato per Bärenreiter Verlag nel 2005 l’integrale delle 9 Sonate di Vivaldi, queste opere furono composte intorno al 1720-25 e lo stampatore ebbe forse accesso ad un manoscritto completo sotto la supervisione dell’autore che non è sopravvissuto. Gran parte dei Concerti per violoncello erano stati scritti da Vivaldi per l’Ospedale della Pietà, la sua istituzione stabile: due recano il nome della destinataria, “ Teresa del violoncello” (ma di questi resta la sola parte di viola). Si pensa che gli altri fossero perlopiù destinati al violoncellista della Pietà, Antonio Vandini, attivo tra il 1720 e 1721. Questi era nato a Bologna (come abbiamo visto patria del violoncello) nel 1690 e morì nella sua città nel 1778. Fu molto apprezzato come virtuoso tanto che il viaggiatore musicofilo inglese Charles Burney nel 1770, dopo averlo ascoltato, ne riportò perfino indicazioni oggi utilissime di prassi esecutiva: “È notevole che Antonio [Vandini] e tutti gli altri violoncellisti qui tengono l’archetto alla vecchia maniera con la mano sotto di esso”. Nel Vivaldi Compendium (pubblicato da Boydell nel 2011) Michael Talbot illustra con la sua consueta abilità i problemi di autenticità dell’opera Argippo, attribuita a Vivaldi (RV 697) nonostante numerose allusioni e anagrammi nel libretto sembrino creare un gioco di ambiguità: il librettista è indicato come Calindo Grolo (ossia Carlo Goldoni) e il compositore come Lotavio Vandini, che è si l’anagramma di “Antonio Vivaldi” ma anche di “Antonio Vandini”. Una delle fonti manoscritte delle Sonate per violoncello presenta l’attribuzione al compositore con le sole iniziali “AV”, che corrispondono ad entrambi i musicisti attivi alla Pietà negli anni in cui sono databili queste composizioni. E se le Sonate fossero solo parzialmente di Vivaldi, o magari solo riviste dal maestro sulla base dell’esperienza esecutiva del violoncellista bolognese dal nome cosi simile al suo? Questa confusione (evidente negli stessi registri della Pietà, dove nel contratto di assunzione come violoncellista il nome di “Antonio Vandini” il 20 settembre 1720, fu corretto in “Antonio Vivaldi”) potrebbe aver coperto un prodotto compositivo “a più mani” giunto fino allo stampatore francese Le Clerc quando Vivaldi non poteva più controllare quel mercato. Non esistono prove di tutto questo, ma il concerto nelle intenzioni di Vito Paternoster (che non a caso ha voluto come strumento di confronto nel basso continuo oltre al cembalo una viola da gamba strumento pure suonato da Vandini), invita a continuare il gioco musicale su questa curiosa ambiguità dei nomi.
vito paternoster — Violoncellista, studia composizione e direzione d’orchestra. Negli anni ‘70 segnalato da Nino Rota come enfant prodige, nel 1977, a soli 20 anni, vince il concorso per I Violoncello Solista in quella che era allora la prestigiosa Orchestra Sinfonica della RAI di Roma. Lascia presto questo incarico per seguire le fortune del famoso complesso I Musici di Roma con i quali ricopre per 40 anni ruoli solistici, nella riscoperta di rari concerti e lavori di Boccherini, Costanzi, Leo, Vivaldi, Porpora.Lo studio delle fonti antiche, che lo porta ad utilizzare l’antica prassi esecutiva, arricchisce il suo mondo espressivo. La sua direzione de La Cecchina di Niccolò Piccinni, eseguita al Teatro Petruzzelli di Bari nel 2000, con la collaborazione dell’Accademia della Scala di Milano, viene ritenuta ancora oggi un punto di riferimento. Cura per Ricordi le edizioni critiche delle sonate di Boccherini e di autori vari del ‘700 italiano. Nel frattempo scrive ed incide Inzaffirìo, una rivisitazione dei preludi per violoncello solo di Bach, incide Le sonate e Partite per violino eseguite sul violoncello da un manoscritto del XVIII secolo ed una ricercata versione de Le sei suite per violoncello solo di Bach, riscopre la prima versione del Concerto il la min.di Schumann per violoncello e quartetto, riscopre versioni dei concerti di Haydn e Boccherini per violoncello e basso, realizza una versione per violoncello e basso delle Quattro Stagioni di Vivaldi, una versione per violoncello solo delle Fantasie di Telemann, della Sonata per flauto solo di Bach, incide tutti gli Studi di alto virtuosismo di David Popper; tutto questo in “World Premiere Recording”. Scrive Le Quattro Stagioni Cinesi e Koreane in un curioso stile che fonde Vivaldi, pop, jazz e musica di tradizioni locali. Per tutto questo si è avvalso del sostegno dell’etichetta statunitense on-line www.magnatune.com. È stato artefice di prime esecuzioni assolute di autori come Nino Rota, Raffaele Gervasio, Flavio Testi, Kimmo Hakkola, Flavio Colusso, Mariano Paternoster, Raffaele Bellafronte, Enrico Mainardi, Mario Castelnuovo-Tedesco. Ha composto La Suite Mateolana, Quattro Inni sacri, che hanno come tema Il Pane nella cultura meridionale. Scrive due Serenate Rossiniane ed una Serenata Verdiana per cello ed orchestra, elaborando alcuni dei più bei temi verdiani e rossiniani. Con il figlio Mariano ha scritto l’Inno Matera 2019 che ha contribuito alla prestigiosa vittoria di Matera quale Città Europa della Cultura 2019 premio rilasciato dalla Commissione Cultura del Parlamento Europeo (vedi Youtube). Ha elaborato dei video dove il linguaggio pop assume una nuova forma classica. Vedi Youtube: Un Senso Vasco Rossi-Vito Paternoster, Volare Domenico Modugno-Vito Paternoster. Raccolte nel cd Cellofonia in vendita su tutte le piattaforme digitali, edito da Farelive.
2. Gli interpreti
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soFia ruFFino — Precocemente manifesta le sue inclinazioni artisti-
che, già all’età di cinque anni intraprende lo studio del violoncello sotto la guida di Nazareno Cicoria diplomandosi brillantemente presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Successivamente segue i corsi di perfezionamento di violoncello con i Maestri Mario Brunello e Antonio Janigro e di violoncello storico con Vito Paternoster. È vincitrice classificandosi al 1O posto al Concorso Nazionale per Violoncello dell’Orchestra I.C.O. della Fondazione Tito Schipa di Lecce, 2o posto presso l’Orchestra I.C.O. di Bari. Intrapreso lo studio della viola da gamba con Bettina Hoffmann, ben presto consegue il diploma col massimo dei voti e la lode. Si perfeziona in seguito con il violoncellista e gambista Cristophe Coin. Ha collaborato con importanti istituzioni concertistiche tra le quali: l’Orchestra da Camera di Lugano, Orchestra RAI di Milano, Nova Musicorum Arcadia, Orchestra Internazionale d’Italia, l’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, l’Orchestra Regionale Toscana, partecipando inoltre a numerose e importanti tournèe e Festival internazionali come: Spoleto, San Pietroburgo, Parigi, Lilla, Il Cairo, Rio de Janeiro, San Paulo, Granada, Francoforte, Melbourne, Brisbane, Adelaide. Ha preso parte a numerose incisioni per importanti case discografiche tra le quali: Sony, Dad Records, Emmessegi, Tactus, Amadeus. Recentemente ha registrato per l’etichetta Bongiovanni Cantate Italiane di Händel, per RAI Trade il Trio per archi di Raffaele Bellafronte e per Amadeus Idées Grottesques di Marin Marais. Fondatrice dell’ensemble Le Viole di Orfeo si dedica con grande passione all’approfondimento e interpretazione filologica del repertorio barocco con strumenti originali in complessi specializzati, quali il Baryton trio, Modo Antiquo, La lira D’Anphione, Collegium Pro Musica di Genova, Ensemble Barocco Italiano, riscuotendo ampi e lusinghieri consensi. Docente di viola da gamba presso il Conservatorio di Musica Niccolò Piccinni di Bari, annualmente tiene un corso di perfezionamento di viola da gamba ai Seminari di Musica Internazionali di Vasto. Suona su un Violoncello francese Esculier del XVIII sec. e la Viola da Gamba Basso copia “Guillaume Barbey 1717” di David Rubjo.
annalisa Ficarra — Pianista e clavicembalista diplomata col massimo dei voti presso i Conservatori di Musica di Monopoli e Bari e laureata in Pianoforte ad indirizzo cameristico con 110 presso il Conservatorio Nino Rota di Monopoli. Perfezionatasi per la musica da camera con i Maestri Carlo Chiarappa, Arturo Bacchelli, Giorgio Menegozzo e il duo Valfrido Ferrari - Gianna Valente presso l’Accademia Musicale Pescarese, ha cominciato lo studio del clavicembalo sotto la guida di Ottavio Dantone presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, perfezionandosi successivamente con Emilia Fadini a Milano e presso i corsi di Matera, Monopoli, Verona ecc. Ha seguito i corsi dei Maestri Bob Van Asperen e Gordon Murray. Premiata in vari concorsi nazionali ed internazionali (Stresa, A.M.A. Calabria...) consegue anche il I Premio Speciale per la migliore esecuzione del brano di musica contemporanea al Concorso Clavicembalistico Internazionale “Wanda Landowska” di Ruvo di Puglia. Ha inciso per la casa discografica Farelive Tre miniature (2015) per clavicembalo del compositore pugliese Francesco De Santis. Svolge attività concertistica in varie formazioni cameristiche, come pianista accompagnatore in master-class, come solista al cembalo e al basso continuo. Ha collaborato più volte con l’Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari, con la quale ha svolto anche il ruolo di solista (nel V Concerto Brandeburghese di J.S.Bach). È titolare della Cattedra di Pratica e Lettura Pianistica presso il Conservatorio N. Piccinni di Bari.
2. Gli interpreti
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sabato 6 ottobre matera, chiesa san pietro barisano domenica 7 ottobre irsina, cattedrale
In collaborazione con il Comune di Irsina – Festival delle Passioni
3. la passione secondo matteo Giovanni Maria Trabaci da Montepeloso (1580ca.-1647)
Passio D.N. Jesu Christi secundum Matthæum (dall’edizione di Napoli, Beltrano, 1634)
trascrizione e revisione della partitura Guglielmo Esposito
prima esecuzione storica moderna in Basilicata
Giuseppe Naviglio Jesu (bassus) Soli: Aurelio Schiavoni altus, Leopoldo Punziano tenor Roberto Gaudino bassus Stefano Magliaro viola da gamba, Pierluigi Ciapparelli tiorba Carlo M. Barile organo Coro Mysterium Vocis di Napoli Direttore Rosario Totaro Elaborazioni elettroniche a cura di Fabrizio Festa Gianpaolo Cassano – MaterElettrica Componenti del Coro
Soprani: Giulia Arpenti, Giulia Improta, Carolina Napoletano, Fiorella Orazzo*, Sabrina Santoro, Apollonia Vergolino Contralti: Antonella Borrelli, Roberta De Mattia, Tiziana Fabbricatti*, Conny Sarro Tenori: Alessandro Caro*, Marcello Della Gatta, Guido Mandaglio, Mattia Totaro, Gianluca Vitale Bassi: Cesario Vincenzo Angelino, Giuseppe De Liso, Guglielmo Gisonni*, Fabio Todisco *interventi solistici
Ideazione del Progetto delle Passioni di Trabaci Giuseppe Barile Centro Studi Giovan Maria Trabaci di Irsina.
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L’opera monumentale di Trabaci per il viceré: le Passioni del 1634 Dinko Fabris
Nonostante l’importanza che la storia della musica assegna alla Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach – la cui riproposta moderna nel 1829 segnò la nascita di quel movimento di riscoperta del passato che avrebbe creato la disciplina scientifica che chiamiamo musicologia – sono relativamente poche le Passioni composte in Europa nell’età moderna: 150 secondo la voce del New Grove Dictionary. Di queste, pochissime sono le Passioni composte da autori italiani e in particolare dell’area meridionale prima di Bach e il pubblico conosceva a malapena un solo titolo: la Passione secondo Giovanni di Alessandro Scarlatti, composta probabilmente a Napoli intorno al 1684. In tempi assai recenti si è aggiunta la riscoperta moderna, operata da Antonio Florio con il suo gruppo Cappella Napolitana, della Passio di Gaetano Veneziano, anch’essa scritta per lo stesso ambiente napoletano, la Real Cappella di Palazzo, negli stessi anni. Quasi tutte le musiche di Passione di quel secolo sono giunte fino a noi in forma manoscritta, ma si conosce una fonte per molti versi eccezionale, che è appunto protagonista del progetto che qui si presenta, non a caso prodotta anch’essa per la Real Cappella di Napoli, ma in un’epoca di molto precedente, e dedicata al viceré del tempo in una sontuosa veste editoriale. Si tratta del volume Passionem D.N. Iesu Christi secundum Matthaeum, Marcum, Lucam et Iohannem. Ad ipsius redemptionis dulcedinem a fidelibus degustandam, Iohannes Maria Trabacius, Regiae Neapolitanae Capellae Magister, notis cincinnavit... opus XIII, 2 voll. (Napoli, Ottavio Beltrano, 1634). La dedica di Trabaci datata da Napoli il 1 marzo 1635 fa credere che la stampa fosse pronta nel 1634 (quando era forse già stato stampato il frontespizio con la data) ma fosse stata poi ritardata fino all’uscita in concomitanza con la Pasqua successiva, probabilmente per utilizzarne la musica in quella occasione. La Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli ne possiede una copia integrale ed una seconda copia limitata però al secondo volume (le poche altre copie che si conoscono al mondo sono nella Biblioteca Nazionale di Madrid e nell’archivio musicale dei Girolamini di Napoli). Si tratta di una delle opere più pregevoli prodotte dall’editoria musicale napoletana di quel secolo e più in generale di un’edizione a stampa di grande prestigio. Il frontespizio chiarisce che la musica delle Passioni era divisa in due volumi, il primo contenente le parti dei protagonisti, Cristo e il Testo, il secondo il Coro (Turbam). La dedica al viceré Emanuel de Fonseca e Zunica Conte di Monterey mette in evidenza come la tradizione della esecuzione polifonica delle Passioni evangeliche non rientrava nella tradizione napoletana ma era stata importata dal
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gusto della corte spagnola, che tendeva a conservare rituali arcaici precedenti all’azione rinnovatrice della Controriforma. Trabaci scrive infatti: “… per tanto non è meraviglia, che fra tante altre [virtù] vi regna quella della Musica, & in tale eminenza, che essendo io Maestro della Real Cappella ho da lei appreso il modo, & il nuovo stile di comporre in Musica la Passion di Christo Giesù”. Non a caso era di un grande compositore spagnolo (ma attivo a Roma) il precedente più immediato di Trabaci, il Passio secundum Joannem di Tomás Luís de Victoria (compositore morto nel 1611). Ma chi era Giovanni Maria Trabaci? La fama moderna di questo autore, nato nell’ultimo trentennio del Cinquecento a Montepeloso (l’odierna Irsina nella Basilicata a metà strada tra Potenza e Matera) è legata alla sua produzione di musica per tastiera (soprattutto i due libri di Ricercate (Napoli 1603 e 1615) considerate tra le raccolte più sperimentali del primo Seicento e capaci di influenzare l’arte somma di Girolamo Frescobaldi. Tuttavia la sua produzione appare rilevante in tutti i campi, dalla musica vocale profana a quella strumentale e soprattutto alle decine di opere sacre. Le Passioni sono infatti contrassegnate come “opus XIII” e decine di volumi sono conservati nella raccolta musicale dei Girolamini di Napoli, purtroppo ancora inaccessibile dopo il terremoto del 1980. Dopo gli esordi come organista all’Annunziata e nella stessa Real Cappella del viceré di Napoli, Trabaci (la cui biografia aggiornata sarà oggetto di un attento studio di Domenico Antonio D’Alessandro in corso di realizzazione) fu il primo italiano ad essere nominato Maestro di quella che era la massima istituzione musicale napoletana alla morte del suo maestro e predecessore, il fiammingo Jean de Macque. Il legame con il fervido ambiente musicale del principe Carlo Gesualdo da Venosa, al cui servizio aveva esordito a Napoli Macque, è ampiamente dimostrato dalle sperimentazioni compositive di Trabaci, particolarmente nello stile delle “durezze e ligature” e delle “consonanze stravaganti”. Fu Trabaci a commissionare a Carlo Sellitto il quadro della Santa Cecilia protettrice della musica, destinato a ornare la cappella della Congregazione dei Musici della Real Cappella nella chiesa della Solitaria nel 1613, poco prima di assumere la direzione della Cappella, mentre secondo Ulisse Prota-Giurleo sarebbe Trabaci il maestro di musica ritratto dal pittore spagnolo Ribera poco prima di morire, nel 1647, alla vigilia della Rivoluzione di Masaniello (è probabile che si tratti invece del suo successore alla direzione della Real Cappella, il napoletano Andrea Falconieri, perché il ritratto mostra un musicista ben più giovane di quel che doveva essere Trabaci all’epoca). La dichiarazione nella stampa delle Passioni “Ai Lettori” chiarisce la prassi esecutiva di queste composizioni, destinate ad essere eseguite nel ciclo devozionale della Settimana Santa, durante il quale l’organico della Real Cappella (perfettamente corrispondente a quello richiesto dalla partitura: si veda lo studio pubblicato da Ulisse Prota-Giurleo in “L’Organo”, I, 1960) si esibiva in varie chiese della città di Napoli. Ecco le parole di Trabaci: “Hor per discifrare la gran machina di quest’opera avertisca il Lettore, che tutti Quattro Passij s’han da cantar in modo recitativo, & senza
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battuta, & nella fine delle cadenze lasciar soavemente che l’una voce non superi l’altra. Stan composta à tre, in Voci pari, cioè Basso, Tenore, & Alto, che non havendo da intervenirivi Instromento alcuno han da sciegliersi i più fini, & politi metalli che sia possibile. Mandarei divisi dalle tre del Testo la parte di Christo, & di Giuda, però per maggior comodita, m’è parso inserirle nella medesma Cantilena, a finche mancando il numero, e perfettion delle Voci, i tre del Testo suppliscano l’altre due parti, potendo ciascun d’essi far’, o l’una, o l’altra, & per questo ho disteso la parte del Christo in Basso, & Tenore, acciò qual miglior voce si rapresentarà sobentri à cantar la parte del Christo. A parte del presente libro ho messo in un altro volume, le risposte della Turba, quale lascia il suo Tono al Testo, & il Testo ha tutte l’altre parti, ove le voci (nel cor pieno) han da esser’ doppie, & accompagnate da qualche Instromento di Basso, come Viola di braccio, Trombone, o Fagotto afinché i tre del Testo si mantengano sempre in tono, che per essere il Duodecimo (acciò rieschi più chiaro, e compito) sarebbe bene cantarlo un mezzo punto più alto (si tibi placet) con toccarsi la nota dal Chor pieno con INstromento per aviso a quelli tre del Teso nel principio della Cantilena…”
In pratica Trabaci raccomanda di alternare le voci migliori (che non necessitano di accompagnamento strumentale) a quelle meno esperte e al coro, che per varietà possono essere accompagnate da
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diversi strumenti (tutti nell’organico della Real Cappella del tempo), a fiato o a corda, oltre che ovviamente dall’organo. Per un ulteriore sfruttamento commerciale della sua opera, l’autore avvisa che è possibile perfino adeguarne la tessitura a voci diverse da quelle maschili del complesso vicereale. Per esempio nel caso di una esecuzione in un monastero potrà essere tutto trasportato una quarta sopra (e per maggiore chiarezza Trabaci fornisce un esempio di trasposizione in partitura): “Havendo io mira a che tutti si possono godere della presente Opera, & imprimersi anco nelli sensi del Corpo quella passione, che deve star’impressa nell’Anima, si mette qui la maniera, come anco le Monache, con cantar’m detta opera una quarta più alta, cosi li tre del Testo, come anco tutte l’altre parti sarà ottima, & a proposito, si come si scorge dall’esempio qui notato appresso nel presente libro…”
La sontuosa edizione pubblicata da Beltrano propone parti arcaiche, destinate al canto gregoriano a una voce, alternate a sezioni di grande suggestione nella concatenazione di accordi polifonici che rimandano alle atmosfere della corte gesualdiana (in particolare dei Responsori per la Settimana Santa pubblicati da Gesualdo nel 1611). Il risultato d’insieme è la riscoperta di capolavori ingiustamente dimenticati per secoli, che tuttavia solo nella giusta dimensione timbrica e in luoghi idonei possono trovare l’ideale riproposta (una esecuzione allora pionieristica, proposta quasi quarant’anni fa dall’Orchestra Scarlatti della Rai di Napoli con la revisione di Pietro Andrisani, non potrebbe oggi soddisfare l’esigenza di ascolto storicizzato di queste pagine secentesche). Il progetto della riesecuzione integrale delle quattro Passioni di Trabaci che è stato formulato da Giuseppe Barile con il Centro Studi intitolato al musicista di Irsina in Basilicata, anche in vista delle manifestazioni di Matera Capitale Culturale Europea 2019, si presenta come uno degli avvenimenti più significativi nella riscoperta dei capolavori musicali alle origini della cosiddetta “scuola napoletana”. Non a caso il progetto ha coinvolto anche il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, erede di quei primi Conservatori che nel Seicento per la prima volta in Europa crearono scuole popolari di musica dando un mestiere a bambini orfani o privi di mezzi, e che oggi vanta uno dei dipartimenti di musica antica più importante d’Italia diretto da Antonio Florio, specialista di fama internazionale, così come si avvale della collaborazione del Pontificio Istituto di Musica Sacra, il cui Preside Monsignor Vincenzo De Gregorio è anche Abate Prelato della Cappella del Tesoro di San Gennaro, uno dei luoghi più importanti per la musica napoletana del Seicento, dove la Real Cappella del viceré si esibiva proprio durante i riti della Settimana Santa e dove si è avuta l’anteprima moderna dell’esecuzione che ora si propone per la prima volta al pubblico a Matera ed Irsina nel 2018. Se Matera ha avviato la sua inarrestabile conquista dell’attenzione mediatica mondiale anche grazie al capolavoro cinematografico di Pasolini, Il Vangelo secondo Matteo, che utilizzava come colonna sonora la Passione di Bach, la riscoperta delle quattro Passioni napoletane secentesche del lucano Trabaci potrà certamente costituire una nuova ed affascinante fase di conoscenza.
rosario totaro, musicista napoletano, si è diplomato al Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli prima in pianoforte, sotto la guida di Carlo Ardissone, e successivamente in canto con Tina Quagliarella. Ha in seguito approfondito gli studi di canto con Michael Aspinall, Claudine Ansermet e Maria Ercolano. L’incontro con Argenzio Jorio ha alimentato la passione per la direzione di coro. Nel 1984 il primo concerto come direttore del gruppo Li chori in musica neapolitani che ha guidato per circa sette anni. Nel 1991 entra a far parte del gruppo vocale-strumentale I Turchini di Antonio Florio in qualità di tenore, con cui ha partecipato ad importanti manifestazioni e stagioni concertistiche in Italia (Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Carlo Felice di Genova, Teatro Massimo di Palermo) e all’estero (Vienna, Berlino, Madrid, Lisbona, Parigi, Londra, Città del Messico, Buenos Aires, Tokio, Shanghai, Gerusalemme). Con lo stesso gruppo ha inoltre partecipato a numerose registrazioni con le case discografiche Simphonia, Opus 111, Naïve e Glossa. Tra le opere liriche incise: “Le zite ‘ngalera” di Leonardo Vinci, che ha ricevuto importanti premi quali Choc Musique, Diapason d’oro e Le Timbre de Platine; “La colomba ferita” di Francesco Provenzale; “Pulcinella vendicato” di Giovanni Paisiello; “Statira” di Francesco Cavalli; l’intermezzo “Don Trastullo” di Niccolò Jommelli. La produzione sacra lo vede impegnato in: “La passione” ed il “Vespro” di Francesco Provenzale; le cantate “Per la nascita del Verbo” e “L’Adorazione de’ Maggi” di Cristofaro Caresana. Sempre in qualità di tenore ha collaborato con Patrizia Bovi, Giuseppe De Vittorio e l’ Ensemble Micrologus alla realizzazione del CD “Napolitane”, raccolta di villanelle, arie e moresche. Con Ugo di Giovanni alla chitarra ha inoltre proposto, attraverso un attento lavoro di recupero della canzone napoletana del XIX secolo, concerti che hanno riscosso lusinghieri consensi in Italia e all’estero. Alcuni di questi brani hanno trovato spazio nella raccolta “Tesori di Napoli” curata dalla casa discografica francese Opus 111. Tale lavoro di ricerca si è inoltre arricchito della collaborazione di Giovanni Auletta al pianoforte. Nel 1992 in collaborazione con altri musicisti napoletani fonda il coro polifonico Mysterium Vocis, di cui è l’attuale direttore, con il quale ha partecipato ad importanti rassegne e stagioni concertistiche nazionali ed europee. Come preparatore del coro, in collaborazione con “I Turchini” di Antonio Florio, ha contribuito alla realizzazione di due incisioni discografiche e numerosi concerti. È docente presso il Conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino.
3. Gli interpreti
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Dalla sua costituzione nel 1992, sotto la direzione di Rosario Totaro, il coro mysterium vocis ha svolto un’intensa attività concertistica, proponendo partiture desuete appartenenti alla tradizione musicale napoletana sei-settecentesca. Numerose, nel corso degli anni, le partecipazioni a prestigiosi Festival e Rassegne (Festival “Monteverdi” di Cremona, Festival dell’Aurora di Crotone, Ravello Festival, Festival di Saint-Denis, Festival Kirkko Soikoon) e le collaborazioni con Enti musicali di alto profilo artistico (Accademia di Santa Cecilia, Teatro Sperimentale A. Belli di Spoleto, Teatro di San Carlo, Associazione Alessandro Scarlatti, Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini, Fondazione Franco Michele Napolitano, Nuova Orchestra Scarlatti). Il coro ha collaborato con continuità con Antonio Florio e la Cappella della Pietà de’ Turchini; nell’ambito di questo proficuo rapporto di collaborazione, il coro ha partecipato tra l’altro alle registrazioni della casa discografica francese Opus 111-Naïve “Vespro in festo Sancti Philippi Neri” su musiche di Provenzale e “Veni Creator Spiritus” su brani di Jommelli, Porpora e Cafaro, nonché alla prima esecuzione moderna della “Messa pastorale” e del “Dixit Dominus” di Pietrantonio Gallo. Tra le partecipazioni alla stagione concertistica del Centro di Musica Antica si annovera l’esecuzione della “Passione secondo Giovanni” di Francesco Feo in collaborazione con l’Ensemble La Divina Armonia diretta da Lorenzo Ghielmi. Nel novembre 2016 il coro è stato impegnato nelle riprese napoletane del film Mary Magdalene di Garth Davis, mentre nel giugno 2017 ha preso parte alla prima esecuzione moderna in forma integrale della Passio D.N. Jesu Christi secundum Matthaeum di Giovanni Maria Trabaci presso la Cappella del Tesoro di San Gennaro. A settembre 2017 il coro ha partecipato al Barocco Festival Leonardo Leo di Mesagne. A maggio 2018 il coro ha presentato il suo ultimo cd “La musica dalla Riforma protestante”. giuseppe naviglio — Nato a Bari, inizia i suoi studi privatamente con Gino Lorusso Toma per poi proseguirli con la Maestra Rina Filippini Del Monaco. Si perfeziona con Paride Venturi. È laureato in lettere col massimo dei voti e la lode presso l’Università di Bari. Dopo il suo debutto operistico ne Il Barbiere di Siviglia (Don Bartolo) di G. Rossini, è scritturato dal 1992 al 1996 in Germania dal Teatro dell’Opera di Bonn come solista ampliando così il suo repertorio con oltre 200 interpretazioni operistiche (Carmen, Il cavaliere della rosa, il Barbiere di Siviglia, Tosca Werther Salome), al fianco cantanti di fama internazionale, da Domingo a S. Millnes, Barbara Daniels, G. Giacobini, sotto
la guida di registi quali Giancarlo Del Monaco, Ken Russell Werner Schroeter, e di direttori come Dennis Russell Davies, Michel Sasson, Steven Mercurio, Spiros Argiris. Dal 1996 ha collaborato con l’ensemble di musica barocca I Turchini di Napoli diretta dal Mo Antonio Florio, con cui si è esibito in concerti ed opere nei più prestigiosi teatri e festival di tutto il mondo (Konzerthaus di Vienna, Teatro Colon di Buenos Aires, Zarzuela di Madrid, Palau de la Musica di Barcellona, Théatre des Champs Elysées di Parigi, Accademia Filarmonica di Roma, Teatro di San Carlo di Napoli, ecc.) interpretando diverse opere tra cui citiamo: La Stellidaura Vendicante di F. Provenzale;
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Tra gli oratori e le cantate ricordiamo: J.S Bach. La Passione Secondo Giovanni, Magnificat (Bari, Teatro Petruzzelli), L’Oratorio di Pasqua; G. Rossini Petite Messe Solemnelle e Stabat Mater di (Bastia, Corsica); I. Stravinskij Pulcinella (Napoli, Teatro di S. Carlo); N. Rota Roma Capomunni (Bari); L.Van Beethoven IX Sinfonia (Bari, 2016); Requiem di W.A. Mozart. In prima esecuzione assoluta ha eseguito musiche di diversi autori contemporanei tra i quali ricordiamo: Nicola Scardicchio (Asinus Aureus Azione scenica, Bari, Teatro Petruzzelli; Stupor Mundi-Puer Apuliae, Cantata per baritono e orchestra; Questa Fenice, Cantata per solo e orchestra; Seconda Sinfonia Lirica per solo e orchestra; Nicola e Deodato, Leggenda per soli coro e orchestra, 2016); Bruno Moretti (All’Ombra dell’Uomo Montagna, Opera per bambini, per soli e orchestra, Firenze, 2011); G. Tamborrino (Exit mundi, Cantata per soli coro e orchestra, Bari, Teatro Petruzzelli, 2011); – G. Panariello (Nativitas, Oratorio per soli coro e orchestra, Associazione Scarlatti, Napoli); F. Bonetti Amendola (Il Sogno di Galileo, cantata per baritono coro e orchestra Bari, Tallin, Helsinki, Firenze; Nacque al Mondo un sole, Firenze, 2012; Helias, Cortona, 2013; Roma Istanbul senza scalo, Istambul, 2014; Alla ricerca di Dante, Firenze, 2015); S. Monterisi (Il Gigante Egoista). Per il Festival Internazionale MITO Settembre Musica 2015 è stato tra gli interpreti della prima esecuzione italiana dell’opera di Philip Glass Akhnaten presso il Lingotto di Torino e il Piccolo Teatro Strehler di Milano, sotto la direzione di Dante Anzolini. Ha cantato in diretta su Rai 5 dall’Auditorium-Parco della Musica di Roma in occasione delle celebrazioni del Giorno della Memoria il concerto Serata Colorata (Prima assoluta - 2017). È reduce da una tournèe di concerti in Russia, dove ha eseguito una antologia delle Canzoni della tradizione musicale napoletana. Ha effettuato incisioni per prestigiose case discografiche (Glossa, Opus 111, Naïve) alcune delle quali premiate con importanti riconoscimenti della critica discografica internazionale, come Timbre de Platine, Diapason d’Or, 10 di Repertoire, ecc. In qualità di docente ha tenuto corsi di tecnica e interpretazione
3. Gli interpreti
La Finta Cameriera di G. Latilla (Ia es. moderna); La Colomba Ferita di F. Provenzale; Li Zite ‘n galera di L. Vinci; Pulcinella vendicato nel ritorno a Marechiaro di G. Paisiello; Partenope di L. Vinci; Don Trastullo di N. Jommelli; Statira, Principessa di Persia di F. Cavalli; Didone ed Enea e The Fairy Queen di H. Purcell (Ravello 2016). Sempre con I Turchini ha eseguito e registrato del repertorio sacro: Cantate per la Nascita del Verbo di C. Caresana; Mottetti e Messa di P. A. Fiocco; Messa e Mottetti di P. A. Gallo; Il Vespro di S. Filippo Neri di F. Provenzale; Il Giudizio Universale di G. Cavallo; Missa Defunctorum di F. Provenzale; Dixit Dominus di C. Caresana; I Dialoghi della Passione di F. Provenzale; La Santissima Trinità di G. Veneziano; L’Adorazione dè Maggi, Cantate Napoletane di C. Caresana; Los Santos Ninos, oratorio di Donato Ricchezza. La sua attività spazia dal repertorio barocco alla produzione contemporanea e attraversa tutti i generi: tra le opere citiamo: L’Elisir d’Amore di G. Donizetti (Dulcamara, San Paolo del Brasile); – Tosca di G. Puccini (Scarpia); – Don Giovanni (Don Giovanni e Leporello - Bari); Le Nozze di Figaro di Mozart (Bartolo- Nizza); La Serva Padrona di G. B. Pergolesi; La furba e lo sciocco di D. Sarro (Basilea); L’impresario in Angustie di D. Cimarosa (Basilea, 2015 e 2016); Caterina di Brono di Saverio Mercadante (Bari 2016); La Serva Padrona di G. Paisiello (Taranto, 2017).
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vocale presso diverse istituzioni nazionali e internazionali (Abbazia Royaumont). Ha effettuato registrazioni per la radio olandese, spagnola, israeliana, austriaca, francese, inglese, svizzera ecc., e per le reti televisive franco-tedesca Arte, belga, BBC e RAI. È stato docente di Canto Storico presso il Conservatorio N. Piccinni di Bari dal 2004 al 2008. In qualità di maestro di canto ha preparato il coro A.R.CO.PU. per l’esecuzione della Petite Messe Solemnelle di G. Rossini, con la direzione di Gianluigi Gelmetti. È direttore artistico dell’Associazione Harmonia, Coro e Orchestra dell’Università di Bari. aurelio schiavoni — Controtenore. Ha studiato Pianoforte, Clavicembalo, Violino e Canto. Diplomato col massimo dei voti e la lode al Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari sia in Pianoforte sotto la guida di Emanuele Arciuli, che in Canto sotto la guida di Katia Angeloni, ha proseguito gli studi tecnico-interpretativi vocali con Michael Aspinall, con Gloria Banditelli e con William Matteuzzi. Ha conseguito il Biennio Accademico di II livello in Canto Rinascimentale e Barocco col massimo dei voti e la lode sotto la guida di Gloria Banditelli presso il Conservatorio Arrigo Pedrollo di Vicenza. Ha inoltre frequentato l’Accademia di Belcanto Rodolfo Celletti di Martina Franca durante la quale ha approfondito lo studio tecnico (Sherman Lowe, Paola Pittaluga) e del repertorio lirico (Lella Cuberli, Stefania Bonfadelli, Vittorio Terranova) e barocco (Roberta Mameli, Sonia Prina, Antonio Greco). In qualità di contralto solista ha cantato sotto la direzione di importanti personalità ed in particolare di Rinaldo Alessandrini, Alfredo Bernardini, Roy Goodman, Christopher Hogwood e Jordi Savall. È risultato vincitore di vari concorsi nazionali ed internazionali tra cui il I premio al V Concorso di Canto Barocco Francesco Maria Ruspoli di Vignanello, il I premio al VI Concorso di Canto Barocco Francesco Provenzale, il I premio assoluto al I Concorso Città dei Sassi – Matera (Claudio Desderi presidente e Patrizia Ciofi membro di giuria). Inoltre è risultato anche finalista al III Internationaler Gesangswettbewerb für Barockoper Pietro Antonio Cesti (Innsbruck) e al II Concours de Chant Baroque de Froville (Francia) e semifinalista al Handel Singing Competition 2011 (Londra). Ha debuttato con l’opera La finta cameriera di G. Latilla per il Festival Latilla di Casamassima ed ha interpretato il ruolo di Alceste/Demetrio nell’opera Il Demetrio di Leonardo Leo in prima esecuzione in tempi moderni. Inoltre è stato Eneo nell’opera “La Lotta d’Ercole con Acheloo” di A. Steffani all’interno del 40mo Festival della Valle d’Itria sempre in prima esecuzione. È stato inoltre la Voce di Dio nell’oratorio Caino, ovvero il primo omicidio di A. Scarlatti sotto la direzione di R. Alessandrini ed in importanti festival internazionali (Klara Festival-Brugges, Misteria Paschalia-Cracovia, Centro Nacional de Difusión Musical-Madrid, Theater an der Wien-Vienna). Ha inciso in qualità di solista il Laudate pueri di N. Porpora per Radio Vaticana e il Vespro della Beata Vergine di G. B. Pergolesi per la Paragon (pubblicazione con la rivista Amadeus) e le Cantate Italiane di A. Steffani per la Brilliant. Di recente pubblicazione è inoltre la registrazione del disco Night. Stories of lovers and warriors (raccolta di madrigali di C. Monteverdi) con Concerto Italiano e R. Alessandrini e vincitore del Diapason d’or. In gennaio 2017 è stato Ruggiero ne L’Orlando Furioso di A. Vivaldi presso il Teatro del Giglio di Lucca e in febbraio ha interpretato il ruolo di Arnalta ne L’incoronazione di Poppea di C. Monteverdi sotto la direzione di R. Alessandrini presso la prestigiosa Carnegie Hall di New York ed il ruolo di Egaro ne Il Teuzzone di A. Vivaldi sotto la direzione di J. Savall al Gran Teatro del Liceu di Barcellona. Lo scorso aprile ha eseguito il ruolo del terzo israelita nell’ Esther di G. F. Händel presso il Teatro Comunale di Ferrara in prima esecuzione assoluta in forma scenica. Inoltre è laureato in Matematica presso l’Università degli Studi di Lecce.
roberto gaudino — consegue nel 2017 la laurea di secondo livello in Canto lirico presso il conservatorio “D. Cimarosa” di Avellino, sotto la guida di Enrico Turco, col massimo dei voti, lode e menzione. Si perfeziona sotto la guida dei maestri Felice Tenneriello, Rosario Totaro, Maria Grazia Schiavo e Maria Ercolano. Attualmente sta conseguendo un master in musica antica presso il conservatorio “San Pietro A Majella” di Napoli sotto la guida di Antonio Florio. Dal 2012 al 2016 canta presso il coro giovanile del Teatro San Carlo di Napoli diretto da Stefania Rinaldi con il quale ha tenuto numerosi concerti di beneficenza. Nel gennaio 2016 è entrato a far parte dell’Associazione musicale “Mysterium vocis” diretta da Rosario Totaro, della quale è tuttora corista e solista. Tra i numerosi concerti tenuti col “Mysterium vocis”, di rilievo sono, in qualità di solista, la prima esecuzione moderna della Passio D.N Jesu Christi secundum Mattheum di Giovanni Maria Trabaci presso la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro del Duomo di Napoli nel Giugno 2017; “Passione, musiche per la settimana santa nella Napoli del XVIII secolo” presso” Barocco festival Leonardo Leo”a Mesagne(BR) nel Settembre 2017; il “Laudato sie” di G. Vitale presso il Duomo di Casertavecchia nel Dicembre 2017. Nel Luglio 2016 ha debuttato nell’opera “Chez Satyricon” di Bruno Maderna diretta da Massimo Testa con la regia di Giuseppe Sollazzo. Si esibisce nel concerto “Note di festa” presso Teatro auditorium D. Biancardi di Avella nel Gennaio 2017. Nell’Aprile 2017 si esibisce ne “Le ultime sette parole di Cristo” di S. Mercadante presso la Chiesa Maria SS. Del Rosario di Pomigliano D’arco. È solista nello “Stabat Mater” di Rossini presso Auditorium liceo
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3. Gli interpreti
leopoldo punziano — napoletano si avvicina da bambino allo studio del pianoforte prima di dedicarsi attivamente allo studio del canto sotto la guida di Davide Troìa, Amelia Felle e Maria Grazia Schiavo. Si è specializzato in musica e canto barocco con esperti del repertorio come Sandro Naglia, Claudio Cavina, Sara Mingardo e Roberta Invernizzi. Ha eseguito numerosi concerti in Italia e all’estero interpretando ruoli solistici in oratori e opere di G.F. Händel, come il Messiah, presso la Christ Church di Napoli con i Professori della Scarlatti diretti da P. Ponziano Ciardi, Esther, Hamanand, Mordecai, Israel in Egypt, Dixit Dominus, e ha interpretato il ruolo del tempo nel Trionfo del Tempo e del Disinganno presso il teatro Champs Elysée di Parigi. Di Mozart ha cantato dalle Misse Brevis alla grande Messa in Do minore per il Ravenna Festival, Davide Penitente presso la Cattedrale di Monreale fino al Requiem senza dimenticare il Bastien und Bastienne e le arie da concerto per tenore eseguite all’Auditorium A. Scarlatti di Napoli. È stato solista nel Magnificat e in varie Messe Luterane di J.S. Bach per l’Ascoli Piceno festival e nei Dixit Dominus di A. Scarlatti e di A. Vivaldi e nello Stabat Mater a dieci voci di D. Scarlatti, nella Messa di Gloria di G. Puccini per l’Associazione Scarlatti di Napoli. Ha interpretato il Confitebor e la Messa di Gloria di G. Cotumacci (prima esecuzione) per il Pompei Festival con l’Orchestra da Camera della Campania diretta da Luigi Piovano. È stato il tenore solista nella Passione di A. Caldara e ha ricoperto diversi ruoli nell’opera Fairy Queen di H. Purcell per il Ravello Festival con la regia di D. Krief e la Cappella Neapolitana diretta da A. Florio. È stato tenore solista nel Nativitas, nel Requiem e per la prima assoluta dello Stabat Mater di G. Panariello; nel 2013 e nel 2015 ha partecipato al Giovanni Paisiello Festival di Taranto eseguendo la Cantata di San Gennaro con l’Ensemble barocco del Teatro San Carlo di Napoli diretta da Dario Candela e l’opera Amore Vendicato diretta da Mariano Patti. È stato tenore solista nello Stabat Mater di G. Paisiello per la Stagione Concertistica del Teatro M. Bellini di Catania. Canta stabilmente nel coro Polifonico “Exultate deo diretto” da Davide Troìa e collabora spesso con il coro Polifonico “Mysterium Vocis” diretto da RosarioTotaro. Ha conseguito il titolo di Esperto esecutore del Settecento Napoletano presso il Conservatorio di Musica di Avellino ed è iscritto al corso di Musica Vocale da Camera a indirizzo Barocco con Antonio Florio presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli.
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Imbriani di Avellino nel Maggio 2017. Nel Luglio 2017 debutta sotto la direzione di Claudio Ciampa ne “L’opera da tre soldi” di B. Brecht/K.Weill e in “Facade” di W. Walton. Nel Maggio 2018 è solista nell’“Alleluia San Michele” presso il Santuario-Auditorium Beato “Bronislao Markiewicz” di Monte Sant’Angelo e ancora nella Petite messe solennelle di Rossini presso l’auditorium del conservatorio di Avellino. Nel Luglio 2018 tiene un concerto presso il MANN di Napoli dal titolo Il mito di Roma. Cantate per i cardinali al tempo di Bernardo Pasquini in collaborazione con lo Scarlatti Lab Barocco. È infine solista dello Stabat Mater del Pergolese di Paisiello diretto da Giuseppe Camerlingo. Svolge diverse collaborazioni con il Teatro Verdi di Salerno esibendosi nel Luglio 2017 presso la reggia di Caserta per Ennio Morricone The 60 years of music tour diretto dallo stesso Ennio Morricone; Carmina Burana; I più bei cori d’opera. Nel Dicembre 2017 ha cantato nella Turandot di Puccini diretto da Daniel Oren.
carlo maria barile — nato a Ferrara nel 1989, ha studiato pianoforte e batteria con Vito di Modugno e Michele Di Monte presso la scuola di musica “Il Pentagramma” di Bari dove insegna dal 2011. Nel 2007 ha frequentato come borsista il Five Week Summer Performance Program del “Berklee College of Music” di Boston, nel 2008 – in seguito alla maturità classica conseguita con il massimo dei voti – si è diplomato in organo e composizione organistica con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio Niccoló Piccinni di Bari con Margherita Quarta, nel 2011 ha conseguito il Konzertexamen in organo con valutazione sehr gut presso la “Hochschule für Musik” di Detmold in Germania con Tomasz Adam Nowak e nel 2016 ha conseguito con Antonio Florio il Master di II livello di musica antica presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli con il massimo dei voti e la lode. Ha continuato il suo perfezionamento con docenti quali il Thomasorganist Ullrich Böhme, Naji Hakim e Ton Koopman. Tra le sue esibizioni in qualità di solista – organista, pianista e cembalista classico e pianista jazz – si ricordano luoghi come il Dizzy’s Club Coca Cola – Jazz at Lincoln Center, la Steinway Hall e la St. Peter’s Church di New York City, la cattedrale di Toledo e la Iglesia del Salvador di Granada in Spagna, il Teatro Petruzzelli di Bari, la chiesa di Notre Dame des Champs di Parigi, la basilica di Valére a Sion in Svizzera, la Thomaskirche di Lipsia, la Lambertikirche di Münster e la Markuskirche di Monaco di Baviera in Germania; come continuista il Concertgebouw di Amsterdam, il Muziekcentrum De Bijloke di Gent in Belgio, l’auditorium di Castel Sant’Elmo a Napoli nell’ensemble Cappella Neapolitana diretto da Antonio Florio e la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro per la prima esecuzione in tempi moderni della Passio Domini Nostri Jesu Christi Secundum Matthaeum di Giovanni Maria Trabaci, sotto la direzione di Rosario Totaro. Con il Ghislieri Choir & Consort diretto da Giulio Prandi ha partecipato all’harmonium alla realizzazione della Petite Messe Solennelle di Gioachino Rossini in occasione del 150° anniversario della sua morte presso la Cattedrale Anglicana di San Paolo di Valletta, Malta per il Teatru Manoel.
pier luigi ciapparelli — nato a Napoli, ha cominciato gli studi musicali con la chitarra classica, per poi dedicarsi esclusivamente al liuto e agli strumenti antichi a pizzico sotto la guida di Andrea Damiani a Roma e presso il Conservatorio Arrigo Boito di Parma. Ha in seguito conseguito il diploma in liuto presso il Conservatorio Benedetto Marcello a Venezia con Tiziano Bagnati. Ha completato la sua formazione frequentando le master class tenute da Jakob Lindberg.
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Ha collaborato con diversi ensembles specializzati nell’esecuzione del repertorio dal Rinascimento al tardo-Barocco come il Complesso Barocco, la Cappella Neapolitana, l’Accademia Bizantina, L’Homme Armée, i Sonatori della Gioiosa Marca sotto la direzione di specialisti come Alan Curtis, Antonio Florio, Ottavio Dantone e Fabio Lombardo. Con questi si è esibito in importanti festivals (Innsbruck Festival, Berliner Tage für Alte Musik, Berkeley Early Music Festival, Goettingen Handel Festival, Halle Handel Festival, Praga Europa Musica, Maggio Musicale Fiorentino, Spoleto Festival, Settimana Musicale Chigiana, MITO ecc.), teatri d’opera (Teatro Real a Madrid, Teatro Nacional de São Carlos a Lisbona, Théâtre des Champs-Élysées a Parigi, Theater der Wien, Théâtre de Poissy, Teatro Arriaga a Bilbao, Opéra Nancy, Teatro de la Maestranza a Siviglia, Tiroler Landestheater a Innsbruck, Stadttheater a St. Gallen, Teatro di San Carlo, Teatro Massimo di Palermo, Teatro Ponchielli di Cremona, Teatro Petruzzelli di Bari etc.) e sale da concerto (Wiener Konzerthaus, Concertgebouw ad Amsterdam, Konzerthaus Berlin, Barbican Centre a Londra, Fundação Calouste Gulbenkian a Lisbona, Festspielhaus Baden-Baden, Auditorio Miguel Delibes a Valladolid, Auditorium Parco della Musica a Roma, Sala Verdi a Milano etc.) in Europa e negli Stati Uniti. Ha effettuato registrazioni discografiche per Deutsche Gramophon-Archiv, Virgin Classics (EMI), BMG Classics, Naïve, Glossa, Stradivarius, Symphonia e Nuova Era e radiofoniche per la RAI e la Deutschland Radio Berlin.
Ha affrontato repertorio da camera esibendosi in svariate formazioni e collabora stabilmente in duo con violino, viola, fortepiano e voce. Nel 1993 ha fondato il Trio Louis Panormo (violino viola e chitarra) con il quale ha svolto una costante attività fino all’anno 2003. È titolare della classe di chitarra presso il Conservatorio di Musica D. Cimarosa di Avellino. Allo studio della viola da gamba invece si è avvicinato soltanto in età matura, principalmente spinto da una esigenza di approfondimento storico ed estetico musicale che lo ha portato in seguito ad avvicinarsi al repertorio barocco attraverso un percorso espressivo peculiare dello strumento ad arco. Si è esibito con la viola da gamba in varie occasioni sia come solista che in ensemble di strumenti antichi. Attualmente prosegue lo studio di questo strumento presso il Conservatorio di S. Cecilia di Roma sotto la guida di Bruno Re.
3. Gli interpreti
steFano magliaro — come molti musicisti del passato, divide il suo interesse di interprete tra due strumenti: la viola da gamba e la chitarra. Si dedica da oltre un trentennio all’approfondimento stilistico e strumentale del repertorio chitarristico del primo Ottocento ed alla ricerca e riscoperta di opere solistiche e cameristiche dimenticate di tale periodo. Oltre al necessario studio teorico, essenziale per affrontare la prassi esecutiva antica, egli deve molto alla formazione ricevuta da importanti musicisti, specialisti nell’esecuzione filologica, dei quali ha frequentato corsi o seminari.Nell’intensa attività concertistica che svolge come solista propone interpretazioni di brani spesso inediti, realizzate con strumenti originali d’epoca. Numerose le sue collaborazioni con orchestre da camera, con le quali ha suonato praticamente tutti i più importanti concerti per chitarra e orchestra del periodo classico (il Gruppo Musica ricerca di Roma; l’Orchestra A. Scarlatti di Napoli; l’Orchestra I Cameristi della Tuscia; l’Orchestra Filarmonica di Roma; l’Orchestra Euterpe di Vibo Valentia).
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Matteo 26,27
Passio Domini nostri Iesus Christi secundum Matthæum.
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1 In illo tempore. Dixit Jesus discipulis suis: dixit discipulis suis: 2 “Scitis quia post biduum Pascha fiet, et Filius hominis traditur, ut crucifigatur”. 3 Tunc congregati sunt principes sacerdotum et seniores populi in aulam principis sacerdotum, qui dicebatur Caiphas, 4 et consilium fecerunt, ut Iesum dolo tenerent et occiderent; 5 dicebant autem: “Non in die festo, ne tumultus fiat in populo”. 6 Cum autem esset Iesus in Bethania, in domo Simonis leprosi, 7 accessit ad eum mulier habens alabastrum unguenti pretiosi et effudit super caput ipsius recumbentis. 8 Videntes autem discipuli, indignati sunt dicentes: “Ut quid perditio haec? 9 Potuit enim istud venumdari multo et dari pauperibus”. 10 Sciens autem Iesus ait illis: “Quid molesti estis mulieri? Opus enim bonum operata est in me; 11 nam semper pauperes habetis vobiscum, me autem non semper habetis. 12 Mittens enim haec unguentum hoc supra corpus meum, ad sepeliendum me fecit. 13 Amen dico vobis: Ubicumque praedicatum fuerit hoc evangelium in toto mundo, dicetur et quod haec fecit in memoriam eius”. 14 Tunc abiit unus de Duodecim, qui dicebatur Iudas Iscariotes, ad principes sacerdotum 15 et ait: “Quid vultis mihi dare, et ego vobis eum tradam?”. At illi constituerunt ei triginta argenteos. 16 Et exinde quaerebat opportunitatem, ut eum traderet. 17 Prima autem Azymorum accesserunt discipuli ad Iesum dicentes: “Ubi vis paremus tibi comedere Pascha?”. 18 Ille autem dixit: “Ite in civitatem ad quendam et dicite ei: “Magister dicit: Tempus meum prope est; apud te facio Pascha cum discipulis meis”. 19 Et fecerunt discipuli, sicut constituit illis Iesus, et paraverunt Pascha. 20 Vespere autem facto, discumbebat cum Duodecim. 21 Et edentibus illis, dixit: “Amen dico vobis: Unus vestrum me traditurus est”. 22 Et contristati valde, coeperunt singuli dicere ei: “Numquid ego sum, Domine?”. 23 At ipse respondens ait: “Qui intingit mecum manum in paropside, hic me tradet. 24 Filius quidem hominis vadit, sicut scriptum est de illo; vae autem homini illi, per quem Filius hominis traditur! Bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille”. 25 Respondens autem Iudas, qui tradidit eum, dixit: “Numquid ego sum, Rabbi?”. Ait illi: “Tu dixisti”. 26 Ce-
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1 Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: 2«Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso». 3 Allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, 4e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. 5 Dicevano però: «Non durante la festa, perché non avvenga una rivolta fra il popolo». 6 Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, 7 gli si avvicinò una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre egli stava a tavola. 8 I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? 9 Si poteva venderlo per molto denaro e darlo ai poveri!». 10 Ma Gesù se ne accorse e disse loro: «Perché infastidite questa donna? Ella ha compiuto un’azione buona verso di me. 11 I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. 12 Versando questo profumo sul mio corpo, lei lo ha fatto in vista della mia sepoltura. 13 In verità io vi dico: dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto». 14 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti 15e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. 16 Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo. 17 Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 18 Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». 19 I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. 20 Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. 21 Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». 22 Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». 23 Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. 24Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». 25Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto». 26 Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». 27 Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro,
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nantibus autem eis, accepit Iesus panem et benedixit ac fregit deditque discipulis et ait: “Accipite, comedite: hoc est corpus meum”. 27 Et accipiens calicem, gratias egit et dedit illis dicens: “Bibite ex hoc omnes: 28 hic est enim sanguis meus novi testamenti, qui pro multis effunditur in remissionem peccatorum. 29 Dico autem vobis: Non bibam amodo de hoc genimine vitis usque in diem illum, cum illud bibam vobiscum novum in regno Patris mei”. 30 Et hymno dicto, exierunt in montem Oliveti. 31 “Tunc dicit illis Iesus:” Omnes vos scandalum patiemini in me in ista nocte. Scriptum est enim: “Percutiam pastorem, et dispergentur oves gregis”. 32 Postquam autem resurrexero, praecedam vos in Galilaeam”. 33 Respondens autem Petrus ait illi:” Et si omnes scandalizati fuerint in te, ego numquam scandalizabor”. 34 Ait illi Iesus: “Amen dico tibi: In hac nocte, antequam gallus cantet, ter me negabis”. 35 Ait illi Petrus: “Etiam si oportuerit me mori tecum, non te negabo”. Similiter et omnes discipuli dixerunt. 36 Tunc venit Iesus cum illis in praedium, quod dicitur Gethsemani. Et dicit discipulis: “Sedete hic, donec vadam illuc et orem” 37 Et assumpto Petro et duobus filiis Zebedaei, coepit contristari et maestus esse. 38 Tunc ait illis: “Tristis est anima mea usque ad mortem; sustinete hic et vigilate mecum”. 39 Et progressus pusillum, procidit in faciem suam orans et dicens: “Pater mi, si possibile est, transeat a me calix iste; verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu”. 40 Et venit ad discipulos et invenit eos dormientes; et dicit Petro: “Sic non potuistis una hora vigilare mecum? 41 Vigilate et orate, ut non intretis in tentationem; spiritus quidem promptus est, caro autem infirma”. 42 Iterum secundo abiit et oravit dicens: “Pater mi, si non potest hoc transire, nisi bibam illud, fiat voluntas tua”. 43 Et venit iterum et invenit eos dormientes: erant enim oculi eorum gravati. 44 Et relictis illis, iterum abiit et oravit tertio, eundem sermonem iterum dicens. 45 Tunc venit ad discipulos et dicit illis: “Dormite iam et requiescite; ecce appropinquavit hora, et Filius hominis traditur in manus peccatorum. 46 Surgite, eamus; ecce appropinquavit, qui me tradit”. 47 Et adhuc ipso loquente, ecce Iudas, unus de Duodecim, venit, et cum eo turba multa cum gladiis et fustibus, missi a principibus sacerdotum et senioribus populi. 48 Qui autem tradidit eum, dedit illis signum dicens: “Quemcu-
dicendo: «Bevetene tutti, 28 perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. 29Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». 30 Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 31 Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge. 32 Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». 33 Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». 34 Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». 35 Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli. 36 Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsémani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». 37 E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». 39 Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». 40 Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? 41 Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». 42 Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». 43 Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. 44 Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45 Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. 46 Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino». 47 Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». 49 Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. 50E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il
servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. 52 Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. 53 O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? 54 Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono. 57 Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. 58 Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire. 59 I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; 60 ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, 61 che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». 62 Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». 63 Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». 64 «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo». 65 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; 66 che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». 67 Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, 68 dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?». 69 Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». 70Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». 71 Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». 72 Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». 73 Dopo un
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3. I testi
mque osculatus fuero, ipse est; tenete eum!”. 49 Et confestim accedens ad Iesum dixit: “Ave, Rabbi!“ et osculatus est eum. 50 Iesus autem dixit illi: “Amice, ad quod venisti!”. Tunc accesserunt et manus iniecerunt in Iesum et tenuerunt eum. 51 Et ecce unus ex his, qui erant cum Iesu, extendens manum exemit gladium suum et percutiens servum principis sacerdotum amputavit auriculam eius. 52 Tunc ait illi Iesus: “Converte gladium tuum in locum suum. Omnes enim, qui acceperint gladium, gladio peribunt. 53 An putas quia non possum rogare Patrem meum, et exhibebit mihi modo plus quam duodecim legiones angelorum? 54 Quomodo ergo implebuntur Scripturae quia sic oportet fieri?”. 55 In illa hora dixit Iesus turbis: “Tamquam ad latronem existis cum gladiis et fustibus comprehendere me? Cotidie sedebam docens in templo, et non me tenuistis”. 56 Hoc autem totum factum est, ut implerentur scripturae Prophetarum. Tunc discipuli omnes, relicto eo, fugerunt. 57 Illi autem tenentes Iesum duxerunt ad Caipham principem sacerdotum, ubi scribae et seniores convenerant. 58 Petrus autem sequebatur eum a longe usque in aulam principis sacerdotum; et ingressus intro sede bat cum ministris, ut videret finem. 59 Principes autem sacerdotum et omne concilium quaerebant falsum testimonium contra Iesum, ut eum morti traderent, 60 et non invenerunt, cum multi falsi testes accessissent. Novissime autem venientes duo 61 dixerunt: “Hic dixit: Possum destruere templum Dei et post triduum aedificare illud”. 62 Et surgens princeps sacerdotum ait illi: “Nihil respondes? Quid isti adversum te testificantur?”. 63 Iesus autem tacebat. Et princeps sacerdotum ait illi: “Adiuro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus Filius Dei”. 64 Dicit illi Iesus: “Tu dixisti. Verumtamen dico vobis: Amodo videbitis Filium hominis sedentem a dextris Virtutis et venientem in nubibus caeli”. 65 Tunc princeps sacerdotum scidit vestimenta sua dicens: “Blasphemavit! Quid adhuc egemus testibus? Ecce nunc audistis blasphemiam. 66 Quid vobis videtur?”. Illi autem respondentes dixerunt: “Reus est mortis!”. 67 Tunc exspuerunt in faciem eius et colaphis eum ceciderunt; alii autem palmas in faciem ei dederunt 68 dicentes: “Prophetiza nobis, Christe: Quis est, qui te percussit?”. 69 Petrus vero sedebat foris in atrio; et accessit ad eum una ancilla dicens: “Et tu cum Iesu Galilaeo eras!”. 70 At ille negavit coram omnibus dicens: Nescio quid dicis!”. 71 Exeunte autem illo ad ianuam, vidit eum alia et ait his, qui erant ibi: “Hic erat cum
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Iesu Nazareno!”. 72 Et iterum negavit cum iuramento: Non novi hominem!”. 73 Post pusillum autem accesserunt, qui stabant, et dixerunt Petro: Vere et tu ex illis es, nam et loquela tua manifestum te facit”. 74 Tunc coepit detestari et iurare: Non novi hominem!”. Et continuo gallus cantavit; 75 et recordatus est Petrus verbi Iesu, quod dixerat: “Priusquam gallus cantet, ter me negabis”. Et egressus foras ploravit amare.
poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». 74 Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. 75 E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.
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1 Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. 2 Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato. 3 Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, 4 dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». 5 Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. 6I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». 7 Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. 8 Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d’oggi. 9 Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, 10 e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore. 11 Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». 12 E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. 13 Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». 14 Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. 15 A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. 16In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. 17 Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». 18 Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. 19 Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». 20 Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani per-
1 Mane autem facto, consi lium inierunt omnes princi pes sacerdotum et seniores populi adversus Iesum, ut eum morti traderent. 2 Et vinctum adduxerunt eum et tradiderunt Pilato praesidi. 3 Tunc videns Iudas, qui eum tradidit, quod damnatus esset, paenitentia ductus, rettulit triginta argenteos principibus sacerdotum et senioribus 4 dicens: “Peccavi tradens sanguinem innocentem”. At illi dixerunt: “Quid ad nos? Tu videris!”. 5 Et proiectis argenteis in templo, recessit et abiens laqueo se suspendit. 6 Principes autem sacerdotum, acceptis argenteis, dixerunt: “Non licet mittere eos in corbanam, quia pretium sanguinis est”. 7 Consilio autem inito, emerunt ex illis agrum Figuli in sepulturam peregrinorum. 8 Propter hoc vocatus est ager ille ager Sanguinis usque in hodiernum diem. 9 Tunc impletum est quod dictum est per Ieremiam prophetam dicentem: “Et acceperunt triginta argenteos, pretium appretiati quem appretiaverunt a filiis Israel, 10 et dederunt eos in agrum Figuli, sicut constituit mihi Dominus”. 11 Iesus autem stetit ante praesidem; et interrogavit eum praeses dicens: “Tu es Rex Iudaeorum?”. Dixit autem Iesus: “Tu dicis”. 12 Et cum accusaretur a principibus sacerdotum et senioribus, nihil respondit. 13 Tunc dicit illi Pilatus: “Non audis quanta adversum te dicant testimonia?”. 14 Et non respondit ei ad ullum verbum, ita ut miraretur praeses vehementer.15 Per diem autem sollemnem consueverat praeses dimittere turbae unum vinctum, quem voluissent. 16 Habebant autem tunc vinctum insignem, qui dicebatur Barabbas. 17 Congregatis ergo illis dixit Pilatus: “Quem vultis dimittam vobis: Barabbam an Iesum, qui dicitur Christus?”. 18 Sciebat enim quod per invidiam tradidissent eum. 19 Sedente autem illo pro tribunali, misit ad illum uxor eius dicens: “Nihil tibi et iusto illi. Multa enim passa sum hodie per visum propter eum”. 20 Principes autem
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suasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. 21Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». 22 Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». 23 Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!». 24 Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». 25 E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». 26 Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. 27 Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. 28 Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, 29 intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». 30 Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. 31 Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo. 32 Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. 33 Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», 34 gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. 35 Dopo averlo crocifisso, si divisero lesue vesti, tirandole a sorte. 36 Poi, seduti, gli facevano la guardia. 37 Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». 38Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. 39 Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo 40 e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». 41 Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: 42 «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. 43Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». 44 Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo. 45 A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio.
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3. I testi
sacerdotum et seniores persuaserunt turbis, ut peterent Barabbam, Iesum vero perderent. 21 Respondens autem praeses ait illis: “Quem vultis vobis de duobus dimittam?”. At illi dixerunt: “Barabbam!”. 22 Dicit illis Pilatus: “Quid igitur faciam de Iesu, qui dicitur Christus?”. Dicunt omnes: “Crucifigatur!”. 23 Ait autem: “Quid enim mali fecit?”. At illi magis clamabant dicentes: “Crucifigatur!”. 24 Videns autem Pilatus quia nihil proficeret, sed magis tumultus fieret, accepta aqua, lavit manus coram turba dicens: “Innocens ego sum a sanguine hoc; vos videritis!”. 25 Et respondens universus populus dixit: “Sanguis eius super nos et super filios nostros”. 26 Tunc dimisit illis Barabbam; Iesum autem flagellatum tradidit, ut crucifigeretur. 27 Tunc milites praesidis suscipientes Iesum in praetorio congregaverunt ad eum universam cohortem. 28 Et exuentes eum, clamydem coccineam circumdederunt ei 29 et plectentes coronam de spinis posuerunt super caput eius et arundinem in dextera eius et, genu flexo ante eum, illudebant ei dicentes: “Ave, rex Iudaeorum!”. 30 Et exspuentes in eum acceperunt arundinem et percutiebant caput eius. 31 Et postquam illuserunt ei, exuerunt eum clamyde et induerunt eum vestimentis eius et duxerunt eum, ut crucifigerent. 32 Exeuntes autem invenerunt hominem Cyrenaeum nomine Simonem; hunc angariaverunt, ut tolleret crucem eius. 33 Et venerunt in locum, qui dicitur Golgotha, quod est Calvariae locus, 34 et dederunt ei vinum bibere cum felle mixtum; et cum gustasset, noluit bibere. 35 Postquam autem crucifixerunt eum, diviserunt vestimenta eius sortem mittentes 36 et sedentes servabant eum ibi. 37 Et imposuerunt super caput eius causam ipsius scriptam: “Hic est Iesus Rex Iudaeorum”. 38 Tunc crucifiguntur cum eo duo latrones: unus a dextris, et unus a sinistris. 39 Praetereuntes autem blasphemabant eum moventes capita sua 40 et dicentes: “Qui destruis templum et in triduo illud reaedificas, salva temetipsum; si Filius Dei es, descende de cruce!”. 41 Similiter et principes sacerdotum illudentes cum scribis et senioribus dicebant: 42 “Alios salvos fecit, seipsum non potest salvum facere. Rex Israel est; descendat nunc de cruce, et credemus in eum. 43 Confidit in Deo; liberet nunc, si vult eum. Dixit enim: “Dei Filius sum”. “44 Idipsum autem et latrones, qui crucifixi erant cum eo, improperabant ei. 45 A sexta autem hora tenebrae factae sunt super universam terram usque ad horam nonam. 46 Et circa horam nonam clamavit Iesus voce magna dicens:”
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Eli, Eli, lema sabacthani?” , hoc est: “Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me?”. 47 Quidam autem ex illic stantibus audientes dicebant: “Eliam vocat iste”. 48 Et continuo currens unus ex eis acceptam spongiam implevit aceto et imposuit arundini et dabat ei bibere. 49 Ceteri vero dicebant: “Sine, videamus an veniat Elias liberans eum”. 50 Iesus autem iterum clamans voce magna emisit spiritum. 51 Et ecce velum templi scissum est a summo usque deorsum in duas partes, et terra mota est, et petrae scissae sunt; 52 et monumenta aperta sunt, et multa corpora sanctorum, qui dormierant, surrexerunt 53 et exeuntes de monumentis post resurrectionem eius venerunt in sanctam civitatem et apparuerunt multis. 54 Centurio autem et, qui cum eo erant custodientes Iesum, viso terrae motu et his, quae fiebant, timuerunt valde dicentes: “Vere Dei Filius erat iste!”. 55 Erant autem ibi mulieres multae a longe aspicientes, quae secutae erant Iesum a Galilaea ministrantes ei; 56 inter quas erat Maria Magdalene et Maria Iacobi et Ioseph mater et mater filiorum Zebedaei. 57 Cum sero autem factum esset, venit homo dives ab Arimathaea nomine Ioseph, qui et ipse discipulus erat Iesu. 58 Hic accessit ad Pilatum et petiit corpus Iesu. Tunc Pilatus iussit reddi. 59 Et accepto corpore, Ioseph involvit illud in sindone munda 60 et posuit illud in monumento suo novo, quod exciderat in petra, et advolvit saxum magnum ad ostium monumenti et abiit. 61 Erat autem ibi Maria Magdalene et altera Maria sedentes contra sepulcrum. 62 Altera autem die, quae est post Parasceven, convenerunt principes sacerdotum et pharisaei ad Pilatum, 63 dicentes: Domine, recordati sumus, quia seductor ille dixit adhuc vivens: Post tres dies resurgam. 64 Jube ergo custodiri sepulchrum usque in diem tertium: ne forte veniant discipuli ejus, et furentur eum, et dicant plebi: Surrexit a mortuis: et erit novissimus error pejor priore. 65 Ait illis Pilatus: Habetis custodiam, ite, custodite sicut scitis.66 Illi autem abeuntes, munierunt sepulchrum, signantes lapidem, cum custodibus.
46Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 47 Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». 48 E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. 49 Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». 50 Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. 51 Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, 52 i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. 53 Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!». 55 Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 56 Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. 57 Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. 58 Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. 59 Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito 60 e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. 61 Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria. 62 Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: 63 ”Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. 64 Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risuscitato dai morti”. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”. 65 Pilato disse loro: “Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete”. 66 Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.
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lunedì 8 ottobre chiesa del cristo Flagellato
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In collaborazione con il Concorso Internazionale Ruspoli di Vignanello
4. il canto e la lira
Opere strumentali e mottetti spirituali a Roma nel primo Seicento Bartolomeo Barbarino (ca.1580?-post 1640)
Veni Domine da Il secondo libro delli Motetti (Venezia, 1615)
Giovan Girolamo Kapsperger dal Libro Primo d’Intavolatura di Lauto (Roma, 1611): (ca.1580-1651) Gagliarda V Toccata I Gagliarda I Corrente I Pier Francesco Caletti Bruni detto Francesco Cavalli Cantate Domino (1602- 1676) da Leonardo Simonetti, Ghirlanda Sacra (Venezia, 1625) Amadio Freddi (1570 ca.–1634)
Salve Regina da Leonardo Simonetti, Ghirlanda Sacra (Venezia, 1625)
Giovan Girolamo Kapsperger
Domenico Obizzi (fl. 1620-1630) Giovan Girolamo Kapsperger
Toccata IV Gagliarda III Corrente II Jubilate Deo da Leonardo Simonetti, Ghirlanda Sacra (Venezia, 1625) Toccata III Toccata VI Gagliarda X Corrente VI
Membri dell’Ensemble Ars Longa de la Habana (Cuba) Teresa Paz soprano Aland López liuto
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Mottetti festosi e suoni di liuti tra due mondi Giuseppina Crescenzo L’effetto seducente, che provoca la vista di una corona di fiori profumati e colorati, deve essere il medesimo che si determina nell’animo di chi ascolta o semplicemente sfoglia la Ghirlanda Sacra, importante antologia di 44 mottetti a voce sola e basso continuo. Fu pubblicata a Venezia nel 1625 da Leonardo Simonetti, cantante castrato impiegato nel coro di Monteverdi a San Marco. Era consuetudine sia nel periodo rinascimentale che barocco, grazie allo sviluppo dell’editoria locale, collezionare musiche di diversi autori che risultavano di somma utilità e interesse per la loro funzionalità nella vita musicale di chiese, conventi e congregazioni varie, come ci confermano David Bryant ed Elena Quaranta nel volume Oltre San Marco. L’antologia di Simonetti, anche per merito del contributo in apertura di Claudio Monteverdi, ebbe una fortuna eccezionale al punto che se ne fece una ristampa ampliata nel 1636. Essa comprende brani dei migliori compositori del nord della nostra penisola, ma anche dell’area romana con l’eccezionale presenza di un napoletano. I mottetti selezionati per questo concerto sono per voce sola e basso continuo. A questo riguardo va sottolineato che già agli inizi del Seicento, il mottetto diventa monodico come altre forme tradizionalmente polifoniche per l’influsso del nuovo orientamento linguistico – quello monodico-armonico – il quale si sta affermando in sostituzione di quello polifonico-modale che aveva dominato dal XII al XVI secolo. Sotto il profilo dell’ascolto ciò consentiva maggiore comprensione del testo e fruizione della melodia. Sotto il profilo testuale, siamo dinanzi a mottetti costruiti normalmente come centoni di frasi estrapolate da testi liturgici e biblici. Un caso emblematico è il Veni Domine, tratto dal Secondo libro delli motetti (1615) dell’enigmatico Bartolomeo Barbarino detto “il Pesarino”, virtuoso di canto e chitarrone nonché compositore pioniere del nuovo linguaggio monodico fiorentino. Questa stampa riveste un particolare interesse perché rappresenta una delle rare edizioni in cui si indica nel titolo il formato in partitura. Una delle parti, infatti, è indicata come “Spartitura con la parte passeggiata”. Testualmente ogni espressione deriva da una fonte diversa: i primi due versi da un Responsorio per la IV domenica di Avvento, il “Respice” del terzo verso è estrapolato dal Salmo 98 (“Deus, Deus meus, respice in me”) utilizzato anche per il Responsorio “Deus meus es tu”, a sua volta derivato dal Salmo 21 “Deus meus es tu”. Il “Miserere” del quarto verso è sia l’incipit del salmo 51, (“Veni et vide”), sia una citazione del vangelo di Giovanni sulla risurrezione di Lazzaro (Giovanni, verso 34: “Domine, veni et vide…”), sia il verso del Salmo 24,18: “Vide humilitatem meam, et laborem meum, et dimitte omnia peccata mea”. Il Cantate Domino di Francesco Cavalli, organista della cappella di San Marco in Venezia, è un altro testo-centone che richiama nella
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prima parte il passo del Vecchio Testamento, Cantate Domino et exultate da Geremia, 20, 11-13, e nella seconda il Salmo 145, Lauda, anima mea, Dominum, presente nella liturgia della terza domenica d'Avvento. La Salve Regina è l’antifona più popolare delle quattro dedicate alla Madonna (Regina Coeli, Ave Regina coelorum, Alma Redemptoris Mater). Quella presente in questa raccolta è di Amadio Freddi, maestro di cappella nel Duomo di Treviso. Infine il mottetto Jubilate Deo omnis terra, estrapolato dal Salmo 65 e incluso come introito nella Messa della terza domenica di Pasqua, ha una melodia trionfale che esprime la gioia della Risurrezione e il sublime del divino con l’Alleluia finale. Fu composto da Domenico Obizzi, anch’egli impiegato nella cappella di San Marco a Venezia come cantore, già da quando contava appena 13 anni. Jubilate Deo omnis terra fu la sua prima composizione, probabilmente rivista da Monteverdi. Sotto il profilo strettamente musicale, i primi due mottetti presentano una scrittura più sillabica che melismatica la quale richiama l’alternanza degli episodi omoritmici con quelli contrapputistici dello stile madrigalistico. Jubilate Deo, invece, anche per esigenza di rapporto testo-musica, esibisce uno stile ricco di vocalizzi con un Alleluia finale. Il Cantate Domino di Francesco Cavalli presenta una struttura alquanto innovativa per l’epoca basata sull’alternanza di due sinfonie e strofe. Il mottetto conclude con una sinfonia e un Alleluia finale. I brani per liuto solo sono tratti dalla prima raccolta di Giovanni Girolamo Kapsperger, detto “il Tedesco dalla tiorba” per le sue origini germaniche. È considerato il primo grande virtuoso di chitarrone o tiorba, strumento derivato dal liuto rinascimentale ed in auge nel primo Seicento. Da recenti ricerche sappiamo anche che nel 1604 sposò a Napoli la figlia di un costruttore di liuti e che fu molto apprezzato dai Barberini a Roma, dove collaborò stabilmente con il Collegio Germanico e con i Gesuiti. Le Toccate del suo Primo libro di liuto sono considerate capolavori del genere rapportabili a quelle del genio di Girolamo Frescobaldi. È significativo che questo omaggio al primo barocco italiano vocale-sacro e strumentale venga da due protagonisti della riscoperta della musica antica nel “Nuovo Mondo”. Teresa Paz e Aland López sono infatti i fondatori e direttori del celebre complesso Ars Longa de la Habana, scoperto a Cuba nel 2003 da Claudio Abbado e presentato in Italia per la prima volta proprio in Basilicata. Il concerto, pertanto, offre anche l’occasione per ricordare il grande direttore d’orchestra e il memorabile concerto del complesso cubano da lui diretto a Matera nel 2004 per il Festival Duni in collaborazione con la rassegna “Gesualdo oggi” dell’Ateneo Musica Basilicata in diretta radiofonica nazionale.
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l’ensemble di musica antica ars longa de la habana — creato da Teresa Paz e Aland López nel 1994, fa parte dal 1995 della Oficina del Historiador de la Ciudad de La Habana. È il primo e più noto complesso di musica antica nato a Cuba ed attivo sulla scena internazionale. Composto da musicisti che hanno compiuto i loro studi nel Conservatorio dell’Avana e all’ Instituto Superior de Arte, il complesso ha dedicato il suo intenso lavoro alla interpretazione, preceduto da ricerca e studio, di opere dimenticate o poco note dal medioevo al barocco, soprattutto dell’America Centrale e Meridionale. Il maggiore spazio è sempre stato assegnato allo studio dell’epoca coloniale (vicereale) a partire dal patrimonio musicale più antico cubano: Ars Longa ha infatti realizzato, tra l’altro, interpretazioni e incisioni discografiche delle opere di Esteban Salas (Cuba, 1725-1803) - maestro di cappella della Cattedrale di Santiago de Cuba tra il 1764 e il 1803. Fin dalla sua fondazione, il gruppo ha offerto concerti nelle più prestigiose sale cubane, e in importanti festival ed eventi nazionali ed internazionali tra cui: Festival de Brezice, Slovenia 2002, 2007 e 2011; Festival di Riboville e Avignone, Francia; Mese Nazionale del Barocco Latinoamericano, Francia, dal 2001 al 2004; Festival di musica antica di Coignieres e Angers, Francia, 2005; Festival ti Torroella de Montgrí, Spagna, 2005; Festival di Musica e poesia a San Maurizio, Milano, 2005; Festival de Música de Cámara di Cali, Colombia, 2006; V Festival La Música del pasado de América, Caracas, Venezuela, 2006; XVIII Festival Internacional de Música de Morelia, México, 2006; Bilbao Ars Sacrum, 2007; Salón Boffrand della Presidenza del Senato di Francia e École Militaire, Parigi, 2008; Stockholm Early Music Festival, 2008; Festival Internacional de Música y Danza di Granada, 2008; Festival di Dubrovnik, 2008; 49 Semana de Música Religiosa de Cuenca e 59 Festival Internacional de Música y Danza di Granada, 2010; Festival Rezonancen, Wiener Konzerthaus, 2011 e 2013; Festival de Música Sacra di Quito, Ecuador, 2013. Attivo promotore della interpretazione della musica antica a Cuba, Ars Longa grazie ai suoi duoi musicisti fondatori ed animatori è il gruppo ospite del Festival Internacional de Música Antigua Esteban Salas, che si realizza ogni anno all’Avana a Cuba. Fu proprio a Cuba che il gruppo fu scoperto da Claudio Abbado durante il suo viaggio nel 2003 e il grande direttore d’orchestra invitò il complesso a suonare in tournées in Italia due volte nel 2004 e nel 2005. Durante il Festival “Gesualdo Oggi”, organizzato nel 2004 in Basilicata da Ateneo Musica Basilicata e dall’Università della Basilicata, il gruppo eseguì uno straordinario concerto a Matera, ripreso in diretta radiofonica su Radiotre e diretto dallo stesso Claudio Abbado, concerto ripetuto al Parco della Musica di Roma per la Stagione dell’Accademia di Santa Cecilia. Il gruppo ha inciso una dozzina di cd con opere inedite o rare di autori latinoamericani dell’età coloniali, che hanno procurato a Teresa Paz e Aland López i più alti riconocimenti della critica internazionale: Diapason, Le monde de la musique, Télérama, Classica, e inoltre Times e la rivista spagnola Scherzo, oltre a vincere per sette volte il premio Cubadisco, massimo riconoscimento della nazione per incisioni discografiche d’arte.
4. Gli interpreti
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Veni Domine Veni Domine in cor meum Veni noli tardare Veni & respice in me & miserere mei Quia Deus meus es tu Veni & vide laborem meum & dimitte peccata mea. Cantate Domino Cantate et exultate quia confundentur qui me persequentur. Lauda anima mea Dominum: laudabo Dominum in vita mea Salve Regina Salve, Regina, Mater misericordiae, Vita, dulcedo, et spes nostra, salve. Ad te clamamus, exsules filii Hevae, Ad te suspiramus, gementes et flentes In hac lacrimarum valle. Eia ergo, advocata nostra, illos tuos Misericordes oculos ad nos converte. Et Jesum, benedictum fructum ventris tui, Nobis, post hoc exsilium, ostende. O clemens, O pia, O dulcis Virgo Maria.
4. I testi
Jubilate Deo Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus. Dícite Deo: Quam terribília sunt ópera tua, Dómine! in multitúdine virtútis tuæ mentiéntur tibi inimíci tui. […] Psalmum dicat nómini tuo. […] Benedícite, Gentes, Deum nostrum: et audítam fácite vocem laudis ejus […] Alleluia
Vieni Signore nel mio cuore Vieni e non tardare Vieni e guarda dentro di me Ed abbi pietà di me, Perché tu sei il Signore Dio mio Vieni e guarda la mia fatica E perdona i miei peccati. Cantate e esultate perché coloro che perseguitano saranno confusi. Loda il Signore, anima mia: Voglio lodare il Signore finché vivo. Salve, Regina, Madre di misericordia; Vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A Te ricorriamo, noi esuli figli di Eva; A Te sospiriamo, gementi e piangenti In questa valle di lacrime. Orsù dunque, avvocata nostra, Rivolgi a noi gli occhi Tuoi misericordiosi. E mostraci, dopo questo esilio, Gesù, Il frutto benedetto del Tuo seno. O clemente, o pia, O dolce Vergine Maria! Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta; cantate salmi al suo nome; * date gloria alla sua lode. Dite a Dio: Come sono terribili, o Signore, le opere tue! * Per la grandezza della tua potenza i tuoi nemici fingeranno essere per te. […] Canti salmi al tuo nome. […] Benedite, o nazioni, il nostro Dio: e fate udire la voce della sua lode. Alleluia
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martedì 9 ottobre irsina, convento di san Francesco
In collaborazione con il Comune di Irsina – Festival delle Passioni
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giovanni maria trabaci e il clavicembalo in europa Antonio de Cabezón (1510-1566)
Diferencias sobre el canto llano del caballero da Antonio de Cabezón, Obras de Musica para tecla…
Andrea Gabrieli (1533-1585)
Ricercare arioso secondo da Canzoni alla Francese et Ricercari ariosi tabulati... Libro quinto (Venezia, 1605)
Claudio Merulo (1533-1604)
Toccata del duodecimo tono da Claudio Merulo, Toccate d’Intavolatura d’Organo… Libro Secondo (Roma, 1604)
Jan Pieterszoon Sweelinck (1562-1621)
Fantasia cromatica da Intavolatura d’organo di Lubbenau
Giovanni Maria Trabaci (1580ca.–1647)
Gagliarda quarta Canzona franzesa settima cromatica Ricercata del quarto tono con tre fughe et inganni Partite sopra Fedele da Giovanni Maria Trabaci, Ricercate, Canzone
(Madrid, 1578)
(D-Bds, Ms. Lynar A 1)
franzese... Libro primo (Napoli, 1603)
Girolamo Frescobaldi (1583-1643)
Partite sopra l’aria di Ruggiero da Toccate e Partite d’Intavolatura di Cimbalo…
Giovanni Maria Trabaci
“Ancidetemi pur” (dal madrigale di Jakob Arcadelt) da Giovanni Maria Trabaci, Il Secondo libro de Ricercate, altri varij Capricci… (Napoli, 1615)
Girolamo Frescobaldi
“Ancidetemi pur” d’Arcadelt passaggiato da Girolamo Frescobaldi, Il Secondo libro di Toccate,
Libro primo (Roma, 1615)
Canzone Versi d’Hinni… (Roma, 1627)
Johann Jakob Froberger (1616-1667)
Toccata [II] da Libro secondo di Toccate, Fantasie, Canzone, Allemande (1649), Manoscritto autografo (A-Wn, Mus. Hs. 18.706)
Francesco Cera clavicembalo
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Trabaci un protagonista della musica per tastiera europea del suo tempo Francesco Cera
Nel 1601 le abilità già dimostrate da Trabaci come compositore e organista furono ricompensate con la sua elezione ad organista della Real Cappella di Napoli. Il compositore fiammingo Giovanni de Macque ebbe certamente una influenza determinante sullo sviluppo della sua carriera artistica, così come il principe di Venosa Carlo Gesualdo, al cui servizio era lo stesso Macque. Da Gesualdo, Trabaci dovrebbe aver assorbito la tendenza allo sperimentalismo attraverso l’uso di armonie dissonanti del tutto inusuali. Durante il periodo iniziale del secolo Trabaci pubblicò a Napoli numerose opere sacre e profane, e una serie di libri per tastiera, a partire da un primo volume pubblicato nel 1603. Queste pubblicazioni gli procurarono una grande reputazione, tanto che alla morte di Giovanni de Macque nel 1614 egli fu chiamato come suo successore a dirigere la Real Cappella del palazzo del Viceré spagnolo di Napoli. Nel 1615 pubblicò un secondo libro di musica per tastiera e, dopo varie altre iniziative editoriali commissionate dalla nobiltà napoletana, nel 1634 giunse alla eccezionale pubblicazione delle quattro Passioni per lo stesso Viceré. Trabaci morì a Napoli nel 1647, nel pieno della Rivoluzione di Masaniello che aveva minacciato la supremazia spagnola in città creando morte e devastazione. Il volume stampato da Costantino Vitale nel 1603 e intitolato Ricercate, Canzone franzese, Capricci, Canti fermi, Gagliarde… Libro primo si apre con una serie di ricercari che rivelano un’arte del contrappunto davvero suprema e una sorprendente originalità creativa. Le 12 composizioni sono estremamente diverse dal punto di vista formale, andando da brani formati su un solo soggetto e descritte come “fughe” a opere su quattro soggetti. Alcune di queste usano un contrappunto molto elaborato, con inversione di soggetti e altre tecniche complesse, mentre altre risultano modificate in maniera più libera. Un secondo volume intitolato Il Secondo libro de Ricercate, & altri varij Capricci apparve a Napoli presso lo stampatore Carlino nel 1615 e anche in questo caso si apre con una serie di 12 ricercari, dalla melodia superbamente elegante, e nello stesso tempo ugualmente complessi dal punto di vista formale. La bellezza e l’importanza dell’opera per tastiera di Giovanni Maria Trabaci vanno ben oltre la sua fama ai nostri giorni, limitata agli specialisti. La loro intrinseca qualità, inventiva ed originalità segnalano Trabaci come uno dei più importanti compositori per organo e clavicembalo della prima metà del Seicento in Europa, come dimostra in questo programma il confronto con i principali colleghi compositori e tastieristi virtuosi europei.
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5. Gli interpreti
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Francesco cera — bolognese, dopo gli studi di organo e di clavicembalo conclusi sotto la guida di Gustav Leonhardt, si è affermato tra i migliori interpreti italiani della musica antica, apprezzato per una consapevolezza stilistica che abbraccia diverse espressioni musicali, dagli strumenti storici a tastiera alla musica vocale e strumentale del periodo barocco. Dopo aver fatto parte dal 1991 al 1994 dell’ensemble Giardino Armonico, dal 1997 dirige l’Ensemble Arte Musica, col quale si dedica all’esecuzione del repertorio vocale italiano. Francesco Cera ha al suo attivo una vasta produzione discografica, accolta con numerosi riconoscimenti dalla critica internazionale. Dopo aver registrato le opere complete di importanti compositori del Seicento italiano, ha proseguito con le Sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti, le Suites Francesi e i Concerti per clavicembalo di Johann Sebastian Bach. Di recente uscita per l’etichetta Brilliant Classics: Scarlatti and the Neapolitan Song, i corali per organo dell’Orgelbüchlein di Bach, l’integrale per clavicembalo di Jean-Henri D’Anglebert, opere per clavicembalo e per organo di Giovanni Maria Trabaci (coprodotto dalla Soprintandenza di Matera e dall’Istituto Trabaci di Irsina) che ha ricevuto 5 Diapason dalla rivista francese Diapason. Tiene concerti come solista al clavicembalo e come direttore dell’Ensemble Arte Musica prendendo parte a rassegne internazionali quali Musica e poesia a San Maurizio a Milano, Villa Medici e Accademia Filarmonica a Roma, Bologna Festival, Sagra Musicale Malatestiana, Festival delle Fiandre, Festival Resonanzen al Konzerthaus di Vienna, Philarmonie a Colonia, Barocktage nell’Abbazia di Melk, Festival de musique ancienne de Maguelone, Les Sommet Musicaux a Gstaad. Ha diretto l’ensemble Arte Musica nei Vespri di Monteverdi, i madrigali del Concerto delle Dame della corte di Ferrara, il quinto libro di madrigali e i Responsori delle Tenebre di Gesualdo da Venosa, cantate e oratori di Carissimi, Scarlatti, Porpora, Pergolesi, Haendel. Collabora regolarmente con “I Barocchisti” diretti da Diego Fasolis alle produzioni musicali della Radio Svizzera di Lugano. Dal 2006 tiene regolarmente masterclass negli Stati Uniti (Oberlin Conservatory, Yale University, Eastman School of Music a Rochester, Arizona State University) e presso l’Accademia Internazionale di Smarano (Trento). È attivo come Ispettore onorario per la tutela degli organi storici per la regione Basilicata e per la provincia di Salerno. Dal 2015 è docente di ruolo di clavicembalo e tastiere storiche al Conservatorio Duni di Matera.
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mercoledì 10 irsina, cattedrale In collaborazione con il Comune di Irsina Festival delle Passioni
giovedì 11 matera chiesa di san pietro caveoso venerdì 12 venosa auditorium san domenico*
6.
canzoni strumentali del primo seicento Giovanni Gabrieli (1557-1612)
Canzon seconda Canzon vigesimaseconda
Giovanni Maria Trabaci (ca.1580-1647)
Durezze e ligature (organo)
Giovanni Gabrieli
Sonata pian e forte
Giovanni Pierluigi da Palestrina Ricercar del primo tuono (organo) (1525/26-1594) attr. Giovanni Gabrieli
Canzon septimi toni
Girolamo Cavazzoni (fl.1540-1577)
Hymnus “Ave Maris Stella” 2
Girolamo Frescobaldi (1583-1643)
Toccata V “sopra i pedali, e senza”
Giovanni Gabrieli
Canzon vigesima ottava Canzon a 8 Canzon IV (organo) Canzon VI (organo)
Girolamo Frescobaldi Giovanni Gabrieli
Canzon duodecimi toni ad echo Carmine Catenazzo organo *Giuseppe Petrella tiorba Brass Ensemble Gabrieli Saverio Vizziello direttore
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La polifonia degli ottoni: una straordinaria storia antica e attuale Dinko Fabris
La “scuola veneziana” durante l’ultima parte del Cinquecento divenne celebre per aver inventato una nuova maniera di eseguire la musica polifonica sia vocale che strumentale con alternanza tra più “cori” che si chiamarono “spezzati” proprio per l’effetto a singhiozzo che ne risultava. In realtà era l’invenzione della “stereofonia”, grazie ad una pionieristica valutazione delle qualità spaziali ed acustiche della Basilica di San Marco dove si svolsero i primi esperimenti, con il pubblico dei fedeli raccolto al centro di due navate laterali che porgevano le frasi musicali prima “forte” da un lato, poi “piano” dall’altro. Nacquero da questa innovazione, al tempo in cui era maestro di cappella in San Marco Andrea Gabrieli, altre conseguenze importanti per la storia della musica: l’idea di una esecuzione “dinamica” (con indicazione appunto di andamento “forte” o “piano”) e soprattutto le prime forme di musica polifonica autenticamente strumentali. Fino a quel momento infatti gli strumenti, anche quelli a fiato, si erano limitati a fornire trascrizioni di musica vocale. Non a caso le prime composizioni autonome si chiamarono “Canzoni da sonar” e solo nel Seicento divennero le “Sonate”, mentre le canzoni da cantare sarebbe divenute le “Cantate”. La situazione era ormai matura per questo nuovo status della musica strumentale quando nel 1597 apparve il volume a stampa delle Sacrae Symphonie di Giovanni Gabrieli, nipote e successore dello zio Andrea come maestro di San Marco. In quest’opera fondamentale comparivano ben 60 Canzoni strumentali e Sonate per differenti organici. Tra queste quattro riportavano la esplicita indicazione dell’utilizzo di tromboni, fino al numero impressionante di 12. L’evoluzione di questi strumenti in ottone, che costituivano un’unica famiglia con la tromba da cui il trombone era derivato come spiega il nome (in realtà nel nord dell’Europa fu coniato per questo secondo strumento il nome di “Sackbut” tuttora in uso con varianti), ebbe durante il Cinquecento un’accelerezione che li portò dalla funzione di segnali militari o civili e solo raramente di raddoppio delle parti vocali della polifonia più aulica, ad una letteratura autonoma di straordinario livello artistico, testimoniata da metodi e trattati. Molto spesso, nelle esecuzioni in chiesa o legate a eventi religiosi, il “coro” degli strumenti a fiato era impegnato nell’esecuzione di Toccate, Ricercate e Canzoni in alternatim con l’organo, che rappresentava in qualche modo un riassunto delle voci umane ma assai vicino timbricamente al suono degli ottoni per via delle canne metalliche. Il concerto odierno riprende la stessa prassi del primo Seicento dell’alternatim tra ottoni e organo, nella sequenza di brani di Gabrieli inframmezzati da esecuzioni all’organo del compositore lucano Trabaci da Irsina e di Girolamo Frescobaldi, il più grande organista del secolo, che proprio da Trabaci e dall’ambiente musicale meridionale fu fortemente influenzato.
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l’ensemble gabrieli — Fondato nel 1985 da Saverio Vizziello, è l’associazione che dal 1999 ha promosso la creazione del Festival Duni, manifestazione materana estiva riconosciuta dal Mibac (FUS) quale unico festival in Basilicata di rilevanza nazionale. L’associazione musicale, all’interno del Festival ha avviato negli anni il recupero del musicista materano del Settecento Egidio Romualdo Duni attraverso pubblicazioni, incisioni e realizzazioni di opere del compositore in prima esecuzione moderna: di particolare rilievo l’oratorio Giuseppe Riconosciuto inciso dalla casa discografica Bongiovanni e riproposizioni come L’isola dei Pazzi, Il Pittore innamorato della sua modella, Nina et Lindoro e la pubblicazione delle Sonate a tre e Minuetti e contradanze, composizioni eseguite dall’Ensemble Gabrieli a New York e Parigi. Intensa anche l’attività di recupero di altri musicisti lucani tra cui Mazzone, Strozzi, Carafa, Stabile e Trabaci. L’associazione ha realizzato anche il primo “Corso per interpreti di musica barocca finalizzato alla esecuzione di un’opera di Egidio Romualdo Duni, 1708-1775”, finanziato dai Fondi Sociali Europei realizzando al suo interno due opere di Egidio Romualdo Duni: Catone in Utica (2005) e il Nerone (2008) in prima esecuzione moderna, oltre alla pubblicazione da parte del Festival Duni delle Arie per Farinelli. Il Festival Duni, giunto alla sua XIX edizione, ha al suo attivo una media di 20 concerti annui portando a Matera nel palcoscenico naturale dei Sassi innumerevoli musicisti e attori quali: Claudio Abbado, Burt Bacharach, Goran Bregovic, Luis Bacalov, Lazar Berman, Igudesman e Joo, Ludovico Einaudi, Vinicio Capossela, Simona Molinari, Mariangela Vacatello, Myriam Dal Don, Enzo Iacchetti, Michele Mirabella, Elio Pandolfi, Leopoldo Mastelloni, Alessandro Haber e moltissimi artisti del panorama musicale mondiale. Oltre all’orchestra sinfonica e orchestra barocca del Festival l’Ensemble Gabrieli ha al suo attivo tre formazioni composte da ottoni e percussioni: il grande organico per musiche del Novecento avendo in repertorio musiche di Rota, Tomasì, Gervasio, Britten, Copland e Bernstein; la Brass con repertorio di musica rinascimentale danze sonate e canzoni del rinascimento e il Quintetto con repertorio che spazia dal Rinascimento ai giorni nostri. saverio vizziello — Titolare di cattedra nei conservatori dal 1978, docente di Trombone nei corsi ordinari e docente di “Diritto e Legislazione dello Spettacolo” nei Corsi Accademici di I e II livello presso le Istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale. Un suo progetto: “Corso per interpreti di musica barocca finalizzato alla esecuzione di un’opera di Egidio Romual-
do Duni, 1708-1775”, è stato finanziato dai Fondi Sociali Europei. Promotore e ideatore del Festival Duni, giunto alla sua XIV edizione unico festival in Basilicata riconosciuto e finanziato dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali- Fondi FUS, nel quale annualmente vengono prodotti Eventi musicali, concerti ed opere anche in prime edizioni moderne di Duni, Pergolesi, Menotti, Strawinsky, Orff, Grieg. Tra le molte incisioni in CD del Festival Duni va ricordato ed evidenziato il “Giuseppe Riconosciuto” azione sacra in due parti di Egidio Romualdo Duni su poesie del Metastasio, diretta da Vito Paternoster, incisa dalla casa discografica Bongiovanni e non ultima la presenza di Claudio Abbado a Matera come direttore artistico dell’Ars Longa del’Habana nel Festival Duni 2004, concerto mandato in diretta su Radio 3 suite dalla Chiesa di san Pietro Barisano. Intensa anche l’attività di pubblicazione dell’associazione diretta da Saverio Vizziello tra cui le inedite “Arie per Farinelli” e le “Sonate a Tre” sempre del compositore materano del ‘700 Egidio Romualdo Duni. Dal 2007 è stato eletto a livello nazionale in rappresentanza dei docenti dei conservatori italiani nel Consiglio Nazionale dell’Alta Formazione Artistica e Musicale – CNAM presso il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. È stato Direttore del Conservatorio Duni di Matera dal 2008 fino all’anno accademico 2013/2014. Con la sua direzione l’orchestra del Conservatorio ha eseguito concerti alla Carnegie Hall di New York, Valencia, Gerusalemme, Ginevra, Cracovia e ad aprile 2014 alla Filarmonica di Berlino. È stato componente del Comitato per la nomina a Capitale Europea della Cultura per il 2019. È stato recentemente rieletto come Direttore del Conservatorio Duni di Matera per il triennio 2017-2020. carmine catenazzo — Nato ad Altamura nel 1965, si è diplomato brillantemente in Organo e Composizione Organistica e in Clavicembalo presso il Conservatorio di Musica Duni di Matera, dove ha studiato anche Pianoforte e Composizione: Presso lo stesso Conservatorio ha conseguito con il massimo dei voti il Diploma accademico di II Livello in Direzione d’Orchestra. Ha seguito corsi di perfezionamento di Organo con Endre Viragh, Luigi Celeghin e Klemens Schnorr e di Direzione Corale con Bruno Zagni. La sua variegata ed intensa attività concertistica comprende concerti all’organo sia come solista (su strumenti storici e moderni) che come basso continuo, al clavicembalo, al pianoforte come accompagnatore di cantanti, alla direzione di formazioni corali e orchestrali. Tra i tanti concerti, ricordiamo: all’organo, le due tournée italiane con il Coro dell’Università del Saarland (1995) e con il Bach-Chor di Bonn (2009), diretti dal Mo Jürgen Böhme; i concerti in Germania nelle città di Klarenthal, Dillingen e Saarbrücken; l’esecuzione della Sinfonia n. 3 in do minore op. 78 di C. Saint-Saëns sotto la direzione del M.o Oleg Caetani (2015); le collaborazioni con Coro Lirico della Provincia di Potenza, con il M.o Luis Bacalov e con l’Orchestra ICO della Magna Grecia, che ha diretto nel Requiem KV 626 di W. A. Mozart; come direttore, la partecipazione al C.D. “Autori Lucani tra ‘800 e ‘900”; la registrazione del CD Weke (Velut Luna, 2010) del compositore Vincenzo Cipriani; la Prima Mondiale in diretta su 17 canali cristiani della Sinfonia Eucaristica del M.o P. Armando Pierucci, opera replicata a Ginevra, Milano e Matera e pubblicata in cd e dvd; al clavicembalo, con l’Orchestra da Camera del Conservatorio di Musica E. R. Duni, alla Carnegie Hall di New York (2012) e alla Philarmonie di Berlino (2014). Ha fatto parte della giuria del VII Concorso Internazionale Rimini Choral (2013), del IX Festival della Coralità Veneta (2016) e del Concorso Corale di Riccione (2017). È direttore artistico dell’Associazione Polifonica Materana “Pierluigi da Palestrina“ e maestro del coro della stessa Associazione, con il quale ha tenuto numerosissimi concerti in Italia e all’estero, partecipato a dirette televisive (TRM, Rete4, TV2000) e realizzato tre CD. Come maestro del coro, ha collaborato, tra tanti, con Maestri come Piero Bellugi, Nicola Samale, Vincenzo Perrone, Vito Clemente, Jürgen Böhme, Luis Bacalov e Rino Marrone. All’attività concertistica affianca l’attività di revisore e trascrittore: ha curato infatti la revisione critica delle opere: La finta Cameriera di Gaetano Latilla, Catone in Utica e Nerone di Egidio Romualdo Duni. È direttore artistico della Rassegna Polifonica “Petra Matrix” e del Concorso Corale “Antonio Guanti”. È docente titolare, vicedirettore e coordinatore didattico presso il Conservatorio Duni di Matera.
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domenica 14 matera
chiesa di san pietro barisano
7. saturno e la poliFonia
Musiche cromatiche di autori fiamminghi e meridionali di fine Cinquecento parte prima : del divino Furore Scipione Stella (1560 - 1622)
Stabat Mater dolorosa I-Nc, MS 41
Pomponio Nenna (1566 - 1608)
Tenebrae factae sunt Responsorii di Natale, e di Settimana Santa... (Napoli, 1622)
Roland de Lassus (Orlando di Lasso) (1532 - 1594)
Profetiae Sibyllarum A-Wn, MS. 18744 - Prologo, Carmina Chromatico - Sybilla Hellespontica - Sybilla Erythraea Lectiones Sacrae Novem, ex libris Hiob excerptae, musicis numeris iam recens compositae, Anno M.D.LXXXII - Manus tuae Domine fecerunt me - Homo, natus de muliere - Quis mihi hoc tribuat - Spiritus meus attenuabitur - Pelli meae, comsumptis carnibus - Quare de vulva eduxisti me?
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parte seconda : nati sotto saturno Pomponio Nenna
Mercé, grido piangendo Madrigali a cinque voci, Libro quarto... (Napoli, 1611) L’amoroso veleno Il settimo libro de madrigali a cinque... (Venetia, 1613)
Nicola Vicentino (1511 – 1575)
Solo e pensoso I-Vnm, Ms It. IV 858
Cipriano de Rore (1516 – 1565)
O Sonno Musica nova... (Venezia, 1559)
Carlo Gesualdo Da Venosa (1566 – 1613) Pomponio Nenna
Sparge la morte Madrigali a cinque voci, Libro quarto... (Napoli, 1611)
La mia doglia s’avanza Il primo libro de Madrigali a quattro... (Napoli, 1613)
Carlo Gesualdo da Venosa Mercé, grido piangendo Madrigali a cinque voci, Libro quarto... (Napoli, 1611) Ensemble Daedalus (Ginevra) Monika Mauch e Nele Gramss, soprani Daniel Folqué controtenore Josep Benet tenore Josep Cabre baritono Philippe Roche basso Direttore Roberto Festa
Un universo di simboli sonori Brenno Boccadoro (Université de Genève) & Roberto Festa
“Il maggior fondamento che dè avere il Compositore sarà questo, che riguarderà sopra di che vorrà fabricare la sua compositione, secondo le parole Ecclesiastiche o d’altro soggetto, et il fondamento di detta fabrica sarà che eleggerà un tono, o un modo, che sarà in proposito, delle parole, o sia d’altra fantasia, et sopra quel fondamento misurerà... bene con il suo giuditio, et tirerà le linee delle quarte e delle quinte di esso tono, sopra il buono fondamento, le quali saranno le colonne che terranno in piedi la fabrica della compositione. Avviene al compositore di Musica, che con l’arte può fare varie commistioni, di quarte e di quinte di altri modi et con vari gradi adornare la compositione proportionata secondo gli effetti delle consonanze applicate alle parole, et dè molto osservare il tono, o il modo. Quando comporrà cose Ecclesiastiche... Anchora saranno alcune altre compositioni latine che ricercheranno di mantenere il proposito del tono, et altre volgari le quali havranno molte diversità di trattare molte et diverse passioni, come saranno Sonetti, Madrigali o Canzoni, che nel principio, intraranno con allegrezza nel dire le sue passioni, et che poi nel fine saranno piene di mestitia, et di morte et poi il medesimo avverrà per il contrario; all’hora sopra tali, il Compositore potrà uscire fuore dall’ordine del modo et intrarà in un altro, perchè non avrà l’obbligo di rispondere al tono, ma sarà solamente obbligato a dar l’anima a quelle parole et con l’Armonia dimostrare le su passioni, quando aspre, et quando dolci, et quando allegre et quando meste“. È così che Nicola Vicentino (1511-1576), madrigalista e teorico italiano, descrive la tecnica della deviazione modale (commixtio modi), l’arte di sottrarsi alla gravitazione di un modo per ragioni espressive. Allievo di Adrien Willaert, compagno di banco del «divino Cipriano», rappresenta uno dei primi prodotti locali di quel fenomeno di mutua fecondazione che é la diaspora franco-fiamminga in Italia. Deformati da un’ottica manierista spesso violenta e «artificiosa», i suoi madrigali incarnano gli ideali espressionisti dell’ «avant-garde fin de siècle» o seconda prattica, tematica centrale del nostro programma. La sua opera teorica – L’antica musica ridotta alla moderna pratica (Roma, 1555)– costituisce il più competente tentativo di razionalizzare gli strumenti espressivi della moderna musica. Il nostro contesto epistemologico, è quello del «ritorno all’antico», il tentativo umanistico di resuscitare il mitico potere pscichico della musica greca, leggendaria in virtù della sua capacità di modulare gli affetti con l’efficacia di una sostanza psicotropa. Certo, la musica greca è morta e sepolta! Evapora il giorno stesso della sua nascita tra i marmi lucenti dei teatri antichi. Ma l’ «anima», la sua dimensione intellettuale, psichica e matematica, sopravvive alle sue spoglie e sorvola indenne più di venti secoli di teoria musicale. Il suo sangue, siamo franchi, aveva cessato di circolare, coagulato come in una reliquia dal costruttivismo matematico molto astratto di una
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parte della polifonia medievale. Ma, dalla metà del XVI sec., ricomincia a bollire, grazie alle cure di una nuova generazione di compositori inquieti, malinconici e geniali, i quali, forti di una nuova farmacopea musicale, moltiplicano per dieci le virtù efficaci di tutti gli ingredienti della scrittura musicale: dissonanza, modulazioni devianti, false relazioni, vertigini cromatiche. Tutto è permesso in nome dell’espressione del testo poetico. Certo, l’anima della musica greca rinasce in un ricettacolo sonoro che non ha più niente in comune con il suo analogo dell’antichità. Ma per quanto concerne gli affetti, il madrigale espressionista parla la stessa lingua del suo modello antico, quel greco che musica e matematica imparano nella loro comune infanzia pitagorica. Non ci è facile immaginare, oggi, fino a che punto il Rinascimento ha condotto questo parallelismo. Il suo denominatore comune è la teoria dell’armonia universale, vale a dire, l’idea di un rapporto di consonanza, d’affinità e convenientia, stabilito tra l’equilibrio dei quattro umori e la mixtion dell’acuto e del grave nel corpo della melodia. L’equazione è reciproca: il Rinascimento può percorrerla nei due diversi sensi, attribuendo le qualità dell’armonia musicale al temperamento e le qualità del temperamento all’armonia musicale. Così, per i teorici del contrappunto, sarà possibile incarnare gli affetti nella melodia grazie ad una scrittura musicale plasmata ad hoc, mentre i seguaci della medicina galenica potranno divertirsi a misurare le proporzioni musicali del temperamento. Ne deriva una concezione «elementare» per la quale il contrappunto è l’espressione dei quattro umori e al basso corrisponde la bile nera (melas kolé), al tenore il flegma, all’alto il sangue e al soprano il fuoco. Tutti i teorici concordano su questo punto, da Ficino a Galilei, passando per Zarlino, Glareano, Artusi e lo stesso Monteverdi. I modi della musica sono acuti o gravi, tristi o allegri e si definiscono tanti affetti quanti sono gli elementi della scrittura da combinare in un madrigale come gli ingredienti di una medicina: affetti moderati o estremi, semplici o misti, consonanti o dissonanti, acuti (furore, collera) o gravi e cupi (malinconia). Il vero genio consiste nell’arte del dosaggio e della selezione degli ingredienti da utilizzare, proprio come nell’arte della cucina. Che si tratti d’intervalli o di strutture sintattiche più complesse, l’affetto è determinato da un principio ancestrale che musica e medicina condividono dalla notte dei tempi: l’equilibrio delle forze in conflitto genera apatia, mentre eccesso o difetto un ventaglio d’affetti più o meno patogeni. Si potranno così definire, vaghi e leggiadri, gli intervalli prodotti dai rapporti complessi, come la terza e la sesta minore, mentre semitoni e quarte discendenti si tingono dell’inchiostro nero della malinconia. È questo che Vicentino cerca di farci capire: dopo la gioia, dolore e passioni mortifere comporteranno una deviazione melodica equivalente alle dissonanze prodotte nell’anima dall’eccesso di humor nero. Per dare «l’anima alle parole» il compositore dovrà creare un doppio musicale della puntuazione e dell’enfasi retorica del testo utilizzando cadenze più o meno «dissidenti» del punto di vista ma-
tematico rispetto al modo finale della composizione. Tutto il resto è un problema linguistico o poetico, secondo gli usi dei tempi. La parola è la «potenza razionale» della polifonia; la sua «corteccia» sonora ne è il «corpo». Sappiamo tutti, che l’harmonia, non può che deformarsi per rappresentare i concetti espressi dal testo. Ma, la questione che resta aperta e vibrante è in che misura e quanto e come la melodia incarna significato e senso? In che misura i segni – la scrittura musicale – comunicano con il loro contenuto intelleggibile? L’idea può essere un’immagine sonora? È nell’universo dei simboli che il Manierismo trova le sue risposte: l’idea da tenere a mente è che ogni senso universale espresso da una figura lo vela e, al tempo stesso, lo rivela. E così, si riduce spesso il Madrigale a un’illustrazione metaforica del testo, dove il segno si accorda alla sua essenza intelleggibile, la parola alla cosa rappresentata conformemente a quanto Platone insegna nel Cratilo. La figura del discorso è all’origine una sorta di rivestimento del pensiero che precede l’espressione (in greco, f, figura corporea), un’immagine a un tempo discorsiva e visiva; e l’immagine suono è un simbolo in movimento nel tempo, una figura mobile analoga ai movimenti dell’anima.
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ensemble daedalus — Fondato a Ginevra nel 1986 da roberto Festa, Daedalus – che riuniva al suo esordio artisti provenienti dal Centre de Musique Ancienne de Genève e dalla Schola Cantorum Basiliensis, – consacrava i suoi due primi anni di vita esclusivamente alla ricerca. I programmi che l’ensemble presentò nel 1988 al prestigioso Festival delle Fiandre (Bruge) e a Musica e Poesia a San Maurizio (Milano), costituiscono il risultato concreto di questo periodo di studi “matti e disperatissimi”. Il successo ottenuto a Bruge, aprì le porte a due delle più significative collaborazioni del percorso dell’insieme: Accent da una parte, la casa discografica che ha registrato 10 dei quasi 20 CD del gruppo e la RTB 3, la radio culturale belga, che ne ha cooprodotti quattro. Il Cantar moderno, primo CD dell’Ensemble, fu salutato con entusiasmo dalla critica, vincendo due ambiti premi discografici (Diapason d’Or – Coup de Cœur). Si intensificano da allora le collaborazioni con Festivals e Radio, che divengono partner puntuali delle produzioni discografiche di Daedalus (il Festival Laus Poliphonie di Antewerpen nel 1993 e nel 1996; il Festival di Beaune nel 1994 ; la Radio Suisse Romande–Espace 2 nel 1995 ; il Festival di Fontevraud nel 1997 e nel 1998, la Semaine de Musique Sacrée de Perpignan nel 2005 e nel 2007, Festivoce di Pigna nel 2004, il Festival de Musique du Haut-Jura nel 2008). La stampa specializzata premia quasi la totalità della produzione firmata da Daedalus. El Cancionero de Segovia riceve il premio Goldberg, le Canzoni villanesche alla napolitana il 10 di Répertoire; The two Souls of Salomon è, per le colonne del quotidiano “Le Monde,” uno dei migliori 10 CD del 1998... un CD fuori dai sentieri battuti. La musica è sconvolgente, l’impasto vocale assolutamente magnifico. E regna su questo disco un inenarrabile clima poetico…; “Saturne et la Polyphonie è definito in CD Compact/ Espagne come “uno dei migliori dischi di polifonia profana della storia del disco” e se ne aggiudica l’award e il premio Goldberg; Johannes Prioris e The Anatomy of Melancholy le ffff di Télérama et il premio di CD Compact/Espagne che sarà ancora attribuito a Delizie Napolitane. Oracula ottiene lo Choc de l’année du Monde de la Musique e Le Coup de Coeur de l’Académie Charles Cros e, per finire, Musa Latina vince il premio di Classic Voice ed è la Muse du Mois della rivista Muses Baroques. Le Università aprono le loro porte a Daedalus creando una fitta e densa rete di scambi che danno vita ad alcuni dei più profondi percorsi dell’ensemble: Le Génie Impatient – figures musicales de la mélancolie, in collaborazione con l’Universite e la Ville de Genève (1997); Saturno y la Polifonia con l’Univer-
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Nel 2003 l’ensemble è in residenza al Festival Estivoce (Pigna, Corse), dove Roberto Festa ne è il direttore artistico invitato. Nel 2008 si ripropone una analoga situazione per il Festival di Herne in Germania. Nel 2009 Daedalus tiene a battesimo il nuovo Festival napoletano «La Collina dei Poeti». La programmazione del festival è la prima opera «a quattro mani» che Federica Castaldo, direttrice del Centro di Musica Antica della Pietà dei Turchini, «compone» con Roberto Festa (l’esperienza si rinnova a Specchia dove nel 2011 danno vita al Festival Muse Salentine). Nel 2012, Daedalus è stato ensemble en résidence al Festival Laus Polyphoniae di Antwerpen (Belgio) e nel 2014, nuovamente in residenza a Pigna in Corsica per realizzare “Balliamo?”, avventura nel mondo della danza e della relazione musica ed etica. Si giunge così al 2016: trent’anni di Daedalus! Ci voleva un nuovo CD per festeggiare e così è stato registrato con «L’Autre Monde», la nuova etichetta discografica diretta da Jean-Paul Combet. Con il sostegno dell’Académie Bach d’Arques la Bataille è nato «A la Moresca», un programma festivo ed effervescente, gioioso e divertente. Per l’occasione si è unito a Daedalus Marco Beasly, vecchio amico ed artista il cui talento non ha bisogno di presentazioni. L’Ensemble Daedalus, diretto fin dalla fondazione da Roberto Festa, beneficia dell’assistenza di Brenno Boccadoro, docente di musicologia all’Università di Ginevra.
7. Gli interpreti
sité Catholique de Buenos Aires (1998) ; Musa Latina con l’Università d’Innsbruck (1999) e di Genève (2009); Oracula Sibyllina con l’Université deNantes nel 2002. Non mancano a Deadalus le occasioni di prodursi scenicamente: nel 1994, il gruppo realizza la rappresentazione integrale – prima mondiale – de La Purpura de la Rosa (Lima, 1701), composta da Tomás Torrejon y Velasco, prima opera scenica sud americana, in collaborazione con il Teatro Lirico della Città di Messina e il Teatro Comunale di Bologna (regia: Raul Ruiz). Per Bologna 2000, capitale europea della cultura, è la volta de L’ Aurora Ingannata di G. Giacobbi, opera realizzata col sostegno delle Feste Musicali Bolognesi e del Teatro Comunale di Bologna (regia: Adam Pollok). Nell’agosto del 2001, Daedalus ha rappresentato a Ginevra, nell’ambito del Festival Amadeus, La Favola di Orlando di Jacchetto de Berchem, la più antica partitura scenica della storia della musica (regia: Maurizio Maiorana). Nel maggio del 2011, il Ministero della Cultura francese ha prodotto una nuova versione della Favola di Orlando, presentata al Festival des Arts di Fontainebleau, con la regia di Toni Casalonga, uomo di teatro e direttore del Centre de la Voix di Pigna.
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Stabat Mater dolorosa (attr. Jacopone da Todi)
«Mio Dio, perché mi hai abbandonato?» E, reclinando il capo, emise lo spirito.”
Stabat Mater dolorosa Iusta Crucem lacrimosa Dum pendebat Filius.
Profetiae Sibyllarum Prologo Carmina Chromatico quae audis modulata tenore / Haec sunt illa quibus nostrae olim arcana salutis / Bis senae intrepido cecinerunt ore Sibyllae.
Cuius animam gementem contristantem et dolentem pertransivit gladius. O quam tristis et afflicta fuit illa benedicta Mater unigeniti. Quae merebat, et dolebat, et tremebat cum videbat nati penas incliti. Quis est homo qui non fleret Christi mortem si videret in tanto supliplicio ? Quis non posset contristari piam Matrem contemplari dolentem cum filio? La Madre addolorata stava ai piedi della Croce su cui pendeva il Figlio E il suo animo gemente contristato e dolente trafisse una spada. Oh, quanto triste e afflitta fu la Benedetta Madre dell’unigenito. E come si rattristava e doleva la pia Madre vedendo le pene dell’inclito Figlio. Chi non piangerebbe nel vedere la Madre di Cristo in un tale supplizio? Chi non si rattristerebbe nel contemplare la pia Madre dolente accanto al Figlio? Tenebrae factae sunt Tenebrae factae sunt Dum crucifixissent Jesu iudei. Et circa horam nonam Esclamavit Jesus voce magna: Deus meus, ut quid me dereliquisti? Et inclinato capite, Emisit spiritum. Le tenebre offuscarono il cielo mentre i Giudei crocifiggevano il Cristo. E verso l’ora nona Gesù esclamò a piena voce:
I canti che odi modulati da un tenore cromatico, sono quelli con i quali, un tempo, le dodici Sibille cantarono interpidamente i segreti della nostra salvezza. Sybilla Hellespontica Dum meditor quondam vidi decorare puellam Eximio, castam quod se servaret, honore, Munera digna suo, et divino numine visa, Quae sobolem multo pareret splendore micantem: Progenies summi speciosa et vera Tonantis, Pacifica mundum qui sub ditione gubernet. Mentre meditavo, vidi un giorno una giovane donna. Ornarsi di un onore inestimabile per come si manteneva casta; Dono e visione degni del suo spirito divino, Di colei che doveva generare il lucente Discendente del più luminoso fulgore: Discendente splendente e veritiero di un Dio immenso. Che, con la sua pacifica autorità, governrà il mondo. Sybilla Erythraea Cerno dei natum, qui se dimisit ab alto, Ultima felices referent cum tempora soles. Hebraea quem virgo feret de stirpe decora, In terris multum teneris passurus ab annis, Megnus erit tamen hic divino carmine vates, Virgine matre satus, prudenti pectore verax. Vedo il figlio di Dio che discese dal cielo, Quando soli felici ci condussero agli istanti fatali. Colui che una Vergine di stirpe ebraica porterà in grembo, In terra molto soffrirà dai suoi più teneri anni. Pertanto sarà un gran vate dal canto divino. Nato da una madre vergine, Lui veridico nella saggezza preveggente del suo cuore. Lectiones Sacrae Novem, ex libris Hiob Lectio Tertia (Job 10: 8 - 12) Manus tuae Domine fecerunt me, et plasmaverunt me totum in circuitu : et sic repente praecipitas me ? Memento, quaeso, quod sicut lutum feceris me, et in pulverem reduces me.
Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte: e ora vorresti distruggermi? Ricòrdati che come argilla mi hai plasmato; alla polvere vorresti farmi tornare? Non mi hai colato come latte e fatto cagliare come formaggio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, di ossa e di nervi mi hai intessuto. Vita e benevolenza tu mi hai concesso e la tua premura ha custodito il mio spirito. Lectio Quinta (Job 14: 1 - 6) Homo, natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis. Qui quasi flos egreditur et conteritur, et fugit velut umbra, et numquam in eodem statu permanet. Et dignum ducis super hujusquemodi aperire oculos tuos, et adducere eum tecum in judicium? Quis potest facere mundum de immundo conceptum semine? Nonne tu, qui solus es? Breves dies homines sunt, numeros mensium ejus apud te est: constituisti terminos ejus, qui praeteriri non poterunt. Recede ergo paululum ab eo, ut quiescat, donec optata veniat, et sicut mercenarii, dies ejus. L’uomo, nato da donna, ha vita breve e piena d’inquietudine; come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma. Tu, sopra di lui tieni aperti i tuoi occhi, e lo chiami a giudizio dinanzi a te? Chi può trarre il puro dall’immondo? Nessuno. Se i suoi giorni sono contati, il numero dei suoi mesi dipende da te, hai fissato un termine che non può oltrepassare. Distogli lo sguardo da lui perché trovi pace e compia, come un salariato, la sua giornata! Lectio Sexta (Job 14: 13 - 16) Quis mihi hoc tribuat, ut in inferno protegas me, et abscondas me, donec pertranseat furor tuus, et constituas mihi tempus in quo recorderis mei? Putasne, mortuus homo rursum vivat? Cunctis diebus quibus nunc milito, expecto donec veniat immutatio mea. Vocabis me, et ego respondebo tibi : operi manuum tuarum porriges dexteram. Tu quidem gressus meos dinumerasti, sed parce peccatis meis.
Oh, se tu volessi nascondermi nell’Inferno, occultarmi, finché sia passata la tua ira, fissarmi un termine e poi ricordarti di me! L’uomo che muore può forse rivivere? Aspetterei tutti i giorni del mio duro servizio, finché arrivi per me l’ora del cambio! Mi chiameresti e io risponderei, l’opera delle tue mani tu brameresti. Mentre ora tu conti i miei passi, non spieresti più il mio peccato.
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Lectio septima (Job 17: 1 - 3 et 11 - 15) Spiritus meus attenuabitur, dies mei breviabuntur, et solum mihi superest sepulcrum. Non peccavi, et in amaritudinibus moratur oculus meus. Libera me Domine, et pone me juxta te, et cujusvis manus pugnet contra me. Dies mei transierunt; cogitationes meae dissipatae sunt, torquentes cor meum. Noctem verterunt in diem, et rursum post tenebras spero lucem. Si sustinuero, infernus domus mea est, et in tenebris stravi lectulum meum. Putredini dixi: Pater meus es, mater mea, et soror mea, verminibus. Ubi est ergo nunc praestolatio mea, et patientiam meam? Tu es Domine Deus meus. Il mio respiro è affannoso, i miei giorni si spengono; non c’è che la tomba per me! Non sono con me i beffardi? Fra i loro insulti veglia il mio occhio. Poni, ti prego, la mia cauzione presso di te; chi altri, se no, mi stringerebbe la mano? I miei giorni sono passati, svaniti i miei progetti, i desideri del mio cuore. Essi cambiano la notte in giorno:” La luce – dicono – è più vicina delle tenebre”. Se posso sperare qualche cosa, il regno dei morti è la mia casa, nelle tenebre distendo il mio giaciglio. Al sepolcro io grido: «Padre mio sei tu!» e ai vermi: «Madre mia, sorella mia voi siete!». Dov’è, dunque, la mia speranza? Il mio bene chi lo vedrà? Lectio Octava (Job 19: 20 - 27) Pelli meae, consumptis carnibus, adhaesit os meum, et derelicta sunt tantummodo labia circa dentes meos. Miseremini mei, miseremini mei, saltem vos amici mei, quia manus Domini tetigit me. Quare persequimini me sicut Deus, et carnibus meis saturamini? Quis mihi tribuat ut scribantur sermones mei? Quis mihi det ut exarentur in libro stylo ferreo, et plumbi lamina, vel celte sculpantur in silice? Scio enim quod redemptor meus vivit, et in novissimo die de terra surrecturus sum: et rursum circumdabor pelle mea,
7. I testi
Nonne sicut lac mulsisti me, et sicut caseum me coagulasti ? Pelle et carnibus vestisti me: ossibus et nervis compegisti me. Vitam et misericordiam tribuisti mihi, et visitatio tua custodivit spiritum meum.
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et in carne mea videbo Deum Salvatorem meum. Quem visurus sum ego ipse, et oculi mei conspecturi sunt, et non alius: reposita est haec spes mea in sinu meo. Alla pelle si attaccano le mie ossa e non mi resta che la pelle dei miei denti. Pietà, pietà di me, almeno voi, amici miei, perché la mano di Dio mi ha percosso! Perché vi accanite contro di me, come Dio, e non siete mai sazi della mia carne? Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro. Languisco dentro di me. Lectio Nona (Job 10: 18 - 22) Quare de vulva eduxisti me? qui utinam consumptus essem, ne oculus me videret! Fuissem quasi non essem, de utero translatus ad tumulum. Numquid non paucitas dierum meorum finietur brevi? Dimitte me ergo, ut plangam paululum dolorem meum: antequam vadam, et non revertar, ad terram tenebrosam et opertam mortis caligine, terram miserae et tenebrarum, ubi umbra mortis, et nullus ordo, sed sempiternus horror inhabitat.
7. I testi
Perché tu mi hai tratto dall’utero materno? Sarei morto e nessun occhio mi avrebbe mai visto! Sarei come uno che non è mai esistito; dal ventre sarei stato portato alla tomba! Non sono poca cosa i miei giorni? Lasciami, che io possa respirare un poco prima che me ne vada, senza ritorno, verso la terra delle tenebre e dell’ombra di morte, terra di oscurità e di disordine, dove la luce è come le tenebre. Mercé, grido piangendo Mercé grido piangendo Ma chi m’ascolta? Ahi lasso,io io vengo meno; Morrò, dunque tacendo. Deh, per pietade almeno, Dolce del cor tesoro, Potessi dirti, pria ch’io mora: “Io mor-rò, io mor-rò!” L’amoroso veleno L’ amoroso veleno serpend’ oimé Già nel mio cor è corso.
Turba de la tua front’il bel sereno. Sol per te, veng’ io meno. Nè ti posso pregar d’ alcun ristoro; Sol per te moro. Ah non fuggir ch’io non ti chieggio aita, Vita della mia vita. Solo e pensoso Solo e pensoso i più deserti campi Vo misurando a passi tardi e lenti, E gli occhi porto per fuggire intenti Ove vestigio human l’arena stampi. Altro schermo non trovo che mi scampi Dal manifesto accorger delle genti, Perchè negl’atti d’allegrezza spenti Di fuor si legge come io dentro avampi: Sì ch’io mi credo homai che monti e piaggie Fiumi e selve sappian di che tempre Sia la mia vita, ch’è celata altrui. Ma pur sì aspre vie né sì selvaggie Cercar non so ch’Amor non vengha sempre Ragionando con meco, et io con lui. O Sonno O sonno, o della queta umida ombrosa Notte placido figlio, o dÈ mortali Egri conforto, oblio dolce dÈ mali Sì gravi ond’è la vita aspra e noiosa, Soccorri al cor omai, che langu’e posa Non have, e queste membra stanch’e frali Solleva. A me t’envola, o sonno, e l’ali Tue brune sovra me distendi e posa. Ov’ è’l silentio, chÈl dì fugge Èl lume, E i lievi sogni che con non sicure Vestigia di seguirti han per costume? Lasso, ch’in van ti chiamo, e queste oscur’ e Gelide ombre in van lusingo: o piume D’asprezza colme, o notti acerb’e dure. Sparge la morte Sparge la Morte al mio Signor nel viso, Tra squallidi pallori, pietosissimi orrori. Poi lo rimira, e ne divien pietosa. Geme e sospira e più ferir non osa. Ei che temerla mira, inclina il capo, Asconde il viso e spira. La mia doglia s’avanza La mia doglia s’avanza quanto più la speranza ohimè vien meno, il desio si rinfranca quand’ella manca. E nell’aspro martire il soverchio dolor non fa morirre.
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martedì 16 matera casa cava
8. una modernissima storia antica: tastiere, automi, automazione Athanasius Kircher (1602-1680)
Antidotum Tarantulae
Girolamo Fescobaldi (1583-1643)
Toccata seconda da Il secondo libro di toccate, canzone, versi d’hinni… correnti et altre partite... (Roma, 1627)
Giovanni Salvatore (1611-1688)
Toccata del primo tuono finto da Ricercari, a quattro voci, canzoni francesi, toccate… (Napoli, 1641)
Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Concerto in Fa maggiore BWV 978 (da A. Vivaldi op. 3 n. 3) Allegro - Largo e staccato - Allegro Cosimo Prontera clavicembalo e organo
Fryderyk Chopin (1810-1849)
Notturno in do diesis min.op. post.
Gioachino Rossini (1792-1868)
Petite Caprice style Offenbach
Claude Debussy (1862 -1918)
Poissons d’or (da Images II)
Alessandro Marangoni pianoforte Tommaso Colafiglio (1990)
Fantasia cromatica tra due Nuvole*
Costatino Temerario Che tu sia il veleno, che tu sia l'antidoto* (1990) *prima esecuzione assoluta, commissione del Festival Duni MaterElettrica Ensemble Gianpaolo Cassano, sintetizzatori Tommaso Colafiglio e Antonio Colangelo DAW e automazioni Fabrizio Festa, DAW e direzione
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Una modernissima storia antica: Tastiere, Automi, Automazione Fabrizio Festa Non è un concerto. Neppure una conferenza. Piuttosto vorremmo raccontare una storia. Forse un apologo. In fondo questa storia ha una sua morale: cioè, che agli uomini piace raccontarsela un po’ come gli fa più comodo. Ad esempio, ci siamo inventati l’idea (e l’ideale) del progresso. Quello con la “P” maiuscola (che fa anche pubblicità). E con quella ci siamo baloccati fino a ieri (qualcuno ancora ci si diverte). Poi, ci siamo detti che questi sono gli anni della grande rivoluzione informatica: realtà aumentata (che mai s’intenderà?), intelligenza artificiale, automazione e robotica, tutti segni di quell’ineluttabile progresso, che ci spingerebbe futuristicamente verso l’era meravigliosa in cui lavoreranno solo le macchine. Prima o poi: la Macchina. Che la Storia – quella con la “S” maiuscola – insegni tutt’altro evidentemente poco importa ai più. A noi, invece, interessa molto. La Storia ci racconta che delle macchine l’uomo se n’è sempre servito. Gli strumenti musicali sono macchine, esempi eccellenti di mirabile perfezione. Macchine meccaniche; macchine elettroacustiche; macchine elettroniche. Quel che cambia è il modo in cui viene impiegata l’energia. Energia che è informazione, e l’informatica non è che una delle variazioni su un tema antico: quello del trattamento automatico dell’informazione. Nel caso delle tastiere, poi, la vicenda ha un corollario emozionante. La tastiera di un organo, di un pianoforte, di un clavicembalo, di un sintetizzatore, persino quella che troviamo effigiata sullo schermo del nostro iPad, cioè l’alternarsi dei dodici tasti bianchi e neri (sette bianchi, cinque neri, combinazione numerologica ricchissima di suggestioni), è insieme: una mappa, una bussola, un regolo calcolatore, uno strumento di misurazione. Ogniqualvolta suoniamo una tastiera è come se sfogliassimo un atlante, osservassimo una carta del cielo, ci dedicassimo alla geometria, misurassimo le varie componenti di un fenomeno dinamico. Che la principale tastiera si chiami “organo” non è un caso. Organon in greco antico è sostantivo affine a ergon, ovvero al compiere un’opera, allo svolgere un lavoro, affine perciò al dominio del sostantivo energia. Con Organon s’intende pure metodo: un metodo organizzato logicamente, quindi generalissimo, coerente, ed efficace proprio nel suo compiersi. Un realizzarsi, che non si riduce alla semplice azione manuale, ma che è frutto di una teoria e magari ne produce un’altra. L’organo è una visione del mondo, così come lo sono i nostri organi di senso, e quelli che abbiamo creato per dar metodo e organizzazione alla vita civile e politica: gli organi istituzionali, quelli ad esempio previsti dalla nostra Carta Costituzionale. E nella vita quotidiana giocano un ruolo centrale, ad esempio, gli organi di stampa, e via di questo passo. Insomma, è davvero facile, osservando in trasparenza i tasti bianchi e neri (per non parlare di canne e di corde), cominciare a sprofondare in un universo di relazioni, che sta tra il labirinto e il cosmo. Una vera e propria vertigine, che va al di là di quella della già vertiginosa della lista. La Storia delle tastiere è quindi la Storia. Non potendola raccontare tutta, abbiamo fissato alcune tappe e nel raggiungerle magari scaveremo, o saliremo, o gireremo intorno. La morale? Tornate all’antico, e sarà un progresso (citando impropriamente Verdi)? No, ovviamente no. Ecco il nostro suggerimento: guardarci attorno va bene, guardare dentro è meglio. Tutto qui.
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materelettrica è un team nato all’interno della Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio Egidio Romulado Duni di Matera. Il team si dedica parimenti alla ricerca in ambito elettroacustico, alla performance, e al design (Music e Sound Design) nei diversi settori legati alla produzione artistica e all’applicativo sonoro industriale. La diversificazione delle attività ha permesso a MaterElettrica di sviluppare da un lato un’articolata attività in settori che vanno del Music Design alla sonorizzazione performativa alla progettazione e realizzazione d’installazioni multimediali, dall’altro nel contesto della programmazione ed elaborazione di soluzioni digitali per le diverse esigenze, sia artistiche sia applicative, legate alla composizione musicale ed alla sonorizzazione. MaterElettrica, dunque, è attiva tanto come ensemble (ed è già stata ospite d’importanti festival e teatri), tanto come team di produzione e ricerca in un fecondo intersecarsi tra arte e tecnologia. MaterElettrica ha collaborato e collabora con: 1) nell’ambito delle produzioni visive e audiovisive: DAR – Dipartimento delle Arti Università di Bologna, D.E.R. (Documentaristi dell’Emilia Romagna), Saul Saguatti/Basmati, Elisa Mereghetti/Ethnos Produzioni, Sonne Film, EffeNove Produzioni, Luca Centola, Luca Acito, Studio Antani, VisitMatera; 2) nell’ambito delle realizzazioni installative e performative: Gallerie Estensi – Pinacoteca Nazionale di Ferrara, MUSMA Museo della Scultura Contemporanea di Matera, DAR – Dipartimento delle Arti Università di Bologna, Mysterium Festival Taranto, Associazione La Scaletta - Matera, Associazione Al Jalil, Yoga Fest Matera; 3) nell’ambito della progettazione e realizzazione performativa: Teatro Comunale di Modena, Lugo Opera Festival, Concorso Internazionale di Composizione «2 Agosto», Festival SpazioMusica Cagliari, Festival Pergolesi Spontini Jesi, Cantiere Internazionale D’Arte di Montepulciano, RAI Radio 3 - MateRadio, Fondazione Matera Basilicata 2019, Polo Museale della Basilicata, Rupexetre Matera, MA/IN Festival Matera, Metropolis Festival, Bari In Jazz, N’Grave Festival; 4) nell’ambito della progettazione e realizzazione di software e applicazioni: SisinfLab – Politecnico di Bari, Associazione Minerva Scienza Gallerie Estensi – Pinacoteca Nazionale di Ferrara, MUSMA Museo della Scultura Contemporanea di Matera. Link: www.materelettrica.it www.facebook.com/MaterElettrica, soundcloud.com/materelettrica www.youtube.com/channel/UC1iyUApYM3oWh8NuqiDqjYA https://twitter.com/MaterEletterica https://itunes.apple.com/it/app/musmapp/id705355848?mt=8 cosimo prontera — Si diploma in Organo e Composizione Organistica e Clavicembalo. Perfeziona gli studi con Toon Koopman, Wolfang Zerer, Eduard Koiman, e in basso continuo e musica da camera con Jesper Boy Cristensen, Guido Morini ed Enrico Gatti. Approfondisce gli studi repertorio napoletano con del Sei e Settecento con Antonio Florio. Per la Casa Editrice “IL Melograno” di Roma nel 2003 pubblica la prima edizione scientifica de “Le Composizioni per Tastiera” di Leonardo Leo; dello stesso è in fase di ultimazione il secondo tomo I Partimenti e I Concerti per violoncello. Di lui hanno espresso parole di elogio diverse testate giornalistiche tra cui: Il Giornale della Musica, Rai 3, l’Espresso, Il Corriere del Giorno, La Gazzetta del Mezzogiorno, La Repubblica, Avvenire, il Mattino Il Giornale della Musica, il Corriere della
alessandro marangoni si è affermato sulla scena internazionale grazie ad una significativa attività concertistica e discografica come solista e un’altrettanto intensa attività cameristica con artisti quali Mario Ancillotti, Marco Berrini, Giuseppina Bridelli, Maddalena Crippa, Enrico Dindo, Laura Giordano, Alessandro Luciano, Lilly Jorstad, Francesco Manara, Massimo Quarta, Gabriele Mirabassi, Oleksander Semchuck, Paola Pitagora, Quirino Principe, Bruno Taddia, Milena Vukotic, il Quartetto di Fiesole e il Nuovo Quartetto Italiano. Nato nel 1979, si è diplomato in pianoforte con lode e menzione con Marco Vincenzi presso il Conservatorio di Alessandria e perfezionato con Maria Tipo alla Scuola di Musica di Fiesole. Contemporaneamente si è laureato in Filosofia presso l’Università di Pavia (con una tesi sulla filosofia della musica di Fernando Liuzzi), alunno di merito dell’Almo Collegio Borromeo. Ha debuttato nel dicembre 2007 con un recital al Teatro alla Scala di Milano, in un omaggio a Victor de Sabata nel 40o anniversario della morte, insieme a Daniel Barenboim. Ha suonato nelle principali sale italiane e in Gran Bretagna, Svizzera, Germania, Austria, Francia, Svezia, Finlandia, Argentina, Cile, Colombia, Cina e Stati Uniti. Ha debuttato con successo in Spagna con l’Orchestra Filarmonica di Malaga e a Bratislava con l’Orchestra Filarmonica Slovacca, sotto la direzione di Aldo Ceccato; ha inoltre suonato come direttore e solista con l’Orchestra “I Pomeriggi Musicali” di Milano, registrando
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8. Gli interpreti
Sera, Il Messaggero, Avvenire, Il Secolo XIX, Il Mattino, Amadeus, L’Opera International de Paris, CD Classica, Musica, Contrappunti, L’Opera, Strumenti e Musica, Sipario. È titolare della cattedra di Organo e Composizione Organistica presso il Conservatorio Gesualdo da Venosa di Potenza e nello stesso Conservatorio è docente di pratica del basso continuo e organo antico nell’ambito del biennio di specialistico. Inoltre è docente di organo alla Notre Dame University di Beirut. È il fondatore ed il direttore artistico e musicale dell’Orchestra barocca La Confraternita dè Musici, orchestra con strumenti originali che dal suo nascere ha ricevuto lusinghieri consensi di pubblico e critica registrando per Rai1, Rai3, Radio Rai 3, Radio Vaticana, BBC radio, Radio Tallin. Ha inciso per Tactus e Bongiovanni. All’attività concertistica e didattica affianca quella della ricerca musicologia indagando in quell’immenso serbatoio di musicisti che diedero vita a quella che verrà denominata “scuola napoletana” tra il XVII e XVIII sec. ed in particolare al più grande musicista che la sua terra abbia avuto, Leonardo Leo. È stato ospite alla Musikwissenschaftliches Institut di Basilea e alla Haendel House di Londra. È sua la direzione del LHO project (Lucania Historical pipeOrgan) progetto in itinere che redigerà un’anagrafe scientifica di tutti gli organi storici della Basilicata. Oltre ad aver suonato in molte stagioni concertistiche e festivals prestigiosi in Italia, tra cui la Cappella Paolina al Quirinale, ed all’estero, si è esibito in medioriente con la Lebanon National Simphony Orchestra e ad Amman al Mose Memorial.
8. Gli interpreti
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per importanti emittenti come RAI, BBC e Radio Nacional de Espana. Ha instaurato un sodalizio artistico con l’attrice Valentina Cortese con la quale ha tenuto a Milano uno spettacolo con la regia di Filippo Crivelli e inaugurato il Teatro Massimo di Cagliari. Con Quirino Principe ha fondato il duo “Alessandro Quirini e Quirino Alessandri”, ideando spettacoli monografici su Rossini, Chopin e altri grandi autori. È il primo musicista italiano ad esibirsi anche nel mondo virtuale di Second Life, eseguendo più di cento concerti. Con l’Ensemble Nuovo Contrappunto ha eseguito in prima italiana il Concerto n. 4 di Beethoven nella versione cameristica dello stesso autore. Per la prima volta nella discografia, Marangoni ha inciso l’integrale completa dei Peccati di vecchiaia di Rossini (13 CD), riscoprendo 20 inediti. Ha inoltre inciso l’integrale del Gradus ad Parnassum di Clementi, dei Concerti per pianoforte e orchestra di Castelnuovo-Tedesco con la Malmö Symphony Orchestra (col quale ha ottenuto la nomination agli ICMA), l’integrale per violoncello e pianoforte dell’autore in duo con Enrico Dindo e la Via Crucis di Liszt (con Ars Cantica Choir), tutti per Naxos. Alessandro Marangoni ha inoltre riscoperto la produzione pianistica di Victor de Sabata, che ha registrato per La Bottega Discantica, incidendo un disco dedicato a Nino Rota e uno a Bohuslav Martinu per Stradivarius. Collabora con il jazzista e compositore Sandro Cerino, col quale ha registrato il CD (s)Confini per Egea. Ha vinto il prestigioso Premio Internazionale “Amici di Milano” per la Musica. È docente al Conservatorio di Matera e tiene regolarmente masterclasses in Europa, Sud America e Cina. Insieme al regista Pierpaolo Venier è ideatore del Chromoconcerto ed è direttore artistico di Forte Fortissimo TV, una innovativa webtv impegnata nel divulgare la “Musica Forte” e la campagna “La musica contro il lavoro minorile” pensata da Claudio Abbado con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ONU).
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venerdì 19 matera chiesa madonna delle virtù
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mater gaudiosa Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736)
da Salve Regina: “Salve Regina”,” Ad Te Clamamus”,” O Virgo Maria”
Antonio Vivaldi (1678-1741)
da Gloria: “Domine Deus”
Georg Friedrich Händel (1685-1759)
da Messiah: “Rejoice Greatly”
Fabrizio Festa (1960)
Stabat Mater Speciosa*
Gianpaolo Cassano (1993)
Ave Verum**
Tommaso Colafiglio (1997)
Stabat Mater Speciosa**
Fabrizio Festa Mater Mitis** (1960) Elaborazioni musicali elettroniche di Gianpaolo Cassano, Tommaso Colafiglio, Antonio Colangelo e Fabrizio Festa Giuseppe Ranoia voce recitante Anna Maria Sarra soprano MaterElettrica Ensemble Gianpaolo Cassano, sintetizzatori Tommaso Colafiglio, DAW e automazioni Fabrizio Festa, Sintetizzatori e direzione Elaborazione Video e Regia Audio-Video Antonio Colangelo In collaborazione con IAC - Centro Arti Integrate - Matera *commissione del Festival Pergolesi Pergolesi Spontini di Jesi **prima esecuzione assoluta, commissione del Festival Duni
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Mater Speciosa Fabrizio Festa «Stabat Mater Speciosa/Iuxta Foenum Gaudiosa/Dum Iacebat Parvulus». Così comincia la lauda – il titolo sta nel primo verso, Stabat Mater Speciosa –, nella quale Jacopone da Todi (il testo a lui è attribuito), canta la gioia della Madonna dopo il parto, mirando il neonato. Speciosa: bella, come la disse il Petrarca, splendida, meravigliosa, e bella nell’aspetto, come ci s’immagina una madre felice. «Cuius Animam Gaudentem/Laetabundam et Ferventem/Pertransivit Jubilus./O Quam Laeta et Beata/Fuit Illa Immaculata/Mater Unigeniti!», il testo così prosegue anticipando già nelle parole e nelle rime il momento in cui la Madonna sarà, invece, sotto la croce a raccogliere il corpo del figlio ormai esanime. L’inno insiste sul tema della gioia e della felicità materna restituendoci un’immagine, quella di Maria madre felice, cara alla poesia e all’iconografia tra Trecento e Cinquecento, basti qui pensare alle commoventi rappresentazioni della cosiddetta Madonna del Latte, che però in musica ha avuto scarsa accoglienza, e col trascorrere dei secoli, per ragioni che non possiamo qui indagare, è andata vieppiù inombrandosi, lasciando spazio da un lato a quella della Vergine Assunta, dall’altro, a quella della Madonna dolente «Iuxta Crucem Lacrimósa». Eppure la felicità di Maria cantata da Jacopone è la medesima cui si sono appellati, tra i tanti, Dante e appunto Petrarca – Vergine Bella – mostrandoci un’immagine della maternità che, al di là dei complessi e profondi richiami filosofici e politici, è testimonianza di una gioia imperitura, che supera persino la tragedia della crocifissione. D’altronde, proprio Dante non lascia spazio a dubbi. Eccolo asserire «tu se’ colei che l’umana natura/nobilitasti sì, che ‘l suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura». E prosegue con un’immagine talmente piena di affetto, che tutt’oggi stupisce e abbaglia: «Nel ventre tuo si raccese l’amore, /per lo cui caldo ne l’etterna pace/ così è germinato questo fiore». È una maternità affatto umana, focalizzata sull’amore. È nel ventre di una donna che germina – per lo cui caldo – il fiore divino. E sarà, dunque, una donna – Vergine humana, et nemica d’orgoglio – a gioire dopo il parto in quella maniera speciale, che l’immagine di una mater speciosa et gaudiosa lascia spontaneamente intuire. Gaudiosa vicino al fieno, che ha accolto il corpo del bambino appena nato. Capanna, grotta, caverna; bue, asinello; giaciglio, fieno. Madre. E presto costretta alla fuga. Non dimentichiamolo. Un padre, una madre, un neonato, che fuggono attraverso il deserto: l’immagine oggi assume una familiarità sconcertante. Capanna, grotta, caverna; bue, asinello; giaciglio, fieno. Madre. Parole che non hanno bisogno di spiegazioni. Ci siamo, per così dire, dentro. Guardatevi attorno. La felicità e la bellezza, del resto, sono quelle che uniscono anima e corpo: «… pur a quel ricordo, che d’un fante/ che bagni ancor la lingua a la mammella». Nell’aggettivo speciosa sta il senso di questa unione, poi riverberato dal successivo gaudiosa. È bella in ciò che appare e in ciò che non appare, in ciò che si vede e in ciò che non si vede: «Vergine Bella, che di sol vestita,/ coronata di stelle, al sommo Sole / piacesti sì, che ‘n te Sua luce ascose». Ed ecco nuovamente l’amore: «Amor mi spinge a dir di te parole», «L’amor che move il sole e l’altre stelle».
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9. Gli interpreti
annamaria sarra — Si diploma in canto con il massimo dei voti, lode e menzione d’onore al Conservatorio di musica Duni di Matera. Si perfeziona in seguito presso la Scuola dell’Opera Italiana di Bologna, con Renata Scotto e Anna Vandi presso l’Accademia di Santa Cecilia (Roma) e l’Accademia Rossiniana a Pesaro sotto la guida di Alberto Zedda. Ha inoltre seguito master di perfezionamento con Mariella Devia, Claudio Desderi, Raul Gimenez, Bruno Bartoletti, Francisco Araiza. È vincitrice del Concorso Internazionale Franco Alfano (Sanremo), del Concorso Fedora Barbieri (Viterbo), dell’ International Singing Competition for Baroque Opera Pietro Antonio Cesti (Innsbruck) ed è finalista nel Concorso Maria Caniglia di Sulmona. È stata componente dello Jugens Ensemble del Theater an der Wien per la stagione 2012/ 2013, e a Vienna ha cantato: Fanny ne La Cambiale di Matrimonio, Cerere ne Le Nozze di Teti e Peleo di Gioachino Rossini, Musetta ne La Bohème di Giacomo Puccini, Dorinda nell’ Orlando di G.F. Händel ed è stata soprano solista nella Messa in si minore di Bach. Oltre a Vienna, tra gli impegni delle scorse stagioni ricordiamo: Berenice ne L’occasione fa il Ladro di Rossini al Teatro dell’Opera Giocosa di Savona e al Teatro São Carlos di Lisbona; presso il Teatro Comunale di Bologna è stata Elvira ne L’Italiana in Algeri, solista nello Stabat Mater, nel Salve Regina di Giovan Battista Pergolesi e nella Matthäus Passion di J.S. Bach; soprano nell’Elias di Felix Mendelssohn presso il Teatro Filarmonico di Verona; Elena e Anaide ne Il Cappello di paglia di Firenze presso i teatri del Circuito Lirico Lombardo (As.Li.Co), il Teatro Sociale di Rovigo, il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona e il Maggio Musicale Fiorentino; Drusilla ne L’incoronazione di Poppea nell’ambito dell’Innsbrucker Festwochen der Alten Musik ad Innsbruck; Giulia ne La Scala di seta di Rossini al Festival di Aix-en-Provence; Margret nel Feuersnot di Richard Strauss presso il Teatro Massimo di Palermo dove è successivamente tornata per interpretare Zerlina nel Don Giovanni. Anna Maria Sarra ha collaborato con direttori quali: Stefano Ranzani, Claudio Scimone, Michele Mariotti, Gabriele Ferro, Jean-Christophe Spinosi, Jonathan Webb, Ottavio Dantone e registi come Filippo Crivelli, Moshe Leiser, Patrice Caurier, Damiano Michieletto, Henning Brockhaus ed Emma Dante. Recentemente ha interpretato Adina nel L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti al Teatro Carlo Felice di Genova; ha inoltre debuttato al Teatro La Fenice cantando Les quatre chansons Francaises di Benjamin Britten, e successivamente Pamina nel Die Zauberflöte di W.A. Mozart; al Teatro Massimo di Palermo ha cantato Coraline ne Le Toreador di Adolphe Adam e Oscar in Un ballo in Maschera. È stata Musetta ne La Bohème al Teatro San Carlo di Napoli e al Teatro Municipal de Sao Paulo e Valencienne ne La Vedova Allegra. Debutta a Toulon ne L’opera da tre soldi di Kurt Weill e in Carmen al Teatro Regio di Torino, sono quindi seguiti A midsummer night’s dream di Britten nei teatri di Cremona, Como, Pavia, Brescia, Reggio Emilia; Oscar in Un ballo in maschera all’Opera di Toulon; Musica Euridice ne L’Orfeo di Monteverdi a Cremona (sotto la direzione di Ottavio Dantone); L’Elisir d’amore a Firenze; La Bohéme a Fouzhou in Cina, Frà Diavolo di Auber al Teatro dell’Opera di Roma e al Massimo di Palermo; Guillaume Tell e il debutto del ruolo di Norina nel Don Pasquale a Palermo. Torna al Teatro San Carlo con Il Cappello di paglia di Firenze. I prossimi impegni prevedono: Gala Rossiniano a Savonlinna ed Helsinki; Rinaldo (ruolo di Armida) a Cremona e in tour in Italia con la direzione di Ottavio Dantone e l’Accademia Bizantina, il Requiem di Mozart a Toulon e Un ballo in maschera al Teatro San Carlo.
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domenica 21 matera san pietro barisano
10.
virtuoso
Arie e musiche del pieno Settecento Antonio Vivaldi (1678-1741)
In Furore Iustissimae Irae, RV 626
Domenico Scarlatti (1685-1757)
Sinfonia in Do Maggiore n.7 (Ms. F-Pn)
Egidio Romualdo Duni Che funesto tormento (Madama Semplicina) (1708-1775) aria dall’opera-comica l’Isola de Pazzi, atto II, sc.1 Georg Friedrich Händel Dear Adonis, Beauty’s treasure (1685-1759) dalla Cantata Venus and Adonis, HWV 85 Georg Friedrich Händel Sdegno Amore (Arianna) aria dall’Arianna in Creta HWV 32, atto I, 12 Francesco Durante (1684-1755)
Concerto in La Magg. N.5 per archi & b.c
Antonio Vivaldi
Sinfonia in Do Magg. per archi e b.c, RV 114
Antonio Vivaldi
Laudate Pueri Dominum [salmo 112], RV 600 Gemma Bertagnolli soprano Federico Guglielmo primo violino
Ensemble del Centro di musica antica e contemporanea coordinamento artistico Piero Massa Claudio Carmelo Andriani violino II Piero Massa viola Francesco Galligioni violoncello Roberto Stilo contrabbasso Luca Tarantino tiorba Andrea Perugi clavicembalo
Elogio del virtuoso nel primo Settecento, tra musica sacra e teatro d’opera Giuseppina Crescenzo
Tra il Seicento e il Settecento diverse tipologie di musicisti si fregiavano del termine di “virtuoso”, come testimonia, nel caso di un compositore oggi quasi sconosciuto ma allora rinomato, il Diario Ordinario di Roma: “Fuvvi l’intervento dell’E.mo Guadagni Protettore, di molti prelati, e altra scelta numerosa udienza. Furono sommamente applauditi i Componimenti tanto Latini, quanto Toscani, […] come anche fu sentita con tanto piacere una vaghissima Cantata posta in musica dal Sig. Felice Doria, Virtuoso di Sua Altezza Reale il Sign. Cardinale Duca di York”. Il Dictionnaire di Brossard (1703), scrivendo in Francia in un periodo in cui infuriava la discussione sulla musica e i musicisti italiani, derivava la parola “virtuoso” dal latino “virtus”, sottolineando che il vero virtuoso era un musicista di doti eccezionali. In campo operistico invece il termine “virtuoso” (o “virtuosa”) si riferiva in genere ai cantanti protagonisti, castrato o soprano, mentre nella musica strumentale era in genere il violinista o altro solista. Il contesto in cui ci porta il concerto odierno è quello dell’artista come virtuoso cantante o virtuoso violinista sia del repertorio sacro (mottetti e salmi), sia di quello profano (arie e cantate) che sinfonico. Ognuno dei generi praticati dal “virtuoso” – il mottetto da Chiesa, l’aria d’opera teatrale e la cantata da camera – presenta una struttura simile, ternaria, costituita da un’alternanza di recitativi su basso continuo e arie col da capo. Il “virtuoso” eseguiva le arie evidenziando le proprie abilità tecniche nell’improvvisazione sulle cadenze, negli abbellimenti e nella ripresa della sezione espositiva del Da Capo. Ciò che importava era attrarre l’attenzione del pubblico sulle sue acrobazie esecutive. Non di rado avveniva anche il fenomeno della Kontrafaktur, laddove una stessa musica poteva essere prima utilizzata in ambito sacro e poi profano o viceversa, cambiando solo il testo. È questo un caso frequente in Vivaldi, il quale ricicla la stessa melodia sacra dell’Eja voces plausum date (Aria de Sanctis Rv 647) nell’aria “Benchè nasconda la serpe in seno” dall’opera Orlando. Anche i teorici dell’epoca sottolinearono quest’uso, parlando del mottetto in questi termini: “il Mottetto è quel pezzo di musica a voce sola istrumentato, il quale nelle Chiese si canta prima del Gloria in Excelsis. Come poi questa composizione abbia luogo, io non comprendo: sembra piuttosto un’aria teatrale, e la credo introdotta da qualche cantante per far sentire la sua voce per dilettare gli astanti, e per suo vantaggio” (Pietro Gianelli, Dizionario della musica sacra, e profana […] Venezia 1801); “Mottetto è un pezzo di musica composta sopra un testo, tratto dalla Sacra Scrittura, de’ Salmi ec. […]; tali erano gli antichi Mottetti. Nel secolo passato essi furono appositamente composti in versi grossolanamente latini sopra qualunque soggetto sacro, con Recitativi, Cavatine ed Arie, in
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rima, e messi in musica a guisa di composizioni teatrali. Al dì d’oggi si cantano anche in lingua italiana con tutti i caratteri della musica teatrale, con Cabalette, Cori, ecc., fra il sagrifizio della Messa, e per lo più dopo il Kirye, o dopo l’Epistola” (Pietro Lichtenthal, Dizionario e bibliografia della musica, 4 Vol., Milano 1826). E poiché abbiamo citato Vivaldi, noteremo che il programma di questo concerto apre e chiude con sue composizioni. Il celebre “Prete rosso” è naturalmente collegato alla sua lunga attività anche didattica presso l’Ospedale della Pietà a Venezia. Tuttavia è forse curioso ricordare per un concerto a Matera che solo da pochi anni si è scoperto un legame di Vivaldi proprio con il territorio di questa città lucana, attraverso la madre Camilla Calicchio, figlia di un sarto nato a Pomarico (Matera) e trasferitosi nel Veneto. Vivaldi operò a Venezia nell’orfanotrofio femminile della Pietà dai primi anni del Settecento fino al 1740 circa ma è difficile definire l’anno di composizione del mottetto In furore iustissimae irae per soprano, archi e basso continuo. Nella monografia Per la Gloria di Dio, Solistische Kirchenmusik an den venezianischen Ospedali im 18. Jahrhundert (Bonn 1998), Berthold Over indica che verso la fine della sua vita (1738) Vivaldi abbia composto alcuni mottetti a voce sola. Le circostanze di esecuzione dei mottetti erano molteplici: durante la Messa (all’offertorio e alla comunione), all’inizio della funzione vespertina e durante alcune funzioni mobili dell’anno, per cui è possibile che Vivaldi nello stesso anno avesse composto dodici mottetti. Il mottetto, nel corso dei secoli, ha subito diverse variazioni di prassi esecutive ma nel Settecento è prevalentemente un genere a voce sola e accompagnamento strumentale. La struttura del mottetto veneziano è già ben definita in questo periodo, tanto che Johann Joachim Quantz nel suo trattato Versuch einer Anweisung die Flöte traversiere zu spielen, così lo descrive: “In Italia attualmente questo termine si applica a una cantata sacra per solista, in latino, comprendente due arie e due recitativi, conclusi da un Alleluja, e interpretata da uno dei migliori cantanti, durante la messa, dopo il Credo”. Il mottetto vivaldiano mantiene la stessa struttura ma manca del recitativo iniziale; apre quindi con un’aria in Allegro, a cui seguiva un recitativo secco, ancora un’aria in Largo e conclude con l’Allegro dell’Alleluia. Anche il salmo in programma Laudate pueri Dominum in sol maggiore Rv 601 chiude con un Alleluia. La nostra composizione è secondo Michael Talbot, che ne ha curato l’edizione critica, “la più grande partitura virtuosistica per soprano che Vivaldi abbia mai scritto”, il cui stile melodrammatico si avvicina a quello della scuola napoletana e le cui colorature raggiungono la summa virtuosistica nel finale con l’Alleluia. Una struttura simile alle composizioni sacre che abbiamo descritto, la ritroviamo nella cantata di Händel Venus and Adonis (HWV 85) per soprano, oboe e basso continuo composta a Londra dal compositore probabilmente nel 1711. Ma un alone di mistero avvolge questa cantata, apparsa postuma nell’edizione del 1735 di una raccolta di poesie del poeta inglese John Hughes con il titolo “Venus und Adonis, A Cantata set by Mr. Handel”. Si tratta proba-
bilmente del primo esercizio in assoluto del compositore in un testo in lingua inglese. Di argomento mitologico, la cantata riflette i canoni della cantata da camera italiana, sulla quale negli ultimi trent’anni la musicologia si è ampiamente soffermata. Secondo Markus Engelhardt, la cantata da camera è, insieme all’opera, un genere musicale privilegiato nel quale la civiltà aristocratica barocca meglio si rispecchiava esteriormente, rappresentativamente e idealmente. Si diffuse prevalentemente nei palazzi delle famiglie aristocratiche romane, le quali non potevano sottrarsi al patrocinio di attività musicali per affermare il proprio rango. E anche il nostro Georg Friedrich potè godere della protezione dei cardinali Benedetto Pamphilj e Pietro Ottoboni e del principe Francesco Maria Ruspoli, suo protettore principale durante gli anni di Roma (1706-1709) per il quale compose numerose cantate. Händel a Roma era ritenuto doppiamente ‘virtuoso’: come inarrivabile suonatore di organo ma anche come prolifico compositore di cantate: ne scrisse oltre cento. ‘Virtuosa’ divenne anche la sua tecnica compositiva operistica italiana, tanto che quando si trasferì a Londra, riuscì ad imporre non solo l’opera italiana al Queen’s Theatre a Haymarket attraverso il successo del Rinaldo nel 1711, ma anche il virtuoso Nicolini, pur avendo fino ad allora gli inglesi avversato i castrati. Da quel momento a Londra Händel avviò una lunga carriera come compositore, direttore e impresario teatrale del King’s Theatre, presso il quale venivano eseguite opere italiane e dove fu eseguita anche la prima della sua Arianna in Creta nel 1734, composta per la voce del soprano Anna Maria Strada del Po’, storica interprete e “prima donna” della seconda Academy di Händel. Di lei Charles Burney scrisse che “il suo fascino personale non l’aiutò molto ad accattivarsi le simpatie o a mettere l’occhio in condizione di aumentare i piaceri dell’orecchio” ma per la Strada, Händel scrisse circa dieci ruoli e dichiarò di preferirla alla Faustina Bordoni, per la quale aveva composto passaggi di coloratura molto complessi e pieni d’inventiva. Il Mezzosoprano Bordoni, moglie del compositore Hasse, era a sua volta considerata la migliore virtuosa dello “stile brillante”, poiché era dotata di una straordinaria agilità nell’esecuzioni di vocalizzi e trilli: una vera star dell’epoca al pari dell’idolatrato castrato contralto Giovanni Carestini, “virtuoso da camera” del duca di Parma che, sempre in Arianna in Creta, rivestiva il ruolo di Teseo. È ancora Burney ad informarci che Carestini “dimostrava una grande agilità nell’esecuzione di difficili gorgheggi di petto con uno stile articolato ed ammirevole”. Coetaneo di Händel fu Domenico Scarlatti: entrambi nacquero nel 1685 ai due poli dell’Europa, il primo reputato tra i massimi virtuosi di organo, l’altro di clavicembalo (come riportato dagli aneddoti sulle loro “sfide” musicali). A differenza del padre Alessandro, che era stato il più internazionale degli operisti italiani della sua generazione, influenzando le scelte dello stesso Händel, Domenico, dopo un precoce esordio operistico a 17 anni a Napoli e a Roma al servizio della Regina Maria Casimira di Polonia, si dedicò per gran parte della sua vita quasi esclusivamente alla musica per tastiera. Solo in anni relativamente recenti è stato trovato un manoscritto nella Bibliothèque Nationale de France a Parigi che contiene ben diciassette Sinfonie di Domenico. Ma si tratta probabilmente, come osserva Dinko Fabris, di una
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raccolta di Sinfonie “avanti l’opera” ossia ouverture utilizzate prima dell’inizio del melodramma. Tra le sedici di sua sicura paternità, nel manoscritto ve ne sono tre corrispondenti alle sue opere sopravvissute: Tolomeo ed Alessandro, da Tetide in Sciro e da Amor d’un ombra ovvero il Narciso. É dunque probabile che anche le altre Sinfonie - compresa la non attribuita Sinfonia in Do numero 7 nel manoscritto - fossero legate ad opere di Domenico di cui non è pervenuta la partitura. Un filo sottile unisce molti dei protagonisti di questo programma: a Roma si ritrovarono in anni vicini Händel, Domenico Scarlatti e perfino Vivaldi. E a Roma fece il suo esordio nel 1735 come operista il materano Egidio Romualdo Duni, formato nei conservatori napoletani, prima di essere attivo a Londra, in Olanda, a Parma e a Parigi, dove dal 1760 alla morte avvenuta nel 1775 fu tra i creatori dell’opéra-comique francese. Una delle prime commedie musicali da lui scritte in Francia fu L’isle des foux (1760) “parodia” di una precedente commedia di Carlo Goldoni intitolata L’Arcifanfano. Duni aveva conosciuto Goldoni a Parma e ne era diventato amico oltre che fidato collaboratore. Forse la parodia de L’Arcifanfano era stata pensata come occasione per un invito di Goldoni a Parigi, dove effettivamente si stabilì. Nel 1961 L’Isle des foux è stata ripresa a Firenze, ma con testo italiano. Essa costituisce la partitura dell’Isola dei pazzi che fu presentata al Festival Duni di Matera nel 1999. Di essa si curò anche un’incisione discografica e nel corso di quest’anno è stata rieseguita nell’ambito del Conservatorio materano.
gemma bertagnolli — Nata a Bolzano, già da giovanissima la sua carriera è costellata di riconoscimenti (concorsi As.Li.Co e Francesco Vinas); si esibisce in luoghi ed eventi di rilevanza nazionale e non solo, come il Teatro alla Scala, Opera di Zurigo, Théâtre des Champs Elysées a Parigi, Bunka Kaikan di Tokyo; Rossini Opera Festival, Festival Mozart La Coruna, Festival Radio France Montpellier. Collabora con direttori quali Bruno Bartoletti, Semyon Bychkov, Ennio Morricone, Riccardo Muti, Wolfgang Sawallisch, Jonathan Webb, e con registi quali David Alden. Molti i ruoli interpretati nel campo dell’opera lirica e, numerose le collaborazioni con gruppi specializzati nel campo della prassi esecutiva storicamente informata quali Rinaldo Alessandrini e Concerto Italiano, Christophe Rousset, Federico Maria Sardelli e Modo Antiquo, Jean-Christophe Spinosi e Ensemble Matheus Freiburger Barockorchester, Akademie für Alte Musik Berlin. Tra le produzioni di opera barocca: Solimano di Hasse, Il ritorno d’Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea di Monteverdi, Agrippina, La Resurrezione e Il Trionfo del tempo e del disinganno di Händel, L’Olimpiade di Pergolesi, Motezuma di Vivaldi. L’artista si fregia di un vasto repertorio concertistico, dalla musica sacra di Mozart, Bach, Händel, Pergolesi e Vivaldi a Mendelssohn, Beethoven, Mahler. Il repertorio barocco occupa un posto importante nella discografia di Gemma Bertagnolli, che vanta riconoscimenti della critica quali Gramophone Award, Choc du Monde de la Musique, Timbre de Platine d’Opéra International, in particolare per le partecipazioni alla Vivaldi Edition di Naïve. Dal 2006 al 2008 ha insegnato canto barocco al Conservatorio Monteverdi di Bolzano, e successivamente presso il conservatorio Bonporti di Trento e presso il Conservatorio Licinio Refice di Frosinone. Dal 2011 collabora come docente presso la Hochschule für Künste di Bremen, dedicandosi all’insegnamento anche in masterclass estive. La sua attività didattica rimane costante. Federico guglielmo — Definito dal Boston Globe “la nuova stella nel panorama della musica antica” è riconosciuto per le sue esecuzioni di Antonio Vivaldi e Giuseppe Tartini cui ha registrato rispettivamente tutte le opere a stampa e l’integrale dei concerti per violino ed orchestra. Il suo repertorio violinistico – eseguito principalmente su strumenti storici – spazia da Biagio Marini a Felix Mendelssohn; come violinista e direttore riserva una particolare attenzione anche al recupero di opere meno conosciute del periodo classico-romantico e a composizioni del XX secolo in stile neobarocco e neoclassico. Nato a Padova nel 1968 Federico Guglielmo ha iniziato lo studio del violino sotto la guida del padre diplomandosi, diciottenne, al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia nella classe di Giuliano Carmignola; si è poi perfezionato per quattro anni all’Accademia Stauffer di Cremona sotto la guida di Salvatore Accardo ed ha successivamente seguito le masterclasses di violino con Stefan Gheorghiu, Vladimir Spivakov, Isaac Stern, di musica da camera con il Beaux Arts Trio, il Trio di Trieste(Accademia Musicale Chigiana di Siena), membri del Quartetto Amadeus, Quartetto Italiano e del Quartetto La Salle e i corsi di direzione d’orchestra con Gianluigi Gelmetti. A soli 22 anni la vittoria del 1º Premio al Concorso Internazionale Vittorio Gui di Firenze lancia la sua carriera a livello internazionale; nello stesso anno vincendo il concorso nazionale a cattedre diviene il più giovane docente titolare in un conservatorio italiano. Da allora ha insegnato nei conservatori di Foggia e Firenze ed è attualmente titolare della cattedra di musica d’insieme per strumenti ad arco (quartetto) al Conservatorio Francesco Venezze di Rovigo dove tiene anche corsi di violino e violino barocco. Come solista (violino barocco/classico) e direttore fa concerti in tutto il mondo. La storica The Academy of Ancient Music (Londra), la Handel & Haydn Society (Boston), Australian Brandenburg Orchestra (Sydney) sono solo alcune delle orchestra che lo hanno ospitato.
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piero massa — Ha iniziato gli studi musicali a Napoli. Diplomato con il massimo dei voti e la lode in Viola e Musica da Camera, sotto la guida di Giovanni Leone, si è in seguito perfezionato con i Maestri Dino Asciolla, Peter Schidlof e Vladimir Mendelssohn. Dal 1984 al 1990 ha seguito le lezioni del Quartetto Amadeus. Ha vinto la VII Rassegna Violisti Città di Vittorio Veneto. Nel 1990 ha vinto una borsa di studio presso la Royal Academy of Music di Londra. Ha suonato con musicisti di fama internazionale quali: Martin Lovett, Mischa Maisky, Natalia Gutman, Pavel Vernikov, Ilia Grubert, Kostantin Bogino, Vladimir Mendelssohn, Juri Gandelsman. Si è esibito nelle più importanti sale da concerto e teatri del mondo: dai Teatri di San Carlo di Napoli, Teatro alla Scala di Milano, Teatro La Fenice di Venazia alla Carnergie Hall di New York, dalla Salle Gaveau di Parigi alla Berlin Philharmonc Hall. È stato membro della giuria internazionale al IV Concorso di Liuteria “Antonio Stradivari” di Cremona nel 1985. Attualmente incide per la Sony Classical e la Sony/Deutsche Armonia Mundi; ha effettuato registrazioni per la RAI, la NHK e la FMK giapponesi, la Fonit Cetra, la Nuova Era. Ha inciso per la rivista “Amadeus” la versione originale della II Serenata di Johannes Brahms. Dal 1990 attivo nel campo della ricerca filologica e nella prassi esecutiva della musica barocca su strumenti originali, ha tenuto numerosi concerti e tournee in tutta Europa, Russia e Giappone collaborando con prestigiosi Ensembles quali Musica Fiorita di Basilea, l’Accademia del ‘700 Italiano. Dal 2007 è Viola solista del “Concerto de Cavalieri”. Dal 2003 collabora come prima viola con l’Orchestra Filarmonica del Teatro alla Scala di Milano sotto la direzione di Maestri quali Lorin Maazel, Gary Bertini, Semyon Bychkow. Ha negli anni ricoperto il medesimo ruolo presso le Orchestre: Alessandro Scarlatti di Napoli, Orchestra del Teatro G. Verdi di Trieste, Teatro S. Carlo di Napoli, Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini di Parma. Già titolare dei Corsi presso la Scuola di Perfezionamento di Portogruaro e dei corsi di musica di Lanciano, è da oltre un trentennio docente di Viola in Conservatorio. Ha svolto attività didattica anche in qualità di assistente dei Maestri V. Mendelssohn e J. Gandelsman. È fondatore e direttore del Centro di Musica Antica e Contemporanea.
claudio carmelo andriani — Ha cominciato a studiare violino a soli 4 anni, presso la Scuola Suzuki di Torino, si è diplomato in violino nel 1998 presso il Conservatorio G. Verdi di Torino ed in viola nel 1999 presso il Conservatorio N. Piccinni di Bari. Si è perfezionato in viola con Bruno Giuranna, seguendo un corso quadriennale presso l’Accademia della Fondazione W. Stauffer di Cremona, ed in violino con D. Schwartzberg, seguendo il corso triennale presso l’Accademia Romanini di Brescia. Nel 2003 ha conseguito il Diploma di Concertismo nella Konzertklasse di viola di C. Schiller, presso la Hochschule fur Musik der Musik - Akademie der Stadt di Basilea. Nel 2006 ha conseguito il Diploma di Concertismo con il massimo dei voti e la lode nella Konzertklasse di KammerMusik di R. Baldini, presso la Hochschule fur Musik und Theater Felix Mendelssohn Bartholdy di Lipsia. Nel luglio del 2008 ha conseguito, presso il Conservatorio G. Verdi di Milano, il Diploma Accademico di secondo livello in Violino Barocco, sotto la guida di C. Barbagelata, riportando la votazione di 110/110. Nel 2009 ha conseguito, presso l’Istituto Suzuki Danimarca, il Diploma di Abilitazione all’insegnamento della Viola con il Metodo Suzuki, 5o livello, rilasciato dall’European Suzuki Association. Nello stesso anno ha conseguito, presso l’Istituto Suzuki Italiano, il Diploma di Abilitazione all’insegnamento del Violino con il Metodo Suzuki, 5O livello, rilasciato dall’European Suzuki Association. Dal 1988 svolge un’intensa attività concertistica, che lo ha visto protagonista, tra l’Italia e l’estero, in numerosissimi concerti nel ruolo sia di violinista sia di violista: in qualità di solista, di primo violino solo in gruppi da camera e di prima viola in orchestra e gruppi da camera. Dal 1998 si dedica intensamente all’attività di Quartetto d’Archi: prima con il Quartetto Andriani, con il quale ha suonato in tutta Europa (Italia, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Austria, Olanda, Repubblica Ceca) ed ha ottenuto il 2o Premio (primo non assegnato) ed il Premio del Pubblico al 50o Concorso Internazionale di Musica da Camera G.B. Viotti di Vercelli; e in seguito con il Quartetto Xenakis, con il quale ha vinto il Concorso Internazionale Sanguinetti, Concorso Internazionale Città di Caltanisetta. Con il Quartetto Andriani è stato invitato come “Quartetto in Residence” a tenere una serie di concerti nel marzo 2000 presso la Britten-Pears School ad
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Aldeburgh in Gran Bretagna; ha partecipato all’Orlando Festival in Olanda, al Festival di Santander in Spagna e ai Corsi della Royal Academy of Music di Londra, tenuti dal Quartetto Amadeus, e alla Sommer Akademie die Universitat der Musik Wien, dove è stato insignito del Premio Janacek per la Migliore esecuzione del Quartetto n 1. Ha inciso per Amadeus, Dynamic, Bayer Records di Bietingheim (Germania), Casa Discografica Camerata Tokio al fianco del grande Karl Leister e per la Casa Discografica Art&Co Contemporaneamente, Gallo e Urania. Inoltre, nel 2010, si è occupato della trascrizione e revisione del Divertimento Sonata per violino, violoncello e pianoforte RE 50989, Rugginenti Editore Milano, di Antonio Andriani, originariamente scritto per fiati e pianoforte. Dal 1997 collabora, in qualità di primo violino solista, all’attività dell’ensemble di musica antica Accademia dei Solinghi diretto da Rita Peiretti, esibendosi in concerti in Italia, Tunisia, Albania. Con codesto gruppo ha eseguito ed inciso l’integrale delle Sonate a due violini e basso continuo di Galuppi per la Dynamic di Genova: trattasi della prima esecuzione ed incisione in epoca moderna. Ha collaborato, come violista, con il Sestetto L. Boccherini, con il quale si è esibito in Italia per le più importanti associazioni musicali. Dal 2001 collabora con l’Ensemble Europeo Antidogma Musica, attivo nella diffusione della musica contemporanea, con il quale si è esibito in Italia e Uzbekistan. Dal 2003 collabora con l’Ensemble di Musica Contemporanea Fiarì di Torino, per il quale recentemente ha eseguito Naturale di Berio per Viola Sola, Percussioni e Banda Magnetica ed il Pierrot Lunaire di Schoenberg. Nel marzo 2006 ha collaborato in quartetto con l’attrice Lina Sastri ed il corpo di ballo dell’Opera di Roma in una rappresentazione organizzata dall’Opera di Roma per il centenario della nascita di Shostakovitch. Dal 2007 collabora come primo violino solista con l’ensemble barocco Festa Rustica, con il quale si è esibito in tutta Italia ed ha inciso per Amadeus Serie Elitè, in un doppio CD, le Lamentazioni del Profeta, Musica inedita di Francesco Antonio Vallotti. Ha collaborato dal 1998 al 2002 come viola con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali in Milano, dal 2000 al 2002 come viola con l’Orchestra da Camera Italiana diretta da Accardo, nel 2004 come viola con l’Orchestra Sinfonica della Valle d’Aosta, nel giugno 2002 come viola con l’Orchestra della Svizzera Italiana e con la Filarmonica 900 del Teatro Regio di Torino. Inoltre dal 2009 collabora, in qualità di prima viola, con l’Orchestra G. Verdi di Milano per la programmazione La Verdi Barocca, con la quale si è esibito anche da solista con violino, viola e viola d’amore. Ha eseguito da solista con vari gruppi barocchi, numerosi concerti di Vivaldi. Nel 2010 fonda, insieme al fratello violoncellista Alessandro Andriani, l’Ensemble Barocco Italico Splendore, ensemble con il quale svolge una intensa attività concertistica (concerti di Vivaldi a Trieste e nell’aprile 2017 sarà in Turchia) e una intensa attività di ricerca, che lo ha portato ad incidere un doppio CD con l’integrale delle sonate a due violini di Sammartini, per l’etichetta Dynamic di Genova, e l’integrale della produzione di Vitali, che uscirà in un cofanetto di 6 CD per l’etichetta Tactus. Nel 2012 ha eseguito da solista a Kouvola (Finlandia) la prima assoluta del concerto per viola orchestra di H. Puukko, commissionato dalla Finland Viola Society, per il meeting Altto Soikoon, con l’Orchetsra di Kouvola. Dall’estate 2010 collabora, come violista, con l’ensemble barocco Il Giardino Armonico, e dal 2012 anche con l’Accademia Bizantina, suonando in qualità di viola, e anche di primo violino in quartetto nella stagione dell’ Accademia a Ravenna. È docente di violino presso il Conservatorio E.R Duni di Matera. Suona un violino Mantegazza Mantova 1763, un violino A. Guarneri Cremona 1675, gentilmente prestatogli dalla Fondazione Minazzi del Comune di Varese e una viola A. Morano, Torino 1963. Francesco galligioni — Diplomatosi in violoncello con Gianni Chiampan presso il Conservatorio C. Pollini di Padova, ha proseguito lo studio
luca tarantino — è nato e vive a Lecce. Ha studiato musicologia e si diplomato in chitarra classica, musica elettronica e liuto. Si perfezionato con Hopkinson Smith, Eduardo Egüez, Rolf Lislevand, Victor Coelho. Ha svolto attività concertistica e discografica con Concerto dè Cavalieri, Cantarlontano, I Turchini, Ensemble Terra d’Otranto, La Virtù Temporale, Scherza l’Alma, i Barocchisti, affiancando artisti come Daniela Barcellona, Gemma Bertagnolli, Adriana Fernandez, Anna Caterina Antonacci, Maria Grazia Schiavo, Kristina Hammarstrom, Ana Quintans, Federico Guglielmo, Gabriele Cassone, Luigi Piovano. Con Angelo Branduardi e Scintille di Musica ha inciso Futuro Antico III, dedicato alla corte Gonzaga. Con l’Ensemble Terra d’Otranto Mila, mila dodeka e Danzare col ragno, frutto della ricerca delle fonti antiche sulla cura dal tarantismo. In una pluriennale collaborazione con il Canzoniere Grecanico Salentino ha inciso e co-arrangiato Focu d’Amore e Pizzica Indiavolata, dischi vincitori di molti premi internazionali. Con gli americani The Clogs ha suonato in Lantern, e The Creatures in the Garden of Lady Walton, con Shara Worden, Sufian Stevens, Aaron e Bryce Dessner. Nel 2015 incide Los Impossibles, con il tablista Vito de Lorenzi, un lavoro di esplorazione delle radici comuni tra le musiche del nomadismo tra il nord dell’India e il sud della Spagna. Sin dal 2004 partecipa al Sound Res, residenza artistico- musicale al cui interno si esibito con David Cossin, Theo Bleckmann, Madan Gopal Singh, Patrick Watson & Wooden Arms, Cecilia Chailly, Bang On A Can, Gyan Riley, Mauro Pagani. Ha scritto partiture per film, balletti, teatro, web, sonorizzazioni. Nel 2017 co-fonda voltAstella, ensemble per lo studio critico-storico e la trascrizione moderna del repertorio tardomedievale europeo. Nel 2018, con ETdO, pubblica Hyeronimus Montisardui, dedicato all’opera di Gerolamo Melcarne, detto il Montesardo. Ha inciso per Sony-Deutsche Harmonia Mundi, EMI Classica, Cpo, Brassland, Ponderosa, Velut Luna, Baryton. Insegna chitarra classica ed è esperto esterno di Innovazione digitale per la musica presso la scuola secondaria musicale di Calimera-Lecce.
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10. Gli interpreti
dello strumento seguendo corsi di perfezionamento con Michael Flaksman e Teodora Campagnaro e, in seguito, con Franco Maggio Ormezowski presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma e la Fondazione Arturo Toscanini di Parma. Ha partecipato a corsi di perfezionamento di violoncello barocco con Walter Vestidello e Gaetano Nasillo e in seguito ha collaborato con esperti di musica antica di fama internazionale come Anner Bylsma, Giuliano Carmignola, Andrea Marcon, Sir John Eliot Gardiner, Diego Fasolis, Bob van Asperen, Gustav Leonhardt e Christopher Hogwood. La passione per la musica antica l’ha portato poi allo studio della viola da gamba con Paolo Biordi presso il conservatorio di Firenze, dove si è diplomato nel 2007. Francesco Galligioni è membro fondatore dell’Accademia di San Rocco e della Venice Baroque Orchestra, con la quale ha suonato regolarmente come primo violoncello nelle più prestigiose sale da concerto, tra cui la Royal Albert Hall di Londra, la Carnegie Hall di New York, il Musikverein di Vienna, la Tonhalle di Zurigo, il Concertgebouw di Amsterdam, il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi e il Teatro La Fenice di Venezia. Ha inoltre collaborato come prima parte con i Sonatori della Gioiosa Marca, l’Orchestra Barocca del Friuli Venezia Giulia G. B. Tiepolo, I Barocchisti, l’Accordone, Oman Consort, gli Incogniti, Arte dell’Arco, Gambe di Legno Consort e Opera Stravagante. È il primo violoncello del gruppo L’Aura Soave, diretto da Sergio Azzolini, con il quale ha registrato due cd per l’etichetta Naïve nella Vivaldi Edition. Oltre a numerose registrazioni con la Venice Baroque Orchestra, ha inciso trii con Giuliano Carmignola e Lutz Kirchhof e sonate con Anner Bylsma. Collabora stabilmente con il gruppo da camera L’Estravagante. Ha insegnato presso il Conservatorio T. Schipa di Lecce, il Conservatorio A. Buzzolla di Adria (Rovigo) e il Conservatorio F. Cilea di Reggio Calabria. Attualmente è docente presso il Conservatorio N. Paganini di Genova. Francesco Galligioni suona un violoncello Paolo Antonio Testore del 1740 e una viola da gamba originale dei primi ‘700.
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roberto stilo — ha compiuto i suoi studi in contrabbasso presso il conservatorio L. Refice di Frosinone diplomandosi nel 2006 e conseguendo il diploma accademico di II livello presso il conservatorio di musica Santa Cecilia di Roma nel 2010. Si dedica da subito anche alla musica da camera, attività che lo conduce a collaborare con varie orchestre e ensemble tra cui Modo Antiquo, Concerto de Cavalieri, Rinaldo Alessandrini, Orchestra Camerata Ducale di Vercelli, Academia Montis Regalis di Mondovì, La Risonanza, Sogno Barocco, Accademia Hermans, Accademia del Santo Spirito e a incidere per varie etichette tra cui Brilliant Classics. Partecipa ad importanti festival internazionali come il Festival d’Ambronay, Italia festival Barocco di Kiev, Festival Duni di Matera, Roma festival Barocco, Haendel Festspiele di Halle, Haydn Festival di Brhül, Internationale Haendel Festspiele di Göttingen, Augsburger Mozartfest di Augsburg, Reate Festival di Rieti, Settimane Barocche di Brescia, la rassegna Anima Mundi a Pisa, MiTo Settembre Musica ed esibendosi in teatriquali Concertgebow di Brugge, Teatro Regio di Torino, Teatro Givatayim di Telaviv, Al Qasaba Theatre di Ramallah, Main Theatre “Hussein Cultur Centre” di Amman, Teatro Colon di Buenos Aires, Teatro Municipal di Santiago del Cile, Konzerthaus di Berlino. Ha partecipato attivamente all’OGI Orchestra Giovanile Italiana presso la Scuola di Musica di Fiesole e ai concerti della WYO Orchestra Giovanile Mondiale. Ha frequentato i Corsi di Formazione Orchestrale Barocca e Classica dell’Accademia Montis Regalise i corsi liberi di Violone presso il Conservatorio di Vicenza.
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10. Gli interpreti
andrea perugi — ha iniziato gli studi musicali con il pianoforte e dopo aver conseguito il diploma si è iscritto alla classe di Organo e Composizione organistica di Umberto Pineschi presso il Conservatorio G.B.Martini di Bologna diplomandosi nel 1992. Ha partecipato a numerosi seminari sull’interpretazione della musica antica tenuti da musicisti quali Tagliavini, Tilney, Leonhardt, Koopman, Uriol, Vogel, Radulescu, Christiensen, dedicandosi inoltre alla prassi di improvvisazione sul basso continuo. Svolge attività concertistica come solista, come accompagnatore e concertatore di formazioni vocali e strumentali ed ha collaborato con l’Orchestra Regionale Toscana, il Teatro Comunale di Firenze, la compagnia di danza La Follia di Flavia Sparapani, l’Orchestra della Camerata Pratese, l’ensemble Clement Janequin di Parigi, l’insieme vocale L’Homme Armé, il Concerto italiano di Rinaldo Alessandrini, l’Europa galante di Fabio Biondi, Risonanze con Carlo Chiarappa, Claudio Abbado ed i solisti della Orchestra Filarmonica di Berlino, il mezzosoprano Cecilia Bartoli, il gruppo vocale La Venexiana, Frans Brüggen, il Complesso barocco di Alan Curtis, l’Orchestra di Stavanger (Norvegia), l’Orchestra Academia Montis Regalis, la Camerata Strumentale Città di Prato. Ha tenuto concerti in Europa, in Asia e in America, ed ha effettuato incisioni per Deutsche Grammophon, Virgin, Harmonia Mundi, Decca, Opus 111, Stradivarius, Tactus, Simphonia, Sonitus, Edipan, Bongiovanni, Frame e registrazioni per la Rai, la Radio Vaticana, Radio France, la NBC americana e la NHK giapponese.
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In Furore Iustissimae Irae In Furore Iustissimae Irae Tu divinitus facis potentem. Quando potes me reum punire Ipsum crimen te gerit clementem. Nella furia delle tue ire legittime Tu manifesti il tuo potere divino. Quando puoi punire i miei difetti Il crimine stesso porta la tua clemenza. Aria da L’isle des foux (l’Isola de Pazzi), traduzione di Cesare Brerio MADAMA SEMPLICINA Che funesto tormento Che cimento d’amor Che cimento d’amor! La speranza, il timore Contrastan nel mio cor La speranza, il timore Contrastan, contrastan nel mio cor! Del cavalier che m’adora stancar non voglio la fede Con il crudel rigor Ma può smarrir costanza Se poi m’ha vinto il cor. Che funesto tormento Che cimento d’amor! La speranza, il timore Fan lotta, fan lotta Nel mio cor! Fan lotta, fan lotta Nel mio cor! Aria dalla Cantata Venus and Adonis Dear Adonis, Beauty’s treasure, now my sorrow, once my pleasure; O return to Venus’ arms. Venus never will forsake thee; let the voice of Love o’ertake thee, and revive thy drooping charms Caro Adone, tesoro della bellezza, una volta eri il mio piacere, ora il mio dolore;
O ritorna alle braccia di Venere! Venere non ti abbandonerà mai; lascia che la voce dell’Amore ti prenda, e rianimi il tuo fascino caduto. Aria da Arianna in Creta ARIANNA Sdegno, Amore Fanno guerra a questo cuore Né so ancor chi vincerà Un vendette, l’altro pace a me promette Dite oh Dei! Che mai sarà! Laudate Pueri Dominum, Salmo 112 Laudate, pueri, Dominum: laudate nomen Domini. Sit nomen Domini benedictum, ex hoc nunc et usque in saeculum. A solis ortu usque ad occasum, laudabile nomen Domini. Excelsus super omnes Gentes Dominus, et super caelos gloria ejus. Quis sicut Dominus Deus noster, qui in altis habitat, et humilia respicit in caelo et in terra? Suscitans a terra inopem, et de stercore erigens pauperem: ut collocet eum cum principibus, cum principibus populi sui. Qui habitare facit sterilem in domo, matrem filiorum laetantem [Gloria] Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore, da ora e per sempre. Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore. Su tutte le genti eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria. Chi è pari al Signore, nostro Dio, che siede nell’alto e si china a guardare nei cieli e sulla terra? Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo. Fa abitare la sterile nella sua casa, come madre gioiosa di figli. Gloria
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mercoledì 24 matera chiesa della palomba
11. voi ch’ascoltate
Petrarca: poesia e musica nelle monodie del Seicento Giovanni Maria Trabaci (ca. 1580-1647)
Consonanze stravaganti da Ricercate… Libro Primo (Napoli, 1603)
Sigismondo d’India (ca. 1582-1629)
Voi che ascoltate (PC1)* da Le Musiche da cantar solo, Libro III (Venezia, 1618)
Giovanni Maria Trabaci
Gagliarda Prima da Ricercate… Libro Primo, (Napoli, 1603)
Filippo de Monte (1521-1603)
“Da bei rami scendea” (“Chiare, fresche e dolci acque”) (PC126) da Musica divina (Antwerpen, 1588)
Jacopo Peri (1561-1633)
“Quest’umil fera” (PC152) da Le Varie Musiche (Firenze, 1609)
Sigismondo d’India
“Io viddi in terra” (PC156) da Le Musiche, Libro I (Milano, 1609)
Jacopo Peri
“In qual parte del Ciel” (PC159) da Le Varie Musiche (Firenze, 1609)
Giovanni Maria Trabaci
Canzona Franzesa Quarta da Ricercate… Libro Primo (Napoli, 1603)
Sigismondo d’India
“Or chè l ciel e la terra” (PC164) da Le Musiche da cantar solo, Libro III (Venezia, 1618)
Jacopo Peri
“Lasso ch’io ardo” (PC203) da Le Varie Musiche (Firenze, 1609)
Giovanni Maria Trabaci
Toccata Prima da Ricercate…, Libro Secondo (Napoli, 1615)
Jacopo Peri
“Tutto’l dì piango” (PC216) da Le Varie Musiche (Firenze, 1609)
Sigismondo d’India
“Mentre che 'l core” (PC304)
Claudio Monteverdi (1567-1643)
da Le Musiche… Libro IV (Venezia, 1621) “Zeffiro torna” (PC310) da Madrigali, Libro Sesto (Venezia, 1619)
Giovanni Girolamo Kapsperger “I’vo piangendo” (PC365) (ca. 1580-1651) da Libro Secondo d’Arie (Roma, 1623) Marco da Gagliano (1582-1643)
“Vergine bella” (PC366) “Vergine chiara” (PC366) Musiche (Venezia, 1615)
Concerto Soave (Marsiglia) María Cristina Kiehr soprano Jean-Marc Aymes Direzione, clavicembalo e organo
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La fortuna di Petrarca in musica fino alle monodie seicentesche Giuseppina Crescenzo
Francesco Petrarca (Arezzo 1304 – Arquà 1374) si era innamorato della musica molti anni prima di innamorarsi di Laura: fu un amore ardente che si liberò non nella composizione musicale ma nell’arte poetica del letterato. Innegabile è quanto la sua opera, il Canzoniere, sia pervasa da un incessante vento di melodia. Il rapporto delle sue rime con la musica è ampio e copre un arco temporale che ha origine nel medioevo e giunge fino alla nostra contemporaneità: è inconfutabile che i versi petrarcheschi siano stati sempre terreno fecondo per i grandi compositori. Da Jacopo da Bologna che in piena Ars Nova compose in polifonia il madrigale “Non al suo amante più Diana piacque”, al Quattrocento di Guillaume Dufay che mise in musica “Vergine bella” si assiste ad un continuo uso del Canzoniere, ma mai così sistematico come avvenne nel Cinquecento, quando quelle rime ispirarono i maggiori madrigalisti sia fiamminghi (come Willaert, de Wert e Arcadelt) sia naturalmente gli italiani, coinvolti nella rivoluzione linguistica del “petrarchismo” cinquecentesco: dalla Musica… sulle Canzone del Petrarca di Bernardo Pisano (1520) ai capolavori di Palestrina, Monteverdi e Marenzio che chiudono il secolo. Ancora in pieno Romanticismo Petrarca fu musicato con esiti altissimi da Schubert e Liszt , e nel secolo scorso da personalità diverse come Schönberg, Castelnuovo Tedesco o Pizzetti. In occasione del VII centenario della nascita di Petrarca, Rinaldo Alessandrini propose un confronto tra cinque composizioni di compositori rinascimentali e altrettante composizioni commissionate a compositori del nostro tempo: Monteverdi-Dall’Ongaro; Monteverdi-Panni; Marenzio-Arcà; Monteverdi-D’Amico; de Wert-Vlad. Due epoche lontane, eppure unite da quei testi in cui i compositori hanno trovato il veicolo per cantare i sentimenti che fanno palpitare il cuore, amore ma anche sconforto, amarezza e abbandono. Naturalmente neppure i compositori barocchi si sottrassero al fascino di Petrarca, nonostante l’affermazione nel Seicento di uno “stil nuovo” che sembrava opporsi nettamente all’armonia polifonica rinascimentale. Nella temperie fervida e complessa del passaggio tra Cinque e Seicento, che vide i grandi contrasti religiosi e la fine degli splendori del Rinascimento, si diffuse con grande rapidità un nuovo modo di concepire la melodia, in opposizione alla pratica polivocale che aveva caratterizzato l’età del madrigale: il cantare a una voce su un basso. Nacque la monodia, ben illustrata in questo programma, che così veniva descritta dal teorico Giovan Battista Doni nel Discorso sopra la perfettione delle melodie (1635): “… Molto diverso è poi […] il Canto d’una Voce sola, che s’accompagna col suono di qualche instrumento: ritornato si può dire, da morte à vita in questo secolo; per opra massimamente di Giulio Caccini, detto il Romano; ma con la scorta & indiriz-
zo di quei virtuosi Accademici Fiorentini […] Il miglioramento che ha fatto la Musica per questa sorte di Melodie, è molto notabile: poiché oltre la finezza de’ Componimenti […] vi si sono modulate attioni Sceniche, e Dialoghi fuore di scena: che dilettano grandemente nello stile detto Recitativo: & in qualità dell’espressione […] s’è raffinata assai: e cresciuto il decoro, col risecamento di molte di quelle Repliche; e perfettionati gl’ornamenti di esso Canto; che sono gl’accenti, passaggi, trilli, gorgheggiamenti, e simili; prima per l’industria del medesimo Caccini; e poi per l’esperienza, e buona disposizione d’altri Cantori, per lo più di questa città, & particolarmente di Giuseppe Cenci detto Giuseppino…”. Questa linea è ribadita dal marchese Vincenzo Giustiniani nel suo Dialogo della musica, dove ancora una volta sono posti all’origine del nuovo stile di cantare monodie: “… Giulio Romano e Giuseppino [Cenci] furono quelli […] che quasi furono gl’inventori, o almeno che le diedero la buona forma, e poi di mano in mano s’è andato perfezionato a segno, che poco più oltre pare che per l’avvenire possa aggiungere, essendosi anche introdotto a cantare […] con soavità e gran decoro, e con far sentir bene e spiccati li concetti e le parole…”. Ma le origini del “cantar a una voce” sono ben più precoci: nella tradizione orale e nella prassi lo troviamo fin dall’Umanesimo quattrocentesco e non a caso Baldesar Castiglione nel suo Cortegiano (1528) dichiarava di apprezzare l’arte di “cantare alla viola per recitare; il che tanto di venustà ed efficacia aggiunge alle parole, che è gran meraviglia”. Secondo la prassi umanistica il canto era un modo di “interpretare” le poesie aggiungendo quell’efficacia alle parole favorita dall’accompagnamento della viola da gamba o da braccio. Un nuovo impulso in senso spettacolare venne a questa pratica dalle musiche di scena cantate negli “intermedi” che venivano inseriti tra un atto e l’altro di tragedie o commedie, soprattutto in occasione di feste principesche (celebri quelle fiorentine per le nozze di Francesco I nel 1579 e di Ferdinando nel 1589). In queste circostanze gli esecutori erano cantori professionisti che arricchivano le melodie con delle improvvisazioni secondo la tecnica della “diminuzione” che consisteva nel riempire le note lunghe con fioriture di note più brevi. Uno stile speciale era poi quello “inventato” a Ferrara, tradizionalmente rivale di Firenze, dalle celebri “dame della duchessa Margherita”, le prime musiciste professioniste della storia. Quando ancora era in piena fioritura la polifonia, potè così nascere nell’ultimo ventennio del Cinquecento un progetto di ricerca che coinvolse poeti, musicisti, teorici, filosofi i quali pensavano di riscoprire la maniera di cantare degli antichi greci che era appunto monodica. Un nuovo stile di canto nacque dalle esperienze di questi intellettuali, che si riunivano presso la camerata fiorentina del conte Bardi, e fu designato con il termine “recitar cantando”. Non aveva naturalmente nulla a che fare con la vera musica greca ma il rapporto testo-musica ritornava a essere predominante, protagonista in quel periodo di grandi mutamenti stilistici e di rinnovamento sociale e religioso: si trattava di una declamazione intonata e aveva legami con il madrigale polifonico coevo, poiché in qualche modo tendeva a “imitare” le inflessioni della parola recitata, stilizzando accenti e durate delle sillabe. Questo nuovo stile si diffonderà ben presto in tutta Europa come “recitativo”. Nelle prime raccolte di monodie come le Nuove musiche di Giulio Caccini, questo stile si alterna al canto derivante dalle villanelle e dalle canzonette: una melodia elegante,
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ritmicamente organizzata che prenderà da allora il nome di “aria”. Nonostante si attribuisca a Giulio Caccini e a Firenze la nascita della “monodia accompagnata”, era in realtà Roma la vera capitale dell’aria a voce sola. Ci ricorda Dinko Fabris: “come hanno dimostrato da tempo studiosi come Pirrotta, Brown, Cardamone e Hill, Roma era stata preceduta da Napoli in questo genere, che era già largamente praticato nella prima metà del Cinquecento nel palazzo napoletano del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Il “canto alla napoletana” (composizioni a Napoli già definite “aeri” intorno al 1570) si trasferì a Roma, grazie ad una serie di virtuosi e canterine che lo praticavano, dove divenne di gran moda al tempo in cui vi studiava ancora Giulio Caccini “Romano” (ma un “Don Giulio Romano” autore della raccolta Il Fuggilotio musicale stampata a Venezia nel 1613 era un diverso compositore, che ha creato non poca confusione nella storiografia sulla monodia fiorentina). Il merito di Caccini fu soprattutto quello di portare a Firenze questo nuovo stile, elaborandolo in maniera personale ed applicandolo al vivace contesto di sperimentazione della corte medicea con la suggestiva definizione di nuove musiche. La sorpresa che ci riserva il bel programma odierno è la presenza di tante composizioni dei primi monodisti italiani del Seicento basate ancora sul Canzoniere di Petrarca, come i loro predecessori polifonici del Cinquecento. Petrarca resta dunque, anche agli albori del barocco, uno dei più autorevoli poeti di riferimento per le più struggenti musiche di sicuro impatto su un pubblico colto desideroso di emozioni. Il primo sonetto del Canzoniere del poeta toscano, “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”, fu messo in musica da Sigismondo D’India, che lo pubblicò nel Libro terzo a una e due voci (Milano, 1618); nella stessa raccolta anche “Tutto il dì piango”. Rilevante è il tema del lamento e del pianto, capace di scuotere emotivamente o a “muover gli affetti” dell’ascoltatore sia che si tratti di pianti d’amor profano, sia che siano espresse tematiche di ambito religioso. È bizzarro, però, il destino che ebbe il Canzoniere nel corso del Seicento: un’edizione allestita da Vergerio fu messa all’indice, per contenere “sonetti antipapali” inducendo gli inquisitori ad avere in sospetto tutta la raccolta di rime e a negare l’imprimatur alle edizioni che li contenevano. Quale fu il risultato? In apparenza sembrò tutto risolto poiché il Canzoniere non fu mai all’Indice, ma in alcune ristampe si preferì omettere le tre rime sospette pubblicate da Vergerio. Si era però nel pieno della Controriforma e così questa piccola disputa ebbe per effetto un vistoso calo di edizioni del Canzoniere: solo 17 ne apparvero infatti nel Seicento contro le 157 del secolo precedente. In qualche caso, per leggere e diffondere Petrarca nel Seicento, bisognava richiederne specifico permesso alla Congregazione dell’Indice o del Sant’Ufficio. Non era il caso fortunatamente dei compositori scelti per questo programma: Jacopo Peri, Sigismondo d’India, Marco da Gagliano ed il “Tedesco dalla Tiorba” ossia Giovan Girolamo Kapsperger, i quali tutti misero in musica nei primi decenni del Seicento i versi del Canzoniere avendo a cuore prioritariamente “il canto atto a esprimere ogni sorta d’affetti”. (Marco da Gagliano, Prefazione alla Dafne, 1608).
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jean-marc aymes — è clavicembalista e organista solista di fama internazionale, direttore di ensemble e direttore artistico, e didatta. Come tastierista esperto di antichi strumenti storici, è il solo finora ad aver realizzato la registrazione discografica integrale dell’opera per tastiera di Girolamo Frescobaldi, il cui ultimo volume realizzato ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali. Specialista della musica italiana del primo Seicento, prima di fondare e dirigere il suo gruppo Concerto Soave, da molti anni è stato invitato regolarmente da gruppi importanti di musica antica a collaborare a diversi progetti così come a progetti nel campo della musica contemporanea. Ha partecipato a più di 60 registrazioni discografiche e a innumerevoli concerti e trasmissioni radio, dirigendo inoltre diverse produzioni di opere barocche: Incoronazione di Poppea di Monteverdi, Orlando di Händel, San Giovanni Battista di Stradella, The Fairy Queen di Henry Purcell, e così via. Ha inoltre inciso nel 2013 un doppio cd con musiche di Gesualdo da Venosa e Ascanio Mayone (De Tribulatione) con l’arpista Mara Galassi e il complesso Concerto Soave. Nel 2016 ha diretto la prima mondiale dell’opera di Cavalli Oristeo a Marsiglia, città dove dal 2007 è direttore artistico del Festival Mars en Baroque. Dal 2009 Jean-Marc Aymes è professore di clavicembalo al Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Lyon (CNSMD).
11. Gli interpreti
maría cristina kiehr — Soprano argentina di origine danese, conosciuta in tutto il mondo e cofondatrice di Concerto Soave a Marsiglia, si è rapidamente imposta all’attenzione del pubblico e della critica come uno dei grandi interpreti del canto barocco del nostro tempo. Una delle caratteristiche che la rende unica è la capacità di unire alla soavità del suo timbro irripetibile un fervente rispetto per i testi poetici, che declama con umiltà e calore. Forse è il mélange della sua origine nordeuropea e sudamericana a favorire la sua predisposizione alla dolcezza di emissione unita al massimo rigore musicale e stilistico. Formata nella celebre Schola Cantorum di Basilea come allieva di René Jacobs, è stata presto notata ed invitata a collaborare da grandi direttori (René Jacobs, Philippe Herreweghe, Franz Bruggen, Jordi Savall, Gustav Leonhardt, Nikolaus Harnoncourt...) e complessi musicali prestigiosi (Hesperion XXI, Concerto Köln, Ensemble 415, Seminario Musicale, Concerto Vocale, Elyma, La Fenice...). A parte la sua costante presenza nei cast delle più importanti riproposte internazionali di opere barocche (Orontea di Cesti a Basilea, Incoronazione di Poppea di Monteverdi a Montpellier, Dorilla di Vivaldi a Nizza per citarne solo alcune), Maria Cristina viaggia continuamente agli angoli del pianeta (dall’Europa al Giappone, dall’Australia all’America Centrale e Meridionale) partecipando a centinaia di registrazioni discografiche. La sua duplice passione per la polifonia rinascimentale, da una parte, e la monodia italiana del Seicento dall’altra si è totalmente realizzata grazie alla creazione di Concerto Soave, di cui è stata co-fondatrice insieme con Jean-Marc Aymes. Nelle molteplici attività di questo complesso María Cristina Kiehr y rivela i suoi talenti di narratrice in musica, sottolineando tutti gli elementi propugnati dalla “nuova musica” monodica (come la definivano Caccini e i tanti autori di questo programma). Questa estetica si era sviluppata in un un periodo straordinario in cui i più grandi poeti della letteratura italiana (Petrarca, Tasso, Marino) erano costantemente musicati dai massimi compositori dell’epoca barocca (Monteverdi, d’India, Mazzocchi), allo stesso modo in cui la contemporanea musica sacra della Controriforma si indirizzava ai sensi e al cuore. Questo programma permette al pubblico di scoprire, una volta di più, non soltanto una cantante unica, ma soprattutto un’artista colta, sensibile e completa.
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PC 1 Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono, del vario stile in ch’io piango et ragiono fra le vane speranze e ’l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, nonché perdono. Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno PC126 Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir’ mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior’ che la gonna leggiadra ricoverse co l’angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: date udïenza insieme a le dolenti mie parole extreme. S’egli è pur mio destino e ’l cielo in ciò s’adopra, ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda, qualche gratia il meschino corpo fra voi ricopra, et torni l’alma al proprio albergo ignuda. La morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo: ché lo spirito lasso non poria mai in piú riposato porto né in piú tranquilla fossa fuggir la carne travagliata et l’ossa. Tempo verrà anchor forse ch’a l’usato soggiorno torni la fera bella et mansüeta, et là ’v’ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disïosa et lieta, cercandomi; et, o pietà!, già terra in fra le pietre vedendo, Amor l’inspiri in guisa che sospiri
sí dolcemente che mercé m’impetre, et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. Da’ bè rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo; et ella si sedea humile in tanta gloria, coverta già de l’amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch’oro forbito et perle eran quel dí a vederle; qual si posava in terra, et qual su l’onde; qual con un vago errore girando parea dir: Qui regna Amore. Quante volte diss’io allor pien di spavento: Costei per fermo nacque in paradiso. Cosí carco d’oblio il divin portamento e ’l volto e le parole e ’l dolce riso m’aveano, et sí diviso da l’imagine vera, ch’i’ dicea sospirando: Qui come venn’io, o quando?; credendo esser in ciel, non là dov’era. Da indi in qua mi piace questa herba sí, ch’altrove non ò pace. Se tu avessi ornamenti quant’ài voglia, poresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente. PC152 Questa humil fera, un cor di tigre o d’orsa, che ’n vista humana e ’n forma d’angel vène, in riso e ’n pianto, fra paura et spene mi rota sí ch’ogni mio stato inforsa. Se ’n breve non m’accoglie o non mi smorsa, ma pur come suol far tra due mi tene, per quel ch’io sento al cor gir fra le vene dolce veneno, Amor, mia vita è corsa. Non pò piú la vertú fragile et stanca tante varïetati omai soffrire, che ’n un punto arde, agghiaccia, arrossa e ’nbianca. Fuggendo spera i suoi dolor’ finire, come colei che d’ora in hora manca: ché ben pò nulla chi non pò morire.
PC156 I’ vidi in terra angelici costumi et celesti bellezze al mondo sole, tal che di rimembrar mi giova et dole, ché quant’io miro par sogni, ombre et fumi;
PC203 Lasso, ch’i’ ardo, et altri non me ’l crede; sí crede ogni uom, se non sola colei che sovr’ogni altra, et ch’i’ sola, vorrei: ella non par che ’l creda, et sí sel vede.
et vidi lagrimar quÈ duo bei lumi, ch’àn fatto mille volte invidia al sole; et udí’ sospirando dir parole che farian gire i monti et stare i fiumi.
Infinita bellezza et poca fede, non vedete voi ’l cor nelli occhi mei? Se non fusse mia stella, i’ pur devrei al fonte di pietà trovar mercede.
Amor, Senno, Valor, Pietate, et Doglia facean piangendo un piú dolce concento d’ogni altro che nel mondo udir si soglia;
Quest’arder mio, di che vi cal sí poco, e i vostri honori, in mie rime diffusi, ne porian infiammar fors’anchor mille:
ed era il cielo a l’armonia sí intento che non se vedea in ramo mover foglia, tanta dolcezza avea pien l’aere e ’l vento.
ch’i’ veggio nel penser, dolce mio foco, fredda una lingua et duo belli occhi chiusi rimaner, dopo noi, pien’ di faville.
PC 159 In qual parte del ciel, in quale idea era l’exempio, onde Natura tolse quel bel viso leggiadro, in ch’ella volse mostrar qua giú quanto lassú potea?
PC216 Tutto ’l dí piango; et poi la notte, quando prendon riposo i miseri mortali, trovomi in pianto, et raddoppiansi i mali: cosí spendo ’l mio tempo lagrimando. In tristo humor vo li occhi comsumando, e ’l cor in doglia; et son fra li animali l’ultimo, sí che li amorosi strali mi tengon ad ogni or di pace in bando.
Per divina bellezza indarno mira, chi gli occhi de costei già mai non vide, come soavemente ella gli gira; non sa come Amor sana, et come ancide, chi non sa come dolce ella sospira, et come dolce parla, et dolce ride. PC164 Or che ’l ciel et la terra e ’l vento tace et le fere e gli augelli il sonno affrena, Notte il carro stellato in giro mena et nel suo letto il mar senz’onda giace, vegghio, penso, ardo, piango; et chi mi sface sempre m’è inanzi per mia dolce pena: guerra è ’l mio stato, d’ira et di duol piena, et sol di lei pensando ò qualche pace. vCosí sol d’una chiara fonte viva move ’l dolce et l’amaro ond’io mi pasco; una man sola mi risana et punge; e perché ’l mio martir non giunga a riva, mille volte il dí moro et mille nasco, tanto da la salute mia son lunge.
Lasso, che pur da l’un a l’altro sole, et da l’una ombra a l’altra, ò già ’l piú corso di questa morte, che si chiama vita. Piú l’altrui fallo che ’l mi’ mal mi dole: ché Pietà viva, e ’l mio fido soccorso, vèdem’ arder nel foco, et non m’aita. Da Rime in Morte di Madama Laura: PC304 Mentre che ’l cor dagli amorosi vermi fu consumato, e ’n fiamma amorosa arse, di vaga fera le vestigia sparse cercai per poggi solitarii et hermi; et ebbi ardir cantando di dolermi d’Amor, di lei che sí dura m’apparse: ma l’ingegno et le rime erano scarse in quella etate ai pensier’ novi e ’nfermi. Quel foco è morto, e ’l copre un picciol marmo: che se col tempo fossi ito avanzando (come già in altri) infino a la vecchiezza, di rime armato, ond’oggi mi disarmo, con stil canuto avrei fatto parlando romper le pietre, et pianger di dolcezza.
11. I testi
Qual nimpha in fonti, in selve mai qual dea, chiome d’oro sí fino a l’aura sciolse? quando un cor tante in sé vertuti accolse? benché la somma è di mia morte rea.
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PC310 Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena, e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia, et garrir Progne et pianger Philomena, et primavera candida et vermiglia. Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena; Giove s’allegra di mirar sua figlia; l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena; ogni animal d’amar si riconsiglia. Ma per me, lasso, tornano i piú gravi sospiri, che del cor profondo tragge quella ch’al ciel se ne portò le chiavi; et cantar augelletti, et fiorir piagge, e ’n belle donne honeste atti soavi sono un deserto, et fere aspre et selvagge. PC365 I’ vo piangendo i miei passati tempi i quai posi in amar cosa mortale, senza levarmi a volo, abbiend’io l’ale, per dar forse di me non bassi exempi. Tu che vedi i miei mali indegni et empi, Re del cielo invisibile immortale, soccorri a l’alma disvïata et frale, e ’l suo defecto di tua gratia adempi: sí che, s’io vissi in guerra et in tempesta, mora in pace et in porto; et se la stanza fu vana, almen sia la partita honesta. A quel poco di viver che m’avanza et al morir, degni esser Tua man presta: Tu sai ben che ’n altrui non ò speranza. PC366 Vergine bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sí, che ’n te Sua luce ascose, amor mi spinge a dir di te parole: ma non so ’ncominciar senza tu’ aita, et di Colui ch’amando in te si pose. Invoco lei che ben sempre rispose, chi la chiamò con fede: Vergine, s’a mercede miseria extrema de l’humane cose già mai ti volse, al mio prego t’inchina, soccorri a la mia guerra, bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina. Vergine saggia, et del bel numero una de le beate vergini prudenti, anzi la prima, et con piú chiara lampa; o saldo scudo de l’afflicte genti contra colpi di Morte et di Fortuna,
sotto ’l qual si trïumpha, non pur scampa; o refrigerio al cieco ardor ch’avampa qui fra i mortali sciocchi: Vergine, què belli occhi che vider tristi la spietata stampa nÈ dolci membri del tuo caro figlio, volgi al mio dubbio stato, che sconsigliato a te vèn per consiglio. Vergine pura, d’ogni parte intera, del tuo parto gentil figliola et madre, ch’allumi questa vita, et l’altra adorni, per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre, o fenestra del ciel lucente altera, venne a salvarne in su li extremi giorni; et fra tutt’i terreni altri soggiorni sola tu fosti electa, Vergine benedetta, che ’l pianto d’Eva in allegrezza torni. Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno, senza fine o beata, già coronata nel superno regno. Vergine santa d’ogni gratia piena, che per vera et altissima humiltate salisti al ciel onde miei preghi ascolti, tu partoristi il fonte di pietate, et di giustitia il sol, che rasserena il secol pien d’errori oscuri et folti; tre dolci et cari nomi ài in te raccolti, madre, figliuola et sposa: Vergina glorïosa, donna del Re che nostri lacci à sciolti et fatto ’l mondo libero et felice, ne le cui sante piaghe prego ch’appaghe il cor, vera beatrice. Vergine sola al mondo senza exempio, che ’l ciel di tue bellezze innamorasti, cui né prima fu simil né seconda, santi penseri, atti pietosi et casti al vero Dio sacrato et vivo tempio fecero in tua verginità feconda. Per te pò la mia vita esser ioconda, s’a’ tuoi preghi, o Maria, Vergine dolce et pia, ove ’l fallo abondò, la gratia abonda. Con le ginocchia de la mente inchine, prego che sia mia scorta, et la mia torta via drizzi a buon fine. Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella, d’ogni fedel nocchier fidata guida, pon’ mente in che terribile procella
Vergine, quante lagrime ò già sparte, quante lusinghe et quanti preghi indarno, pur per mia pena et per mio grave danno! Da poi ch’i’ nacqui in su la riva d’Arno, cercando or questa et or quel’altra parte, non è stata mia vita altro ch’affanno. Mortal bellezza, atti et parole m’ànno tutta ingombrata l’alma. Vergine sacra et alma, non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno. I dí miei piú correnti che saetta fra miserie et peccati sonsen’ andati, et sol Morte n’aspetta. Vergine, tale è terra, et posto à in doglia lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne et de mille miei mali un non sapea: et per saperlo, pur quel che n’avenne fôra avenuto, ch’ogni altra sua voglia era a me morte, et a lei fama rea. Or tu donna del ciel, tu nostra dea (se dir lice, e convensi), Vergine d’alti sensi, tu vedi il tutto; e quel che non potea far altri, è nulla a la tua gran vertute, por fine al mio dolore; ch’a te honore, et a me fia salute. Vergine, in cui ò tutta mia speranza che possi et vogli al gran bisogno aitarme, non mi lasciare in su l’extremo passo. Non guardar me, ma Chi degnò crearme; no ’l mio valor, ma l’alta Sua sembianza, ch’è in me, ti mova a curar d’uom sí basso. Medusa et l’error mio m’àn fatto un sasso d’umor vano stillante: Vergine, tu di sante lagrime et pïe adempi ’l meo cor lasso, ch’almen l’ultimo pianto sia devoto, senza terrestro limo, come fu ’l primo non d’insania vòto.
Vergine humana, et nemica d’orgoglio, del comune principio amor t’induca: miserere d’un cor contrito humile. Che se poca mortal terra caduca amar con sí mirabil fede soglio, che devrò far di te, cosa gentile? Se dal mio stato assai misero et vile per le tue man’ resurgo,
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Vergine, i’ sacro et purgo al tuo nome et penseri e ’ngegno et stile, la lingua e ’l cor, le lagrime e i sospiri. Scorgimi al miglior guado, et prendi in grado i cangiati desiri. Il dí s’appressa, et non pòte esser lunge, sí corre il tempo et vola, Vergine unica et sola, e ’l cor or coscïentia or morte punge. Raccomandami al tuo figliuol, verace homo et verace Dio, ch’accolga ’l mïo spirto ultimo in pace. Se dal mio stato assai misero et vile per le tue man’ resurgo, Vergine, i’ sacro et purgo al tuo nome et penseri e ’ngegno et stile, la lingua e ’l cor, le lagrime e i sospiri. Scorgimi al miglior guado, et prendi in grado i cangiati desiri. Il dí s’appressa, et non pòte esser lunge, sí corre il tempo et vola, Vergine unica et sola, e ’l cor or coscïentia or morte punge. Raccomandami al tuo figliuol, verace homo et verace Dio, ch’accolga ’l mïo spirto ultimo in pace. *Il numero indica il relativo sonetto in Francesco Petrarca, Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta)
11. I testi
i’ mi ritrovo sol, senza governo, et ò già da vicin l’ultime strida. Ma pur in te l’anima mia si fida, peccatrice, i’ no ’l nego, Vergine; ma ti prego che ’l tuo nemico del mio mal non rida: ricorditi che fece il peccar nostro, prender Dio per scamparne, humana carne al tuo virginal chiostro.
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venerdì 26 matera museo ridola
12. rime d’amor et amorosi accenti Poesie e musiche di autori meridionali tra Seicento e Settecento
testi di: Torquato Accetto (Trani ca. 1598-1640) da Rime (1621) Giovan Battista Marino(Napoli 1569-1625) da Rime amorose (1614) Margherita Sarrocchi (Gragnano1560-Roma 1617) da Scanderbeide (1606-1623) Tommaso Stigliani (Matera 1573-Roma 1651) da Canzoniere (1605) e Madrigali (1622) Marcello Macedonio (Napoli 1582-Roma 1619) da Ballate et Idillii (1614) Giovanni Meli (Palermo 1740-1815) da Poesie siciliane (1787) Domenico Tempio (Catania 1750-1821) da Lu veru piacìri (post. 1814), Poesie (III ed. 1874) musiche di: Luigi Rossi (ca.1597-1653)
Passacaglia in La min. per clavicembalo “Mio ben”, aria dall’opera Orfeo, Parigi, 1647
Nicola Fago (1676-1745)
Largo II dalla Toccata in Mi magg. per clavicembalo “Come viver poss’io”, Cantata (Recitavo I e Aria I)
Giovanni Maria Sabino (1588-1649)
“L’aspettar è pur dolce”, Cantata a voce sola e bc. (Ms. I-Nc)
Gregorio Strozzi (1615-1687)
Capriccio terzo del decimo tono (I e III parte) da Capricci da sonare cembali, et organi, Napoli, 1687
Leonardo Leo (1694-1744)
“Oh che barbara sorte”, Cantata (Recitativo I e Aria I)
Andrea Falconieri (c.1585-1656)
“O bellissimi capelli” da Libro I di Villanelle a 1, 2, e 3 voci…, Roma, 1616
Giovan Battista Abatessa “Lascia le fiere”, Canzone a voce sola e bc. (fine sec. XVI–ca. 1650) da Cespuglio di varii fiori…, Firenze, 1637 Egidio Romualdo Duni (1708-1775)
“Misero pargoletto” aria dall’opera Demofoonte, in Arie per Farinelli, Londra, 1737
Vincenzo Failla attore narratore Valeria Polizio soprano Paola Francesca Laforgia viola da gamba Mariantonietta Cancellaro clavicembalo
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132 «Amore desta le cose che dormono; le tenebrose illumina; dà vita alle cose morte; forma le non formate e dà perfezione alle imperfette» (Marsilio Ficino) Il progetto Rime d’amor et amorosi accenti nasce dal desiderio di riscoprire il ricco repertorio musicale e letterario prodotto da autori di origine meridionale, spesso poco noti, vissuti tra Seicento e Settecento. Il tema dominante, sia nella produzione letteraria che in quella musicale del tempo, è quello dell’amore, declinato in tutte le sue sfaccettature. È l’amore che ispira le arie a voce sola e basso continuo del primo Seicento; è l’amore che trionfa nei teatri barocchi attraverso le artificiose trame dei drammi in musica; è sempre l’amore, raccontato nelle sue vesti multiformi – sensuale, spirituale, filiale, compassionevole, erotico, licenzioso – che guida le penne di poeti, illustri e non, nella redazione di poemi epici e rime del tempo. L’amore è tuttora il tema più diffuso nelle canzoni e nella poesia, e continua a toccarci nel profondo mostrandoci tutta la bellezza dell’animo umano. Niente di più naturale, dunque, che immaginare una performance in cui poesia e musica si intrecciano e si richiamano, in una sorta di gioco di rimandi, allusioni, suggestioni. Poesia e musica, “arti sorelle”, sono basate su simili principi fonetici, espressivi e comunicativi; i musicisti e i letterati del tempo lo sapevano molto bene, come efficacemente sintetizza Johann Joachim Quantz: “L’oratore e il musicista hanno entrambi lo stesso intento, tanto nella composizione delle loro opere che nella loro espressione. Essi voglio impadronirsi dei cuori, eccitare o sedare i movimenti dell’animo, e far passare l’ascoltatore da una passione all’altra.” La scelta dei testi e delle musiche è stata guidata dalla passione e dal caso fortuito; gli abbinamenti, non sempre in corrispondenza cronologica, sono sorti sulla base delle assonanze affettive. Tutto ciò sempre con la volontà di mettere in luce pagine – poco frequentate o dimenticate – che testimoniano una grande maestria creativa, e di far conoscere e apprezzare questi artisti, figli di una grande tradizione culturale. A tal fine nel concerto saranno narrati anche alcuni aspetti salienti della vita e dell’opera degli autori. Maria Antonietta Cancellaro
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maria antonietta cancellaro — Musicologa e clavicembalista, è docente di Storia ed Estetica della musica al Conservatorio E.R. Duni di Matera. Si è brillantemente laureata in Discipline della musica presso l’Università di Bologna. Diplomata in pianoforte, ha approfondito lo studio del clavicembalo con Emilia Fadini alla Scuola Musicale di Milano. Ha conseguito poi il diploma accademico di II livello in clavicembalo con Andrea Coen al Conservatorio de L’Aquila. Si dedica allo studio della musica rinascimentale e barocca, ponendo particolare attenzione alla riscoperta di compositori di rilevante valore artistico della tradizione colta meridionale. Ha pubblicato i volumi: Estro poetico-armonico di Benedetto Marcello, con A. Coen – edizione critica moderna della raccolta dei 50 Salmi (Bologna, Ut Orpheus, voll. I-VI, 2013-2018); L’Accentuazione in musica. Metrica classica e norme sette-ottocentesche, con E. Fadini, (Milano, Rugginenti, 2009); Il Primo Libro delle Canzoni a 4 voci di Marc’Antonio Mazzone – edizione moderna e trascrizione (Olschki, Firenze 1990). Ha fondato nel 2005 il gruppo vocale e strumentale Le Vaghe Ninfe con cui recentemente ha inciso, in qualità di direttore artistico, clavicembalista e organista, il CD Il Primo Libro delle Canzoni a 4 voci di Marc’Antonio Mazzone (Brilliant Classics, 2016). È stata inoltre Direttore del Conservatorio di musica di Matera nel triennio 2005/2008, e presidente del Centro culturale Carlo Levi di Matera dal 2012 al 2018.
12. Gli interpreti
vincenzo Failla — Attore, musicista e cantante, ha lavorato in teatro, cinema e tv al fianco di Foà, Moriconi, Bosetti, Cardinale, Zingaretti, De Sica, Moni Ovadia, Jean Sorel, ed è stato diretto da Cobelli, Squarzina, Garinei, Squitieri, Luchetti, Pupi Avati, Faenza. Interprete di molte Operette, Musical e Commedie Musicali, tra cui Rugantino con E. Brignano con repliche anche a New York. Per la televisione ha preso parte a diverse Fiction, tra cui: Distretto di Polizia, Provaci ancora Prof., Commissario Montalbano, Squadra Antimafia e, soprattutto, La Squadra su Rai3, in cui per otto anni ha interpretato il medico legale Dott. Mari. È inoltre musicista, timpanista lirico/ sinfonico e batterista jazz. Come cantante ha pubblicato il CD Anatomopatologìa dello Swing. Si è laureato in Discipline Musicali Jazz al Conservatorio L. Refice di Frosinone. Svolge intensa attività di lettore e voce recitante; insegna inoltre recitazione e lettura interpretata presso Voice Art Dubbing a Roma, Napoli, Bari e Matera; Libera Università del Cinema a Roma; Artès di Pomezia, e come formatore per corsi organizzati dalla regione Lazio e Basilicata. Come voce recitante ha pubblicato i CD: Scomposizioni, la canzone italiana recitata (Farelive, 2017) e Il Primo Libro di Canzoni a quattro voci di Marc’Antonio Mazzone (Brilliant Classics, 2016). Ha pubblicato con R. Cascadan il libro Come Posso Dire – Parlare Leggere Interpretare (Giannatelli, 2017).
12. Gli interpreti
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zvaleria polizio — Soprano leggero di coloratura. Diplomata in Canto, ha conseguito poi il Diploma di Laurea Biennale in Canto Rinascimentale e Barocco presso il Conservatorio ‘N. Piccinni’ di Bari. Svolge attività concertistica madrigalistica e solistica in varie formazioni. Più volte vincitrice per la Sezione Musica Antica nei Concorsi Euterpe, Premio Terre degli Imperiali, Wanda Landowska, Premio Chiara Fontana, è stata definita “voce vivace, disinvolta e tenace, dotata di eccezionale agilità tal che trasformi questa in istrumento capace di un vasto repertorio”. Grazie alla facilità di emissione nel registro sovracuto, spazia dal repertorio sacro a quello cameristico e operistico. Ha debuttato nella prima in tempi moderni de La Cecchina Maritata di N. Piccinni nel ruolo del Cavalier Armidoro, nel progetto del Conservatorio di Bari diretto da Rino Marrone con direzione artistica di Amelia Felle; ne La Traviata di G. Verdi nel ruolo di Violetta e nella Lucia di Lammermoor di Donizetti nel ruolo di Lucia, diretta da Vito Paternoster con direzione artistica di Eleonora Antonacci. Ha inciso con l’etichetta Digressione Music Musiche del’600 Napoletano rinvenute presso la Biblioteca dei Girolamini a Napoli, Vespro a 5 voci di Giovanni Maria Sabino, Vespro a 5 voci di Antonio Sabino; con la Brilliant il Primo libro delle canzoni a 4 voci di Marc’Antonio Mazzone. È docente di vocalità barocca.
paola Francesca la Forgia — Laureata in Ingegneria Edile-Architettura presso il Politecnico di Bari, si è diplomata in viola da gamba al Conservatorio N. Piccinni di Bari sotto la guida di F.J. Montero Martinez. Nel 2017 ha conseguito il Diploma Accademico di II livello in viola da gamba ad in-dirizzo pratico-esecutivo. Per diversi anni ha lavorato nell’Ensemble Le viole di Orfeo diretto da Sofia Ruffino, con la quale ha svolto un’ intensa attività concertistica, incidendo il disco Concerto per la pace per la Fondazione Antiusura, San Nicola e Santi Medici. Collabora con diverse formazioni cameristiche tra le quali lo ScarlattiLab diretto da Antonio Florio, con il coordinamento di Dinko Fabris e Tommaso Rossi; l’Ensemble Santa Teresa dei Maschi diretto da Sabino Manzo. Con l’Ensemble Labirinto Armonico, fonda-to dal violinista P. Mencattini ha inciso il CD D’ Avalos, I magnati della musica in Abruzzo. Dal 2012 è componente dell’ Ensemble di viole della Cappella Musicale Corradiana diretta da Antonio Magarelli. Nuova incisione Giovanni Maria Sabino Vespro a 5 voci per Digressione Music. Nel 2016 ottiene l’incarico per l’insegnamento di della viola da gamba presso il Liceo Musicale Boccioni-Palizzi”di Napoli. Collabora con la Camerata Mvsica Antiqva fondata e diretta da Pasquale Rinaldi.
Vive fiamme ond’il cor arde, Belle chiome pellegrine Ch’ondeggiate all’aura sparse Su le guance porporine Allacciate il petto mio: Libertade a Dio a Dio. Treccie ombrose ove s’asconde Per ferir l’alato Arciero, Cedin pur le chiome bionde Belle treccie, al vostro nero, Che scherzando al viso intorno Notte sete, e gl’occhi il giorno. Dolci nodi del mio core, Cari lacci del mio petto, Sanza voi non ho valore, Fuor di voi non è diletto, Servo son eccov’il braccio Sia Catena un vostro laccio. Mio ben Mio ben, te col tormento Più dolce io troverei Che con altri il contento. Ogni dolcezza è sol dove tu sei E per me Amor aduna Nel girar dei tuoi sguardi ogni fortuna. Lascia le fiere Lascia, lascia le fiere, Questa tua ferita Deh sia compagno l’amor Della beltade. Tant’hai più cruda sei Quanto più bella pari Agli occhi miei. Cangia, cangia pensiero, Nuovo titol l’acquista, Non ferisca ma sani la tua vista, Come sei vaga fuori Così spiri dolcezza, o bella Clori. Dimmi, dimmi pentita, Ecco non più ritrosa, Anz’al lungo penar tutta pietosa, Dimmi, ecco non tardo, Appaga i tuoi desir, hor ch’amo, et ardo. Come viver poss’io Recitativo
Come viver poss’io lungi dal bel sembiante ond’arde il petto ed ha sol vita il core? Dicalo il dio d’amore, lo dican le mie pene, e queste piagge amene ov’io spargo sovente i miei sospiri rispondan per pietà dÈ miei martiri.
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Aria Al martir di lontananza Pena eguale amor non ha. Egli è un duol che a tutte l’ore Va serpendo intorno al core E maggior sempre si fa. Oh che barbara sorte Recitativo Oh che barbara sorte! Con tirannica forza a te mi toglie tint’a pallor di morte, più ch’accenti dal labro spargo pianto dal ciglio, Èl duol’atroce tra singulti e sospir rompe la voce. Ecco perdon ti chiedo, se non fu quanto fido esser dovea il povero mio core, sall’il ciel, sall’ amore, e tu lo sai quanto piansi e perché, quanto t’amai. Aria Voi piangete o stelle amate E celate il vostro lume Per pietà del mio dolor. Io mirando il vostro pianto Spargo intanto sciolto in fiume Da le vene il mesto cor. L’aspettar è pur dolce Recitativo L’aspettar è pur dolce se aspettato alfin viene il sospirato, idolatrato bene. Aria Amor deh, raddolcisci Dell’attender penoso le dimore E contempra, condisci Di me l’amaritudine del core. Aspetto Amor un solo ben, Un singolar diletto. Misero pargoletto Misero pargoletto, Il tuo destin non sai. Ah, non gli dite mai Qual’era il genitor. Come in un punto, oh Dio, Tutto cambiò d’aspetto! Voi foste il mio diletto, Misero pargoletto, Voi siete il mio terror.
12. I testi
O bellissimi capelli O bellissimi capelli Miei dolcissimi diletti, Amorosi serpentelli, Che ritorti inanellati Discendete in fra le rose De le guance rugiadose.
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sabato 27 venosa / auditorium san domenico domenica 28 matera / palazzo viceconte
13. egidio duni. le sei sonate a 3 op. 1 (Rotterdam, Magito, ca.1739)
esecuzione integrale
Egidio Romualdo Duni (Matera 1708-Paris 1775)
Triosonata I in La maggiore Allegro – Moderato – Allegro assai Triosonata II in Sol Maggiore Allegro – Adagio – Allegro Triosonata III in Re Maggiore Allegro – fuga allegro – Tempo giusto esempre piano – Minuetto allegro assai Triosonata IV in Mi minore Allegro – Adagio sostenuto – Minuetto Triosonata V in Si b Maggiore Allegro – Adagio e piano – Allegro Triosonata VI in Re minore Allegro /Fuga. Allegro/Come il primo tempo – Vivace Duni Ensemble Natalia Bonello, Julia Ponzio flauti storici Mauro Squillante mandolino Piero Massa violino barocco Marcello De Giuseppe fagotto barocco Leonardo Massa violoncello barocco Luca Tarantino tiorba e chitarra barocca Claudia Di Lorenzo clavicembalo
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Duni in Olanda: un periodo felice Dinko Fabris
Il periodo trascorso da Egidio Romualdo Duni in Olanda è ancora piuttosto misterioso ma fu certamente molto produttivo. Duni, nato a Matera nel 1708, aveva già alle spalle una carriera internazionale, avendo debuttato con un’opera tutta sua (non contando contributi parziali precedenti) a Roma nel 1735, Nerone, che aveva riscosso apparentemente più successo della Olimpiade di Pergolesi rappresentata negli stessi giorni. Nel giro di pochi anni Duni aveva presentato opere a Milano e si era trasferito a Londra dal carnevale 1736, producendo una sola opera in lingua inglese, Demofoonte, nel maggio 1737, avendo nel cast il castrato Farinelli per il quale questo titolo costituì l’addio per sempre alle scene (le 6 Arie composte per il Regio Teatro, tutte cantate da Farinelli nel ruolo di Timante, furono stampate a Londra nello stesso anno e sono state meritoriamente edite modernamente dal Festival Duni nel 2005). Secondo l’Elogio di Egidio Duni di Giuseppe Sigismondo (manoscritto compilato prima del 1820 rimasto inedito per quasi due secoli e da me ristampato per la prima volta nel volume I due mondi di Duni a cura di Paolo Russo, Lucca 2014, poi nell’edizione critica dell’Apoteosi della musica del Regno di Napoli, Milano 2016): “Dopo la riuscita della sua opera in Roma, passò a Londra, ove anche fu ben accetto, e più anni vi dimorò, ma poscia gravemente ammalatosi pensò di portarsi in Olanda a consigliarsi col celebre Boherave ed ivi recuperò la salute”. Anche l’anonimo Nécrologe stampato a Parigi nel 1776 dopo la morte di Duni, ribadiva che il compositore era già sofferente ma “l’etat de ses affaires exigea qu’il partit pour Londres, où il composa, avec succès. plusieurs opèra: mais sa santé se dérangeant de plus en plus, les médecins anglais lui conseillèrent d’aller consulter le célèbre Boherave, en Hollande, auprès duquel il resta plusieurs années”. Anche ammettendo che Duni abbia lasciato Londra per motivi di salute, è curioso notare che solo pochi mesi prima della sua partenza aveva abbandonato precipitosamente i teatri di Londra la celebre e discussa cantante Francesca Cuzzoni, che per anni aveva dominato le scene soprattutto nelle opere di Händel, e anche lei diretta in Olanda. In tutti i casi troviamo una prima traccia olandese di Duni nei registri dell’Università di Leiden, dove in data 22 ottobre 1738 risulta immatricolato come studente. Si tratta di una Università ancora molto prestigiosa e questa iscrizione ci informa su un livello di istruzione del compositore molto più alto della media dei suoi contemporanei meridionali. Herman Boerhaave era davvero un medico di grande fama europea, tanto che il ricordo che ne aveva tracciato Duni impressionò Goldoni quando conobbe il musicista materano a Parma, in occasione de La Buona figliola, e scrisse nelle Memorie di aver a lungo ragionato con Egidio Romualdo della loro comune malattia (di tipo nervoso-depressivo) e della decisione di scrivere subito dopo la commedia Il medico olandese. Ma Boerhaave morì pochi mesi dopo l’arrivo di Duni a Leiden, nel settembre 1738, e forse per questo lui decise consigliato da intellettuali olandesi con cui nel frattempo si era legato in amicizia, di iscriversi all’Università. Una relazione che era stata letta
a Matera durante il Festival Duni 2008 ma purtroppo rimasta inedita (dello studioso olandese Rudolph Rasch: “Il est mieux à Leyde qu’en Italie”: Egidio Duni in Olanda 1738-1740) riportava notizie dei rapporti di Egidio Romualdo con i musicisti olandesi, sue opere scritte ed eseguite in Olanda e di diverse pubblicazioni, tutto anche a molta distanza dal periodo trascorso realmente a Leiden, testimoniando di una ottima impressione lasciata dal materano in quel paese. Il frutto più importante del periodo olandese sono certamente le due pubblicazioni di musica strumentale che apparvero tra il 1738 e il 1739: il volume di Minuetti e Contridanze edito a Londra e una raccolta di Sei Sonate a Tre Op. 1 stampate a Rotterdam (entrambe pubblicate in edizione moderna a cura del Festival Duni). Una recente tesi di dottorato sul violoncello nei Paesi Bassi nel Settecento (presentata da Elske Tinbergen nel 2018 proprio all’Università di Leiden) ha portato nuove informazioni sull’editore Alexis Magito, responsabile della stampa delle Sonate di Duni. Si tratta di uno dei primi virtuosi e compositori per violoncello in Olanda, attivo a Rotterdam ma che aveva molte cose in comune con Duni: anche lui si iscrisse all’Università di Leiden e anche lui aveva forti contatti con Londra, dove si trasferì nella parte finale della sua vita come stampatore. È dunque possibile che anche i Minuetti e Contridanze fossero stati stampati a Londra in una rete di contatti comuni tra stampatori, musicisti e dilettanti amatori. Nella dedica ad un importante nobile olandese, Carlo Baroni di Bentink, il compositore si firma “Egidio Duni Napolitano”. Secondo Tinbergen la data più probabile per la stampa delle Sei Sonate a Tre di Duni è il 1739 e si trattò della prima opera stampata da Magito (nell’edizione inserì una sorta di pubblicità di sé stesso come musicista oltre che stampatore). Dunque si tratta di un libro molto più importante di quel che finora si pensasse. Quanto al contenuto, com’è evidenziato nel titolo, si tratta di una tipica raccolta di sei Sonate a tre che, grazie alla lezione corelliana diffusa dai grandi violinisti italiani del primo Settecento (come Geminiani e Locatelli), costituivano in Olanda il repertorio prediletto dagli esecutori dilettanti per le loro riunioni domestiche. La struttura è normalmente in tre movimenti di andamento alternato (allegro-adagio-allegro) con una eccezione nella Sonata III (allegro – fuga allegro – tempo giusto esempre piano – minuetto allegro assai; ma un breve passaggio indicato come “fuga” è anche nella Sonata VI ) e con prevalenza di tonalità maggiori e più solari: La, Sol, Re, Sib rispetto ai soli mi minore e re minore. I temi presentano melodie molto belle e non banali, degne di un allievo dei Conservatori napoletani, spesso accompagnate da bassi molto elaborati. Dunque musica piacevole ma non per principianti. Una conferma della preparazione tecnica ma anche culturale di Egidio Romualdo Duni, che dopo l’Olanda si apprestava a conquistare la Francia, dopo un breve ritorno in patria. Questo concerto presenta per la prima volta con strumenti storici e prassi esecutiva idonea l’integrale delle sei triosonate di Duni in concerto a Matera, nell’attesa dell’uscita di un cd già registrato dallo stesso gruppo. Ulteriore tassello prezioso per la diffusione del compositore materano nel mondo.
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il duni ensemble — prende il nome dal compositore lucano Egidio Romualdo Duni ed è costituito da musicisti lucani, napoletani e pugliesi attivi da oltre venti anni nel campo della musica antica e dediti allo studio e all’interpretazione del repertorio rinascimentale e barocco. L’ensemble propone all’attenzione del pubblico un vasto repertorio che abbraccia tre secoli di musica eseguito con strumenti antichi o copia di strumenti conservati nei più importanti musei europei nonché nelle Accademie Filarmoniche italiane. Formatesi con i più autorevoli rappresentanti del panorama musicale italiano ed estero: Emilia Fadini, Jesper Christensen, Sergio Balestracci, Marcello Gatti, K. Klark, Stefano Bagliano, Veronique Daniels, Giovanni Acciai, Daniela Dolci, i musicisti del Duni Ensemble hanno al loro attivo numerosi concerti ed esibizioni in Italia e all’estero per importanti festival di musica antica, oltre che diverse incisioni discografiche e prime registrazioni mondiali. Spirito di ricerca musicologica e passione per la prassi esecutiva antica animano i componenti dell’ensemble, orientandoli verso repertori spesso inediti o non del tutto praticati dalla maggior parte dei musicisti. È in uscita imminente, a cura del Duni Ensemble, la registrazione integrale delle musiche strumentali di Egidio Romualdo Duni. claudia di lorenzo — Si è diplomata in pianoforte, clavicembalo, laureata con il massimo dei voti in materie letterarie ad indirizzo musicologico presso l’Università degli studi di Parma, ottenendo, in seguito, la specializzazione in storia dell’arte presso l’Università degli studi di Bari. Dal 1995 si dedica all’approfondimento teorico - pratico della musica antica, collaborando con diverse formazioni strumentali della sua città, come solista ed in formazioni cameristiche. Ha partecipato, in qualità di clavicembalista-relatrice al II Convegno internazionale “Il Clavicembalo in Europa” svoltosi a L’Aquila, ottenendo una menzione speciale per la qualità del lavoro svolto. Si è perfezionata presso la Scuola Musicale di Milano con Emilia Fadini per la letteratura clavicembalistica, Giorgio Matteoli per la musica d’insieme ed Andrea Di Renzo per la tecnica sul clavicembalo, clavicordo, fortepiano. Dal 2000 è componente dell’orchestra barocca del “Festival Duni” di Matera – fondata con l’intento di promuovere l’esecuzione delle opere di Duni – con la quale ha inciso, nel 2001, in prima esecuzione assoluta l’Oratorio sacro Giuseppe Riconosciuto (prima edizione moderna), edito dalla Bongiovanni con alla direzione Vito Paternoster. Ha frequentato ad Urbino il corso di clavicembalo con Enrico Baiano e basso continuo con Andrea De Micheli. Come continuista ha
natalia bonello — flautista, polistrumentista, insegnante di flauto e musica d’insieme per fiati presso il Liceo Musicale di Matera, si diploma con lode in flauto traverso e flauto dolce presso i Conservatori di musica di Matera e Bari. Approfondisce lo studio del repertorio flautistico e le nuove tecniche a Bologna con la flautista Annamaria Morini. Consegue il diploma di master in “Teoria e pratica della musica antica” presso l’Università di studi di Basilicata sotto la guida di Dinko Fabris con uno studio ed edizione critica de “Il III Libro dei madrigali a cinque voci” di Carlo Gesualdo da Venosa. Si perfeziona in flauto traverso storico (rinascimentale e barocco) con Marcello Gatti e Kate Clark ai corsi internazionali di musica antica di Urbino. Pubblica per l’etichetta Brilliant Classics, le Sonate en trio op. 3 di Hotteterre insieme all’ensemble Les Elements diretto da Piero Cartosio, e, nell’Ottobre 2016, l’intera raccolta de Il Primo libro delle canzoni a 4 voci – 1591 del compositore lucano Marc’antonio Mazzone da Miglionico dirigendo l’ensemble Le vaghe ninfe insieme a Maria Antonietta Cancellaro. Partecipa, inoltre, all’incisione dell’opera di Salvatore Sciarrino Studi sull’intonazione del mare per la Stradivarius. Dedicataria di alcune composizioni, esegue e registra svariate prime esecuzioni assolute. Vincitrice di numerosi concorsi nazionali ed internazionali tra cui il premio L. Nono 1999 per la miglior performance contemporanea, ricopre il ruolo di primo flauto dell’orchestra della Provincia di Matera dal 1998 al 2004. Primo traversiere dell’orchestra barocca Orfeo Fututro, Orchestra della
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collaborato con le più significative Istituzioni orchestrali del territorio: orchestra ICO della provincia di Bari, della Puglia e della Basilicata, Magna Grecia di Taranto, Solisti Dauni, ecc. Ha realizzato diversi seminari e curato pubblicazioni sulla retorica di Girolamo Frescobaldi, su Bernardo Storace, Barbara Strozzi ed Artemisia Gentileschi ed ha tenuto un laboratorio sulle diteggiature storiche presso il Conservatorio L. D’Annunzio di Pescara nell’ambito delle manifestazioni organizzate dal Dipartimento di musica antica pescarese. Ha conseguito il master biennale di Specializzazione di Musica Antica e Rinascimentale organizzato dall’Università della Basilicata perfezionandosi con Daniela Dolci per la musica da camera e Jesper Christensen per il clavicembalo e Basso continuo. Ha curato diversi seminari sulla prassi esecutiva della musica barocca presso Università italiane. Nel 2018 sono in uscita, con il Duni Ensemble, l’incisione dell’integrale delle Sonate op. 1 di Egidio Romualdo Duni, e col soprano Mimì Coviello, un doppio cd dedicato alla musica sacra seicentesca al femminile composta da monache e religiose. È docente di lettere e storia dell’arte presso l’istituto di scuola secondaria di secondo grado. Il suo strumento è copia di un cembalo fiammingo del XVII secolo.
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cappella Santa Teresa dei Maschi di Bari, e l’Orchestra Internazionale d’Italia nell’ambito del Festival della Valle d’Itria, si esibisce sotto la direzione di Diego Fasolis e Daniel Cohen, realizzando dirette per la RAI Radio3. Invitata a partecipare in qualità di solista e camerista a festival nazionali ed internazionali, come Il Barocco Festival di Sanremo, Le vie Del Barocco di Genova, Mousiké e Urticanti di Bari, nonché il festival Wanda Landovska di Ruvo di Puglia, ha suonato con artisti ed ensemble cameristici tra cui il Quartetto Icarus con Lorenzo Cavasanti e Stefano Bagliano, con il trombonista Michele Lomuto e il flautista Mario Caroli nell’ambito del Festival dei Due Mondi di Città di Castello. Sensibile alla cultura musicale antica e popolare, si dedica anche allo studio degli strumenti tipici della musica tradizionale (ciaramelle, flauto doppio, Galoubet-Tamburin, ghironda). È attualmente presidente dell’Associazione culturale Ars Nova Matera attiva nella città dei Sassi, promuovendo progetti di ricerca e rivalutazione di opere artistiche e musicali del territorio lucano. Suona un traversiere copia J. H. Rottenburgh realizzata da R. Tutz (Innsbruck), un flauto soprano copia T. Stanesby Jr. realizzata da L. De Paolis, un flauto contralto Bressan eseguito da P. Sopranzi., una rara traversa in bosso a corpo unico di F. Puglisi ed un flauto soprano rinascimentale Van Eyck di G. Andreola. julia ponzio — ha studiato flauto traverso al conservatorio Niccolò Piccinni di Bari ed in seguito al Conservatorio Giovan Battista Martini di Bologna, dove si è diplomata, sotto la guida di A. Morini, nel 1997. Da molti anni interessata al campo delle prassi esecutive antiche ha iniziato a studiare il flauto traverso barocco nel 1993, seguendo i corsi tenuti da Claudio Rufa ad Urbino, e proseguendone poi lo studio con il Marcello Gatti. Nel 2015 ha conseguito la laurea triennale in Flauto Dolce presso il Conservatorio di Bari. All’attività musicale affianca quella di Ricercatrice di Filosofia e Teoria dei Linguaggi presso l’Università di Bari. mauro squillante — mandolinista, è considerato uno specialista negli strumenti antichi a plettro (mandolini e mandole, mandolone, colascioni, cetra), sul cui repertorio, organologia e prassi esecutiva conduce una costante attività di ricerca. Diplomato presso il conservatorio Pollini di Padova, ha approfondito i propri studi musicali con Hopkinson Smith e Crawford Young presso la Schola Cantorum Basilensis, Enrico Baiano, Federico Marincola, Emilia Fadini, Edoardo Eguez. Svolge una intensa attività concertistica in Italia ed all’estero esibendosi da solista, in duo col clavicembalista Raffaele Vrenna, in trio con l’arpista Mara Galassi e il soprano Marinella Pennicchi, e con gli ensemble Lirum li Tronc e Scherza l’Alma. Partecipa in qualità di esperto ad un progetto dell’Università di Bologna e dell’Università di Uppsala (Svezia) incentrato sulla ricerca del repertorio mandolinistico del ‘700 napoletano, nell’ambito del quale ha tenuto concerti, conferenze e masterclass a Londra, ospite della Lute Society presso il Royal College, in Ungheria a Budapest presso l’Ambasciata d’Italia, ed in varie città italiane. Tiene inoltre corsi e masterclass presso varie scuole di mandolino in Europa, come quella di Marsiglia (Francia) e di Heerde (Paesi Bassi), e in Giappone (Tokyo), dove annualmente si reca per presentare le proprie uscite discografiche. Numerose le sue collaborazioni con orchestre ed
piero massa (vedi concerto del 21 ottobre) leonardo massa — Nato a Napoli, si è laureato e perfezionato in violoncello con S. Altobelli, M. Flaxsman, K. Haenkel e M. Centurione, perfezionandosi successivamente in musica da camera con K. Bogino, P. Vernikov, e in strumenti a pizzico antichi con F. Marincola, in violoncello barocco, basso continuo e prassi esecutiva rinascimentale e barocca con C. Coen, G. Nasillo, Christensen, etc., consegue il Master di musica Barocca e Rinascimentale presso L’Università di Potenza. Laureato in Musica da Camera presso il Conservatorio” Duni” di Matera 110 e lode e in Musicoterapia, formazione presso l’ISFOM di Napoli, e Tecnico del Modello Benenzon, presso il Centro Benenzon di Torino, invitato da Benenzon a conseguire il titolo di Magister presso la sede di Buenos Aires. Vincitore di concorsi nazionali e internazionali, partecipa a vari festivals in Italia e all’estero (Finlandia, Urugay, Argentina, Bolivia, Canada, U.S.A., Marocco, Israele etc.). È direttore artistico dell’Accademia Mandolinistica Napoletana. Collabora col Teatro San Carlo di Napoli e con diversi Ensemble: Daedalus, Collegium Pro Musica, l’Europa Galante, Le Musiche da Camera, Duny Ensemble, e con i maestri Pino De Vittorio, Marco Beasley e Roberto De Simone, con il quale ultimo dal 1992 collabora in opere e incisioni in prima esecuzione. La sua vasta discografia spazia dalla musica rinascimentale a quella barocca da quella contemporanea e popolare alla romantica. Docente di Violoncello presso I.C. Socrate - Mallardo e il Centro Sudi Mousikè convenzionato con il Conservatorio di Musica G. Martucci di Salerno per i corsi Pre-Accademici.
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ensemble di musica antica di livello internazionale come il Zefiro Ensemble di Alfredo Bernardini, i Freiburger Barok Orchestrer, la Venice Baroque Orchestra, la Cappella della Pietà dei Turchini, Arte dell’Arco, European Chamber Orchestra, Musica Perduta, Collegium Pro Musica; svolge inoltre la propria attività presso enti lirici quali il Teatro S. Carlo, il Maggio Musicale Fiorentino, il Teatro Petruzzelli di Bari, il Teatro Verdi di Salerno. Fra i Direttori d’orchestra con i quali si è pregiato di collaborare figurano Renè Jacobs, Andrea Marcon, Peter Maag, Louis Bacalov, Antonio Florio, Gabriele Ferro, Alessandro De Marchi. Ha inciso per le case discografiche Stradivarius, Harmonia Mundi, opus 111, Brilliant, Tactus, Felmay – Dunya records, Bongiovanni, Niccolò, Oriente Musik, Vigiesse, Respect Records. Ha effettuato inoltre registrazioni radiofoniche per la RAI e le emittenti radiofoniche e televisive francesi e tedesche. Ha pubblicato per la casa editrice musicale Mnemes – Alfieri e Ranieri Publishing di Palermo e per la casa editrice Santabarbara. È Presidente della Accademia Mandolinistica Napoletana, associazione riconosciuta per il proprio fondamentale apporto alla rinascita del mandolino a Napoli; direttore artistico dei Corsi estivi e del Festival mandolinistico che si svolgono annualmente ad Avigliano (PZ). Insegna Mandolino e strumenti a plettro storici nei Corsi di Musica Antica di Urbino organizzati dalla Fondazione Italiana per la Musica Antica. È docente di mandolino presso il Conservatorio” G. Martucci” di Salerno. Dal 2015 tiene masterclass presso il Musik und Kunst Privatuniversität der Stadt Wien. Infine è componente del Comitato Scientifico del progetto Il Mandolino a Napoli nel XVIII delle Università di Bologna e Uppsala.
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marcello de giuseppe — Inizia giovanissimo le sue esperienze professionali, nonostante frequenti solo il IV anno di studi, suona già nell’Orchestra Sinfonica di Lecce. Passa presto all’Orchestra del teatro Petruzzelli, con la quale effettua numerose tournee, concerti e stagioni liriche sino all’incendio del teatro. Sempre durante gli studi di Conservatorio si perfeziona nella Musica da Camera con i Maestri: Bourgue, Mariozzi, Shellenberger, Garbarino (con quest’ultimo incide un CD di musiche inedite di G.F. Malipiero). Si diploma (a pieni voti) sotto la guida di Antonio Volza (primo Fagotto del teatro Petruzzelli), prosegue gli studi con i migliori strumentisti come: Azzolini, Bossone, Damiano, Thunemann e Turkovic, vincendo anche prestigiose borse di studio come quella SIAE all’Accademia Chigiana di Siena, diventa nel frattempo (1991-94) primo Fagotto dell’Orchestra Sinfonica di Bari, suona inoltre con l’Orchestra dell’Accademia di S.Cecilia e con il gruppo di fiati della medesima. Nel 1997 inizia la sua collaborazione, come Primo Fagotto con l’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto, con la quale suona anche come solista inaugurando la stagione degli “Amici della musica di Firenze”, ed in numerose tournee, incidendo anche CD come quello della TELDEC con la pianista Martha Argherich. Tra le altre numerose orchestre con le quali collabora si possono citare anche quella del teatro Bellini di Catania e Internazionale d’Italia. Intensa è anche l’attività come solista e nella musica da camera. Attualmente, dopo aver vinto il Concorso nazionale per esami, è docente ordinario di Fagotto presso il Conservatorio Nino Rota di Monopoli nonché primo Fagotto dell’Orchestra della società dei concerti di Bari (Orchestra del Petruzzelli). Suona inoltre lo strumento barocco in numerose orchestre e festival di musica antica. luca tarantino (vedi concerto del 21 ottobre)
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mercoledì 31 matera / Museo della Scultura Contemporanea Matera
In collaborazione con Fondazione Zétema e Synchronos Soc. Coop.
14. il dramma di didone
Ideato da Mimì Coviello e Antonella Rondinone
Spettacolo d’opera in musica con arie di Egidio Romualdo Duni, Johann Adolf Hasse, Nicola Porpora, Leonardo Vinci. Ispirato al Pasticcio Didone abbandonata (libretto di Pietro Metastasio) rappresentato a Roma nel 1732, con la partecipazione di Egidio Romualdo Duni Mimì Coviello (Didone) soprano Valeria LaGrotta (Selene) soprano Antonio Giovannini (Enea) controtenore Ariam Keflu (Didone) recitante Rossella Iacovone danzatrice Claudia Di Lorenzo maestro al cembalo Orchestra di strumenti antichi e Coro Cappella di Santa Teresa dei Maschi direttore al cembalo Sabino Manzo composizioni originali di Fabrizio Festa Sol per te* Già l'Aurora Diffonde* immagini di Luca Centola elaborazione immagini e regia audio e video di Antonio Colangelo MaterElettrica regia di Antonella Rondinone Produzione del Festival Duni 2018 *prima esecuzione assoluta, commissione del Festival Duni
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Duni: un pasticcio biografico Dinko Fabris
La biografia di Egidio Romualdo Duni prima del 1735 è estremamente incerta e nebulosa. Dopo l’atto di battesimo che ne attesta la nascita a Matera prima dell’11 febbraio 1708, non abbiamo documenti su di lui per quasi trent’anni. Certamente aveva studiato in uno dei quattro conservatori napoletani allora attivi – come suo padre Francesco, che era stato allievo di Fago e Sarcuni alla Pietà dei Turchini – ed aveva vissuto a Napoli poiché nei suoi primi libretti ed edizioni musicali a stampa è indicato come “napoletano” (attestazione di scuola più che di origine geografica). La perdita di gran parte dei registri dei Conservatori napoletani per i primi decenni del Settecento impedisce di provare quanto scritto nel suo necrologio (Éloge de Duni. Le Nécrologe des hommes célèbres de France, Parigi 1776, pp.165-179): “Dés l’àge de neuf ans, il fut envoyé au Conservatoire, à Naples, ou il étudia son art sous le fameux Durante” e nell’unica altra fonte biografica recentemente pubblicata, Elogio di Egidio Duni di Giuseppe Sigismondo (in Apoteosi della musica del Regno di Napoli… ms. ante 1820 conservato a Berlino, edito da Dinko Fabris in I due mondi di Duni, Lucca 2014 e nell’ edizione integrale del manoscritto: Milano 2016): “… Egidio, il quale posto dal padre, come dicemmo, ad apprender la musica nel Conservatorio della Pietà, dopo otto anni di studio ne uscì così bene istrutto che tosto fu scritturato per Roma a scrivere nel teatro di Tordinona un dramma intotlato Il Nerone nel 1735”. Dunque, incrociando queste testimonianze, Egidio Romualdo sarebbe stato inviato a Napoli nel 1717 e avrebbe terminato i suoi studi dopo gli otto anni canonici nel 1725. Ma dove avrebbe allora trascorso i dieci anni prima del suo debutto teatrale a Roma, e perché senza alcun segnale di attività pubblica? È assai più probabile che il padre Francesco, che già aveva fornito la prima istruzione musicale al primogenito Antonio e alle figlie poi divenute suore (e musiciste) in Puglia, avesse impartito anche ad Egidio una educazione musicale abbastanza completa a Matera e che il ragazzo fosse poi andato a Napoli a perfezionarsi con qualcuno dei vecchi colleghi del padre in età più avanzata, come successe anche al barese Niccolò Piccinni, che giunse a Napoli soltanto a 14 anni. Questa ipotesi ridurrebbe il periodo di silenzio dopo il diploma di conservatorio a circa cinque anni, comunque troppi per un musicista di talento di quell’epoca. L’episodio del 1735, che vide contrapposta al Nerone di Duni la Olimpiade di Pergolesi, fu provvidenziale per la costruzione di un esordio “mitico” di Duni vincitore del genio di Jesi. Si pensava fino a poco tempo fa, del resto, che la partitura del Nerone fosse irrimediabilmente perduta: la nostra ricostruzione, basata su una cospicua
percentuale di arie sopravvissute (26) ma disperse nelle biblioteche del mondo ha consentito durante il Festival Duni del 2008 di offrire la prima vera occasione per valutare la perizia compositiva di Duni all’età di ventisette anni (un incontro di studi internazionale organizzato in occasione della prima del Nerone a Matera il 15-16 luglio 2008 ha definitivamente chiarito la realtà storica dell’evento del 1735). Continuando nell’impegno di riscoperta e diffusione della musica di Duni, tante volte testimoniato durante i 19 anni della propria attività, il Festival Duni quest’anno ha recepito una proposta di spettacolo che sotto l’aspetto affascinante del suo soggetto, la straordinaria figura di Didone/Elissa del mito (“son Regina e son Amante” come la scolpiscono i celebri versi di Metastasio), rivela un’autentica scoperta musicologica. Egidio Romualdo Duni non fece il suo esordio operistico nel 1735 ma era già stato coinvolto a Roma in una operazione teatrale nel 1732, addirittura come responsabile della riscrittura in forma di Pasticcio dell’opera prima di Metastasio, Didone abbandonata, che era stata musicata per la prima volta a Napoli nel 1724 da Domenico Sarro e che poi sarebbe divenuta uno dei testi più spesso musicati della storia dell’opera europea fino al pieno Ottocento. La scoperta non è di uno degli ancora rari studiosi specialisti di Duni nel mondo – che attualmente il Conservatorio Duni di Matera sta coinvolgendo in un ambizioso progetto di catalogazione e studio internazionale in previsione di un grande Convegno nel 2019 – ma di una giovane cantante specialista di barocco, dotata di profonda cultura e soprattutto curiosità intellettuale. Quando Mimì Coviello propose a me e a Saverio Vizziello il progetto del Pasticcio su Didone che (come spiega lei stessa nelle note che seguono, era nato come tesi di Diploma accademico di II livello al Conservatorio di Matera, sotto la guida esperta di Antonella Rondinone), feci letteralmente un salto sulla sedia: nessuno aveva notato che molti anni prima della notizia certa di una Didone abbandonata firmata da Egidio Romualdo Duni a Milano nel 1739 (ne esiste solo il libretto a stampa, non la partitura) lo stesso compositore appariva coinvolto in un allestimento della stessa Didone abbandonata a Roma nel 1732, ossia proprio nel periodo di totale assenza di notizie su di lui. Questa notizia, per la verità, era stata fornita già nel 1997 dal sempre accurato Saverio Franchi nel suo repertorio di libretti Drammaturgia romana (volume II, p. 272) in cui aveva indicato in Duni il responsabile della revisione della partitura composta da Porpora nel 1725 e riarrangiata da lui nel 1732 con aggiunte di arie sue e di altri autori. La notizia era poi stata ripresa in piccole note da altri autori che si sono occupati delle varie intonazioni della Didone abbandonata, ma tutti ritenevano che la partitura del 1732 non fosse sopravvissuta, proprio come quella di Milano 1739, mentre del libretto esistono tre esemplari (indicati senza il nome di Duni nel repertorio dei libretti italiani di Claudio Sartori al numero 7764) tra cui uno nelle collezioni dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Ed è proprio nella Bibliomediateca dell’Accademia di Santa Cecilia, oggi struttura moderna e ben organizzata, che Mimì Coviello ha potuto trovare, insieme al libretto, un manoscritto coevo di arie che corrispondono perfettamente ad una parte di quelle cantate nel Pasticcio romano del 1732. Si tratta del Ms. 3709.24 del Fondo Mario
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della Bibliomediateca dell’Accademia di Santa Cecilia, una grande raccolta di arie da opere rappresentate a Roma tutte intorno all’anno 1732: Cario Fabricio di Hasse, Germanico di Porpora, Gismondo di Vinci e altre di Feo e Leo. Nella parte finale del manoscritto 5 arie risultano collegate al Pasticcio Didone abbandonata: 2 di Porpora, 1 di Carlo Broschi (il celebre Farinelli), 1 di Michele Fini “napoletano” e 2 del nostro “Eggidio Doni [sic!] Napolitano”. La presenza di queste arie e del libretto dell’opera rappresentata al Teatro delle Dame nel 1732 sembra provare che Duni fosse davvero già stimato a Roma in quell’epoca tanto da apparire in un Pasticcio con nomi illustri (tranne forse quello di Michele Fini, operista napoletano rimasto oggi nell’ombra, ma ai suoi tempi molto attivo come dimostrano i tanti libretti e manoscritti sopravvissuti), tutti non per caso provenienti dall’ambiente di Napoli. Si apre dunque, grazie a questo ritrovamento provvidenziale, un terreno di ricerca inaspettato sugli anni giovanili di Duni, probabilmente trascorsi a Roma negli anni precedenti il 1735. Lo spettacolo cui il pubblico del Festival Duni parteciperà nell’incantevole scenario del Musma, uno dei musei più belli d’Europa che inserisce l’arte contemporanea nel ventre stesso della Mater/Matera, si inserisce dunque in una linea di ricerca coerente ma anche attualissima: il Pasticcio è un genere operistico solo negli ultimi anni preso in esame dagli studiosi e ancora più timidamente dai teatri d’opera attuali (eclatante è stato il caso del Pasticcio operato dal compositore pugliese Leonardo Leo sul Rinaldo di Händel a Napoli nel 1718, recuperato meritoriamente dal Festival della Valle d’Itria a Martina Franca in questo stesso anno 2018). Ma lo spettacolo proposto da Mimì Coviello e curato registicamente da Antonella Rondinone con la direzione di Sabino Manzo, ripropone tutto il fascino della tragedia ancestrale e mediterranea di Didone alla luce della contemporaneità (musiche e giochi elettronici, danza, recitazione, suggestioni visive) in contrappunto con il Pasticcio settecentesco che si offre come una sorta di riverberazione – teatro nel teatro – di un autentico spettacolo settecentesco. Come scriveva già nel V secolo lo scrittore latino di origine africana Macrobio: “La favola di Didone innamorata, che, come tutti sanno, è falsa, mantiene ancora dopo tanti secoli l’apparenza di verità: essa passa per vera sulla bocca di tutti; perfino pittori, scultori, tessitori di arazzi sfruttano questo argomento… e non sono da meno gli attori che lo divulgano continuamente in rappresentazioni mimiche e cantate…”.
Il progetto di Didone-pasticcio Mimì Coviello
È partendo dalla mitica figura della regina di Cartagine, da quello che di lei è maggiormente noto nella letteratura occidentale (Eneide, Virgilio (29-19 a.C.); Heroides, Ovidio (25-16 a.C.); Dido Queen of Carthage, C. Marlowe,1593) e nella storia della musica barocca, che sono venuta a conoscenza di Didone Abbandonata, il libretto scritto dal poeta Pietro Metastasio nel 1724 e musicato per la prima volta da Domenico Sarro nello stesso anno. Come è noto, in epoca barocca, il libretto di un’opera non era dominio di un solo compositore ma tanti potevano cimentarsi, sullo stesso canovaccio, esprimendo così il loro talento ed estro musicale. Da Domenico Sarro nel 1724 a Saverio Mercadante nel 1826, più di sessanta compositori d’Italia e d’Europa hanno scritto la loro versione di Didone Abbandonata e della gran parte di queste opere non si conosce quasi nulla. Durante il lavoro di ricerca per la mia tesi di Diploma di II livello al Conservatorio di Matera nel 2016 (intitolata Didone: la Regina di Cartagine in musica: da H. Purcell a E.R. Duni, relatore Antonella Rondinone), ho posto l’attenzione sulle opere composte nel diciottesimo secolo, realizzando che ad oggi non esistono più di dieci incisioni integrali delle diverse partiture di Didone Abbandonata. Così mi sono chiesta: quanti manoscritti inediti si trovano nelle biblioteche d’Italia, d’Europa e del mondo? Quante ne avrei potute trovare? Uno tra i tanti compositori a prendere in prestito il libretto, era stato il materano Egidio Romualdo Duni. Al momento in cui avevo iniziato la ricerca, nelle biografie di Duni, veniva citata una Didone Abbandonata messa in scena a Milano nel 1739 e della quale risultava conservato il libretto (La Didone abbandonata. Drama per musica da rappresentarsi nel Regio-Ducal Teatro di Milano nel carnovale dell’anno 1739, libretto conservato nella raccolta drammatica Algarotti della Biblioteca Braidense di Milano) ma non la partitura. Tuttavia, il risultato delle mie ricerche sui repertori e negli archivi ed il confronto con esperti italiani di musica barocca, mi ha consentito di mettere insieme i pezzi sparsi relativi a questa vicenda: la Didone Abbandonata del 1739 di Egidio Romualdo Duni era stata anticipata da un “pasticcio” allestito nel 1732 a Roma, come aveva già correttamente indicato Saverio Franchi che ne aveva per primo indicato il libretto stampato per l’occasione e rivelato il ruolo di Duni, che fu quello di arrangiare la precedente Didone abbandonata del collega napoletano Nicola Porpora (1725) aggiungendovi arie sue e di altri autori (Didone Abbandonata Tragedia di Pietro Metastario Da rappresentarsi in musica nel Teatro delle Dame nel Carnevale dell’Anno M.DCC.XXXII dedicato all’Illma ed Eccma Signora D. Ottavia Strozzi Corsini Ducessa di Casigliano, e Pronipote della Santità di N.S. Clemente XII, Felicemente Regnante, Roma 1732). Il pasticcio o centone è un’opera lirica composta, in tutto o in parte, da arie tratte da opere o composizioni preesistenti
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di differenti autori, in certi casi conservando il libretto originale, più spesso con il testo del libretto opportunamente modificato in base alle esigenze sceniche o in chiave satirica. Le “opere-pasticcio” hanno avuto il loro apogeo a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Contrariamente a quanto riportato nelle correnti biografie (per esempio l’Éloge de Duni, stampato a Parigi dopo la sua morte nel 1776, diceva che al suo debutto Duni era stato chiamato prima a Venezia per comporvi un’opera e da lì, dopo una tappa a Milano, sarebbe partito per Parigi nel 1733), Egidio Duni era dunque a Roma già nel 1732, impegnato nel mettere in scena una Didone abbandonata, suo vero esordio operistico sia pure in forma di pasticcio. Sembra tuttavia che quest’opera, interpretata da castrati e cantanti maschi come tradizione a Roma, non abbia incontrato un grande successo (come fa capire una lettera di Metastasio a Marianna Bulgarelli del 19 gennaio 1732 Mi dispiace infinitamente la caduta della Didone) e questo forse spiega la carenza di libretti, nessuna ripresa, poche repliche, poco interesse a conservare memoria di una serata deludente. Non è ancora dato sapere, non avendo trovato la partitura dell’opera eseguita a Milano, se nel 1739 Duni abbia messo in scena ancora una volta Didone Abbandonata in forma di pasticcio o se abbia invece scritto un’intera opera tutta sua. Le due rappresentazioni, in ogni caso, hanno subito delle variazioni testimoniate dai libretti: il libretto del 1739 è più fedele alla prima stesura metastasiana, mentre il libretto del 1732 presenta la sostituzione di alcune arie (M’offendi e pur conviene al posto di Tacerò se tu lo brami) e l’aggiunta di alcune scene (Aria di Araspe, Vorrei disciogliere le mie catene). Analogamente alla versione del 1739, nemmeno delle Didone di Roma sembrava fosse stato conservato il manoscritto. Ancora una volta mettendo insieme i pezzi, sono riuscita a ritrovare, in una raccolta di musica manoscritta (Bibliomediateca del Conservatorio di S. Cecilia di Roma), una inaspettata raccolta delle sole arie superstiti attribuibili al Pasticcio di Duni eseguito a Roma. Si tratta di 6 arie in totale: “Vorrei disciogliere le mie catene” (Duni); “M’offendi e pur conviene” (Carlo Broschi); “Veggio la sponda” (Duni); “Non lascia il ben che brama” (Porpora); “Infelice e sventurato” (Porpora); “Non voglio, non sento” (Fini). Tutto questo intreccio entusiasmante ha così portato alla mia proposta di sperimentare per la prima volta, nel 2016 al Conservatorio di Matera, la ricostruzione di un Pasticcio di Didone, prendendo in prestito anche altre musiche composte sullo stesso testo metasta-siano: di Leonardo Vinci, Niccolò Jommelli, Henry Purcell, Nicola Porpora ed Egidio Romualdo Duni e costruendo la trama intorno al libretto di Metastasio intrecciato ai versi dell’Eneide. In scena era solo la regina di Cartagine (da me interpretata) che, dando voce via via a tutti i personaggi dell’opera, ripercorreva la sua storia dall’arrivo di Enea fino alla morte. A distanza di due anni, grazie al Festival Duni e alla disponibilità di Saverio Vizziello e Dinko Fabris, il progetto si riapre e prende una nuova forma, concentrando l’attenzione soprattutto sulle arie superstiti ritrovate del Pasticcio di Duni del 1732, unite ad arie di compositori degli anni immediatamente precedenti, che ben
avrebbero potuto figurare nel Pasticcio romano, come Vinci e Porpora (e incorporando, sempre nella tradizione del pasticcio, altri numeri musicali dello stesso Duni, dall’oratorio Giuseppe riconosciuto, anch’esso su testo di Metastasio). Questa volta Didone è sulla scena insieme a sua sorella Selene, ad affrontare Enea ed il suo triste destino, insieme ad una danzatrice, ad una narratrice e con la presenza di incursioni elettroniche audio-video a supporto del magico racconto. Al Prologo il compito di raccontare la storia attraverso numerosi linguaggi sperimentali, per poi raccogliere intorno al Pasticcio la sua dimensione tutta barocca, scoprendo, tra le altre, delle vere e proprie perle musicali inedite.
Note di Regia Antonella Rondinone Addentrarsi nei meandri dell'anima della Regina di Cartagine non è sicuramente un cammino lieve. Grande personalità, forte, caparbia, ma anche fragile e pronta a regalare il suo cuore ad uno straniero, Didone è questo e tanto altro. Il “Prologo” – la prima parte che, in forma teatralizzata, precede il “Pasticcio” musicale – racconta il percorso intimo di Didone, attraverso i versi immortali dell’Eneide di Virgilio e della Didone Abbandonata di Pietro Metastasio. I fili della vicenda di Didone saranno tessuti da una narratrice, che racconterà in modo “esterno” gli accadimenti, fino a quando non deciderà ella stessa di entrare nella storia, vestendo – durante un sortilegio – i panni del dio che, apparso in sogno ad Enea, gli impose di lasciare quei lidi. Didone apparirà in tutto il suo splendore di Regina e di donna, accompagnata dal suo “alter ego”: una danzatrice, che esprimerà, attraverso movimenti armoniosi del corpo, i pensieri, le azioni incompiute ed i moti del cuore della protagonista. Enea verrà proposto in tutta la sua fragilità di uomo, che nulla può dinanzi al volere degli Dei, incapace di immaginare ciò che Didone sarà pronta a fare in preda all’abbandono. Selene, infine, sorella di Didone, assisterà muta e sofferente a tutto il Prologo, per poi esprimere i suoi sentimenti attraverso il canto nel Pasticcio. I versi antichi del Prologo trovano un riverbero naturale nel profumo epico ed ancestrale che trasuda dalla cornice degli ambienti che ospitano questo spettacolo. Fra rito magico, storia, incontri, passione e morte, il pubblico si muoverà insieme ai protagonisti, assaporando un dolce ma aspro sapore di vita che “forse” fu.
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sabino manzo — direttore d'orchestra. Nato a Bari nel 1970. Studia presso il conservatorio di musica N. P iccinni, Pianoforte e Composizione e a Milano Musica Corale, Direzione di Coro e Direzione d’Orchestra, diplomandosi col massimo dei voti. Formatosi sotto la guida di Marco Berrini, si perfeziona con S. Korn, F.M. Bressan, F. Bernius, P. Neumann, G. Graden per la direzione orchestrale. Studia composizione con B. Putignano, F. Donatoni, L. Macchi, P. Rotili e il pianoforte con Angela Annese. È attivo nell’ambito della direzione d'orchestra dal 1998, fondando e dirigendo il gruppo vocale e strumentale Florilegium Vocis e dell’Associazione Polifonica Barese Biagio Grimaldi di Bari, di cui è direttore stabile. Impegnato nell’attività didattica, ha svolto corsi, stage, incontri di approfondimento in direzione, analisi, metodologie didattiche, interpretazione, presso numerose città e associazioni in Italia e all’estero (Aosta, Alessandria, Malaga, Milanoe cosi via). È l’ideatore e promotore del progetto Cappella S. Teresa dei Maschi che ha portato alla formazione della prima orchestra barocca tutta pugliese e meridionale, con la quale dal 2014 sta realizzando l’esecuzione di capolavori della storia, e la edizione e registrazione di opere di autori pugliesi del Settecento con la casa discografica Toccata Classics di Londra. È stato docente di esercitazioni corali presso il Conservatorio di Musica A. Vivaldi di Alessandria per l’anno 2011. È attualmente docente di Armonia e Direzione di Coro presso l’Istituto Diocesano di Musica Sacra di Bari. Dal 2012 collabora come direttore assistente di Marco Berrini presso il Coro Nazionale della C.E.I. Giovanni Maria Rossi.
antonella rondinone — regista. La duttilità vocale ed una spiccata qualità attoriale hanno permesso ad Antonella Rondinone di debuttare trenta ruoli operistici, tra i quali si segnalano Mimì ne La Bohéme di Puccini, Micaela nella Carmen di Bizet, Tosca di Puccini, Donna Elvira nel Don Giovanni di Mozart, Nedda nei Pagliacci di Leoncavallo, Helena in A midsummer night’s dream di Benjamin Britten, Rita di Gaetano Donizetti, Belinda in Dido and Aeneas di Henry Purcell. Ha cantato nei più importanti teatri italiani e all’estero: Teatro dell’Opera di Roma, Teatro Comunale di Bologna, Teatro Massimo di Palermo, Teatro Carlo Felice di Genova, Teatro Verdi di Trieste, Auditorium del Lingotto di Torino, Teatro Verdi di Pisa, Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Goldoni di Livorno, La Commedie des Champs Elysees di Parigi, Le Theatre de la Ville di Saint-Malo (Francia), Teatro Tartini di Pirano (Slovenia), Auditorium Municipal di Portimao (Portogallo), Auditorio Magno di Porto (Portogallo). Nel settembre 2015, ha cantato con Josè Carreras, nel concerto inaugurale
mimì coviello — soprano. Comincia sin dall’età di sei anni a studiare musica, imparando a suonare il flauto traverso. Ha più tardi scoperto un profondo amore per la musica barocca cominciando lo studio del canto antico con la maestra Sara della Porta presso l’Accademia Angelica Costantiniana di Roma affrontando il repertorio antico dal rinascimento al tardo barocco. Dal 2009 si iscrive al Conservatoire de Musique Neuchâtelois di Neauchâtel e nel 2014 consegue il Certificat Supérieure d’Exécution in canto sotto la guida di Rosemarie Meister con la quale approfondisce lo studio della vocalità barocca, del Lied tedesco e della musica classica contemporanea; al contempo approfondisce gli studi di teoria musicale e di canto presso l’Associated Board Royal Schools of Music. Ha frequentato masterclass di vocalità medievale e barocca di respiro internazionale. Nel Settembre 2010 si esibisce presso Villa Romana a Firenze per un’opera d’arte visuale (Politics od Privetness-A. Molska). Ha iniziato l’attività solistica esibendosi in Italia e all’estero. È stata selezionata per l’ammissione all’Atelier Lyrique dell’Opera di Parigi. A Marzo 2016 si laurea con lode e menzione presso il Conservatorio E.R. Duni sotto la guida di Manuela Bisceglie ed Antonella Rondinone con una tesi sull’Opera Barocca e una ricerca sulle opere intorno al libretto Didone Abbandonata di P. Metastasio. Dal 2011 collabora in diverse formazioni musicali italiane di musica barocca e liederistica. Essendo anche un architetto del paesaggio, esplora la corrente del Soundscape Design prendendo parte a performance legate a progetti di Land Art, credendo fermamente nel potere della musica e del suono di disegnare lo spazio. valeria la grotta — soprano. Laureata in Canto lirico col massimo dei voti, lode e menzione d’onore presso il Conservatorio N. Piccinni di Bari nella classe di Domenico Colaianni, sta concludendo il biennio specialistico di Canto Rinascimentale e Barocco presso il Conservatorio B. Maderna di Cesena con Roberta Invernizzi. Per il Giovanni Paisiello Festival di Taranto ha interpretato il Te Deum nella prima incisione discografica in tempi moderni, la Cantata di S. Gennaro con l’ensemble barocco del Teatro San Carlo di Napoli (2013) e ha debuttato il ruolo di Gloria in Amor vendicato di Paisiello (2015). È stata Sirena nella Liberazione di Ruggiero di Francesca Caccini al Teatro Palladium di Roma diretta da Elena Sartori (2017). Ha interpretato Melia in Apollo
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tenutosi a Matera che ha aperto il nuovo tour del tenore spagnolo. Nel maggio 2016, ha cantato in Giappone a Tokyo, rappresentando l’opera lirica italiana nella iniziativa “ITALIA, AMORE MIO”, organizzata in occasione dei 150 anni delle relazioni tra Italia e Giappone. La sua traiettoria artistica, oltre che come cantante lirica, si è arricchita di importanti esperienze internazionali nel campo della regia di opere liriche – Il Trovatore di Giuseppe Verdi e Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, nei teatri del Portogallo – quale naturale approdo di un percorso di studi e di esperienze teatrali ed attoriali che hanno valorizzato le sue poliedriche qualità artistiche. È stata diretta dai Maestri J. Tate, J. Webb, S. Mercurio, G. Gelmetti, S.A. Reck, Aldo Ceccato, R. Marrone, O. Leshman, G. Carella, L. Pfaff, E. Boncompagni. Ha lavorato con i registi Franco Zeffirelli, Lindsay Kemp, Micha Van Hoeke, M. Znaniecki, C. Alvirez, F. Tiezzi, M.Gandini, M. Mirabella. Ha collaborato con l’orchestra del Collegium Musicum di Bari, diretta da Rino Marrone per l’esecuzione di opere e concerti relative al repertorio vocale contemporaneo. Nell’agosto 2018 ha partecipato, in qualità di solista, al concerto finale del Concorso Internazionale di Composizione “2 AGOSTO” di Bologna, accompagnata dall'Orchestra Toscanini di Parma, diretta da Alessandro Cadario. È docente di canto presso il Conservatorio di Musica E.R. Duni di Matera e collabora stabilmente con la BSMT – Bernstein School of Musical Theatre di Bologna.
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et Hyacinthus di Mozart con I Musici Malatestiani diretti da Gabriele Raspanti (Forlì 2017). Nella Sala della Balla del Castello Sforzesco di Milano ha eseguito il Passio Domini di Cipriano De Rore con l’orchestra barocca della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado diretta da Pietro Modesti (2018). Al Teatro Orfeo di Taranto è stata Serpina in Serva padrona di Paisiello con Giuseppe Naviglio (Uberto) e l’ensemble barocco Santa Teresa dei Maschi diretto da Sabino Manzo e con lo stesso cast ha cantato l’omonima opera di Pergolesi a Palazzo Pesce di Mola di Bari (2018). Come solista ha partecipato a importanti festival internazionali: il Barocco Festival Leonardo Leo di San Vito dei Normanni (2014); il Festival Piccinni di Bari (2015); Akademie für Alten Musik di Bruneck (2016); il Victoria International Arts Festival di Malta (2016); Innsbruck Barock dell’Universität Mozarteum (2017). Con l’ensemble Barocco Rosa ha vinto il primo premio di musica da camera del Concorso Wanda Landowska di Ruvo di Puglia (aprile 2017). Nell’ottobre 2017 è stata finalista alla IX edizione del Concorso Internazionale di canto barocco Principe Francesco Maria Ruspoli del Centro Studi Musicologici Santa Giacinta Marescotti di Vignanello. Nel maggio 2018 a Vinci ha vinto il I Premio al concorso di Canto Barocco Orchestra Ferruccio Benvenuto Busoni. Nel 2018 a Palazzo Ghini di Cesena ha interpretato la parte di Aminta in Aminta e Fillide HWV 83 di Handel diretta da Rinaldo Alessandrini (aprile); presso la Domus Ars di Napoli ha tenuto un recital sulle Cantate Napoletane di Sei e Settecento per la rassegna Sicut Sagittae di Antonio Florio; nel Duomo di Cesena ha eseguito pagine sacre di Buxtehude sotto la direzione di Carmen Leoni (luglio); a Villa Faraggiana di Albissola ha tenuto il recital Il mito di Didone con Voxonus Ensemble in collaborazione col Teatro dell’Opera Giocosa di Savona (agosto).
antonio giovannini — Debutta giovanissimo come protagonista dell’Eliogabalo di Cavalli al Teatro San Domenico di Crema, dando l’avvio ad una carriera con un calendario fitto di impegni in campo barocco. Viene notato da Riccardo Muti che lo sceglie per il ruolo di Matusio nel Demofoonte di Jommelli al Festival di Salisburgo, all’Opéra Garnier di Parigi e al Festival di Ravenna e lo riconferma per la Betulia liberata Salisburgo e Ravenna. Nel 2009 debutta al Festival International de Musique Baroque di Beaune nel Giulio Cesare di Händel (Tolomeo), con Al Ayre Español e Eduardo Lopez-Banzo. Antonio Giovannini interpreta anche titoli contemporanei ed opere di Britten come Midsummer Night’s Dream (Oberon) e The Turn of the Screw.
rossella iacovone — danzatrice. Comincia gli studi di danza all’età di 6 anni a Matera.Nel 2006 riceve una borsa di studio per la formazione professionale in danza classica e contemporanea nel Balletto di Toscana di Cristina Bozzolini con Barbara Beer, Eugenio Buratti, Arianna Benedetti e altri numerosi coreografi nazionali ed internazionali.Nel 2009 riceve la borsa di studio presso il Centro Danza e Movimento di Lilia Bertelli e sostiene principali ruoli solistici negli spettacoli coreografati da Beatrice Paoleschi. Nel 2010 lavora per la compagnia Oplas di Luca Bruni e Mario Ferrari per la produzione di spettacoli in Svizzera, Germania, Croazia, Vietnam e Thailandia oltre che in Italia. Nel 2012 partecipa al programma televisivo sky “Musical’s Talents”, raggiungendo la fase finale. Dallo stesso anno entra a far parte della compagnia junior Balletto Lucano come ballerina solista per spettacoli a Parigi, nel festival Argojazz e nel Premio Roma 2013 dell’Accademia Nazionale di Danza. Ancora oggi continua con loro la collaborazione, coinvolgendo le nuove giovani allieve in stage con Giannalberto Defilippis, Simona Bertozzi, Marina Mascarel, Laslo Nyakas (tirocini nella compagnia tedesca del teatro di Münster). Nel biennio 2013/2015 partecipa a numerosi eventi con performance come coreografa e performer a Potenza (Giornata Mondiale della Danza 2013) e a Matera, in collaborazione con artisti di varie discipline. In particolare si segnalano le sue collaborazioni con musicisti solisti e artisti di varia provenienza. Dal settembre 2015 fonda a Matera (in qualità di Presidente e diret-
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ariam keFlu — narratrice (Didone). Nata nel 1982 ad Asmara in Eritrea, dove ha terminato la Scuola Superiore, vive ormai da molti anni in Italia a Matera, dove ha collaborato dal 2007 con la Cooperativa Sociale Il Sicomoro, come Operatrice Culturale. La scelta di Ariam per impersonare il personaggio di Didone trova una corrispondenza nella storia semileggendaria e tipicamente mediterranea della regina, basata su viaggi di emigrazione e terribili scelte: principessa di Tiro nell’antica Fenicia Elissa (il vero nome di Didone) fu costretta da una congiura del fratello ad abbandonare il trono e passando attraverso Cipro e Malta giunse sulla costa africana dell’odierna Tunisia, fondando la città di Cartagine con uno stratagemma che possiamo considerare un riconoscimento alle straordinarie qualità della sua personalità.
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trice artistica) la asd Oltredanza - Progetti in movimento, tenendo corsi di danza classica, tecnica punte, modern, contemporaneo, laboratori coreografici ed organizzando stage e collaborazioni con Jeorge Seijo Alvarez (diplomato presso l’Accademia Nazionale di Cuba), Francesco Sangermano (insegnante e coreografo freelance), Lucia Pennacchia (danzatrice e insegnante di teatro-danza), continuando ad offrire la possibilità di esperienza di palcoscenico ad allieve promettenti. Tra gli altri progetti, nel maggio 2016 porta a termine come coreografa e direttrice artistica il progetto ” AUTENTRAVEL” che vede la realizzazione dello spettacolo, da lei ideato e coreografato, in quattro suggestivi luoghi di Matera (Palazzo Lanfranchi, Madonna delle Virtù, Cristo Flagellato , piazza San Giovanni). Come danzatrice e coreografa collabora con il Conservatorio di Musica E.R. Duni per la seduta di laurea “Didone-pastiche” (con Mimì Coviello) e per l’opera Puccini affetti e passioni in piazza San Giovanni (luglio 2016). Ha fatto inoltre parte, come danzatrice, della compagnia dello IAC (Centro Arti Integrate )con lo spettacolo “La fuga” portato nei Paesi della Basilicata e in residenza a Ravenna presso il “teatro delle Albe”, con cui ha collaborato anche all'interno del festival “Nessuno Resti Fuori” per l’assistenza tecnica del coreografo Daniele Ninarello, ospite per una residenza a Matera. (luglio 2016). Continua la sua attività di insegnante e coreografa nell’asd Oltredanza dove ricerca ed ospita coreografi ed artisti freelance in grado di ampliare l’esperienza personale e della stessa associazione, offrendo diverse possibilità di apertura con artisti (ambito performativo, danza, teatro, yoga ) dai bambini agli adulti. Come performer ha lavorato nel 2017 in residenza presso lo IAC centro arti integrate con la coreografa e performer Lucia Pennacchia per il progetto “L’O”in scena per il festival “Nessuno Resti Fuori” e per il “Festival dei Claustri”presso il Claustro la Giudecca. È stata Direttrice artistica della II Edizione della GID, Giornata Internazionale della Danza” (aprile 2018), laboratori e incursioni nella città con tutti gli stili di danza ed è fondatrice e coreografa della compagnia di danza contemporanea di Matera “Oltredanza”. la cappella musicale santa teresa dei maschi — è stata fondata a Bari, all’interno dell’Associazione Florilegium Vocis, come istituzione culturale e musicale per la valorizzazione artistica del ricco e, per alcuni versi, ancora poco conosciuto patrimonio musicale e teatrale della Puglia tra il XVII e il XVIII secolo. L’istituzione, che si trova nella suggestiva e preziosa cornice della Chiesa barocca di Santa Teresa dei Maschi nel cuore di Bari antica, sviluppa promuove e diffonde a tutti i livelli la ricerca, lo studio e la produzione musicale e teatrale di tesori musicali che vanno da Bach agli autori pugliesi del Settecento, con l’obiettivo di contribuire concretamente alla crescita socio-culturale e alla riqualificazione del contesto territoriale in cui opera. Il progetto si avvale di un’ orchestra stabile con strumenti storici e un coro stabile, con cui sono stati eseguiti capolavori di musica barocca, come: Johannes Passion, Magnificat, Osteroratorium e Mottetti di Bach; Dixit Dominus e Messia di Händel; Vespro della Beata Vergine di Monteverdi, Stabat Mater di Haydn. Le produzioni dedicate agli autori pugliesi di questo periodo sono di grande importanza. Sono state finora realizzate: Cantate per voce sola e basso continuo di Nicola Fago, con produzione discografica pubblicata da Toccata Classics a Londra; Salmi e Magnificat di Fago; Responsori di Cafaro; Villanelle di Nenna, Felis, Colaianni, De Antiquis; Notturni di Mercadante. Importanti in queste realizzazioni le collaborazioni con il contralto Sonia Prina, star internazionale della musica barocca, e Riccardo Angelo Strano, giovane e quotato controtenore siciliano. Uno spazio importante, recentemente concepito, è stato dedicato all’opera barocca, con il Baroque Opera Studio che ha portato alla realizzazione dell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi e ad alcune prime esibizioni di intermezzi buffi di autori pugliesi come La Furba e lo Sciocco di Sarro, e La Serva Padrona di Paisiello.
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il dramma di didone parte prima - prologo (versi tratti dall’Eneide di Virgilio e dalla Didone Abbandonata di Metastasio a cura di Antonella Rondinone) (La scena si finge a Cartagine, lampi, tuoni, rumore di mare in tempesta, pioggia, vociare ecc... si intravede un profugo entrare) ENEA O fortunati voi, di cui già sorge un tetto e l’alte mura. (Ancora rumori di tempesta, Enea cerca rifugio) NARRATRICE E mentre queste cose meravigliose paiono alla vista del Teucro Enea; e mentre egli stupisce e solo a quelle gli occhi attento volge, nel tempio la bellissima Didone entra, e sopravanza andando ogni altra dea. Tal era Dido, e tale in mezzo ai suoi lieta avanzava vigilando l’opra del suo nascente regno. E, giunta accanto al divino santuario ivi si pose, quando fra la densa folla Enea distinse. Restano occulti, e spiano, non visti, quale caso li attenda. (Didone sarà accompagnata da una danzatrice, il suo alter ego, che rappresenterà, da Didone non vista, i suoi sentimenti, le sue paure, i suoi pensieri più reconditi e tutto ciò che avrebbe voluto fare.) (Enea e Didone rimangono immobili, rapiti ed estasiati, mentre la danzatrice, in questo caso aiuterà Cupido nella sua missione, disegnerà sentimenti, passioni e pulsazioni della regina di Cartagine, facendoli innamorare). DIDONE Che sogni mi tengono sospesa e m’angosciano! Che ospite straordinario è entrato nel palazzo, quale mostrandosi in volto! Che forza nel cuore e nell’armi! Credo davvero che sia, non è fede illusoria, di stirpe divina. Quali fati lo hanno agitato! Riconosco i segni dell’antica fiamma. (Selene, osserverà in religioso silenzio, tutto il prologo)
(Dido ed Enea, lentamente si avvicinano, si scrutano, si conoscono... si “annusano”, e si dicono qualche parola sottovoce, mentre la Narratrice recita) NARRATRICE Già la regina tormentata da un profondo affanno, nutre una ferita nelle vene, e un cieco fuoco la divora. Il grande valore dell’eroe, la grande gloria della stirpe le ritornano in mente: non dileguano, impressi nel cuore, il volto e le parole; l’affanno non concede alle membra la placida quiete. (Fulmini, tempesta, tuoni e simili...) NARRATRICE Intanto comincia a rimescolarsi con vasto rimbombo il cielo; segue un acquazzone frammisto a grandine. Didone e il condottiero troiano giungono alla medesima grotta. Per prima la Terra e Giunone pronuba danno il segnale: sfolgorano i fulmini e il cielo. Consapevole dell’unione, le ninfe ulularono sulle cime dei monti. Quello fu il primo giorno di morte la causa prima dei mali. Didone infatti non è smossa dalle apparenze né dalla fama, né pensa più ad un amore furtivo, lo chiama matrimonio. Con questo nome nascose la colpa. (Su questo recitato la danzatrice, con movimenti coreografati, accompagnerà Didone, Enea e il pubblico in un secondo ipogeo, quello dell’amore. Ne segue l’addormentamento dei due e il sogno di Enea. Durante il sogno, la narratrice da raccontare in modo esterno la vicenda, diviene colei che con un ‘rito magico’ farà parlare gli dei, che indicheranno ad Enea il suo nuovo destino. La narratrice in questo nuovo ruolo avrà indossato un mantello nero e muoverà acqua e fiori un una grande ciotola di legno, recitando questo testo su un effetto ellettronico che abbia il gusto di magia) NARRATRICE Su, svegliatevi, presto ! Ai vostri posti, alle vele, compagni! Un dio di nuovo sceso dal cielo ancora, ecco, ci sprona ad affrettarci e a sciogliere le vele! (Enea turbato si desta) Seguiamo te, o santo fra gli dei, chiunque tu sia e, al tuo comando, lieti benevolo seguendoci e le stelle volgendo amiche in cielo!
So che m’ama Didone, io l’adoro e rammento quanto fece per me: ma... non sono un ingrato! DIDONE ( tra se ) Oh, Giove! E se n’andrà dunque costui, e uno straniero ha il regno mio schernito? ( rivolgendosi a lui ) Enea, tu non mi guardi, e taci? In questa guisa con un freddo silenzio Enea m’accoglie? Forse già dal tuo core di me l’immago ha cancellata Amore? ENEA Didone, il giuro né tempo o lontananza potrà sparger d’oblìo, questo ancor giuro ai Numi, il foco mio. DIDONE Io non chiedo giuramenti da te: perch’io ti creda, un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro. ENEA Se brami il tuo riposo, pensa alla tua grandezza: a me più non pensar. DIDONE Io, che per te sol vivo. ENEA Oh dio, che dici! E qual tempo scegliesti, ah troppo, troppo generosa tu sei per un ingrato. DIDONE Ingrato Enea! Perchè? Dunque noiosa sarà la mia fiamma.. ENEA Anzi giammai con maggior tenerezza io non t’ amai. Ma... DIDONE Che? ENEA La patria, il cielo....
DIDONE Parla ENEA Dovrei... ma no... (Enea abbraccia e bacia Didone) L’amor... oh dio, la fè... Ah che parlar non so. (Parte)
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DIDONE O Sole, che quaggiù, con le tue fiamme, poni ogni cosa in luce. Numi voi della morente Ellissa, udite le mie ultime parole, benevoli e pii, la mia preghiera or ascoltate! Sorgi anzi un dì, dalle mia ossa, o fiero vendicatore! Opposti sempre i lidi ai lidi, i flutti ai flutti ovunque e l’armi all’armi!
parte seconda - pasticcio (a cura di Mimì Coviello, testi da Didone Abbandonata e Giuseppe Riconosciuto di Pietro Metastasio - Il numero delle scene si riferisce alla successione nel libretto di Didone Abbandonata, Roma 1732) argomento Didone Elisa vedova di Sicheo, dopo esserle stato ucciso il Marito da Pigmalione Suo fratello Re di Tiro, fuggì con immense ricchezze in Agrica, dove comperato sufficiente terreno edificò Cartagine. Fu ivi richiesta in Moglie da molti, e particolarmente da Iarba Re de Mori, e sempre ricusò, dicendo voler serbar fede al cenere dell’estinto Consorte. Intanto Enea Trojano, essendo stata distrutta la Sua Patria da Greci, mentre andava in Italia, fu portato da una tempesta nelle sponde dell’Agricoa, e ricevto, e ristorato da Didone, al quale ardentemente se ne invaghì; Ma mentre egli compiacendosi dell’affetto della medesima, si tratteneva in Cartagine, fu dagli Dei comandato, che abbandonasse quel Cielo, e che proseguisse il suo camino verso Italia, dove gli promettevano, che doveva risorgere una nuova Troia. Egli partì e Didone disperatamente, dopo avere in vano tentato di trattenerlo, si uccise. Tutto ciò si ha da Virgilio, il quale con un felice anacronismo unisce il tempo della fondazione di Cartagine agli errori di Enea. Da Ovidio nel terzo libro de fasti si raccoglie, che Iarba s’impadronisse di Cartagine dopo la morte di Didone, e che Anna sorella della medesima (la quale chiameremo Selene) fosse occultamente anch’ella invaghita di Enea.
14. I testi
ENEA Se resto sul lido se sciolgo le vele infido, crudele mi sento chiamar. E intanto, confuso nel dubbio funesto, non parto, non resto, ma provo il martire che avrei nel partire, che avrei nel restare. (Didone destatasi lo ascolta)
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Per comodità della rappresentazione si finge che Iarba curioso di veder Didone s’introduca in Cartagine come Ambasciadore di se stesso sotto nome di Arbace. Tutte l’espressioni di sensi, e di parole che non convengono co’ Dogmi Cattolici o sono scritte per proprietà del carattere rappresentato, o sono puri adornamenti Poetici. La scena si finge in Cartagine
non sarò. La mia fede e l’onor mio pur fra l’onde dell’oblio agli Elisi io porterò.
PERSONAGGI DIDONE ELISA - Regina di Cartagine, amante di Enea ENEA SELENE - Sorella di Didone Elisa, e amante occulta di Enea ARASPE - Confidente di Jarba, e amante di Selene
Scena III SELENE (musica di Leonardo Vinci, 1726) Ardi per me fedele, serba nel cor lo strale; Ma non mi dir crudele, Se poi non hai merce. Hanno sventura eguale la tua, la mia costanza
Sinfonia (Duni, Giuseppe Riconosciuto)
Scena VII DIDONE (musica di Nicola Porpora, 1732) Non lascia il ben che brama la fida tortorella dove il suo amor la chiama posa la rondinella ama il leon costante, arde la tigre amante, amano l’erbe, il fiore, sentono tutti amore e tu no’l senti. Se puoi lasciar così colei che amasti un dì, o m’ingannasti allor, o si compiace ail cor nÈ miei tormenti
ATTO I Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato. Veduta in prospetto della Città di Cartagine, che sta edificandosi. Scena III SELENE (musica di Leonardo Vinci, 1726) Dirò che fida sei, su la mia fé riposa. Sarò per te pietosa, (per me crudel sarò). Sapranno i labbri miei scoprirgli il tuo desio. (Ma la mia pena, oh dio) come nasconderò?) Scena V DIDONE (musica di Leonardo Vinci) Son regina e sono amante e l’impero io sola voglio del mio soglio e del mio cor. Scena XI SELENE (musica di Leonardo Vinci, 1726) Ogni amator suppone che della sua ferita sia la beltà cagione, ma la beltà non è. È un bel desio, che nasce allor che men s’aspetta, si sente che diletta ma non si sa perché. Scena XIV ARASPE (musica di Nicola Porpora, 1732) Infelice e sventurato potrà farmi ingiusto fato, ma infedele io
ATTO II Scena II Appartamenti regali
Scena XII ARASPE (Musica di Carlo Broschi Farinelli, 1732) M’offendi e pur conviene Tutto da te mio bene In pace tolerar. Se tradito non sono Se adempio i dover miei Non so perché ti dei Tanto con me sdegnar Scena XIV SELENE (musica di Egidio Duni, 1732) Veggio la sponda, sospiro il lido, E pur dall’onda Fuggir non so. Se il mio dolore Scoprir diffido, Pietoso amore Che mai farò. ATTO III Arborata tra la città e il porto Sinfonia (Vinci, Didone Abbandonata, 1726) Scena VI ARASPE (musica di Egidio Duni, 1732)
Vorrei disciogliere le mie catene. Ma il volto amabile toglie a quest’anima la libertà ancor che misero sia questo core, pur soffre placido l’altrui rigore, l’amato carcere lasciar non sa. Scena VII ENEA (Musica di Michele Fini, 1732) Non voglio, non sento Che fieri pensieri, che voci feroci, Che sdegni guerrieri, Ne il molle rammento Linguaggio d’amore. La gloria smarrita M’invita, Mi chiama; E cede ogni brama a quella d’onor Scena IX SELENE (musica di Gaetano Latilla, 1734-40) Barbaro se non senti dÈ miei tormenti il suono, or che tradita/schernita io sono di tanti affanni miei grido vendetta ai dei, perfido traditor! Quella giurata fede pur rammentar dovresti amor mi promettesti e poi volgendo i piedi mi lasci, oh Dio, tradita in seno al mio dolor.
SELENE Ahi che del folle errore sant’io più reo di voi di Dio l’irata man Del mio barbar’eccesso è vano ogni dolore, pace non speri il cor,
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Scena ultima DIDONE (musica di Vinci, 1726) Ah che dissi infelice! A quell’eccesso mi trasse il mio furore! Oh dio cresce l’orrore. Ovunque io miro mi vien la morte e lo spavento in faccia, trama la reggia e di cader minaccia. Selene, Osmida, ah tutti, tutti cedeste alla mia sorte infida, non v’è chi mi soccorra o chi m’uccida Vado... Ma dove?... Oh dio! Resto... Ma poi, che fo! Dunque morir dovrò senza trovar pietà? CORO (Duni, Giuseppe Riconosciuto) Folle chi oppone i suoi A consigli di Dio E la virtù verace, quasi palma sublime Sorge con più vigor quando s’opprime IL FINE
Scena XIX DUETTO DIDONE, SELENE (Duni, Giuseppe Riconosciuto) DIDONE Del tradimento questa la pena a noi dovuta dell’oppresso german. Dell’innocenza offesa, è vano ogni dolore pace non speri il cor,
14. I testi
Scena XIII ARASPE (musica di Nicola Porpora, 1732) Già si desta la tempesta, ai nemici i venti e l’onde, io ti chiamo su le sponde e tu resti in mezzo al mar. Ma se vinta alfin tu sei dal furor de le procelle, non lagnarti de le stelle, degli dèi non ti lagnar.
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convegni e presentazioni
domenica 7 ottobre - matera, chiesa del cristo Flagellato ore 10 Giornata di Studi : “Giovanni Maria Trabaci e le Passioni in musica” Interventi di Anna Maria Amenta (Assessore alla Cultura del Comune di Irsina), Mariantonietta Cancellaro (Conservatorio di Matera), Dinko Fabris (Università della Basilicata a Matera), Rosario Totaro (Conservatorio di Avellino), Saverio Vizziello (Direttore Conservatorio di Matera) Coordinamento di Giuseppe Barile (Centro Studi Giovanni Maria Trabaci) in collaborazione con il Comune di Irsina-Festival delle Passioni domenica 14 ottobre - matera chiesa del cristo Flagellato ore 18 Presentazione della “New Gesualdo Edition” Edizione completa di tutte le Opere di Carlo Gesualdo da Venosa (Kassel, Bärenreiter Verlag, 12 volumi) Volume I: Il Quinto Libro dei Madrigali a 5 voci, a cura di Maria Caraci Vela Con la partecipazione di Giovanna D’Amato (Coordinatrice del Comitato Celebrazioni Gesualdiane della Regione Basilicata) e Giuseppina Crescenzo (Università di Francoforte sul Meno) mercoledi 31 ottobre matera musma ore 17 Presentazione del volume di Orsola Panarella, Tra Duni e Duny: una storia dell’opèra comique (Virginia 2017) Con la partecipazione di Maria Antonietta Cancellaro (Conservatorio di Matera), Lorenzo Mattei (Università di Bari) Dinko Fabris (Università della Basilicata a Matera) e Saverio Vizziello (Direttore Conservatorio di Matera), alla presenza dell’autrice.
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