Lookout magazine n. 11 - dicembre 2013

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setteMbre 2013

Argentina |

Un nuovo default? A differenza degli auspici, Buenos Aires è ancora alle prese con la “reflazione”

V

enerdì 23 agosto l’Argentina ha perso l’appello presentato alla Second US Circuit Court of Appeals di New York. La Corte ha condannato Buenos Aires a pagare 1,33 miliardi di dollari ai possessori di titoli di Stato che avevano rifiutato la ristrutturazione del debito (30 centesimi per ogni dollaro e allungamento delle scadenze) dopo il default di circa 100 miliardi del 2001. La Corte ha sospeso l’esecuzione della sentenza, in attesa del pronunciamento della Corte Suprema sull’appello presentato contro il risarcimento accordato ai creditori, i cosiddetti holdout bondholders, guidati

dalla Elliot Management Corporation, ora esposta per oltre 630 milioni. La sentenza, evidentemente annunciata, è stata preceduta a luglio dalla cancellazione dei piani di sostegno predisposti dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), indotta dal Tesoro degli Stati Uniti per evitare le conseguenze di un nuovo default. La decisione sulla ristrutturazione del debito sovrano argentino che, come ha affermato Christine Lagarde - direttore generale del FMI - costituisce una pesante ipoteca su ogni futura ristrutturazione del debito sovrano di qualunque Paese, avviene mentre in Argentina infuria la campagna in vista delle elezioni che il 27 ottobre rinnoveranno metà della Camera e un terzo del Senato (la campagna elettorale vede Mauricio Macri, sindaco di Buenos Aires, opporsi al partito della presidente Kirchner). La “decada ganada” ovvero l’ultimo decennio seguito al default del 2001 (ricordate le code fuori alle banche chiuse, le imponenti manifestazioni a Plaza de Mayo, il movimento Cacerolazo di fronte alla Casa Rosada?) è stato segnato dalle presidenze di Nestor e Cristina Kirchner. Durante le presidenze Kirchner, le politiche espansive

(bassi tassi d’interesse e basso valore del peso) hanno prodotto imponenti attivi commerciali e tassi medi di crescita del 9%. La Grande Recessione ha però colpito duramente la fragile ripresa argentina e la caduta della domanda estera è stata contrasta con una crescente spesa pubblica finanziata dalla Banca centrale. La situazione economica è rapidamente peggiorata: l’inflazione è cresciuta fino a tassi con doppia cifra (tasso ufficiale al 10%, ma quello reale è almeno il doppio) e il peso si è ufficialmente svalutato di oltre il 12% dall’inizio dell’anno (4,75 pesos per un dollaro, al mercato nero occorrono però 6,75 pesos per un dollaro, pari a una svalutazione del 40%). Tutto ciò non è stato sufficiente a contrastare la perdita di competitività dei prodotti argentini. La bilancia commerciale è tornata a valori negativi, la disoccupazione sfiora l’8% e il deficit pubblico raggiunge il 2,6% e la crescita del 3,9% prevista per l’anno in corso già improbabile per l’imponente fuga di capitali - potrebbe essere vanificata dalle decisioni statunitensi. L’Argentina potrebbe, insomma, precipitare in nuovo default e in una vera e propria “reflazione” (l’insieme di recessione e inflazione sperimentata in occidente negli anni ‘70) dagli sviluppi imprevedibili, come ha recentemente ammonito il ministro delle Finanze francesi Pierre Moscovici, e non solo per il Sud del mondo. (di Rocco Bellantone)

LOOKOUT n. 11 dicembre 2013

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