Erodoto108 n°18

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fanno. Vorremmo un’altra economia’. E l’altra economia è Alessandro. Contadino reggiano che, senza avere una storia di campi alle spalle, si è messo a coltivare terra, ma non può invischiarsi nelle burocrazie del biologico. ‘Ecco, noi vogliamo lavorare con Alessandro’. Chilometro zero? ‘Il più possibile, ma abbiamo bisogno della salsa di soia e delle spezie se vogliamo fare una cucina curiosa del mondo’. Vegan? ‘La nostra

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cucina è per lo più vegetariana, ma abbiamo il prosciutto. Sappiamo come vengono allevati quei maiali, conosciamo bene l’allevatore. Non usiamo il seitan’. Non voglio indagare, quasi faccio un applauso politicamente scorretto.

I nomi hanno importanza. La biosteria si chiama ghirba. Parola multisignificato. Ghirba è parola araba. Sta per bisaccia, otre in pelle. Contenitore. ‘E noi vogliamo essere un contenitore - dice Maddalena – Di cibo e idee, di cucina e musica’. Ghirba è anche la vita. ‘Ho salvato la ghirba’, ho portato a casa la pelle. Alle ragazze della porta della Gabella piacciono gli incroci e i meticciati. Un tempo, e oggi così non pare,

questa era la Reggio malfamata. Quartiere di ladruncoli e ribelli. Arrivavano le carovane dei gitani con i loro circhi. Si parlava una lingua a rovescio per non farsi capire dalle spie della polizia. Credo che c’entri qualcosa con la breve storia dell’osteria. Che mi appare come una terra di mezzo.

Dieci giorni dopo l’apertura dell’osteria, arriva anche Dalila, la mia piccola cameriera dal berretto di lana. E adesso quasi tre anni dopo, le donne sono dieci. ‘Casualità – dice Maddalena – E’ apparso anche un uomo. Ha retto un mese al lavoro in cucina. La sua schiena ha ceduto. Lentamente sono arrivate le altre’. Le tre amiche si erano subito accorte che il lavoro del-


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