Erodoto108 n°16

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STORIE DI DONNE FOTOGRAFE LA PERFEZIONE DI MARGARET BOURKE-WHITE

SOME GIRLS ARE BETTER THAN OTHERS UN RITRATTO DI MARGARET BOURKE-WHITE

Una donna di ferro: le sue foto hanno raccontato l’America profonda, la sua ‘sporca vita di frontiera’ negli anni ’30. Costrinse il suo secondo marito a firmare un foglio prima di sposarlo: non provare a tenermi lontana dalla fotografia…

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Testo di Daniela Silvestri

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“S

ono sempre stata contenta della scelta che ho fatto. Una donna che vive una vita vagabonda deve essere capace di affrontare la solitudine, deve avere una stabilità emotiva, una cosa molto più importante della stabilità economica. Se sai di poter contare su di te, la vita può essere molto ricca, anche se questo richiede una grande disciplina. Devi essere capace di affrontare le delusioni con generosità: sei tu che fai le regole e se le segui sarai ricompensato”.

Alcune storie sono più grandi di altre. Più grandi per portata, intenti, audacia. E poi ci sono quelle storie che sono più grandi in retrospettiva - storie che acquisiscono influenza e importanza con il passare degli anni per quello che hanno rappresentato, nel momento storico in cui sono apparse. Parafrasando il Time in un articolo a proposito del reportage che Margaret Bourke-White realizzò per il primo numero della rivista Life ci sono però alcune donne che sono più grandi di altre. Più grandi per indole, capacità e caparbietà. E per le storie che si portano dietro e che hanno permesso loro di sopravvivere al tempo. Anche per quello che di loro non si ricorda.

Era comodo per molti colleghi ricordare Margaret BourkeWhite come ‘La donna con il soprabito più rosso che esista’, non di certo per essere la donna dai molti primati. Faceva più comodo così, in quel mondo così maschile che era (e forse è ancora) il fotogiornalismo tra gli anni ‘30 e ‘50. Ricordiamo bene i servizi di Robert Capa dalla Corea, nella guerra in cui trovò la morte o il bellissimo ‘The country doctor’ di Eugene Smith. In pochi sanno o forse ricordano, che fu proprio della donna di ferro la prima copertina Life. Un colosso, il progetto miliardario della diga di Fort Peck, come simbolo della rinascita americana in pieno New Deal. Solo Margaret avrebbe potuto raccontare questa storia con le immagini. E una vera rivelazione fu invece il reportage sull’America interna. Niente linee, niente ferro né acciaio e rampantismo industriale. Ma un paese vero: la sporca della vita di frontiera. Una sfilata di “carpentieri, ingegneri, saldatori, ciarlatani, prostitute e cameriere che vivevano ovunque, nei furgoni, nelle capanne e in prigione e che la notte si ritrovano tutti al Bar X”*.

Siamo nel 1936 e sono già passati quasi dieci anni da quando


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