PERCHÉ SIAMO ATTRATTI DAI LUOGHI FANTASMA?
L’IMPOSIZIONE DELL’ABBANDONO
in italia i paesi con meno di cinquemila abitanti continuano a spopolarsi: rappresentano almeno la metà del nostro territorio. ‘c’è qualcosa in tutto questo che mi disturba, oltre la fascinazione’. la speranza di un’economia che dalla marginalità ci possa far tornare a essere ‘cittadini’ di questi luoghi. Testo di Emmanuele Curti
Sempre più spesso, dalle immagini di queste pagine e da quelle oramai quasi quotidianamente proposte dal web, veniamo presi e ricondotti nei luoghi ‘fantasma’ dell’abbandono e del silenzio. Tirati dentro da chi ci vuole condurre, ma anche risucchiati da quel senso di attrazione per il vuoto che si mescola alla nostra vertigine. Luoghi che abbandoniamo dopo averli costruiti, ma dai quali veniamo poi morbosamente attratti. Perché questa ossessione? E perché particolarmente ora?
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Noi occidentali – è un male nostro questo – ci portiamo dentro il meme ottocentesco della rovina romantica, di una storiografia che ci costringe a trattenere il passato (e, per assurdo, mentre celebriamo la conservazione, creiamo deserti). Se prima della fine del Settecento l’antico, la rovina, erano un esercizio filologico, da quel momento in poi abbiamo eletto i resti classici abbandonati a essenza della nostra identità.
Certamente le rovine che qui guardiamo sono altre: sono periferie, sono stanze dove ancora si coglie l’ultimo gesto umano che le ha vissute. Ma sono anche borghi, paesi, ossa di quello scheletro che rappresenta l’Italia dal Medioevo in poi. Beni intimi di un nostro vissuto, memorie semivive di un’Italia interna. C’è qualcosa in tutto questo che mi disturba, oltre la fascinazione e l’eventuale morboso attaccamento per ciò che è andato. ERODOTO108 • 13
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Ripeto spesso che noi archeologi rappresentiamo la schizofrenia della cultura moderna: nati a reintegrare il passato usando la disciplina storiografica come fondamenta dello stato (come novelle Atene e Roma), riscaviamo e poi sacralizziamo rovine che l’uomo aveva ricoperto, in un processo naturale e dinamico di superamento del passato. Per assurdo riportiamo alla luce luoghi dimenticati, per riposizionarli in una supposta memoria di noi, dando loro significati nuovi proprio perché oltre la loro voluta dismissione. Questo processo è talmente entrato nel nostro DNA che quei luoghi, fondanti del nostro concetto di bene culturale, devono ora sopravvivere proprio in nome della cultura. Non importa se spesso diventano monumenti vuoti, difficilmente gestibili: che essi sopravvivano, anche silenti, perché ci sia concesso di trovare lì le nostre supposte radici.