Erodoto108 n°7

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STORIE DI FOTOGRAFIA ITALIA FIRENZE

IL MIRAGGIO DI FATA MORGANA

Un ostinato laboratorio di fotografia nel centro di Firenze. Qui le foto prendono colore con il ritocco a mano. Lo splendore della im-perfezione. La piccola storia di due grandi stampatori e dei loro miracoli in camera oscura Testo di Francesca Cappelli

P

er gli amanti della fotografia, il laboratorio Fotomorgana, nascosto in un chiostro dell’elegante Via dei Serragli, quartiere di San Frediano a Firenze, non ha bisogno di essere presentato. Nato nel 1983, è un baluardo di resistenza della stampa fotografica in bianco e nero. Dalla storia originaria, un laboratorio di sviluppo e stampa, è nato un progetto ben più

ambizioso. Antico e modernissimo allo stesso tempo: Fotomorgana è ritocco, coloritura, finitura e montaggio delle foto. Sono attitudini e competenze diverse in attenta e continua ricerca. Rino De Donatis vive in camera oscura da sempre; nel 1987, invece, Marilena Del Coco comincia a collaborare dedicandosi al ritocco. Poi, da autodidatta, si dedica alla coloritura a

pennello delle stampe e alla loro rifinitura. Marilena, come una vera Fata Morgana, che materializza un miraggio e inganna la realtà, con il suo tratto lieve, modifica l’irrealtà della fotografia. Quando le sue mani minute, con i pennelli a prolungarne le dita, si mettono a lavoro, l’immagine latente si è già liberata sulla carta e i chiaroscuri si abbracciano fra loro per poi separarsi in linee d’ombra. Voglio capire, voglio vedere. Marilena è gentile, prende una stampa e la guarda. In silenzio. Sembra insoddisfatta: un granello di polvere, sul negativo, si è ingrandito fino a diventare un chicco di riso sulla foto. Il rimedio è semplice e veloce. Sceglie uno dei pennelli dalla punta particolarmente sottile e accarezza il colore. Fermezza di mano, precisione, leggerezza, delicatezza. La lucentezza della pelle della persona ritratta riacquista splendore. Marilena guarda di nuovo. Persa nella delicatezza del suo strumento di piuma, veloce, scattoso, quasi automatico. Immobile, invece, è la figura, una donna, ritoccata nei suoi invisibili dettagli. Ma, all’improvviso, il suo sguardo sfonda il quadro. Schiarite le ombre, trova ancora più profon-


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