Nicoletta Gava ~ Piera Rosso ~ Alessandro Piedimonte
ACCOMPAGNARE Ipnosi Ericksoniana e malattia terminale
ACCOMPAGNARE
Ipnosi Ericksoniana e malattia terminale
SUBLIVION EDIZIONI
© Sublivion Edizioni
Prima edizione 2012 ISBN - 9788898022090
n°1 ACCOMPAGNARE - ipnosi ericksoniana e malattia terminale
Dalla data della sua fondazione, nel 1996, il Milton Erickson Institute di Torino ha sempre avuto il privilegio di accogliere tra i partecipanti ai propri percorsi formativi psicoterapeuti, medici, psicologi, infermieri, fisioterapisti e volontari che si occupano di curare ad assistere le persone a fine vita. Si è trattato di incontri emotivamente significativi e professionalmente arricchenti: le giornate passate a discutere i casi, verificare le possibilità , allenare le competenze di ipnosi e comunicazione, sono il terreno fertile dal quale emerge questo lavoro. Un ringraziamento particolare alla dott.ssa Elisa Carlino per l’assidua collaborazione nelle varie fasi di stesura del testo. Desideriamo ringraziare anche il dott. Mauro Cavarra per il prezioso supporto e l’aiuto costante. Grazie, infine a tutti coloro, che in modo diretto o indiretto hanno contribuito a questo lavoro.
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INDICE.
PREFAZIONE. IL CASO DI JOE IL FIORAIO. CAPITOLO 1. L’evoluzione dell’ipnosi come processo di cura 1.1. CENNI STORICI
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1.1.1. Dalla magia dei popoli primitivi al magnetismo animale
1.1.2. La psicoterapia ipnotica
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1.2. LA NUOVA IPNOSI
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1.2.1. Common everyday trance
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1.2.2. Rapport
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1.2.3. L’osservazione responsiva
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1.2.4. Centratura sul soggetto
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1.3. CONCLUSIONE CAPITOLO 2. Terminalità ed ipnosi 2.1. IL PAZIENTE TERMINALE
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2.1.1. Malato o malattia?
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2.1.2. Le fasi di sviluppo della malattia
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2.1.3. La consapevolezza
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2.2. GLI STRUMENTI DELL’IPNOSI
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2.2.1. L’ipnosi come strumento di relazione
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2.2.2. L’ipnosi come strumento per ridurre l’ansia e il dolore 44
2.2.3. L’ipnosi come strumento per conoscere se stessi
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2.2.4. L’ipnosi come strumento per chi sopravvive
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2.3. LAVORARE CON I PAZIENTI TERMINALI
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2.3.1. Lavoro clinico
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2.3.2. Lavoro scientifico
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CAPITOLO 3. Casi clinici 57 3.1. INTRODUZIONE 57 3.2. IL CONTESTO 59 3.3. IL MALATO 60 3.4. LA FAMIGLIA 65 3.5. L’OPERATORE 72 CONCLUSIONI. 75 APPENDICE. La neurobiologia dell’ipnosi 79 A.1. L’INDUZIONE IPNOTICA E L’ELETTROFISIOLOGIA 79 A.2. EVIDENZE DALLE TECNICHE DI BRAIN IMAGING 84 A.3 CONCLUSIONI 90 BIBLIOGRAFIA DELL’APPENDICE. 93 BIBLIOGRAFIA. 97
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PREFAZIONE.
Una persona che sta morendo è capace in un solo istante di renderci nudi. I suoi occhi ci mettono in contatto non solo con la sua morte ma anche con la nostra stessa morte. Lo spazio tra i due sguardi può assumere una valenza densa, piena, estremamente vitale. Sono attimi nei quali l’attenzione si può dirigere sugli aspetti essenziali, nei quali ogni singolo atto, parola o silenzio, possono ricevere la giusta dignità. Incontrare una persona che muore può essere un’opportunità di apprendimento straordinaria, che ci pone a stretto contatto con il nostro essere finiti, precari in questa esistenza, e con le possibilità sorprendenti che abbiamo come esseri umani di sentire, emozionarci, dare e ricevere affetto e amore. Di incontrarci realmente. Per quello che siamo. Può essere, e spesso è, per molti aspetti, una delle esperienze più difficili sul piano relazionale. Incontrare una persona morente e coloro che la amano, i figli, i genitori, le mogli ed i mariti spossati dal dolore, disorientati e spaventati, attiva ambiti di noi stessi che spesso lasciamo in ombra, che tendiamo a non frequentare. Incontrare persone arrabbiate, che non riescono ad andare avanti, che non si danno pace, che non trovano un modo per stare (se non fisicamente) nella situazione, non lascia indifferenti. A coloro che operano professionalmente in questo ambito è chiaro che alcune volte si incontrano famiglie che pensano che non si sia fatto o non si stia facendo abbastanza o che comunque non si stiano facendo le
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cose nel modo giusto. In alcuni casi non è difficile sentirsi implicitamente accusati. Si aprono, quindi, interrogativi ai quali risulta difficile rispondere, interrogativi che obbligano a convivere con il dubbio sulle azioni intraprese, sulle competenze maturate e da maturare. Altre volte le famiglie accolgono, e si trovano persone che paiono straordinarie, che è immediato sentire amiche. Si riscoprono nelle case altrui odori o oggetti, modi di fare e di essere che conquistano. È molto difficile non rivolgersi a se stessi pensando “potrebbe essere mio padre, mia madre, mio marito, mia sorella, mio figlio”. È molto difficile non lasciarsi travolgere da quei momenti troppo intensi, che si sono incontrati più e più volte ma per i quali non si è mai del tutto preparati. Entrare nella casa di una persona che muore significa accedere immediatamente ad un livello di intimità che, in molti casi, nel corso di una vita, è stato concesso a pochi. Implica ogni giorno continuare ad apprendere come muoversi in un territorio che non è il proprio: la casa è di quella famiglia, la sorte è di altre persone. Significa continuare ad apprendere quali sono gli itinerari concessi, quali stanze possano essere transitate o, anche solo momentaneamente, occupate, quali debbano invece rimanere inaccessibili. Significa continuare ad apprendere: imparare a cosa prestare attenzione, capire cosa è importante notare. Spesso alcune famiglie negano ed evitano la morte, come se fosse qualcosa di cui non è conveniente parlare, che non si può nominare, da cui si può proteggere “finché sarà possibile” il proprio caro. Quando in realtà la morte è l’unico appuntamento a cui nessuno di noi mancherà. Crediamo che molto del lavoro di chi accompagna sia facilitare le persone nell’abbandonare queste credenze che, in realtà, separano in quanto impediscono alle persone di starsi realmente vicino, di dirsi il proprio bene, di risolvere alcuni affanni o conflitti, di potersi salutare.
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Questo lavoro è rivolto a coloro che operano professionalmente nell’ambito delle malattie terminali ma riteniamo possa essere un valido spunto di riflessione anche per chi si trova ad accompagnare un proprio caro, una persona amata. Ci proponiamo di parlare dell’ipnosi come di una possibilità, per chi assiste, di sviluppare alcune capacità per utilizzare al meglio se stessi e per accedere alle proprie risorse al fine di metterle al servizio della persona e della famiglia che si sta accompagnando. Nel primo capitolo si introdurranno brevemente i concetti principali dell’ipnosi, ripercorrendo l’iter storico che ha portato all’approccio ericksoniano. Nel secondo capitolo verranno evidenziate alcune specificità dell’incontro con il morente ed i familiari, e le possibilità offerte dall’ipnosi come strumento di cura e di aiuto. Nel terzo capitolo si citeranno alcuni casi clinici, particolarmente significativi, di pazienti trattati con l’ipnosi. Tutti i casi riportati sono tratti da situazioni reali ma sono stati modificati per tutelare la privacy delle persone e delle famiglie delle quali narriamo istanti e percorsi. Infine, abbiamo ritenuto importante aggiungere, in appendice, una sezione sulla neuroanatomia dello stato ipnotico. Siamo consapevoli che l’ipnosi sia uno strumento ricco di potenzialità, utile per chi opera professionalmente in questi contesti. Altrettanto forte in noi è la convinzione che nell’incontro esistenziale con l’altro, in qualunque momento della nostra vita, ognuno porti se stesso con le proprie qualità distintive, il proprio modo di essere: questo, più di ogni altra cosa, dà forma alle nostre esperienze.
Nicoletta Gava
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