Davide Lajolo - FENOGLIO Un guerriero di Cromwell sulle colline delle Langhe

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Quando Beppe doveva passare davanti alla scuola, tirando con Walter il carretto da macellaio, pativa un po' la vergogna ma proseguiva serrando ancora di più i muscoli del viso. Beppe aveva anche momenti di meditazione in cui sprofondava nel silenzio. Allora i pensieri lo divoravano perché i pensieri sono sempre più vertiginosi delle parole. Si guardava nello specchio dell'anima, si giudicava senza pietà e senza pietà giudicava quelli che lo circondavano. Allora mettevano radici le sue contraddizioni, emergeva quella fragilità psicologica che contrassegnerà sempre i suoi rapporti umani. Impeti improvvisi, dubbi, esitazioni, individualismo, pudore e orgoglio. Se difficile era stato l'impatto con i compagni di scuola di altra estrazione sociale, Beppe ci teneva contemporaneamente a difendere il primato del rione Duomo di fronte a quello del rione povero di S. Giovanni. Le vacanze nelle Langhe, soprattutto nel paese di San Benedetto, lo riportano invece nel clima crudo degli uomini di terra, fieri e dignitosi nella loro povertà. È qui che Beppe comincia ad avvertire lo sdoppiamento della sua personalità. Fin da ragazzo. Le Langhe sono il luogo dove respira a .pieni polmoni, dove si sente catturato dalle piante, dal paesaggio, dalla gente. Un impatto spontaneo, come se l'avesse da tempo nel sangue. Il dissidio con Alba si fa più profondo. Non stabilirà mai un dialogo vero e proprio tra campagna e città e Alba varrà in quanto posta al centro delle Langhe. Queste, vale ripeterlo ancora, sono il- sangue, l'epopea, il tragico ma anche la vita. E anche quando farà la scelta definitiva di fare il partigiano scrive: " ... mi dirigerò sulle Langhe. Non so, ma la mia linea paterna viene di là". Forse è lì che si inserisce la sua propensione alla solitudine e, non a caso, è ancora sulle Langhe che troverà i temi e il linguaggio per i suoi racconti; è lì che vivrà la sua epopea guerriera e conoscerà, non solo nei tragici racconti contadini ma anche faccia a faccia, la morte nei visi esangui dei suoi compagni partigiani. E anche il suo isolamento culturale è sulle Langhe che trova le radici che nessuno riuscirà a estirpare. Abbiamo scritto pudore e orgoglio già in Fenoglio ragazzo. La leggera balbuzie che gli incespica le parole quando deve trattare con chi non gli è familiare, il naso alla Bergerac, le pustole che gli fioriscono il viso e che e- gli deturpa cercando di eliminare, lo portano al raffronto col fratello Walter che ha invece non solo il fisico perfetto ma anche il volto. Lo accomunerà in una frase con la madre: "Voi siete i belli della famiglia", ma è anche una difesa per rifugiarsi nei Fenoglio, nei Langaroli e più che la gelosia si avverte l'orgoglio di essere lui l'erede incontaminato. Nei suoi libri e nelle sue lettere si descrive spesso non solo nell'animo ma anche nel fisico; le più esplicite descrizioni sono quelle dove s'impersona nei due protagonisti Johnny e Milton. In Primavera di bellezza: "Johnny era alto e asciutto, anzi magro, negli occhi il suo punto di forza e di bellezza". E in Una questione privata: "Milton era un brutto; alto, scarno, curvo di spalle. Aveva la pelle rossa e pallidissima, ma capace di infoscarsi al minimo cambiamento di luce e di umore. A ventidue anni aveva già ai lati della bocca due forti pieghe amare, e la fronte profondamente incisa per l'abitudine di stare quasi di continuo aggrottato. All'attivo aveva solamente gli occhi, tristi e ironici, duri e ansiosi, che la ragazza meno favorevole avrebbe giudicato più che notevoli. Aveva gambe lunghe e magre, cavalline, che gli consentivano un passo esteso, rapido e composto" . E un altro suo profilo Beppe lo traccia in uno degli epigrammi ironici e caustici che ha scritto sui personaggi

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