Ticino Management Donna: Estate 2024

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LASCIARE IL SEGNO

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CHIUSURA REDAZIONALE: 5 luglio 2024 © Riproduzione riservata

Un’IMPRONTA non solo SULLAsabbia

i-segnare, In-segnare, As-segnare… Lasciare un segno è più di una metafora. È implicito in molti gesti e attività che si compiono tutti i giorni. Ed è forse il più umano dei desideri.

Inutile dire che l’altruismo produce più del narcisismo. E la pretesa di chi vuole distinguersi per originalità da tutti gli altri ha in realtà poco appiglio sulla Storia che, alla prima onda, cancella il nostro riflesso. Diverso è se c’è una progettualità verso l’esterno. Non è necessario brevettare l’invenzione del secolo: anche se il nostro contributo non è che una goccia nell’oceano, senza

A proposito, è dall’oceano che prende il largo quest’edizione estiva di . Affascinante per i suoi colori e le meraviglie dei suoi abissi, l’oceano è anche la più importante riserva di biodiversità della Terra e il regolatore del suo clima. Lo sappiamo: è sempre più sotto pressione per l’impatto antropico. Per non lasciarne uno deleterio, di segno, occorre un’inversione di rotta, come invitano a fare quattro protagoniste dei mari che hanno condiviso in queste pagine la loro passione. Oceanica.

Un antidoto c’è. È la sostenibilità. Per imprimere un segno positivo, virtuoso. Il lusso ne è naturale interprete. Con la sua vocazione a creare prodotti fatti per durare. Inoltre, perpetua un eccezionale patrimonio di competenze e bellezza. Cioè l’essenza di ogni grande ‘brand’. Che guarda caso si traduce

Dai marchi alle ‘marche di identità’ veicolate dal corpo: inside outside, i tatuaggi scrivono sulla pelle una storia personale. Molto più di un fenomeno di moda, anche se le celebrities ne sono i primi testimonial.

Nel segno del cambiamento c’è il digitale. Se usato con sensibilità e intelligenza - possibilmente umana - può sovvertire paradigmi e rimettere l’uomo, e le sue emozioni, al centro.

Pagina dopo pagina condividiamo con voi storie, immagini e sapori, perché arte e piaceri spesso si nutrono a vicenda. Ce lo ricorda il cinema, che cattura l’immaginazione in un viaggio plurisensoriale.

Stilografica Montblanc, Writers Edition

Homage to Jane Austen

Buona lettura, care Lettrici. Le nostre storie contribuiranno a ispirarvi per imprimere la vostra orma? Un’orma che possa farsi traccia in cui inscrivere altri passi, aprendo nuove strade.

IN QUESTO NUMERO

9

Passione oceanica: nel segno del cambiamento

Da quattro protagoniste dei mari, l’appello a un’inversione di rotta.

Digi-personalizzazione patrimoniale

48

Lancette alla moda, per un tempo femminile

Il connubio creativo fra Haute Horlogerie e Haute Couture.

Democratizzare l’accesso a finanza e investimenti, su misura. 54 58

I batteri, amici per la pelle

Rialzati e cammina: i passi del medtech

Un rivoluzionario ponte digitale fra cervello e midollo spinale.

62 72

Storie effimere, storie giganti

La forza dei ‘batteri buoni’ alleata per una pelle felice.

La street art di Yuri Catania esorta a vivere il ‘qui e ora’. 84 78

Sapore di... cinema

Pellicole iconiche rivisitate da quattro Chef del Locarnese.

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NEL SEGNO cambiamentodel

Sulla scia di quattro donne accomunate dalla ‘passione oceanica’, l’appello a un’inversione di rotta per preservare un ecosistema cruciale per il pianeta: l’oceanografa fisica Sabrina Speich, la velista

Justine Mettraux, l’ingegnere energetico Beatrice Cordiano e l’apneistaVera Giampietro

Nelle sue profondità ha avuto origine la vita, quattro miliardi di anni fa circa, e grazie al suo contributo continua a rinnovarsi. Se l’acqua costituisce una parte fondamentale di ogni organismo vivente - il 65-70% del corpo umano - lo è anche del nostro pianeta, con mari e oceani che ricoprono due terzi della superficie terrestre ospitando la più eccezionale biodiversità di specie. Fonte di cibo, energia, materie prime, minerali, principi attivi e del 50% dell’ossigeno che respiriamo, crocevia logistico, orizzonte turistico, … l’oceano è anche essenziale per la regolazione del clima, assorbendo il 90% del calore generato dalle attività umane e fino al 30% dell’anidride carbonica atmosferica. Non senza pagarne le conseguenze: il surriscaldamento e l’acidificazione della acque marine determinato dall’intensificarsi dell’impatto antropico sta lasciando un segno irreversibile. Perché non tutto scorre.

Quattro donne che, con le loro professioni, dell’oceano interpretano dimensioni complementari - dalla ricerca scientifica alla competizione sportiva - sollecitano a tutelarne l’ecosistema. Veleggiando con la prua rivolta al futuro, nel segno del cambiamento.

Navigare: una parola ormai usata più per indicare gli spostamenti virtuali in rete che per descrivere quelli reali di un’imbarcazione. E, abituati ad accedere a ogni informazione con un clic, mai si penserebbe come di quel 70% della superficie terrestre ricoperto da oceani, gran parte rimanga tuttora inesplorata e immersa nel mistero. «Dal punto di vista teorico, la grande conquista scientifica iniziata negli anni Ottanta e culminata nei Novanta è stata l’unificazione delle basi teoriche delle scienze oceaniche e atmosferiche. Quando ho iniziato a entrare nel mondo della ricerca oceanografica, alla fine degli anni ’80, l’oceano era ancora considerato un fluido immutabile costituito da grandi sistemi di correnti lente e stabili. Rapidamente, con l’avvento di misure satellitari come quelle sul livello del mare e di campagne di misura più precise, si è scoperto che la dinamica oceanica è molto turbolenta, fatta di grandi vortici e correnti jet molto variabili e complesse. Inoltre si è compreso come l’oceano sia il grande protagonista del riscaldamento globale», spiega Sabrina Speich, oceanografa

Meravigliosa natura

Sabrina Speich Oceanografa fisica

Il mio alter ego per CURIOSITÀ

PARTIRE PER UNA NUOVA SPEDIZIONE OCEANICA È PER SABRINA SPEICH SEMPRE UN MOMENTO MOLTO EMOZIONANTE. A BORDO, LA RICERCA PER ESPLORARE I TANTI MISTERI

DELL’OCEANO NON SI FERMA MAI. IL SUO ALTER EGO MARINO? IL POLPO, PER LA SUA CURIOSITÀ E IL SUO CORAGGIO

fisica all’École normale supérieure di Parigi e membro dell’Institut Pierre-Simon Laplace. A portarla in Francia una delle prime borse di dottorato sponsorizzate dall’Europa.

L’amore per il mare intesse il suo destino fin dalla più tenera infanzia, instillato dalle radici triestine della sua famiglia. «Tuttavia, il mio primo tentativo di intraprendere una carriera di ufficiale della marina mercantile non destò l’entusiasmo dei miei genitori. Essere una tredicenne a fine anni ’70 e aspirare all’Accademia Navale non era consueto, ma altri orizzonti si sono dischiusi al liceo con la scoperta di fisica e scienze. Le acque dell’oceano si sono trasformate nel campo di ricerca in

SELVAGGIO E INAFFERABILE, L’ANTARTICO È UN OCEANO

SENZA EGUALI, CHE RICORDA ALL’UOMO LA SUA PICCOLEZZA

DI FRONTE ALLA FORZA DELLA NATURA.

PARTICOLARMENTE AMATO DA SABRINA SPEICH

cui affondare la mia mente», racconta Sabrina Speich. Spinta dall’urgenza climatica, il suo interesse si è focalizzato sempre più sulla comprensione dei processi fisici dell’oceano all’interfaccia con l’atmosfera, sugli equilibri chimici del clima e degli ecosistemi marini: un lavoro fondamentale per migliorare i modelli numerici di previsione e consentire un adattamento più robusto e duraturo al cambiamento climatico.

«Del surplus di energia di origine antropica riassorbita dalla Terra, ben il 90% è stato catturato dall’oceano. Il suo surriscaldamento contribuisce però all’aumento dell’energia termica nell’atmosfera, del contenuto di vapore e d’acqua disponibile per le precipitazioni. Il che costituisce uno degli elementi chiave per spiegare i cambiamenti meteorologici e lo sviluppo di eventi estremi», spiega la ricercatrice che è anche co-presidente dell’Ocean Observation Physics and Climate Panel delle Nazioni Unite, particolarmente sollecitato in questo ‘Decennio delle Scienze del mare per lo sviluppo sostenibile (2021-2030)’, decretato dall’Onu.

A oggi solo una piccola frazione degli oceani è stata mappata dettagliatamente; lo sguardo dei satelliti si ferma infatti pressoché al primo metro d’acqua. Per avventurarsi al di sotto, non si può prescindere dalle osservazioni in situ, effettuate immergendo gli strumenti fino in fondo al mare, ma si tratta di un’operazione dai tempi e costi considerevoli: per una nave oceanografica occorrono da 15 a 40mila euro al giorno. Per sfruttare ogni momento a bordo di questi ‘avamposti’, ricchi di strumentazione, si lavora 7 giorni su 7. «L’equipaggio e il team scientifico seguono turni di 4 ore, due volte al giorno. Ma la ricerca non si ferma mai e continua ovunque: in mare, nei laboratori, sul ponte, in sala da pranzo, nelle sale riunioni, lungo i corridoi e, una volta a terra, lavorando sui dati e i campionamenti d’acqua raccolti. Partire per una nuova spedizione è per me un momento sempre molto emozionante e, incredibilmente, le mie aspettative vengono persino superate dall’esperienza pratica», sottolinea l’oceanografa.

Come in particolare le è accaduto nelle missioni sull’Antartico, la parte più remota e inaccessibile dell’oceano planetario, la sola a scorrere intorno alla Terra senza essere ostacolata da alcuna massa terrestre. «Selvaggio e inafferrabile, è unico nel suo genere. Passare in pochi giorni dall’estate subtropicale alle tempeste dei ‘Cinquanta urlanti’, dove onde enormi e bufere di neve si abbattono sulle navi che avanzano lentamente tra gli iceberg, offre un’immediata percezione della forza della natura e della piccolezza dell’essere umano», rivela. Navigare e lavorare su questo oceano ha lasciato una traccia profonda nel suo spirito di oceanografa, ma il paesaggio dell’anima è senza dubbio il mare in cui è nata e cresciuta: il Mediterraneo. «Mare tra le terre, mare nostrum, crocevia di culture e vicende umane, specchio d’acqua che unisce tre continenti e infiniti mondi. Persino il suo profumo e sapore sono inconfondibili. Anche dal punto di vista scientifico è un luogo unico, caratterizzato da processi dinamici estremamente complessi. Il suo ruolo nel clima regionale e globale, così come nella biodiversità marina e terrestre, è fondamentale. Come ha modellato grandi epoche storiche, oggi regola un clima regionale molto specifico», conclude l’oceanografa fisica dell’École normale supérieure di Parigi, avvertendo come il Mediterraneo sia oggi purtroppo un hotspot del cambiamento climatico, nelle cui acque si rispecchiano l’accelerazione e intensificazione dei fenomeni che producono impatti significativi su tutta la regione.

L’Everest dei mari

Justine Mettraux Velista

Una regata intorno al mondo in solitaria, senza scalo né assistenza, organizzata solo ogni quattro anni: bastano queste poche coordinate a far comprendere perché la Vendée Globe sia la competizione più leggendaria del mondo della vela. Il 10 novembre prenderà il via, come da tradizione, da Les Sables-d’Olonne, in Vandea, la decima edizione. Qui farà ritorno nel 2025, dopo gli ottanta giorni circa necessari per affrontare un periplo da 45mila km attorno al globo, doppiando i tre leggendari capi di Buona Speranza, Leeuwin e Horn. A contendersi la vittoria i migliori skipper: fra i 44 partecipanti, solo 6 donne. E fra loro, la ginevrina Justine Mettraux. Dal ‘suo’ lago Lemano ha presto preso il largo verso gli oceani, iniziando a farsi notare dal 2013, seconda nella Mini Transat, in solitaria dalla Francia ai Caraibi (tuttora miglior risultato ottenuto femminile in 24 edizioni) per poi continuare a inanellare nuove sfide, anche in squadra: Volvo Ocean Race, Solitaire du Figaro, Transat Jacques Vabre, ... «Amo sia la sintonia che si crea quando tutto funziona alla perfezione in team, permettendo di superare i limiti individuali, sia la polivalenza richiesta in solitaria. Sin da piccola ero entusiasta dei weekend sul lago con la barca di famiglia, ma la scintilla che mi ha portato al professionismo è scoccata a 16 anni durante un campo di vela con Jean-Paul Baechler, uno skipper svizzero che, desiderando ringiovanire il mondo della vela, si è impegnato a formare una nuova generazione. Ho poi avuto la fortuna di gareggiare per due anni sul Ladycat di Dona Bertarelli e da lì sono arrivata alle competizioni in solitaria con la Mini Transat che mi ha fatto conoscere TeamWork, diventato mio sponsor storico, che mi sta sostenendo anche nella Vendée Globe», racconta Justine Mettraux, che vive e lavora a Lorient, in Bretagna, ma torna spesso a Ginevra,

IN QUESTE PAGINE, LA GINEVRINA JUSTINE METTRAUX

È PRONTA A SALPARE IL PROSSIMO

10 NOVEMBRE PER LA VENDÉE GLOBE,

APPUNTAMENTO LEGGENDARIO DELLA VELA:

UNA REGATA DA 45MILA KM E 80 GIORNI CIRCA

INTORNO AL MONDO IN SOLITARIA, SENZA SCALO

NÉ ASSISTENZA, PASSANDO DALL’INVERNO

VANDEANO, ALL’ESTATE AUSTRALE DEI MARI DEL SUD AL FREDDO POLARE SUBANTARTICO

per ritrovare la famiglia e i quattro fratelli e sorelle, anche loro velisti professionisti. Ma come ci si prepara a una gara unica come la Vendée Globe, quando nelle canoniche competizioni in solitaria al massimo si trascorre una ventina di giorni in mare? «Governare da soli il monoscafo Imoca da 60 piedi (18,28 m) su cui gareggiamo, raggiungendo fino a 60 km/h quando si vola sui foil, richiede una perfetta condizione atletica. Mi alleno in sala con un preparatore fisico e praticando bici, cardio e sport acquatici, oltre al pilates per rafforzare la cintura lombare. Altrettanto importante il mentale per gestire anche le situazioni più complesse: vietato farsi paralizzare dai pensieri negativi. Fondamentale fare il carico di energie, perché a bordo sarà poco il tempo per riposare: possiamo dormire 4/6 ore al giorno, interrompendoci però ogni ora e mezza per monitorare l’evoluzione e fare le manovre necessarie», spiega la velista. È concesso farsi supportare a distanza dal team per intervenire in caso di guasto sulle imbarcazioni, sempre più high-tech, anche se è il velista stesso a dover eseguire tutte le operazioni. Oggigiorno grazie al WiFi si può comunicare con famiglia e amici, tuttavia è assolutamente proibito il coaching meteorologico o dare indicazioni strategiche: qui si esprime l’abilità tattica e di lettura dello skipper. «Proprio la parte strategica è la mia preferita. Se a noi donne le

manovre richiedono più tempo ed energia che ai nostri colleghi uomini, ce la giochiamo su tattica e gestione dello stress. È uno dei rari sport in cui si gareggia nella stessa categoria senza differenze di genere, che rimangono però ancora nei numeri dei professionisti, anche se grazie al lavoro delle federazioni e all’olimpismo la situazione sta migliorando, pur scontando ancora un ambiente molto maschile a livello di coaching, arbitraggio e modelli di ruolo», commenta la velista svizzera.

Il periplo planetario della Vendée Globe è anche un viaggio climatico lungo l’Atlantico, attraverso l’Oceano Indiano e il Pacifico, per poi risalire l’Atlantico, dal freddo inverno vandeano al caldo equatoriale, passando per l’estate australe dei mari del Sud e i diluvi tropicali, prima del rigore polare subantartico. con fenomeni meteorologici sempre meno prevedibili. «Noi velisti siamo testimoni diretti del riscaldamento globale e dell’inquinamento degli oceani. Lo confermano anche le specie tropicali che avvistiamo sempre più a nord. E siamo i primi a interrogarci sul nostro impatto, navigando su imbarcazioni in carbonio che richiedono molta energia e risorse per essere costruite, consapevolezza che ha portato la classe Imoca a dotarsi di una regola pionieristica nelle regate oceaniche: le barche costruite tra il 2025 e il 2028 dovranno ridurre il loro impatto del 15%, come già in questa Vendée Globe», sottolinea Justine Mettraux.

Dopo avere raggiunto, da New York, Les Sables-d’Olonne a metà giugno, resta qualche mese per gli ultimi preparativi e dormire sonni tranquilli prima di levare l’àncora.

© Foto Christophe Favreau / Aléa

Odissea per il Futuro

Beatrice Cordiano Ingegnere dell’energia

Uno dei più originali ed efficaci progetti per spingere la transizione energetica viene dall’oceano stesso: è Energy Observer, prima imbarcazione a zero emissioni ali-

Il mio alter ego per INTUITIVITÀ

mentata a idrogeno ottenuto direttamente dall’acqua marina, tramite elettrolisi, con il supporto di un mix di fonti rinnovabili - il solare catturato dai pannelli fotovoltaici, l’eolico sfruttato grazie alle speciali vele rigide e l’idrico dei mari che da sette anni solca. «Energy Observer è un vero e proprio laboratorio galleggiante, che ha il vantaggio di permettere di testare e ottimizzare insieme ai nostri partner industriali le tecnologie in un ambiente ostile come quello marino, dimostrando come passare a forme di energia pulita sia possibile, senza perdere in efficienza, confort e a basso costo», spiega Beatrice Cordiano. Fra le rare donne specializzate in ingegneria energetica, dopo due anni di ricerca pura dedicata alla produzione di idrogeno combinata alla cattura di CO2 all’Eth di Zurigo, sentiva il desiderio di applicare le sue competenze a

© Energy Observer Productions - Amélie Conty
© Energy Observer ProductionsAmélie Conty

un progetto tangibile. Se trasporti, industria navale e ittica restano prevalentemente maschili, proprio grazie a professioni legate alle scienze della vita, alla protezione dell’oceano e della biodiversità, le donne sono sempre più presenti nel settore marittimo. Indonesia, Singapore, Thailandia, Vietnam, Malesia, India, Les Seychelles, Sudafrica, Brasile, fino a New York e Halifax sono state alcune delle principali tappe di Beatrice da quando nel 2021 è entrata a far parte di uno dei due equipaggi che si alternano a bordo di Energy Observer: capitano e aiuto capitano, un ingegnere tecnico, lei e una giornalista. Un piccolo team in cui ognuno, oltre al proprio ruolo, si occupa di tutte le mansioni della vita di bordo, dalla cucina ai turni al timone. «Avevo già la patente nautica, ma quello che è sfidante è imparare a gestire il sistema energetico senza diesel, rispettando il planning e adattando i consumi. Anche perché le previsioni meteo sono sempre meno attendibili, con venti e correnti spesso imprevedibili», commenta la ricercatrice. Ci si prepara a ogni scalo documentandosi sulla strategia energetica, il potenziale rinnovabile e le sfide per la transizione del paese visitato, per poi incontrare sul posto decisori politici e l’industria, facendosi portavoce del cambiamento. Questa seconda anima del progetto, pedagogico-didattica, prevede anche la sensibilizzazione della popolazione: scuole, ma anche semplici passanti che si avvicinano incuriositi dall’inconsueto catamarano. «Abituata a comunicare risultati di ricerca a colleghi, è stata una sfida imparare a tradurre nozioni complesse in termini accessibili senza banalizzarle. È fondamentale democratizzare una tematica ancora poco nota, che ha bisogno del sostegno da parte di

tutti, governi e cittadini, per diventare quotidianità. Facendo un bilancio generale mi ha sorpreso come il Sud-Est asiatico sia ancora arretrato, mentre il Brasile è particolarmente avanti in termini di energia pulita, quasi metà delle automobili è alimentata a etanolo», sottolinea Beatrice Cordiano.

Dopo 7 anni e 68mila miglia nautiche, questo 14 giugno Energy Observer ha completato il suo giro del mondo, tornando nel porto da dove tutto era iniziato nel 2017, Saint-Malo. Da qui, risalendo la Senna, raggiungerà a breve Parigi dove rimarrà ancorata durante le Olimpiadi. Per poi diventare un pezzo da museo. «Sarà un must dell’Observatoire de l’Énergie che verrà creato a Saint-Malo per presentare i risultati di questa odissea, unitamente a una piattaforma digitale per mettere a disposizione le risorse raccolte. In cantiere anche Energy Observer 2 e 3: una nave cargo da 150 metri che funzionerà a idrogeno liquido e un catamarano per testare carburanti alternativi come ammoniaca, metanolo e gas naturale. Considerando come proprio le navi merci rappresentino il 3% delle emissioni di gas a effetto serra a livello globale, quasi l’equivalente dell’aviazione, mi piacerebbe essere a bordo del cargo, approfondendo le mie ricerche sull’idrogeno», conclude Beatrice Cordiano. Di che proseguire l’“Odissea per il Futuro” intrapresa dall’ex-skipper Victorien Erussard, ideatore di Energy Observer: un progetto nato dopo esser rimasto bloccato da una panne del generatore diesel in piena traversata atlantica, paradossalmente mentre era circondato da abbondante energia rinnovabile. Ha così deciso di investire nella corsa alla trasformazione energetica piuttosto che ai trofei sportivi. Una vittoria del senso.

IN QUESTE PAGINE, BEATRICE CORDIANO, INGEGNERE ENERGETICO A BORDO DEL CATAMARANO ENERGY OBSERVER DI VICTORIEN ERUSSARD. È LA PRIMA IMBARCAZIONE ALIMENTATA ESCLUSIVAMENTE DA FONTI RINNOVABILI: IDROGENO, SOLARE ED EOLICO. IL SUO ‘VIAGGIO’ SI CONCLUDE IN QUESTI MESI, DOPO 7 ANNI DI RICERCA E SENSIBILIZZAZIONE NEL MONDO INTERO, MA GIÀ SONO IN CALENDARIO NUOVI SVILUPPI

Qui e ora

Vera Giampietro

Apneista

Il mio alter ego per AGILITÀ

Vivere l’istante: massima concentrazione mentale e, al contempo, massimo rilassamento fisico per ridurre al minimo il consumo d’ossigeno quando tutto dipende dall’aria incamerata nei propri polmoni, mentre si punta alle massime profondità che un uomo possa raggiungere con le sole proprie forze. Ma “Vouloir c’est pouvoir”, come Vera Giampietro si è tatuata sull’avambraccio. Di origini bellinzonesi, per lei il mare non è stato per tanti anni che l’acqua da cui era impossibile farla uscire nelle vacanze estive. Solo più tardi, quando le capita di fare scuba diving, comprende come quello sia il suo elemento naturale. Ma subentra la vita un po’ disordinata da universitaria a distrarla. Finché a 28 anni sente di aver perso di vista le sue priorità: per ritrovarsi parte per Dahab, che delle immersioni è il paradiso. E che diventa presto una seconda casa. Lì, messe da parte le bombole, scopre il mondo dell’apnea: non più immergersi per ammirare il paesaggio subacqueo, ma tuffarsi dentro sé stessa. «L’immersione offre un momento privilegiato di introspezione. Ci sono poche altre situazioni in cui ci si può prendere il tempo di ascoltare quello che accade dentro di noi. L’acqua, di cui si compone per la maggior parte il nostro corpo, è un catalizzatore di vibrazioni benefiche e consente di isolarsi dal mondo della superficie», sottolinea Vera Giampietro.

Una passione che vive sia a livello agonistico, sia condividendola come istruttrice. Si comincia a secco, apprendendo tecniche di respirazione e rilassamento muscolare che permettono di ridurre il battito cardiaco e il consumo di ossigeno, riconoscendo le tensioni che potrebbero alterare la calma mentale. Si passa poi a esercizi di statica in acqua poco profonda, abituando il sistema nervoso ad accettare quello che potrebbe sembrare un paradosso, poi si prosegue con boa e corda immergendosi in modo totalmente controllato, imparando a stimare la profondità e a compensare la

L’ALTER EGO MARINO DI VERA GIAMPIETRO? L’ORCA, PER LA SUA AGILITÀ E LA POTENTE ELEGANZA

© Elin Larsgren

IN QUESTE PAGINE, LA CAMPIONESSA SVIZZERA DI APNEA VERA GIAMPIETRO, ANCHE INSEGNANTE DI

YOGA E APPASSIONATA DI ARRAMPICATA. IL SUO

SOGNO È ISPIRARE GLI ALTRI A USCIRE DALLA LORO

ZONA DI COMFORT PER SEGUIRE I PROPRI SOGNI

pressione esterna che spinge sulle orecchie. E per chi è contagiato dalla passione come Vera, si scende sempre più a fondo. «Lo definirei un processo di meditazione dinamica, dove se il 10% lo fa il fisico, il 90% è mentale. Ma per quanto ci si prepari visualizzando esattamente tutto il percorso con una lista di focus per scandire le diverse fasi, il cervello è sempre pronto a lanciarti delle ‘palle curve’. Ci sono però apposite strategie per riportare la mente sulla retta via. È un’occasione per conoscere meglio sé stessi e prepararsi anche alle sfide della vita», sottolinea l’apneista.

Quattro le principali discipline: l’elegante monopinna, il potente doppia pinna, il durissimo rana e l’immersione libera, dove si scende e risale facendo leva sul cavo guida con la sola forza delle braccia.

Con oltre 20 record nazionali al suo attivo, dopo che gli ultimi anni la sua preparazione atletica è stata condizionata da un infortunio al timpano causato da un errore medico, finalmente risolto, Vera ha ripreso regolarmente gli allenamenti con l’obiettivo di battere il suo primo record mondiale. Da quest’anno ha iniziato anche a competere in piscina, subito conquistando un record nazionale (110 Dnf) e 3 in profondità (41, 43 e 44 Cnf). Occasioni per migliorarsi, sfidarsi, ma anche per condividere momenti con una comunità molto solidale come quella degli apneisti.

«Ci si incoraggia, aiuta, rispetta e consiglia. Ci conosciamo in pratica tutti, è uno sport ancora poco diffuso, dove la maggior parte degli atleti arriva ai risultati con grandi sacrifici personali. Siamo sempre alla ricerca di sponsor, io stessa alterno periodi full job ad allenamenti e gare. E un anno fa ho fatto ricorso al crowdfunding per partecipare ai Campionati mondiali in Turchia», spiega Vera Giampietro che, sempre in giro per il mondo, conta presto di proporre anche in Ticino esperienze di avvicinamento al mondo dell’apnea, dimostrando come sia a portata di tutte le età e condizioni fisiche.

Ma qual è fra i tanti incantevoli luoghi in cui si è immersa il suo preferito? «Il Blue Hole rimane imbattibile, anche se ormai ci sono più persone che pesci! Quando però raggiungi i 50-60 metri di profondità e la luce filtra dall’Arco, non ha rivali… un’altra esperienza incredibile è stata l’anno scorso ai Caraibi, dove nell’ambito del progetto di un ecoresort ho

potuto incontrare delle biologhe marine impegnate nella salvaguardia dei coralli e degli organismi che li abitano», racconta. La verticalità la esplora anche nella dimensione aerea, praticando l’arrampicata. «Pensare che ero una ragazzina piuttosto timida e scoordinata. Tutto è partito dalla scoperta dello yoga che mi ha aiutata a guadagnare fiducia in me stessa per iniziare a esplorare i miei limiti fisici e mentali, con quel lavoro sulla respirazione che è poi fondamentale anche per l’apnea», conclude Vera Giampietro. E proprio questo, al di là dei risultati agonistici, è il suo obiettivo: ispirare le persone a uscire dalla propria confort zone per seguire i loro sogni, in altezza e in profondità.

e Responsabile Eventi per BPW Ticino (qui accanto) e Sara Cialone, Responsabile Comunicazione, Social Media e Sito Web per BPW Ticino

Dietro le quinte

L’arte di creare connessioni con Eventi che ispirano e lasciano un’impronta indelebile

Partecipando a un evento ben organizzato, raramente si pensa al complesso lavoro che ne permette la realizzazione. Dietro ogni incontro di successo di Bpw Ticino c’è una rete ben orchestrata di persone, risorse e strategie che collaborano per creare esperienze memorabili.

L’organizzazione prende avvio molto prima del giorno stabilito, con la definizione chiara degli obiettivi: che impatto si vuole raggiungere? Qual è il pubblico target?

Quali messaggi si desidera trasmettere?

La pianificazione strategica è fondamentale e, rispondendo a queste domande, si delinea il quadro generale e si orientano tutte le decisioni successive. Stabiliti gli obiettivi, il team si ritrova in una serie di riunioni per pianificare ogni dettaglio, dalla selezione della location all’invito dei relatori. Durante queste sessioni, si definiscono anche i budget, si identificano i potenziali sponsor e si sviluppa una timeline precisa.

Uno degli aspetti più distintivi degli eventi Bpw Ticino è il costante coinvolgimento, nell’organizzazione, di un ampio spettro di risorse umane, sia professionisti esperti sia volontari e membri del club: in tal modo, si arricchisce la gamma di competenze a disposizione e si rafforza il senso di comunità delle Socie. Bpw Ticino presta particolare attenzione alla scelta delle location, che devono essere facilmente accessibili e dotate delle attrezzature adeguate a supportare le esigenze tecniche. La tecnologia è fondamentale, anche per gestire la comunicazione,

dell’evento

che gioca un ruolo cruciale nel coordinare le attività interne, così come nel coinvolgere e ampliare il pubblico. Organizzare un evento di successo va oltre la logistica e la pianificazione dei dettagli operativi. Ogni evento è infatti un mosaico complesso di messaggi da trasmettere chiaramente a diversi destinatari: partecipanti, sponsor, media e comunità locali. È il caso di Bpw Ticino, che ha dimostrato come una strategia di comunicazione integrata, ben pianificata ed efficace possa trasformare eventi locali in opportunità di impatto; il club ha rafforzato la propria presenza sul territorio ed esteso significativamente il proprio raggio d’azione, utilizzando una combinazione di strumenti tradizionali, come comunicati stampa e newsletter, insieme alle piattaforme digitali, tra cui social media e sito web, per creare una narrativa che risuoni con il suo pubblico. Le collaborazioni con giornali e radio locali amplificano la voce del club e conferiscono autorevolezza agli eventi. Una visibilità che rafforza anche il legame con le istituzioni e le aziende locali, creando sinergie vantaggiose.

La Conferenza D’Autunno

Il 18 e il 19 ottobre, Bpw Ticino ospiterà, insieme a Bpw Switzerland, la Conferenza d’autunno in Ticino, a Locarno. L’evento riunirà Socie e professioniste da tutta la Svizzera, per due giorni di discussioni stimolanti, networking e opportunità di crescita. La partecipazione è aperta a chiunque desideri conoscere il club, la sua filosofia e le sue attività.

I NUOVI NUDO ILLUMINANO

LA COLLEZIONE SIGNATURE DI POMELLATO.

Anelli e orecchini toi et moi dal fascino elegante: un simbolo dell’unione tra Natura e arte orafa.

Nudo è la creazione iconica di Pomellato, le cui linee audaci e minimaliste sono diventate il design più celebre della Maison. Negli ultimi vent’anni, la collezione si è ampliata per offrire un arcobaleno di gemme che riflette uno spirito dal forte carattere. Il successo di Nudo è racchiuso nella sua semplicità, una gemma dal taglio unico caratterizzata da 57 faccette lisce e irregolari che sembrano non aver bisogno di alcuna incastonatura.

Gli anelli e orecchini toi et moi della collezione offrono una nuova interpretazione stilistica dell’understatement milanese.

I primi anelli Nudo in stile toi et moi sono apparsi nel 2023 nella collezione di Alta Gioielleria “Ode a Milano”, un tributo alla città di Milano come epicentro del design contemporaneo. Il tratto distintivo degli anelli toi et moi è la combinazione di una pietra iconica della collezione - il topazio azzurro dai toni vibranti o la prasiolite verde muschio - con la celebre silhouette delle gemme Nudo impreziosita da un pavé di diamanti. In un gioco di asimmetrie, il topazio e la prasiolite sono realizzati nella versione Classic ed il pavé di diamanti nella variante Petit. La proposta più preziosa include il pavé di diamanti su entrambi i lati dell’anello. Splendenti da ogni angolazione, l’oro bianco fa risaltare la brillantezza dei diamanti mentre la fascia dell’anello è in oro rosa. Il volume degli anelli li rende perfetti da indossare da soli o in combinazione con altri gioielli,

creando un mosaico grafico di colori e diamanti. Gli orecchini abbinati riflettono la personalità distintiva di Nudo e fanno da eco alle gemme e ai diamanti presenti nelle varie combinazioni di anelli. Un paio di orecchini più classico, caratterizzato da un pavé di diamanti, completa la collezione. Pomellato esprime in modo pionieristico il concetto di “New Precious” attraverso la ricerca di gemme di rara bellezza e colore. Il Gem Master della Maison ha utilizzato gli esemplari più raffinati di topazio azzurro e prasiolite per rivelare le meravigliose sfumature di questi minerali preziosi. Ogni gioiello è fatto a mano dai Maestri orafi negli atelier di Casa Pomellato portando avanti la tradizione dell’eccellenza artigiana italiana. Le nuove creazioni Nudo sono gioielli dall’eleganza senza tempo, realizzati per essere amati e donati con affetto.

TATUAGGI

in perpetuo DIVENIRE

Dopo secoli in cui è stato connotato negativamente, il tatuaggio è sempre più un fenomeno di massa e, al contempo, una forma d’arte: in cui la Svizzera vanta alcune ‘mani’ leggendarie e una nuova generazione sorprendente

Vezzo estetico? Ostentazione narcisistica della propria personalità (o di quella che si vorrebbe avere)? Oppure: rivendicazione d’appartenenza a un gruppo sociale? Al di là delle motivazioni psicologiche e individuali che spingono a scegliere di tatuarsi, c’è il fenomeno, esploso negli ultimi decenni anche in Europa: un po’ più di una su dieci le persone tatuate, percentuale che sale significativamente fra gli under 30 e fa quasi l’en plein fra sportivi e celebrities. Una pratica dal sapore esotico, ricollegabile a rituali iniziatici e pratiche magico-terapeutiche. La stessa

etimologia fa derivare la parola tatuaggio dal tahitiano tatau, che significa appunto ‘incidere, decorare la pelle’. A lungo, nel mondo occidentale, è stato connotato negativamente: a portare tatuaggi erano mercenari, marinai e criminali. D’altronde nel fratricida Caino la Genesi identifica il primo tatuato della storia e determinante nella marginalizzazione della pratica è stata la condanna della Chiesa che nel Concilio di Nicea (787 d.C.) bandiva quell’inaccettabile alterazione del corpo, creazione divina. Uno stigma corroborato poi dalla scienza: proprio nei tatuaggi l’antropologia criminale di Cesare Lombroso, o in Francia del suo omologo Alexandre Lacassagne, individuava la conferma della devianza dei delinquenti. «Eppure anche in Occidente ci si tatua almeno

© Sandra Giorgia, Happypets Studio Lausanne

FOCUS_LASCIARE IL SEGNO

dalla fine del Neolitico, cinquemila anni orsono: la prima testimonianza è stata ritrovata nelle Alpi, ad appena 30 km dalla frontiera svizzera: la celebre mummia di Ötzi è infatti il tatuato più antico a essersi conservato. Sul suo corpo sono incise una sessantina fra punti, linee e crocette che per il loro posizionamento si ipotizza siano da ricollegare a una forma primitiva di agopuntura per alleviare l’osteoartrosi di cui le analisi ci dicono che soffriva», spiega Clément Grandjean. Caporedattore del settimanale romando Terre & Nature, con studi universitari in storia e storia dell’arte, ha intuito che ci fosse da scavare sotto la superficie della storia del tatuaggio proprio scoprendo incongruenze come questa. «Oppure il fatto che negli stessi anni in cui l’antropologia medica associava il tatuaggio al comportamento criminale, era invece di moda fra i reali d’Inghilterra e di diversi Paesi nordici esibire tatuaggi di draghi giapponesi o simboli della marina per dimostrare quanto avessero viaggiato», aggiunge Clément Grandjean. Si è così imbarcato in quasi due anni di ricerche sulla storia del tatuaggio… in Svizzera. Sì, perché fra le sue scoperte c’è stata proprio quella di come, pur non essendo la nostra una nazione di città portuali, caserme e prigioni, né con scene alternative dai numeri significativi, possa vantare leggende mondiali del tatuaggio: su tutti Filip Leu, ritenuto dai professionisti del settore il migliore al mondo.

«Quando ho deciso di lanciarmi in questo progetto, per prima cosa sono andato a fargli visita per ricevere la sua benedizione. Suo padre Felix, che era genero dello scultore Jean Tinguely, è stato un vero pioniere. Conduceva una vita bohème con la moglie Loretta, anche lei figlia di artisti. Una volta, mentre si trovavano nell’Est Europa per acquistare dei tappeti che poi rivendevano in Svizzera, vennero scambiati per tatuatori itineranti. Felix trasse spunto dall’equivoco: la sua abilità nel disegno e il suo spirito hippy rispondevano

ACCANTO, CLÉMENT GRANDJEAN, CAPOREDATTORE DEL SETTIMANALE ROMANDO

TERRE & NATURE, E AUTORE DI SWISS TATTOO (HELVETIQ, 2022), VOLUME

CHE RACCOGLIE STORIE

E IMMAGINI DI 32

TALENTI DEL TATUAGGIO

SVIZZERO: UN’ARTE A CUI

LA TRADIZIONE ELVETICA

NELLA GRAFICA HA MOLTO DA OFFRIRE

alla perfezione a quell’arte. Da Londra alle leggende dell’ago in Giappone, ha poi acquisto un bagaglio artistico e tecnico eccezionale. Dopo aver esercitato spostandosi come nomadi fra Goa, Ibiza e la Grecia, al ritorno in Svizzera i Leu, non potendo installarsi nella loro Basilea che vietava il tatuaggio, hanno scelto dapprima Losanna, e successivamente la vicina Sainte-Croix, che non hanno tardato a rendere un epicentro del tatuaggio mondiale. Ancora oggi arrivano qui praticanti da ogni latitudine per formarsi con Filip, che sin da adolescente ha seguito le tracce del padre», racconta Clément Grandjean. Alla famiglia Leu va anche il merito di aver perfezionato la strumentazione e sensibilizzato i colleghi al rispetto delle norme igieniche ed etiche in anni in cui la piaga dell’Aids avrebbe potuto stroncare il settore, allora poco regolamentato. Filip è uno dei 32 protagonisti del libro nato dalle ricerche di Clément, Swiss Tattoo (Helvetiq, 2022) che ai ritratti fotografici realizzati con la sua Leica, affiancano le loro testimonianze dirette, approfittando della fortuna di poter tuttora incontrare in attività molte grandi personalità che hanno fatto la storia del tatuaggio svizzero, a partire dal primo studio aperto nel 1974 a Rheineck, nel Canton San Gallo, da Dietmar Gehrer “Dischy”. In totale, oggi dovrebbero essere un migliaio i professionisti attivi sul territorio, anche se

è difficile essere precisi trattandosi di una nicchia di indipendenti che ama restare fuori dai radar. Interessante come si stia affacciando una nuova generazione, che ben rappresenta la peculiarità dell’approccio elvetico e che conta anche sempre più donne: «In Svizzera non possiamo rivendicare uno stile universalmente riconosciuto come quello giapponese, statunitense o russo, che invece convivono nella nostra pratica - una pluralità, questa, che ci caratterizza anche in tanti altri ambiti in cui eccelliamo e dimostra come la Svizzera non sia un’isola, ma sappia accogliere diverse influenze. La specificità elvetica risiede invece nella capacità di perfezionare la padronanza artigianale portando tecnica e precisione ai livelli più alti, in particolare facendo leva sulla nostra tradizione nelle arti grafiche e decorative. È questo l’ambito da cui proviene la maggior parte dei nuovi talenti, soprattutto dalla Scuola cantonale d’arte di Losanna (Ecal). Nel loro bagaglio portano una speciale attenzione agli equilibri compositivi, proprio come accade nell’impaginazione, e al contempo una forte sensibilità verso i motivi utilizzati e la loro provenienza culturale», spiega il giornalista. Emblematico il caso del losannese Maxime Plescia-Büchi che, partito dall’Ecal, dopo esser passato dalla ‘scuola’ di Filip Leu, oggi è un riferimento a Zurigo, Londra, Los Angeles e New York con il suo studio Sang Bleu e un inconfondibile stile che attinge all’iconografia medievale europea. Ma c’è anche chi ammicca al folclore, come David Mottier,

MAXIME PLESCIA-BÜCHI X HUBLOT, SPIRIT OF BIG BANG SAPPHIRE SANG BLEU

SOPRA, GLI 8 ANNI DI COLLABORAZIONE FRA HUBLOT E IL LOSANNESE MAXIME PLESCIA-BÜCHI SONO

CORONATI DALLA CREAZIONE DI UN SEGNATEMPO IPERCOMPLESSO. LA MAISON OROLOGIERA SI È

SUPERATA NELLA LAVORAZIONE DELLO ZAFFIRO, CHE CONFERISCE UN ASPETTO SPETTRALE E FUTURISTICO AL TATUAGGIO TRIDIMENSIONALE DISEGNATO DALLA ‘MANO’ DI SANG BLUE. IN SOLI 100 ESEMPLARI

dello studio Rainbow Tattoo di Riaz, giocando con immagini stereotipicamente svizzere, quali il caquelon o l’edelweiss. «Va detto che non avendo un passato coloniale né militare, in Svizzera l’uso di simboli nazionali non è problematico come per altri Paesi. D’altronde già a fine Ottocento ci si tatuavano stemmi locali, scene di mungitura e simboli come l’Helvetia: una scoperta, questa, fatta curiosando fra gli archivi del Museo di anatomia di Basilea dove si conservano campioni di pelle tatuata risalenti alla fine del XIX secolo», rivela l’autore.

Queste e tante altre curiosità, sono state raccolte da Clément Grandjean in Swiss Tattoo. In futuro gli piacerebbe, a parti invertite, intervistare i tatuati: «Ne ho incontrati molti durante le ricerche e hanno storie appassionanti da raccontare. Un’altra esplorazione che vorrei proseguire è quella fotografica: mi interessa molto catturare il gioco fra ciò che si mostra e quello che si nasconde, o come le forme dei tatuaggi che si modificano con il movimento del corpo», conclude il giornalista. Chissà che non possa essere l’occasione anche per un nuovo tatuaggio: uno se lo è concesso proprio abbinando una seduta e un’intervista mentre preparava il libro: «Un capodoglio, in omaggio a Moby Dick, un’opera che per me ha molto contato».

© Hublot

SOMA SEMA

Malgrado la sua diffusione di massa, interculturale e transgenerazionale, il tatuaggio rivela una profondità di significazioni che va ben oltre la superficie cutanea su cui si esprime

Nell’epoca del virtuale e dell’effimero, del messaggio istantaneo che si brucia nel lampo della sua condivisione o del selfie fatto, rifatto e artefatto, sembra quasi paradossale la fortuna di cui gode un atto di comunicazione permanente come il tatuaggio. Ma al di là delle considerazioni di ordine estetico, cosa vede in queste figure l’occhio di chi dei segni fa il proprio oggetto di studio?

«Come semiologi prendiamo in considerazione non tanto i singoli segni in sé, quanto i processi e i sistemi di significazione molto più ampi cui appartengono. Li interpretiamo dunque come espressione di valori, credenze, passioni, percezioni e memorie di cui individui e gruppi sociali si servono per dare significato all’esperienza e per significarsi», osserva Tiziana Migliore, professoressa associata di Semiotica all’Università di Urbino Carlo Bo e segretario scientifico del Centro Internazionale di Scienze Semiotiche Umberto Eco. È stata anche cocuratrice, insieme al collega Gianfranco Marrone, di una delle rare pubblicazioni dedicate al tema in ambito italofono, Iconologie del tatuaggio - scritture del corpo e oscillazioni identitarie (Edizioni Meltemi, 2018).

Realizzati su un supporto particolare come la pelle, membrana organica che si situa come interfaccia fisica fra dimensione intima e sociale, privato e pubblico, i tatuaggi sollevano questioni particolarmente interessanti per i semiologi. «A partire dal fatto che richiedono di sottoporsi a un’operazione dolorosa per iniettare sotto la pelle i pigmenti: ‘punture’ fisiche che, al contempo, si configurano come un’incitazione dell’intimo di disposizioni profonde, modi di sentirsi e di voler essere percepiti. I tatuaggi non sono infatti un’espressione narcisistica, in quanto per la loro stessa natura di segni interattivi sono affidati allo sguardo altrui. È l’altro a riconoscere loro un carattere e a valutarne la corrispondenza, o meno, con chi li indossa», sottolinea Tiziana Migliore.

Pur essendo permanenti, i tatuaggi si rivelano dunque segni in continuo divenire, vivendo della relazione dialogica fra la percezione del sé e lo sguardo altrui. Un processo di costruzione del senso che inizia sin dalla seduta di tattooing, con la negoziazione fra cliente e tatuatore per concordare stili, tecniche e figure in relazione alla parte del corpo prescelta, alla presenza di eventuali altri tatuaggi, alla soglia del dolore e, ovviamente, alla personalità. «A ben guardare, quello che si attua è una sorta di processo di psicanalisi

FOCUS_LASCIARE IL SEGNO

DI SUSANNA CATTANEO

SOPRA, TIZIANA MIGLIORE, PROFESSORESSA ASSOCIATA DI SEMIOTICA ALL’UNIVERSITÀ DI URBINO CARLO BO E SEGRETARIO SCIENTIFICO

DEL CENTRO INTERNAZIONALE DI SCIENZE

SEMIOTICHE UMBERTO ECO

ribaltata. Diverse le analogie: in entrambi i casi ci sono un agente - medico/tatuatore - e un paziente - degente/tatuato. Gli spazi sono accomunati dalla presenza del lettino su cui si svolge la seduta, che in tutti e due i casi è frutto di un senso discusso, concertato e partecipato. Sia il tatuatore che lo psicanalista si mettono all’ascolto e si fanno interpreti del profondo. Se però ambedue i processi lavorano sulla personalità, cambia la direzione: anziché analizzare la psiche all’interno, per introspezione, come nella psicanalisi, il tatuaggio agisce inside out per esporla in superficie», spiega la semiologa.

All’interno della varietà di stili - old school, tribale, floreale, fantasy, orientale, biomeccanico, ecc. - si possono individuare gruppi di figure riconducibili ai diversi temperamenti: felini, serpenti e pugnali per i collerici; croci, rose, cuori trafitti e spade per i sanguigni; teschi, grandi occhi, castelli e ali per i flemmatici; ancore, bussole, orologi, stelle e clessidre per i malinconici. Anche grandezza e colore sono significativi; la parte del corpo prescelta, più o meno visibile, per un destinatario pubblico o intimo, rivela la relazione che si intende stabilire con l’altro.

«Queste ‘marche di identità’ possono essere dei segni standard che indicano l’apparenza a un gruppo oppure altamente personalizzati per raccontare una storia individuale, compresi quelli di coppia, complementari, per celebrare un’unione esclusiva. Molto dipende dalla

sfera culturale di riferimento, con diverse concezioni della pratica fra Occidente, Oriente e la gamma di ibridazioni mediate dai gruppi di appartenenza», prosegue la semiologa. In ogni caso nessuno associa ormai più quello che oggi è un fenomeno di massa, interculturale e transgenerazionale, a comportamenti devianti, come per secoli si è fatto nel sedicente mondo civilizzato. «Resta il connotato della trasgressione, ma da segno semiotico ed estetico con una carica negativa, disforica e ripugnante, il tatuaggio è diventato segno positivo, euforico e attraente. Addirittura liberatorio: a mio parere rappresenta una forma di ‘cura’ in una società della suscettibilità come la nostra. All’opposto dell’odio che si scatena in rete inducendo a chiudersi e aggredire a propria volta, chi si tatua ci insegna infatti che la personalità si definisce nel rapporto con l’altro e non può fare a meno di uno sguardo esterno per costruirsi», conclude la professoressa Tiziana Migliore, che di tatuaggi sta esplorando anche quelli sulla pelle collettiva urbana: i graffiti su muri ed edifici della città, che a loro volta rimandano a una dicotomia tra un noi e un loro, esclusione e inclusione, prigionia e libertà.

GIOCARSI la PELLE

L’arte del tatuaggio si esprime su un supporto del tutto peculiare, organico e destinato a restarci addosso finché morte (o laser) non ci separi: la nostra stessa pelle. Senza voler contestare una scelta personale, si tratta innegabilmente di una pratica di natura invasiva, comportando l’iniezione di inchiostri nello strato più profondo del derma, non soggetto al continuo processo di rinnovamento cellulare.

Dr. Lorenzo Pelloni, quali complicanze possono insorgere dopo l’esecuzione di un tatuaggio?

Immediatamente e nei primi giorni successivi alla seduta è normale riscontrare un’infiammazione del tessuto cutaneo lesionato dalla procedura, che si risolve in alcune settimane seguendo correttamente le indicazioni di aftercare. Più raramente possono insorgere delle infezioni batteriche, qualora il tatuatore non si fosse attenuto alle norme igieniche o avesse utilizzato prodotti impropri, così come possono essere causate da un comportamento non scrupoloso da parte del soggetto tatuato (pulizia e idratazione, protezione solare, evitare bagni in mare e piscina, ecc).

E sul lungo termine?

Le reazioni allergiche possono sopraggiungere settimane, anni e addirittura decenni dopo, scatenate da un farmaco o da un altro fattore che attiva il sistema immunitario e gli fa riconoscere improvvisamente il pigmento come un elemento estraneo, causando eruzioni cutanee, prurito e ispessimenti della pelle o del tessuto sottostante. Il rosso è il colore con cui accade più di frequente, probabilmente a causa della sua molecola. Non sempre le creme locali hanno successo e a volte l’unica soluzione è la rimozione. Una seconda complicazione a lungo termine sono le malattie autoimmuni come la sarcoidosi, per cui le cellule infiammatorie si dispongono a grappolo attorno al tatuaggio formando dei rigonfiamenti nodulosi, anche se accade molto di rado. Non lo dimenticherò mai, essendo stato il mio primo caso in clinica universitaria.

Quali sono i rischi per la salute e le indicazioni a cui attenersi quando ci si regala un tatuaggio?

Come intervenire per rimuovere un tatuaggio?

La migliore soluzione oggi è il laser nano- o picosecondi. L’efficacia dipende però dal colore del tatuaggio: mentre è possibile rimuovere il nero quasi al 100%, invece è in pratica impossibile per viola, giallo e bianco. Infatti riflettono la luce, vanificando l’azione del laser che è quella di frammentare le molecole di pigmento stabilizzatesi nell’intraderma, affinché le cellule del sistema immunitario possano finalmente smaltirle. In questi casi problematici, se l’area è piccola si può pensare a un’escissione chirurgica.

Quali sono tempi e costi per una rimozione laser?

Dipende dallo studio a cui ci si rivolge e anche dalla superficie del tatuaggio, da colori e intensità della pigmentazione. Ai miei pazienti indico la ‘regola del 10’: tempo, costo e sofferenza per rimuovere un tatuaggio decuplicano rispetto al farlo. Ovviamente è un’immagine simbolica, ma rappresentativa. In media si possono calcolare dalle 8 alle 12 sedute, da distanziare due mesi l’una dall’altra, con un prezzo fra i 150 e 500 franchi ciascuna a seconda della complessità.

Una spesa non rimborsata dalle casse malati.

Dunque, meglio evitare i tatuaggi?

Senza giudicare una scelta personale, la raccomandazione è di affidarsi sempre a professionisti accreditati, che rispettino scrupolosamente le norme di sicurezza e igiene, usando solo prodotti omologati. Oggi il settore in Svizzera e in Europa è molto più regolamentato anche solo di venti anni fa. Il suggerimento di un conoscente rimasto soddisfatto può essere prezioso, mentre da rifuggire è il low cost: il tatuaggio fatto in vacanza in Thailandia può sapere di esotico e costare un decimo, ma i rischi immediati e sul lungo termine sono esponenzialmente più elevati.

DR. MED. LORENZO PELLONI, SPECIALISTA IN DERMATOLOGIA E VENEROLOGIA FMH

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NERO BIANCO

su

Ci muoviamo sul foglio proprio come ci muoviamo nell’ambiente. Il segno che tracciamo è ben più dell’espressione di un’idea astratta:

è la sintesi del nostro modo di essere. Con l’analisi della scrittura, attraverso cinquecento indicatori, si fa luce su chi siamo veramente

Mediante la scrittura a mano lasciamo traccia di noi, una traccia che ci sopravvive, carica di segni che proiettano la nostra personalità. È segno ogni cosa che possa essere assunta come un sostituto significante di qualcosa d’altro.

Le parole sono figure composte da lettere, che sono i simboli dell’alfabeto con cui si rappresentano convenzionalmente i suoni di una lingua.

La forma di una lettera scritta a mano è la somma di uno o più segni. I segni che compongono la forma della lettera sono tracce di uno o più gesti. Il gesto è l’espressione mimica di come percepiamo e organizziamo stimoli e informazioni, dei nostri stati disposizionali cognitivi, emotivi ed esecutivi: ci muoviamo sul foglio esattamente come ci muoviamo nell’ambiente. Il segno è la traccia visibile di un gesto e ne conserva l’energia. Non è solo un’espressione statica e formale di un’idea astratta, è una sintesi di razionalità e

irrazionalità, del nostro modo di essere. Si intende per segno grafico ogni caratteristica della scrittura, come integrità del tratto, gestione pressoria, estetica, accuratezza, lentezza, fluidità, rapidità, chiarezza, concisione, direzione del rigo, disposizione spaziale, dimensione delle lettere, grado di elaborazione del modello calligrafico, ecc., per un totale di circa cinquecento indicatori.

La scrittura ha carattere dinamico perché proietta fedelmente l’evoluzione dell’individuo accompagnandone la storia tra ereditario ed acquisito, le trasformazioni nel corso delle diverse tappe di crescita, le influenze formative e socio-culturali. Essa traduce in segni, nero su bianco, la nostra conoscenza della realtà che avviene attraverso i sensi; la sensazione che ne deriva viene trasmessa attraverso impulsi nervosi ai centri del cervello preposti alla ricezione. La sensazione si trasforma in percezione quando viene identificata la fonte dello stimolo e quando lo stimolo viene riconosciuto e codificato. Questo processo implica la valutazione e l’elaborazione dei dati trasmessi dai recettori.

È AUTORE DEL LIBRO PSICOLOGIA DELLA SCRITTURA

I neurostati, ossia i segnali nervosi fisico-chimici prodotti dagli stimoli (interni o esterni) si trasformano in psicostati, ossia nelle associazioni che si svolgono nella discrezione tra processi consci e inconsci che vengono proiettati nella scrittura.

L’intensità di un segno è direttamente proporzionale all’intensità dell’impulso psichico che lo ha proiettato.

L’analisi di una scrittura consiste nel rilievo dei singoli segni in essa presenti e della loro intensità; essa è utilizzata in ambito interdisciplinare come ausilio all’interpretazione della personalità in psicologia; nelle risorse umane per analizzare motivazioni, interessi, attitudini, potenzialità, skills, ecc. in linea con le prestazioni attese; per verificare l’autenticità di documenti in ambito forense.

Ma come si giunge alla stesura di un profilo di personalità tramite l’analisi della scrittura?

La riproduzione del modello calligrafico, utile al differimento nel tempo di una comunicazione, implica processi consci attivati dalla mentalizzazione delle forme e dei rapporti spaziali del codice alfabetico. I processi consci si fondono con i processi inconsci, relativi alle percezioni emotive, che possono essere a valenza edonica o anedonica, di piacere e dispiacere, e che inferiscono il modello difformandolo con variazioni, in senso positivo, o alterazioni, in senso negativo. Gli indicatori grafici, i segni, vengono così declinati secondo la dinamica psichica che intercorre tra la percezione di stimoli e informazioni e la produzione di risposte, focalizzando su senso dell’Io, ampiezza del campo di coscienza, abilità cognitive, capacità mnemoniche, processi decisionali, inclinazioni attitudinali, componenti emotive (empatia) e modalità relazionali, flessibilità comportamentale, capacità esecutive, dimensione valoriale ed etica.

Queste componenti attinenti al sistema psichico, all’insieme di funzioni e sub-funzioni dell’Io, quando presenti positivamente, possono guidare l’individuo verso esperienze finalizzate, acquisizione di conoscenze e capacità di tradurle in competenze, favorendo così il suo progetto esistenziale, il suo percorso verso l’autorealizzazione.

L’oculato dosaggio dei segni e della loro interazione fa luce su dettagli e sfumature, focalizzando su tratti e disposizioni, tendenze e controtendenze, sulle intemperanze che possono aprire a conflitti in un

contesto sistemico o conferire colore alla personalità, offrendo un plus competitivo agli strumenti di analisi comportamentale.

Per fare un esempio, qui estremamente sintetizzato al limite della superficialità per ovvie ragioni di spazio, la scrittura ideale di un leader dovrebbe essere ascendente (intraprendenza e senso di mission), fluida (processi cognitivi fluidi), personalizzata (carisma) conservando agevole leggibilità (comunicazione efficace), con allunghi inferiori e superiori estesi al di fuori del corpo centrale che scorre in orizzontale (progettualità che si fonde con le capacità gestionali).

L’analisi della scrittura offre un significativo apporto nell’individuazione delle potenzialità di espressione dell’individuo; è quindi possibile annoverarla tra le “scienze del lavoro”, scienza funzionale all’identificazione di quei fattori distintivi che possono facilitare l’autorealizzazione, sia nell’ambito dell’orientamento agli studi che in una riqualificazione professionale.

In questo senso, la scrittura è una fedele eco dell’esperienza sensoriale personale, dei nostri paesaggi mentali, del modo di rapportarci con noi stessi e col mondo.

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STRATEGIE DI INVESTIMENTO

INDIPENDENTI E DI NICCHIA

DAL 1971

L’alta moda ritrova nelle sue stesse origini la vocazione alla sostenibilità: materiali pregiati, lavorazioni artigianali, filiere corte, durevolezza dei prodotti e innovazione al servizio della creatività. Accanto alle grandi

Maison, anche virtuose realtà di nicchia sanno dare l’esempio

IL NUOVO LUSSO? ETICO E FUNZIONALE

C’è chi nella borsa firmata cerca l’it-bag di culto da possedere oggi e per sempre, chi invece preferisce distinguersi con scelte di nicchia, desiderando dall’alta gamma un diverso tipo di valore aggiunto e così contribuire a fare la differenza. Non più status symbol

ma choice symbol. A non cambiare, anche in un mondo sempre più smaterializzato dal digitale, la funzione centrale di questo accessorio irrinunciabile per ogni donna: contenere tutto il proprio mondo.

Master in International Tax Law a Londra, una carriera che l’aveva portata a diventare capo dell’ufficio legale e fiscale di una società di consulenza a Zurigo, Roberta Tondini la borsa in cui racchiudere il suo, di mondo,

proprio non riusciva a trovarla sul mercato. Così nel 2015 è nata la Shopping Maja, che ha disegnato lei stessa, battezzata con il nome dell’amica - una contabile finanziaria come lei molto attenta alle proprie scelte - che l’ha aiutata a definire i ‘requisiti’ del suo primo modello. Da allora si è scatenata una vena creativa che ha riportato a galla il gusto del ‘bello senza tempo’ a cui Roberta è stata educata da mamma, nonna e zia: le donne di una famiglia che a Cagliari, sua città natale, aveva boutique di altissimo livello. «La moda di alta gamma è parte di me da sempre. Non tanto come vezzo - per quanto, certo, piacevole - ma dal punto di vista dell’alta qualità, del piacere del fatto bene, del ben scegliere. Una filosofia riassunta nel credo di Studio Tondini, l’avventura imprenditoriale a cui ho dato vita nel 2021: savoir faire, savoir vivre, savoir choisir», afferma Roberta Tondini. Ma cosa le ha fatto capire di potersi ritagliare uno spazio in un settore in cui, senza alle spalle una tradizione o collaborazioni di prestigio, è difficile emergere? «Il mondo della moda è cambiato profondamente da inizio anni 2000: quello che ho conosciuto tramite i racconti di famiglia e toccato con mano dall’infanzia si stava, in parte, perdendo. C’era inoltre molta distanza tra quanto il lusso aveva da offrire e i bisogni delle donne in carriera, mio punto di partenza», evidenzia Roberta Tondini, che a tutti i modelli delle sue Collezioni attribuisce il nome delle donne che, come Maja, le hanno ispirate. Un tributo di sorellanza per supportare le ambizioni femminili, come fa anche sostenendo con parte dei ricavi la no-profit Days for Girls, che investe nelle professioniste del domani. Un tassello del concetto di sostenibilità che contraddistingue Studio Tondini: «Anzitutto ho voluto fortemente un ritorno alle origini: il ‘made in Italy’ di alta gamma integrale. Seguire

SOPRA, ROBERTA TONDINI, FONDATRICE, DESIGNER E ANIMA DI STUDIO TONDINI, CON SEDE A ZURIGO, CHE UNISCE LA TRADIZIONE DEL MADE IN ITALY ALLA FUNZIONALITÀ SVIZZERA. OGNI MODELLO PRENDE IL NOME DALLA DONNA CHE L’HA ISPIRATA

a tutto tondo, dai materiali alla manifattura, questa tradizione contribuisce al mantenimento del know-how secolare della pelletteria italiana e, quindi, alla salvaguardia di una filiera di altissimo livello. Apprezzato non solo dalle clienti, ma dagli stessi artigiani a cui facciamo affidamento, fra i migliori al mondo, abituati a lavorare con le Maison del lusso», racconta l’imprenditrice e designer.

L’anima svizzera del brand si esprime invece nella cura della funzionalità. «Usando un’analogia poco ‘modaiola’, mi piace pensare che le nostre creazioni siano un po’“il coltellino svizzero delle borse”, dove ogni oggetto - dalla tecnologia ai biglietti da visita - trova il suo posto agevolmente ed efficacemente. Abito a Zurigo da oltre dieci anni, ma si può dire che a questa città debba la mia stessa esistenza: la vita di mia madre è infatti stata salvata qui, circa un

UN DETTAGLIO DELLA VERSIONE MIGNON DELLA SHOPPING MAJA, BESTSELLER E PRIMO MODELLO DI STUDIO TONDINI

© Studio Tondini

anno prima della mia nascita, da un tumore considerato incurabile in Italia. La dimensione umana di Zurigo, accompagnata alla grande internazionalità, somiglia molto al mio concetto di città ideale. Non potevo che basare qui la mia avventura imprenditoriale», sottolinea.

Studio Tondini vanta anche quella che a oggi è la prima e unica borsa di lusso vegana al mondo certificata dal Vegan Trademark (l’ente stesso che ha coniato il termine ‘vegano’), a conferma dell’assenza di qualsiasi materiale di origine o derivazione animale, inclusi invertebrati, in ciascun singolo componente della borsa. «Un controllo estremamente stringente che ci ha impegnati per

SOTTO, FEMMINILE, VERSATILE ED ETICA, LA CRISTIANA DI STUDIO TONDINI È LA PRIMA E UNICA BORSA DI LUSSO AL MONDO CERTIFICATA VEGANA AL 100%. AL POSTO DELLA PELLE, IL RIVOLUZIONARIO E VERSATILE PIÑATEX, CREATO CON LA FIBRA DELLA FOGLIA D’ANANAS

oltre un anno insieme ai nostri artigiani che hanno dovuto confrontarsi con un materiale a loro ignoto adattando i metodi di lavorazione: il Piñatex, creato con la fibra della foglia d’ananas. L’abbiamo selezionato in primis per la composizione naturale al 90-95%, a differenza della maggior parte dei materiali vegani che paradossalmente hanno un altissimo contenuto di materie plastiche (almeno il 40-60%). Rispetto a costi e reperibilità oggi è un materiale caro, anche perché coperto da un brevetto - al femminile, il che ci fa molto piacere. La resa è estremamente interessante e versatile, da quella metallica, più simile alla pelle, alle più naturali - liscia e in alcuni casi con effetti perlati, oppure ruvida e dal tocco estremante materico: insomma, ‘una collezione in una borsa’! Ovviamente sono di parte, ma devo dire che La Cristiana - questo il suo nome - è diventata il mio modello preferito da portare da mattina a sera», rivela Roberta Tondini. Se per l’industria della moda, tra le più inquinanti al mondo, è il momento di orientarsi verso una sostenibilità che non sia solo motivata dalla ricerca di un vantaggio competitivo, Studio Tondini è fra le poche realtà del fashion a essere già entrata a far parte di Positive Luxury. «Tutti i marchi membri, dalla moda all’hôtellerie, sono votati all’eccellenza anche per quanto riguarda la sostenibilità reale che portano nel mondo. Esservi ammessi è stata una conferma obiettiva della serietà del nostro impegno. Ora stiamo completando una prima fotografia del nostro operato, a seguito della quale questa importante organizzazione ci aiuterà ad alzare progressivamente l’asticella dei nostri già elevati standard di sostenibilità ambientale ed umana», conclude Roberta Tondini. Al di là dei tanti accessori più o meno indispensabili - ma sempre soggettivamente irrinunciabili - che si contendono il posto nella borsa di ogni donna, professionista e non, è questa la lezione da portare sempre con sé: un esempio di moda di alta qualità orientata a un rispetto profondo, che si spera possa essere di ispirazione anche in altre aree di business, insegnando a costruire il futuro tornando alla filosofia dei nostri avi, al comprare poco e bene, con filiere il più possibile corte, concentrandosi su savoir faire, savoir vivre, savoir choisir.

GEMME E ALTRE MERAVIGLIE

Diamanti e pietre di colore, gioielli antichi e contemporanei, Haute Joaillerie stravagante e perle naturali... Tutte le epoche, gli stili e i métiers si incontrano a GemGenève.

Creatività senza confini

QUI ACCANTO, AMMIRATO DURANTE L’OTTAVA EDIZIONE DI GEMGENÈVE, IN MAGGIO

A GINEVRA: ‘EQUILIBRIUM OF POWERS’, DI ALICIA STANSKA È UN ABITO A GRANDEZZA

NATURALE RICAMATO CON 110.000 CRISTALLI SWAROVSKI.

GIOIELLERIA E HAUTE

COUTURE PER UN SOPRENDENTE

CAPOLAVORO CHE

HA RICHIESTO

ALL’ARTISTA

OLTRE 3 ANNI DI

LAVORO

AGemGenève si danno appuntamento gli attori del settore della gioielleria. Due volte l’anno, in primavera e in autunno, la Geneva Luxury Week - di cui GemGenève fa parte - mette in mostra competenze, creatività e patrimonio eccezionali, riunendo eventi organizzati dalle principali case, istituzioni culturali e protagonisti del settore del lusso intorno all’alta gioielleria, alle arti, all’orologeria, alle pietre preziose, agli oggetti d’arte, alla pelletteria e al design. Una sezione di GemGenève è dedicata agli ‘Emerging Talents & New Designers’: «La partecipazione all’evento segna una tappa fondamentale nella loro carriera artistica», nota Nadège Totah, ideatrice e curatrice di questo spazio. Viaggiando tutto l’anno in tutto il mondo alla ricerca di nuovi gioiellieri e designer innovativi, Nadège Totah è una appassionata talent scout. Attratta da designer i cui gioielli offrono un nuovo approccio all’arte orafa, dà loro la possibilità di mostrare il proprio lavoro e di farsi conoscere. Con occhio esperto, la curatrice è guidata dalla sensibilità e dall’intuito che la caratterizzano. Alla ricerca di un approccio creativo particolare, di un uso atipico dei materiali o di una visione del gioiello che va controcorrente, Nadège Totah scommette dunque sui designer più promettenti. «Dietro ogni gioiello c’è una storia, spesso indissolubilmente legata a quella personale del suo creatore. Incontrare e parlare con un designer è il primo passo per comprendere il suo approccio artistico», sostiene Nadège Totah. Convinta che ogni disciplina, per sopravvivere, debba costantemente reinventarsi, promuove designer che pensano fuori dagli schemi e ripensano i codici della gioielleria tradizionale. A muoverla è la convinzione che il gioiello sia una modalità espressiva a sé stante; convinzione che condivide con Mathieu Dekeukelaire, direttore di GemGenève, con i due fondatori Ronny Totah e Thomas Faerber e con Ida Faerber, che hanno fatto di questo Salone internazionale un trampolino di lancio formidabile ed essenziale per

un’intera generazione di artigiani e designer. I gioiellieri hanno la possibilità di presentare le loro ultime creazioni in totale libertà, senza che queste siano state prima ‘convalidate’ dal comitato di GemGenève. Per Nadège Totah, questa libertà non convenzionale è l’unico modo per dare ai suoi ‘preferiti’ la legittimità che meritano.

IN ALTO, NADÈGE TOTAH, CURATRICE DELLO SPAZIO ‘TALENTI EMERGENTI E NUOVI DESIGNER’ DI GEMGENÈVE, L’EVENTO GIOIELLIERO GINEVRINO PER ANTONOMASIA IN QUESTA PAGINA, IN SENSO ORARIO, OPERE DEI ‘NEW DESIGNERS’: DIVA JEWELS, LAGARDE, DIANA ZHANG, CHONG HO ART JEWELRY E NELLA PAGINA ACCANTO, DALL’ALTO, CREAZIONI DEGLI ‘EMERGING TALENTS’ ASO LEON, JACQUELINE POWERS, SHAVARSH HAKOBIAN E VILLA MILANO

un cielo sotto di stelle

In queste settimane estive, il cielo regala una serie di eventi spettacolari e suggestivi. La loro osservazione è un’opportunità per sentirsi parte integrante del vasto universo

Ogni anno, tra fine luglio e inizio agosto, il cielo notturno si anima con uno dei più famosi e spettacolari sciami meteorici: le Perseidi. Conosciute come le “Lacrime di San Lorenzo”, queste meteore sono visibili soprattutto nelle notti tra l’11 e il 13 agosto, quando raggiungono il picco di attività. Le Perseidi sono frammenti della cometa Swift-Tuttle, che bruciando nell’atmosfera terrestre creano scie

EMPORIO ARMANI COLLEZIONE FW24, NIGHT GLOW

STILE_TENDENZE

DI ELEONORA VALLI

TESTO DI DAVIDE SPEZIGA SOCIETÀ ASTRONOMICA TICINESE

IN QUESTE PAGINE, UN COSMO DI PIETRE

PREZIOSE E POESIA CREATIVA NELLA COLLEZIONE

“SOUS LES ÉTOILES”

DI VAN CLEEF & ARPELS

SOPRA, DALL’ALTO, COLLIER CIEL DE MINUIT, ORECCHINI VOÛTE CELESTE E SPILLA GALAXIE TOURBILLON

NELLA PAGINA A SINISTRA, DALL’ALTO, SPILLA MOSAÏQUE D’ÉTOILES E

AURIGAE CON ZAFFIRO BLU TAGLIO

luminose visibili ad occhio nudo. La loro osservazione è un’esperienza poetica, da vivere in luoghi lontani dall’inquinamento luminoso, sdraiati su un prato e lasciandosi cullare dal silenzio della notte.

Un altro evento che cattura l’attenzione è l’eclissi lunare (parziale il 17-18 settembre 2024). Sebbene non si verifichi ogni estate, quando accade, offre uno spettacolo straordinario. Durante un’eclissi lunare, la Terra si interpone tra il Sole e la Luna, proiettando la sua ombra su quest’ultima. Se l’eclissi è totale, la Luna può assumere una tonalità rossa, dando origine al fenomeno noto come “Luna di Sangue”. Questo evento non solo è affascinante dal punto di vista visivo, ma richiama anche antiche leggende e superstizioni, arricchendo di mistero le calde notti estive.

Le congiunzioni planetarie sono un altro evento celeste che può essere osservato durante l’estate. Il 14 agosto, Marte e Giove saranno visibili vicinissimi tra loro, offrendo uno spettacolo unico.

In seguito, il 28 agosto, ci sarà un altro evento straordinario: l’allineamento di sei pianeti in fila, visibile nel cielo notturno.

© Mauro Consilvio

SOPRA A DESTRA, LA CARTA STELLARE RAPPRESENTA

L’INTERA VOLTA CELESTE VISIBILE DAL TICINO ALL'UNA DEL 31 LUGLIO O A MEZZANOTTE DEL 15 AGOSTO. IL CENTRO È LO ZENIT, MENTRE IL BORDO ESTERNO RAPPRESENTA SCHEMATICAMENTE L’ORIZZONTE. PER USARLA, BASTA TENERLA ALZATA CONTRO IL CIELO ORIENTANDOLA SECONDO I PUNTI CARDINALI

Riferimento:: Bellinzona, 46,1921°N, 9,0206°E ora: 15 luglio 2021 02:00 (UTC +02:00) 15 agosto 00:00 15 settembre 22:00

(CARTA ELABORATA DA MERIDIANA)

SOPRA, ORECCHINI NOEUD CÉLESTE E SOTTO, PENDENTE L’UNIVERSE, ENTRAMBI DELLA COLLEZIONE ’SOUS LES ÉTOILES’ DI VAN CLEEF & ARPELS

Un ulteriore fenomeno eccezionale sarà l’occultazione di Saturno da parte della Luna. Anche se avverrà in un orario un po’ fuori dalle regole, questo evento rimane straordinario e vale la pena fare un piccolo sacrificio per poterlo osservare. Per godere appieno di questi fenomeni, è importante scegliere il momento e il luogo giusto. Le notti senza luna e lontane dalle luci della città offrono le migliori condizioni per l’osservazione. La Società astronomica ticinese organizza regolarmente delle uscite, il cui calendario può essere consultato nel sito nella società (www.astroticino.ch). Per osservare il cielo in compagnia di altri appassionati e sotto la guida di esperti, basta portare con sé una coperta, una bevanda e un binocolo per i dettagli più fini. Ma, soprattutto, la curiosità e il desiderio di meravigliarsi di fronte agli spettacoli che la natura offre generosamente e gratuitamente. Questi eventi celesti non solo regalano momenti di pura bellezza, ma ci ricordano anche la vastità e la complessità dell’universo in cui viviamo. Guardare al cielo può diventare un modo per ritrovare la nostra piccola, ma preziosa, posizione nel grande schema delle cose.

LANCETTE alla moda

In un connubio creativo di forme, colori, materiali e impressioni olfattive, è racchiuso un tempo squisitamente femminile

L’orologeria è quanto di più tecnico la moda possa immaginare. Intriga anche le fashion addict, per la capacità di aggiungere fascino a fascino. L’Haute Horlogerie, con il suo patrimonio di mirabile maestria e di creazioni stupefacenti e l’Haute Couture, dagli inequivocabili codici, non così diversi dai codici della tradizione orologiera svizzera. Se a questo binomio si aggiunge l’Alta Profumeria, il risultato è un orologio ‘concettuale’, femminile all’ennesima potenza.

A sperimentarlo, è stata la più antica Manifattura orologiera svizzera, Vacheron Constantin.

Con Sandrine Donguy, Head of product marketing della Maison, siamo partite per un excursus temporale, alla scoperta del desiderio plurisecolare di Vacheron Constantin di piacere alle signore. E delle signore, di avere un complice di seduzione.

Alta Orologeria, Alta Moda e Alta Profumeria si sono incontrate in un segnatempo senza precedenti... È stato sviluppato in collaborazione con Yiqing Yin, originale firma dell’Haute Couture. Égérie: The Pleats of Time è un concept watch che, in un esercizio di stile, unisce questi tre

A DESTRA, SANDRINE DONGUY, HEAD OF PRODUCT MARKETING, VACHERON CONSTANTIN. IN ALTO, LA SPERIMENTAZIONE DI UNA

PARTICOLARE ALCHIMIA DI ’INGREDIENTI’ E SAPERI SPINGE L'ALTA OROLOGERIA IN TERRITORI FINORA INESPLORATI

IN ALTO A DESTRA, ÉGÉRIE MOON PHASE, IN ORO ROSA

diversi mondi. Con quadrante in madreperla lilla, una fase lunare in madreperla, una lunetta con diamanti incastonati, ha il bracciale ricamato con scaglie di madreperla contenenti nano-capsule di una fragranza sviluppata da Dominique Ropion, il grande maestro profumiere francese. E la nano-incapsulazione su un bracciale è una novità assoluta nel mondo dell'Alta Orologeria. Il progetto esprime il nostro desiderio di esplorare nuovi orizzonti creativi, celebrando al contempo la nostra lunga storia.

Qual è l’idea della Maison in termini di estetica degli orologi da donna?

Vacheron Constantin continua a combinare la tra dizionale competenza orologiera con un design elegante ispirato al suo patrimonio: punto di partenza di ogni creazione, che sia da donna o da uomo.

La collezione Égérie ne è un perfetto esem pio. Con la stilista Yiqing Yin abbiamo sviluppato anche l’ultimo modello Égérie con fasi lunari, in edi zione limitata a 100 esem plari, che abbina un display decentrato, una corona a ore 1:30, un quadrante in madreperla lilla, una fase lunare in madreperla e una lunetta incastonata di dia manti. Il fascino qui si fa anche audace.

Vacheron Constantin e gli oro logi femminili: un amore anti co... Come si è evoluto nel tempo?

Fin dalla sua creazione, Vacheron Constantin si è sempre preoccupata di captare e soddisfare le aspettative della sua clientela femminile, con standard elevati in termini di ornamento, complessità tecnica e miniaturizzazione dei calibri. Il primo orologio da tasca da donna, risalente agli inizi del XIX secolo, era una ripetizione minuti, riccamente decorato. Nel 1889 è seguito il primo orologio da polso prodotto in serie, caratterizzato dalla sottile originalità di un movimento caricato da una lunetta girevole dentellata. Non abbiamo mai smesso di innovare per rispondere alle esigenze specifiche della nostra clientela femminile, tipiche delle differenti epoche e mode.

degli anni. Oggi, tuttavia, tendiamo a concentrarci sui talenti che ci ispirano nella vita quotidiana. Di recente abbiamo presentato la nostra collaborazione con l’artista americana Zaria Forman, nota per i suoi disegni a pastello su larga scala ispirati alle sue fotografie scattate durante spedizioni nei ghiacci dall’Artico all’Antartide. Questa collaborazione - per la collezione di orologi Overseas - si basa su un impegno comune nei confronti dell'arte, della bellezza naturale e dell’autenticità.

Che forma e che profumo ha il futuro per una Manifattura, la più antica del mondo, attiva senza interruzioni dal 1755?

Il futuro è un incoraggiamento a innovare sempre. E, a breve termine, ha il profumo della festa!

Nel 2025 la Maison festeggerà infatti il suo 270esimo anniversario. La formula ‘segreta’ della sua longevità è proprio la costante ricerca pur conservando un ricco patrimonio costruito nel corso dei secoli. Il legame tra passato, presente e futuro è il palcoscenico su cui si rappresenta l’affascinante storia plurisecolare di questa realtà orologiera. Tra creatività e identità. Nel segno di un’estetica forte e che non teme le mode passeggere. La ricerca di nuove complicazioni o combinazioni orologiere e funzionalità ci permette di stare al passo con i tempi, fedeli agli innati canoni di eccellenza.

Immagini di avere qui davanti a lei una grande scatola piena di componenti. Che tipo di orologio assemblerebbe, come ideale di femminilità?

Celebrità, del passato e del presente, sono legate per ragioni personali o professionali a un orologio Vacheron Constantin. Chi potremmo qui citare, tra tante? È decisamente una soddisfazione che importanti personalità abbiano indossato i nostri modelli nel corso

Esteticamente, un orologio in platino, con un quadrante colorato impreziosito da diamanti agli indici e alla lunetta. Con una fibbia e un cinturino intercambiabile, in pelle bianca. In un formato inferiore a 37 millimetri. Per quanto riguarda le complicazioni, userei un tourbillon per la sua alta precisione e un calendario perpetuo per la complessità di questo meccanismo. E con un’indicazione centrale delle fasi lunari, per il suo fascino poetico. Potenza ed eleganza, che si perpetuano.

AL CENTRO DELLA PAGINA, ALLE DONNE VACHERON
CONSTANTIN SI RIVOLGE DA OLTRE 200 ANNI

EQUILIBRIO E GIUSTA MISURA:

La nostra filosofia nel proteggere e valorizzare il patrimonio delle famiglie

Idatori di lavoro si trovano a gestire le sempre più complesse esigenze di dipendenti, spesso ormai diversissimi per genere, età, istruzione e sensibilità personale. Il ruolo degli Hr Manager diventa quindi ancor più cruciale per analizzare con attenzione le loro richieste e adattare strategie di reclutamento, fidelizzazione e sviluppo dei i talenti.

Ma quali sono le leve fondamentali oggi per assicurarsi i migliori talenti?

Importanti spunti sul livello di attrattività percepito da parte dei potenziali dipendenti vengono dallo studio Employer Brand di Randstad. Realizzato da 24 anni, si basa su un sondaggio indipendente, condotto su oltre 160mila partecipanti in 33 Paesi, tra i 18 e i 64 anni, e analizza quasi 6mila aziende: un’ampiezza e una portata che ne fanno un unicum nel settore. In Svizzera, sono state sentite oltre 5mila persone (dipendenti ma anche studenti e disoccupati), mentre le imprese selezionate sono state 150, seguendo il criterio che fossero conosciute da almeno il 10% della popolazione.

Agli intervistati è stato chiesto di stilare la Top 5 dei valori che ritengono decisivi quando scelgono un nuovo datore di lavoro. Salario e flessibilità sono risultati giocare un ruolo determinante: al primo posto infatti, ,“retribuzione e benefits interessanti”; al secondo “l’atmosfera di lavo-

ro piacevole”; a seguire “l’equilibrio lavoro-vita privata”, “la sicurezza del posto di lavoro”, infine “la progressione di carriera”.

La ricerca ha inoltre evidenziato come, oggi più che mai, l’equità sul posto di lavoro non sia solo un ideale: è un punto di riferimento per la cultura aziendale che ha una profonda risonanza con i dipendenti. Un ambiente inclusivo, in cui tutti si sentano benvenuti e apprezzati, non è solo eticamente corretto, ma anche economicamente intelligente. Sono molti gli studi che attestano come i luoghi di lavoro che valorizzano l’equità vedano un aumento del coinvolgimento e della produttività dei propri dipendenti, godendo anche di migliori tassi di fidelizzazione.

Più incertezze su quale sarà l’impatto dell’Ia: per il 40% porterà un miglioramento nella loro vita, contro un 37% che prevede un peggioramento, mentre per il 14% non vi sarà alcun cambiamento significativo e il restante 9% non si pronuncia.

Sul totale degli intervistati, gli svizzeri che hanno cambiato lavoro o sono in procinto di farlo corrispondono al 30%. Una percentuale che lascia intendere come capitalizzare la propria reputazione e andare incontro ai bisogni dei propri collaboratori sia fondamentale per le aziende che vogliono assicurarsi un futuro ricco anche di risorse umane.

Employer

branding distintivo

In un momento in cui le aziende faticano ad attrarre e, soprattutto, a trattenere talenti, è fondamentale investire in una strategia di employer branding per presentarsi come il luogo ideale di lavoro
Barbara Sorce,
Specialista in Risorse umane, Responsabile Randstad Ticino
Sylva Galli, Genitori alla finestra , olio su tavola, Eredi Sylva Galli

PATRIMONIALE DIGIpersonalizzazione

Niente sportelli, salottini né caveau, ma dati, app e cloud. Le neobanche mirano a rivoluzionare il rapporto con

i clienti. Smaterializzandolo

per rendere l’interazione più personale e democratizzare l’accesso agli investimenti

Se ormai anche i più tradizionali istituti della piazza finanziaria offrono servizi di e-banking sempre più performanti e user-friendly, quella proposta dalle neobanche, più che una rivoluzione tecnologica, vuole essere un cambiamento di paradigma culturale: l’agilità del virtuale è difatti finalizzata non solo alla smaterializzazione che rende conto, investimenti e consulenza a portata di app, ma ad aprire l’universo della gestione patrimoniale anche a chi oggi non è abbastanza facoltoso per accedere alla maggior parte dei servizi di wealth management delle banche private. Per approfondire le opportunità delineate da questa democratizzazione, ma anche le sfide da affrontare per accreditarsi in un settore dove tutto si gioca sulla fiducia, abbiamo incontrato Marion Fogli, cofondatrice e vice Ceo di Alpian, diventata nell’ottobre 2022 la prima banca digitale privata in Svizzera.

Marion Fogli, dal management alberghiero alla gestione patrimoniale per poi prender parte alla fondazione della prima banca privata digitale svizzera. Il suo percorso di carriera è sorprendente: cosa l’ha portata in questa direzione?

Ogni svolta professionale è avvenuta grazie a incontri con persone che hanno stimolato la mia voglia di lavorare con loro. C’è pero un minimo comun denominatore fra la formazione che mi ha garantito l’École hôtelière de Lausanne (Ehl) e la gestione patrimoniale: la relazione con il cliente. In entrambi i settori ci vogliono savoir faire e savoir être. Proprio come nell’industria dell’ospitalità, le competenze relazionali sono

fondamentali nel bancario: l’attuale crisi di fiducia del settore deriva proprio dal fatto che troppo a lungo si è considerato il cliente solo come un numero, offrendogli sì una qualità di gestione eccellente, ma dimenticando l’individuo con tutte quelle caratteristiche personali che influenzano la sua visione, e dunque anche le sue scelte di investimento.

Si dovrebbe quindi prediligere la finanza comportamentale?

Per definire il modello di Alpian ho coniato il termine “digipersonalizing”: ovvero anticipare e scoprire i nostri desideri grazie a una perfetta integrazione fra tecnologia all’avanguardia ed esperienza umana. Solitamente per costruire il portafoglio di un cliente lo si riconduce a una manciata di profili di rischio standard, dal conservatore all’aggressivo. Noi, invece, prendendone in considerazione anche valori, emozioni, aspirazioni e preoccupazioni definiamo un profilo specifico per ciascun cliente, il che consentirà di prendere delle decisioni più affini alla sua visione, con criteri molto più avanzati di quelli sul mercato. La tecnologia è il fattore abilitante per consentire questa ricentralizzazione del cliente contenendo i costi di un servizio premium su misura, altrimenti accessibile soltanto ai più facoltosi. C'è anche una barriera culturale da vincere.

Esatto, bisogna riuscire a intercettare chi pur avendo dei risparmi non ha mai investito: sfiducia nelle banche, complessità di processi e strutture, mancanza di conoscenza e tempo sono risultate essere le maggiori barriere da un nostro sondaggio. Io stessa, se ripenso a una ventina di anni fa, quando ero ancora digiuna di finanza, avrei desiderato avere qualcuno che mi stimolasse a investire i miei primi guadagni.

Infatti molto spesso le più riluttanti sono proprio le donne. Come lo spiega?

Si può fare un parallelo con quello che accade quando si postula per un posto di lavoro: men-

tre gli uomini non esitano a candidarsi se interessati, le donne rinunciano se non ritengono di soddisfare almeno al 100% i requisiti indicati. Analogamente mancano di confidenza nelle loro competenze finanziarie e quindi si astengono dall’investire. E pensare che, studi alla mano, quando lo fanno ottengono mediamente rendimenti più elevati degli uomini. Per creare un ecosistema di empowering che sostenga le donne nel loro percorso finanziario, Alpian ha fondato il collettivo SheWealth in collaborazione con SmartPurse, piattaforma leader per l’educazione finanziaria femminile in Svizzera. Per ora è stata lanciata a Zurigo, ma arriveremo anche a Ginevra e in Ticino. Si dovrebbe però iniziare già dalle scuole dell’obbligo: oggi siamo tutti iperspecializzati, ma manca un’educazione finanziaria di base. E anche modelli di ruolo che possano incoraggiare più donne ad aspirare a posizioni di leadership in questo settore. Ma quanto è difficile costruire una banca dalla A alla Z in un contesto conservatore come quello svizzero?

Le sfide sono molte e di diversa natura. Primo: progettare delle infrastrutture estremamente robuste, ma flessibili per evolvere rapidamente implementando nuove funzionalità. Secondo: garantire protocolli di sicurezza molto avanzati. Nel nostro caso, essendo su cloud è un aspetto ancor più sensibile della relazione di fiducia stabilita con il cliente. Altrettanto essenziale, la conformità alle normative vigenti che implica però un notevole investimento per attuarle e applicarle. Quarto: la trasparenza nei costi, nella gestione e nella comunicazione. Infine, per poter realizzare tutto questo occorre trovare le persone giuste: muovendoci in un ambito ibrido, fra tecnologia e finanza, non è scontato perché sono settori non abituati a parlarsi.

Nello specifico, quali sono le sue attuali responsabilità?

In primo luogo, lavorando a stretto contatto con il Ceo Gianmarco Bonaita e il team di gestione, garantisco il coordinamento tra i vari dipartimenti, essenziale per procedere in modo armonioso ed efficace verso i nostri obiettivi. Allo stesso tempo, svolgo un ruolo nella strategia di innovazione, collaborando con aziende tecnologiche pionieristiche per sviluppare soluzioni all’avanguardia, accanto al nostro team R&D. Gestisco inoltre le relazioni con i nostri partner insieme a Nicolò de Fraia. Infine, mi occupo dello sviluppo dei talenti, da cui ritengo dipenda il nostro successo a lungo termine.

Quando si lancia una start up non ci sono orari, né festivi. Mamma di due figli, di 17 e 15 anni, e di una bambina di 9, come riesce a conciliare lavoro e famiglia? Ci vuole un’organizzazione ferrea e ritmata. E poi bisogna far pace con i sensi di colpa: ci sono giorni in cui sono una mamma migliore e altri peggiore... Cerco

però di preservare dei momenti di qualità dedicati solo ai miei figli e se ho delle difficoltà a conciliare gli impegni li coinvolgo per trovare insieme una soluzione, cosa che apprezzano molto. Capiscono che fa parte del mio equilibrio e mi appoggiano. D’altronde flessibilità e comunicazione sono fondamentali, in famiglia come sul lavoro. Poi capitano anche occasioni davvero speciali come la scorsa estate, quando trovandomi all’ultimo senza alternative li ho portati con me a un barbecue estivo di lavoro e si sono trovati a partecipare al nostro brainstorming per la nuova campagna marketing. Si sono talmente appassionati che adesso sono i nostri più grandi sostenitori!

Oltre a far breccia nell’accesso elitario alla gestione patrimoniale, quali altri paradigmi aspira a ribaltare?

Sicuramente intendo promuovere ancor di più diversità, l’inclusione e un corretto worklife balance. A quasi due anni dall’ottenimento della licenza bancaria, contiamo ormai oltre cento collaboratori, un traguardo significativo non per la cifra in sé ma perché vuol dire che tanti talenti ci hanno dato fiducia e stanno dando vita alla nostra visione.

IN FOTO, MARION FOGLI, CO-FONDATRICE E VICE CEO DI ALPIAN

Politica

Spesso si accusano i partiti di avere in lista poche candidate. Ma siamo sicuri che le donnesoprattutto quelle con obblighi di cura - abbiano davvero il tempo e le risorse per un impegno politico?

ad ostacoli

Nelle recenti Elezioni comunali il numero delle elette è aumentato. Nel nostro Cantone siedono ora 112 donne in Municipio (+3) e 704 in Consiglio comunale (+135), mentre le sindache sono 12. Nonostante i passi avanti, siamo però ancora lontani da una rappresentazione paritaria a livello politico. Come mai?

Nella mia esperienza professionale di madre, lavoratrice e, adesso, anche politica mi sono resa conto che, quando i figli sono piccoli, risulta già molto difficile conciliare vita professionale e famiglia. Quindi spesso si rinuncia ad altre attività ritenendole un carico non necessario in più. E la politica è sicuramente vissuta come una di queste. Pur essendo cresciuta in una famiglia in cui “si mangiava pane e politica”, ho iniziato a dedicarmici solo quando mio figlio minore è diventato grandicello: prima non avrei avuto il tempo necessario per impegnarmi come avrei voluto. Il lavoro e l’accudimento dei figli riempivano a sufficienza le mie giornate. Si consideri pure che l’impegno politico a livello comunale (sedute di Consiglio e riunioni varie) si svolge prevalentemente in orari serali, quando le strutture

di accoglienza sono chiuse, e quindi l’organizzazione risulta ancora più difficile. E ancor prima di iniziare una carriera politica vera e propria, ed essere elette, bisogna fare campagna elettorale e le campagne si svolgono quasi sempre la sera o nel weekend.

Nel frattempo si stanno creando le condizioni legislative per favorire la conciliabilità. Infatti, se nel passato la donna in congedo maternità che partecipava a sedute politiche perdeva il proprio diritto all’indennità maternità, ora la legislazione federale è stata modificata in modo che le neomadri possano esercitare il loro mandato politico parlamentare (a tutti e tre i livelli della politica dello Stato) senza perdere l’indennità di maternità né la protezione della maternità.

Una soluzione per aumentare la rappresentanza femminile sarebbe quella di modificare gli orari della politica in modo da favorire la conciliabilità con gli impegni familiari, come ancor prima si dovrebbe fare per il lavoro in generale, rendendo la genitorialità e la cura compiti non prettamente femminili.

È necessario che sempre più donne - rappresentanti di esperienze e punti di vista complementari a quelli maschili - si possano dedicare serenamente alla politica, arricchendo il dibattito e fungendo da esempio per le nuove generazioni. Oltre a portare avanti il discorso sulle pari opportunità in tutti gli ambiti.

Nora Jardini Croci Torti, Municipale di Mendrisio, membro di comitato FAFTPlus

ciclidralimilano.it

© Max Veronesi
Ingrid van den Broek, Lugano Team Drali Gravel

Rialzati e

CAMMINA

Un ponte digitale fra cervello e midollo spinale, in grado di ricongiungere pensiero e azione, ripristinando le funzionalità motorie.

Una perfetta alleanza fra tecnologia e umano che porta la Svizzera alla ribalta del medtech

Permettere a chi ha subito una lesione spinale di tornare a camminare. La notizia lo scorso anno ha fatto il giro del mondo, quando Gert-Jan Oskam, paraplegico da 12 anni per un incidente in bici, si è rialzato sulle sue gambe. Non grazie a un esoscheletro, finora unica soluzione sperimentata con successo, ma controllando il movimento con il suo stesso pensiero. Nessun prodigio: se miracolo c’è, è quello della scienza. Con una perfetta alleanza fra tecnologia e umano. Rispecchiata dai profili complementari dei due ideatori del progetto - targato Svizzera - che Time ha inserito nella sua “Top 100 Health 2024”: il neurochirurgo Jocelyne Bloch e il neuroscienziato Grégoire Courtine. Due fuoriclasse visionari, ma soprattutto due instancabili lavoratori: insieme al team di 60 ricercatori, medici e ingegneri del loro centro di ricerca, NeuroRestore, sotto l’egida dello Chuv, dell’Università di Losanna e dell’Epfl, hanno concepito e realizzato questo rivoluzionario ponte digitale senza fili fra cervello e midollo spinale, in grado di ricongiungere pensiero e azione. Ma come funziona e quali potrebbero essere i prossimi incredibili ‘passi’? A spiegarcelo, la stessa Jocelyne Bloch, che oltre a essere fra i neurochirurghi più in luce del momento, è anche un’ottima divulgatrice.

Jocelyne Bloch, quanto lavoro c’è per arrivare a un risultato come questo?

Chiaramente ci vogliono anni di ricerche e tentativi. Tutto nasce da un’idea in apparenza fantascientifica di Grégoire Courtine che nel 2009, dopo la sua esperienza in un’unità di ricerca dell’Università della California a Los Angeles finanziata dalla Fondazione Christopher Reeve, ha ottenuto un incarico come professore e dunque la possibilità di avviare un laboratorio sulla riparazione del midollo spinale in Svizzera, inizialmente all’Università di Zurigo. È poi stato il presidente dell’Epfl, Patrick Aebischer, a portarlo a Losanna e a presentarci nel giugno 2012, intuendo come avrei potuto aiutarlo ad applicare all’uomo le sue ricerche. È un lungo lavoro che dapprima ci ha portati a imparare come programmare la stimolazione del midollo spinale per attivare i muscoli delle gambe come farebbe normalmente il cervello quando si cammina. Questa stimolazione richiede un campo di elettrodi posizionato sulla regione del midollo spinale che controlla il movimento delle gambe. Dopo la sperimentazione animale, nel 2016 è arrivato il primo paziente umano. Sempre in quell’anno, abbiamo ottenuto sulla scimmia le prime conferme della validità del progetto del ponte digitale, che avevamo cominciato a sviluppare in parallelo, per permettere al cervello di controllare direttamente le stimolazioni del midollo spinale.

Niente one man né one woman show. Il lavoro di squadra con Grégoire Courtine è fondamentale.

Le nostre competenze sono complementari: io, come neurochirurgo, sono focalizzata sulla parte clinica, lui come neuroscienziato sulla ricerca preclinica, ma ognuno parla anche il linguaggio dell’altro. Da soli non sarebbe possibile controllare tutto, è necessario imparare a delegare, come d’altronde devo fare anche nella vita privata, sposata con un chirurgo e madre di due figli, oggi di 20 e 18 anni. Tuttavia con Grégoire prendiamo insieme ogni decisione importante: anche se può rallentare i processi, dà una grande sicurezza e permette di evitare passi falsi.

Ma come è possibile trasformare il pensiero in azione?

La nostra tecnologia Brain-Computer Interface (Bci) utilizza un dispositivo elettronico impiantato sopra la regione del cervello responsabile dei movimenti delle gambe che dialoga direttamente con gli elettrodi che stimolano il midollo. Fortunatamente la funzione motoria degli arti inferiori è ben identificabile nel cervello e dunque l’azione è facilmente decodificabile, rispetto ad esempio a quella della mano. Associamo quindi determinati movimenti di gamba, anca e caviglia alle rispettive zone cerebrali

IN FOTO, IL NEUROCHIRURGO JOCELYNE BLOCH (CHUV/UNIL), CO-FONDATRICE E CO-DIRETTRICE, INSIEME AL NEUROSCIENZIATO GRÉGOIRE COURTINE, DI NEURORESTORE PRESSO L’EPFL

e insegniamo al paziente - all’inizio lavorando con un avatar proiettato su uno schermo - a riflettere sul movimento che intende eseguire. In meno di una settimana i principali movimenti coinvolti nella camminata sono decodificati dall’intelligenza artificiale e si può passare a rimetterlo in piedi, con l’aiuto di un’imbragatura, per correlare i movimenti decodificati alla stimolazione. Grazie ad algoritmi basati su metodi di intelligenza artificiale adattativa, convertiamo le intenzioni di movimento in sequenze di stimolazione elettrica del midollo spinale. All’inizio richiede una grande concentrazione da parte del paziente, che deve pensare a ogni singola azione, ma poi proprio come quando i bambini imparano a camminare, il processo diventa più naturale e molto fluido. A questo punto è sufficiente l’ausilio di un deambulatore o di stampelle.

Nel mondo ogni anno sono oltre 50mila le persone immobilizzate da una lesione spinale che potrebbero così ritrovare la possibilità di camminare.

Per ora Gert-Jan è il primo e unico paziente a cui è stato impiantato il ponte digitale per tornare a camminare.

Va detto che il processo di rieducazione richiede grande motivazione e allenamento, paragonabile alla preparazione di un atleta di alto livello, per questo scegliamo candidati ancora giovani. Se in futuro si potrà intervenire subito dopo l’incidente, quando la muscolatura non si è ancora atrofizzata, sarà molto più immediato. Per industrializzare e commercializzare

queste tecnologie, ancora troppo sperimentali per interessare i grandi attori dell’industria, abbiamo fondato la spin-off Onward Medical. L’anno prossimo lancerà il primo prodotto sul mercato, un dispositivo di neurostimolazione esterna, mentre per i dispositivi impiantabili, per cui sono in corso studi clinici, si dovrà attendere ancora uno o due anni.

Nel frattempo non temete che l’incontenibile Elon Musk con la sua Neuralink vi preceda?

A differenza del nostro impianto di elettrodi che è collocato sopra al cervello, quello di Musk è molto invasivo, essendo impiantato direttamente all’interno dei tessuti del cervello. Il suo risultato è peraltro molto più instabile, perché ogni singolo elettrodo registra un singolo neurone, e non un’area più ampia come in quelli che impianto. Ciò significa che con il modello di Musk, quando il neurone muore, decade anche il segnale. Dunque ogni due o tre anni occorrerebbe installare un altro impianto, intaccando una nuova area della corteccia motoria.

A inizio 2024 avete annunciato anche un importante passo avanti nel trattamento del morbo di Parkinson. Sì, le conoscenze sulla stimolazione del midollo spinale ci permettono di sviluppare applicazioni anche per braccia, mani e in altri contesti dove c’è un deficit delle funzioni motorie, come in caso di ictus, ma anche di funzioni autonome del sistema nervoso simpatico, come quelle che regolano la pressione arteriosa. Nel caso del Parkinson, il midollo spinale è intatto ma è il cervello a non funzionare correttamente. Insieme all’Institut national de la santé et de la recherche médicale francese e dell’Università

di Bordeaux abbiamo progettato una neuroprotesi che ha permesso a Marc, primo paziente trattato, di riprendere a camminare con fluidità e sicurezza. Rigenerare il midollo spinale rimane una chimera? Abbiamo notato che Gert-Jan ha compiuto notevoli miglioramenti nelle sue capacità sensoriali e motorie anche quando il ponte digitale è disattivato. Questo suggerisce che si siano formate nuove connessioni nervose. In parallelo stiamo lavorando su terapie geniche che favoriscano la ricrescita nervosa. Le prime iniezioni nei roditori ci confermano che la strada è giusta, e nei prossimi dieci anni speriamo di poter arrivare all’uomo. Lei è anche stata la prima donna in Svizzera, insieme a una collega dell’area tedesca, a ottenere il titolo di neurochirurgo. Al liceo però aveva puntato su studi linguistici... In Svizzera bisogna scegliere da molto giovani ed ero portata per le lingue. Al primo anno di medicina è stata più dura recuperare le conoscenze di fisica e chimica, ma i test attitudinali dicevano che avrei potuto farcela e così è stato. Ricordo bene due stage al terzo anno, un paziente colpito da ictus con un principio di afasia e una donna rimasta tetraplegica dopo un incidente automobilistico: trovai estremamente affascinante il funzionamento del cervello. Avrebbe potuto essere neurologia, psichiatria e invece sono finita sulla neurochirurgia, che più corrisponde al mio carattere improntato all’azione. Non mi sono mai posta il problema che fosse un ambiente prettamente maschile, avendo avuto anche la fortuna di incontrare mentori molto aperti. E da allora non ho più avuto dubbi.

© CHUV Philippe Getaz

© CERN

L’ENIGMA dell’ANTIMATERIA

L’esperimento LHCb del Cern contribuisce a far luce su uno dei misteri più fondamentali dell’Universo, alla base della sua stessa esistenza

DI FRANCESCA DORDEI, RICERCATRICE PRESSO

L’ISTITUTO NAZIONALE DI FISICA NUCLEARE IN ITALIA

E MEMBRO DELLA COLLABORAZIONE LHCB PRESSO IL CERN

Gli esseri umani sono naturalmente attratti dalla simmetria: siamo affascinati da forme bilanciate e proporzioni regolari, e valutiamo bello un viso quando i lineamenti sono simmetrici. L’intero Universo, dalla fisica dell’infinitamente grande a quella dell’infinitamente piccolo, è pervaso da simmetrie. A metà del secolo scorso, gli scienziati - a dire la verità grazie all’esperimento di una straordinaria scienziata, Chien-Shiung Wu, a cui incredibilmente non è mai stato assegnato il premio Nobel - hanno però compreso che alcune simmetrie non sono perfette. Ci si aspettava infatti che particelle di materia, ad esempio gli elettroni e i protoni che si trovano all’interno di tutti gli atomi, si comportassero nello stesso modo delle corrispondenti particelle di antimateria, chiamate antielettroni e antiprotoni. Queste ultime sono del tutto uguali ai più noti elettroni e protoni, ma hanno la carica elettrica opposta e se si incontrano con le rispettive particelle ‘annichiliscono’, cioè spariscono, rilasciando dei lampi di luce. Il nostro mondo e, per quanto ne sappiamo, tutto l’Universo sono fatti di materia. Ma all’istante zero, al momento del Big Bang, materia e antimateria sono state prodotte in quantità uguali. Che fine ha fatto quindi tutta l’antimateria?

L’esperimento LHCb del Cern di Ginevra cerca di rispondere a questa domanda studiando il comportamento delle particelle di materia e antimateria prodotte dagli scontri tra protoni accelerati dal Large Hadron Collider, 27 km di tunnel sotterraneo in cui i protoni arrivano a sfiorare la velocità della luce. Quello che si è visto è che materia e antimateria si comportano diversamente, e nel trasformarsi in altre particelle si produce una maggiore quantità di materia. Mistero risolto quindi? Purtroppo no! La differenza che si osserva è ancora troppo piccola e non riesce a spiegare perché dopo il Big Bang, dalla grande annichilazione tra la materia e l’antimateria presente, sia sopravvissuta circa 1 particella di materia ogni 10 miliardi di particelle esistenti. L’esperimento

LHCb sta ora riacquisendo dati dopo essere stato quasi completamente rinnovato e c’è grande attesa sulle scoperte che verranno fatte. Verrà finalmente risolto l’enigma dell’antimateria? Nessuno lo sa, ma nel frattempo grazie a questi studi si inventano nuove tecnologie, si scoprono nuovi meccanismi dell’Universo e si cerca di eliminare un’altra grande asimmetria dei nostri giorni, che è la mancata parità di genere nella scienza.

Amici per la PELLE

Il microbioma è l’insieme dei microrganismi che vivono nel e sul corpo umano. Un delicato sistema di batteri buoni che formano uno strato protettivo sulla pelle. Si costituisce alla nascita e accompagna gli individui per tutta la vita, fedele come un’ombra. «Se immaginiamo ogni essere umano come un pianeta, i diversi microbiomi (pelle, intestino, ombelico, naso, ...) sono i continenti», esordisce Marie Drago, la dottoressa in farmacia che ha trasformato una propria intuizione in un marchio cosmetico, Gallinée, oggi acquisito da Shiseido.

È considerata la specialista del microbioma.

Con un’intuizione e una campagna di crowfounding

Marie Drago, dottoressa in farmacia, aveva trasformato la sua tesi di dottorato in un marchio cosmetico pionieristico, tuttora senza eguali.

E i colossi mondiali non sono rimasti a guardare

Considerata l’importante funzione protettiva e l’unicità del microbioma, «Il primo passo non è aggiungere ingredienti, ma preservare. Fare in modo che i prodotti usati non danneggino il microbioma», prosegue la fondatrice di Gallinée. Del marchio da lei creato nel 2016, e acquisito dal colosso cosmetico giapponese nel 2023, oggi Marie Drago è direttore creativo. Gallinée, oltre a essere il primo a concentrarsi sul microbioma, è l’unico a combinare pre, pro e postbiotici; suo anche il primato di aver messo a punto la prima gamma di prodotti per il cuoio capelluto con microbioma e la prima gamma di prodotti per l’igiene orale con microbioma. «Animati dalla passione per la scienza, i microbi e l’innovazione, ci concentriamo su prodotti a cui non aggiungiamo nulla che non abbia senso. La maggior parte dei nostri prodotti è priva di profumo e di coloranti. Aggiungiamo invece ingredienti attivi: gli estratti probiotici sono batteri digitalizzati, i prebiotici hanno dimostrato di sostenere i batteri buoni contro quelli cattivi e utilizziamo anche postbiotici come l’acido lattico in alta concentrazione e nella sua forma più blanda. Occupandoci di microbioma cutaneo già da anni, siamo portati a un accesso anticipato a prodotti altamente innovativi, come i prebiotici a base di alghe dell’Aceto per il viso o i probiotici che caratterizzano la crema per il contorno occhi».

ACCANTO, MARIE DRAGO, ESPERTA E PIONIERA

DELLA SCIENZA DEL MICROBIOMA, UN’INNOVAZIONE

NOTEVOLE NEL SETTORE COSMETICO. HA FONDATO NEL

2016 IL MARCHIO GALLINÉE, OGGI PARTE DEL GRUPPO

SHISEIDO. SOTTO, È PROBABILMENTE IL PRODOTTO

CULT DEL MARCHIO. HA UN’ELEVATA CONCENTRAZIONE

DI PREBIOTICI PER RINFORZARE LA BARRIERA CUTANEA

Specialista del microbioma, questa dottoressa francese deve la sua expertise alla sua storia personale: oltre dieci anni fa, infatti, quando le è stata diagnosticata un’infiammazione della pelle causata da una reazione autoimmune, ha assunto probiotici e prebiotici per tenere sotto controllo la malattia. Portando il suo microbioma in equilibrio, è riuscita ad alleviare i sintomi spiacevoli che provava. E si è chiesta se l’applicazione di probiotici e prebiotici sulla pelle potesse essere una soluzione all’infiammazione. Quando è tornata all’università, ha scritto la sua tesi sui probiotici per la pelle: «Ho semplicemente brevettato la tesi e l’ho utilizzata per creare le formulazioni Gallinée», racconta Marie Drago. I prodotti sono ricchi di batteri buoni. «Il contenuto di pre, pro e postbiotici è regolato

in combinazioni uniche, per curare i diversi tipi di batteri presenti sulla pelle, sul cuoio capelluto o in bocca. Ogni formula è personalizzata per la specifica area del corpo e contiene fibre provenienti da frutta o verdura. I prebiotici possono essere assorbiti solo dai batteri buoni. In pratica, alimentano i batteri buoni, che poi si moltiplicano e affamano quelli cattivi! Combattono in modo molto delicato i batteri cattivi, ad esempio quelli che causano l’acne e l’eczema, riducono l’infiammazione e ricostruiscono la barriera cutanea, che è un altro nome per definire i “batteri buoni”, sia vivi che trasformati. Quando aggiungiamo alla pelle una quantità maggiore di questi batteri buoni, riequilibriamo il microbioma impedendo a quelli cattivi di colonizzare la nostra flora, riduciamo l’infiammazione e stimoliamo il rinnovamento cellulare. I postbiotici sono molecole create grazie ai batteri buoni, sono metaboliti prodotti dalla fermentazione». Attraverso gli studi compiuti, Marie Drago ha scoperto che i postbiotici aiutano la pelle a regolare e migliorare la composizione dell’ecosistema batterico naturale. L’acido lattico svolge questo ruolo mantenendo il pH acido della pelle per creare un ambiente ideale per i batteri dell’epidermide.

«Un microbioma sano equivale a una pelle felice, dalla testa ai piedi», conclude Marie Drago.

FELICITÀ, MA SEI connessa?

L’equilibrio non è una chimera. Ma per una sana coesistenza tra la vita reale e la vita digitale degli adolescenti servono consapevolezza ed empatia. E un sistema di norme sociali comuni. Con meno divieti e più esempi. E soprattutto: non fasciamoci la testa...

Ipiù gettonati? Sono i soliti noti: WhatsApp, Instagram, Snapchat, TikTok, YouTube, Facebook e Twitter. Internet, smartphone e social media fanno parte della quotidianità dei giovani. A farne uso è l’80% dei tredicenni, mentre tra i più grandi la percentuale sale fino al 99%. Sulla relazione tra uso dei media digitali e benessere, si interrogano non solo le mamme di figli adolescenti ma la maggior parte degli adulti, siano essi docenti, esperti o ricercatori. Non senza preoccupazioni.

Ma d’altro canto non mancano posizioni più ottimistiche. A dare una diversa lettura del fenomeno, in chiave positiva, è Laura Marciano, che abbiamo incontrato in occasione del primo ‘Lugano Happiness Forum’, tenutosi lo scorso giugno al Lac. Ricercatrice associata presso la T.H. Chan School of Public Health di Harvard, Centro Lee Kum Sheung per la Salute e la Felicità di Boston, Laura Marciano si dedica a progetti di ricerca sui media digitali e il benessere.

Tra questi: ‘HappyB’, progetto finanziato dalla Swiss National Science Foundation, e ‘HappyB2.0’, finanziato dallo statunitense National Institute of Health. Entrambi volti a studiare il legame longitudinale tra l’uso dello smartphone, i social media e il benessere negli adolescenti, utilizzando metodi di ricerca all’avanguardia come i dati di tracciamento, le valutazioni ecologiche momentanee (Ema), la donazione di screenshot e un biomarcatore digitale.

Qual è dunque negli adolescenti, la relazione tra ‘vita digitale’ e felicità? «L’interazione sociale è ciò che ci

RICERCATRICE

ASSOCIATA PRESSO LA SCUOLA DI SANITÀ PUBBLICA T.H. CHAN

DI HARVARD, CENTRO LEE KUM SHEUNG PER LA SALUTE E LA FELICITÀ DI BOSTON, USA. È INOLTRE MEMBRO DEL COMITATO

CONSULTIVO DELLA IBSA FOUNDATION FOR SCIENTIFIC

RESEARCH. SOTTO E A DESTRA, ADOLESCENTI E TECNOLOGIA

definisce e determina il nostro benessere. La sua necessità è ancora più forte durante gli anni dell’adolescenza perché al cervello occorrono tanti stimoli sociali per diventare adulto», nota Laura Marciano. «L’adolescente ha bisogno di formare la propria identità e ciò può avvenire solo in relazione con gli altri, i quali riflettono la nostra immagine facendoci capire meglio chi siamo e cosa vogliamo. Un’esperienza sociale che include l’approcciarsi a persone, contesti e culture diverse è inoltre ancora più arricchente. Lo smartphone e i social media fungono da attrattori per il cervello dell’adolescente proprio perché permettono un’interazione sociale in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento».

Nel definire la relazione tra vita digitale e felicità, «dal punto di vista scientifico è complicato dare una risposta univoca: i fattori in gioco sono numerosi. Il digitale è un mondo a sé. È un po’ come il cibo, non possiamo vivere senza, ma perché faccia bene bisogna farne un buon uso. La differenza tra un sano entusiasmo e un uso eccessivo risiede nel fatto che il primo aggiunge, e l’altro sottrae. Quindi, se stare connessi genera benessere perché, per esempio, avvicina ad amici che vivono dall’altra parte del mondo, ben venga la connessione, che ha invece una connotazione negativa se il troppo tempo speso online toglie o limita le opportunità di raggiungere obiettivi di tipo formativo, professionale o sociale», aggiunge la ricercatrice.

La scelta tra una condotta positiva e una negativa è possibile se si ha consapevolezza. «La gestione della dimensione digitale non è poi così diversa da quella di una dieta. Scegliamo gli alimenti più appropriati perché siamo informati su calorie, quantità, nutrienti. Altrimenti non faremmo la differenza tra insalata e cioccolata! Per sviluppare questa conoscenza, e quindi consapevolezza, i giovani hanno bisogno di strumenti, strumenti che, con la ricerca, siamo in grado di offrirgli. Perché possano relazionarsi alla dimensione digitale senza compromettere il loro benessere, creando invece per sé stessi occasioni di felicità».

L’uso eccessivo di internet, smartphone e media digitali viene comunemente etichettato come ‘dipendenza’: «È più corretto parlare di uso problematico, e capirne le ragioni. Perché ci si rifugia nel digitale? Ed è su quello che devono lavorare gli adulti: a loro volta con consapevolezza. L’ideale sarebbe da un lato dare il buon esempio e dall’altro agire con empatia. Privare semplicemente il giovane delle connessioni sociali avrebbe, infatti, solo un effetto boomerang».

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Lasciare il segno sin dalla prima opera. Talenti che, con l’audacia e l’urgenza espressiva distintive dei grandi debutti letterari, è una gioia scovare e seguire, pagina dopo pagina

DI

LETTERATURA PER LA SVIZZERA ITALIANA

Oltre a essere assoluti capolavori della letteratura contemporanea, che cosa accomuna tre romanzi come Meno di zero di Bret Easton Ellis, Dio di illusioni di Donna Tartt e Denti bianchi di Zadie Smith, apparsi in tre diverse decadi (1985, 1992, 2000)? Incredibile a dirsi, sono tutti degli esordi.

Senza scomodare questi mostri sacri della narrativa internazionale, che alle opere appena menzionate continuano ad aggiungerne altre di elevatissima qualità artistica, quello su cui vorrei concentrarmi è proprio l’esordio: il primo libro, la prova che o apre la strada alla futura carriera da scrittore oppure suggerisce di lasciare perdere. Perché sì, devo ammettere di essere un lettore curioso e vorace di esordi. Amo affrontare questi tuffi letterari di testa nei quali lo scrittore mette tutto sé stesso - pensieri, riflessioni, idee, rimuginii, ripensamenti - e poi, a un certo punto ammantato di mistero, finalmente dice: ecco, ci siamo, ora il mio libro è davvero pronto.

Mi sono chiesto spesso cosa mi attiri così tanto degli esordi, arrivando alla conclusione che sia il mio personalissimo desiderio di scoperta di un nuovo talento dal fulgido avvenire, sommato a quel loro essere per natura un mix di audace intenzione e dirompente vitalità, a esercitare su di me - come Glenn Close su Michael Douglas - un’attrazione fatale.

PERCORSI_CULTURA

Certo, è un rischio. “Uno su mille ce la fa”, cantava Morandi, e se forse, grazie al filtro degli editori, i numeri non sono questi, la probabilità di leggere un libro mediocre è alta. Tuttavia, volete mettere la soddisfazione quando capita di scoprire quegli esordi che ti spiazzano e da cui non riesci a staccarti? Ecco, a me negli ultimi anni è capitato almeno un paio di volte ed è di queste epifanie, simili e diversissime, che vorrei adesso parlarvi. La prima delle due è arrivata con il romanzo La Mischia, che ha segnato nel 2020 l’esordio alla narrativa della scrittrice e poeta Valentina Maini. Protagonisti sono Gorane e Jokin, gemelli venticinquenni cresciuti tra i separatisti baschi dell’Eta, nella Bilbao dei primi anni Duemila. Uniti da un legame viscerale ma divisi dalle scelte che la libertà del non avere regole ha loro concesso, vivranno una separazione destinata, nel corso della vicenda, a non essere mai davvero tale. Nonostante la ricchezza e la complessità della trama (stiamo parlando di un romanzo di 500 pagine!), è soprattutto la maturità stilistica dimostrata da Maini a colpire, sia con una prosa nella quale il ritmo viene spesso propulso da un uso libero della punteggiatura e dalle ripetizioni, sia con alcune scelte narrative, capaci di accostare a momenti in cui prevale il racconto anche trascrizioni di testimonianze e verbali della polizia.

La seconda epifania mi è invece accaduta con un’uscita recentissima della piccola casa editrice Italo Svevo: il romanzo O’cane di Luigia Bencivenga. Ci troviamo, in questo caso, in un paese inventato, Ilias, frutto d’influenze sia di Napoli che della campagna campana - la scrittrice è originaria di quelle zone. O’cane è un romanzo distopico e polifonico, con numerosi personaggi e, come si può intuire dal titolo, anche molti cani che, da un momento all’altro, iniziano a morire inspiegabilmente.

Come per Maini, a colpire è la scrittura più della storia che il libro racconta - dovrebbe sempre essere così per la buona letteratura. Giocando infatti con i flashback e con una struttura intrecciata, regalando al lettore una prosa cruda, anatomica, carica di suggestioni e già riconoscibile, e ravvivando il ritmo con dialoghi botta e risposta dal tono spesso ironico, Bencivenga stordisce e inquieta, dimostrando che la parola, quando è frutto di un’attenta ricerca e si ha il talento di saperla trattare, è capace di raggiungere, indipendentemente dalle pubblicazioni che si hanno alle spalle, vette artistiche notevolissime.

Mi viene allora da dire, “Buona la prima” per La Mischia e O’cane, augurandomi che segua una carriera di successo per due scrittrici capaci, sin dall’inizio, di lasciare il segno.

FAMM honneur à l’

In Costa Azzurra, è stato inaugurato il Femmes Artistes du Musée de Mougins, primo museo privato in Europa dedicato esclusivamente all’arte delle donne. Opera di un illuminato collezionista

Il suo nome è un gioco di parole. L’acronimo ‘Famm’, infatti, in francese si pronuncia proprio come ‘femmes’ (donne) e sta per Femmes Artistes du Musée de Mougins. Quello inaugurato nello storico borgo della Costa Azzurra lo scorso 21 giugno è - abbastanza sorprendentemente - il primo museo privato in Europa alle cui pareti non figura nemmeno un’opera di mano maschile. È però un uomo colui che sta dietro al progetto: collezionista appassionato da oltre trent’anni, l’ex trader Christian Levett ha voluto condividere con il pubblico la rilevanza che il talento femminile che si è guadagnato fra le opere da lui acquisite, in particolare da quando durante la

SOPRA, LEONOR FINI, LES ÉTRANGÈRES, 1968, OLIO SU TELA, 81 X 110 CM A SINISTRA, LEONORA CARRINGTON, MID-DAY OF THE CANARY, 1967, OLIO SU TELA, 81,3 X 59,9 CM

Leonora Carrington

PERCORSI_ARTE

Lilla Cabot Perry

pandemia si è focalizzato sull’espressionismo astratto femminile, per poi ampliare il suo interesse per lavori di donne dall’impressionismo fino al contemporaneo, scoprendo autrici di altissima qualità. Ha così deciso di convertire il pur apprezzato Museo di arte classica che aveva inaugurato a Mougins nel 2011 in un ‘gineceo’: l’allestimento presentato nelle quattro gallerie spazia da ritratti, paesaggi e scene di vita quotidiana di Berthe Morisot e Marie Cassatt, alle forme oniriche e stravaganti del surrealismo di Leonor Fini e Leonora Carrington per arrivare, attraverso diverse interpretazioni del linguaggio astratto e figurativo, al presente,

IL COLLEZIONISTA FONDATORE DEL FAMM, CHRISTIAN LEVETT, NEL SUO PALAZZO A FIRENZE CHE

OSPITA SOLO OPERE DI ARTISTE DONNE, QUI DAVANTI

A TWO WOMEN DI GRACE HARTIGAN, 1954

A SINISTRA, DALL'ALTO, LILLA CABOT PERRY, GIRL ON A BALCONY, 1894, OLIO SU TELA, 81,3 X 52,7 CM

BERTHE MORISOT JEUNE FILLE ALLONGÉE, 1893, OLIO SU TELA, 65,4 X 81,3 CM

con nomi affermati e astri nascenti, da Louise Bourgeoise e Marina Abramović a Jenny Saville e Sarah Lucas. Un centinaio le opere esposte, per un totale di circa 80 artiste, che verranno ciclicamente alternate. Seguendo l’esempio del National Museum of Women in the Arts di Washington e del Frauenmuseum di Bonn, facendo eco al crescente numero di mostre che anche le principali istituzioni museali iniziano a dedicare ad artiste donne, il Famm di Christian Levett dà un nuovo fondamentale contributo nel mettere in valore il talento di pittrici, scultrici e fotografe rimaste a lungo nell’ombra del sistema dell’arte. Dimostrando come, nonostante la marginalizzazione, abbiano saputo lasciare un segno nei principali movimenti della modernità. Che si merita un posto di onore, nelle collezioni dei musei e alle loro pareti, fra le opere battute all’asta e nella storia dell’arte.

Berthe Morisot
SOPRA,

DEL COLORE CUORE AL

Un articolato percorso d’arte, inclusi matita, tessuti e nuovi media, da cui nascono opere gioiose e poetiche

Si ispira alla natura, Anaïs Coulon, per rielaborarne fisionomie e colori. L’artista franco-svizzera opera su piani paralleli: da un lato, per sottrazione, sulla forma che viene ricondotta alla sua essenza, dall’altra sul colore a cui viene dato corpo, fino a renderlo ambasciatore di un progetto. Capace di suscitare nello spettatore un’emozione inaspettata.

Nelle varie opere, i particolari diventano protagonisti, estrapolati e ingigantiti, e le cromìe si mettono a servizio dell’espressività.

«Sono cresciuta in una famiglia aperta a tutto ciò che è artistico. Fin da piccola a mia volta mi sono cimentata con i primi rudimentali esperimenti d’arte, nell’atelier di mio padre; esplorando poi, negli anni, diversi materiali e pratiche, dal tessile alla pittura, fino alla ceramica», esordisce Anaïs Coulon, unica artista donna svizzera ad aver partecipato quest’anno a ‘Design to Move’ di Technogym, un progetto presentato a Milano, al Fuorisalone, tra design e charity a favore dell’Unicef.

Curiosa e con molteplici abilità, Anaïs ha utilizzato una varietà di mezzi espressivi finché, in tasca una laurea alla Haute école d’art et de design di Ginevra, come graphic designer ha realizzato progetti in ambito culturale e privato, sviluppando il proprio linguaggio, al confine tra graphic design e illustrazione.

SOPRA E SOTTO, ANAÏS COULON IN DUE DIVERSI SCATTI

PERCORSI_CREATIVITÀ

Le immagini da lei create ondeggiano tra l’esuberanza e il minimalismo. «Parto da un’idea con appunti su carta, un foglio dopo l’altro, fino a quando essa assume i suoi connotati definitivi. Il passaggio successivo, al computer, mi permette di lavorare sul colore, tanto da trovare esattamente le sfumature che avevo immaginato», racconta l’artista che, quanto alle sue opere negli spazi pubblici, afferma: «Mi faccio sempre molte domande prima di intervenire in uno spazio che è di tutti e per tutti: il compito degli artisti - non diversamente da quello dei progettisti - è quello di realizzare creazioni o opere

SOTTO, DÉRIVE, INSTALLAZIONE AL FESTIVAL ‘NÎMES S’ILLUSTRE’, IN FRANCIA.

REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON PIERRE ARSÈNE

MAURICE; NÎMES, 2023. SCENOGRAFIE: ATELIER 1:1

SOPRA, CITÉ UNIVERSITAIRE DE GENÈVE, AFFRESCHI IN FORMATO GRANDE E ANAMORFOSI; GINEVRA 2020.

ARREDO DEGLI SPAZI: STUDIO JULIA CHRIST

architettoniche capaci di avvalorare lo spazio e generare benessere nei suoi fruitori. Proprio per questo mi piace dedicarmi a progetti ‘partecipativi’, che coinvolgano la comunità». Gioiosa e poetica, l’opera di Anaïs Coulon offre allo spettatore un’opportunità per recuperare la memoria della fanciullezza, con il suo un senso di meraviglia e spensieratezza. Sono un viaggio in una dimensione tra realtà e fantasia.

STORIE storie giganti effimere

La street art ha il potere di trasformare spazi urbani in tele viventi.

Questo è oltremodo vero quando le opere di street art sono quelle di Yuri Catania. Viventi: con la loro giunonica presenza seducono i passanti, in una interazione senza sosta. Viventi: perché l’artista, sebbene effime-

Provocare attraverso la bellezza, per aggiungere nuovi contenuti all’esistenza.

Il ‘qui e ora’ di Yuri Catania esorta a preservare l’esperienza attraverso la memoria

re, le fa vivere e rivivere, arricchendo la loro identità. Così è per l’opera di cui s’è adornata la Città di Lugano, in uno dei luoghi chiave del suo assetto urbano, il Palazzo dei Congressi. E così è, ad Ascona, per il progetto Jazz of the Wall, nelle vie del Borgo e al Museo Comunale d’Arte Moderna. Le due più recenti realizzazioni di Yuri Catania.

«Per me l’arte è un pensiero che va sviluppato», si racconta l’artista, «Un viaggio. Punteggiato di incontri, luoghi, sensazioni, stimoli. Così si sviluppa l’intuizione, e la volontà di provocare attraverso la Bellezza, per suscitare l’interesse delle

PERCORSI_CREATIVITÀ

persone e imbastire un dialogo attraverso la rappresentazione della bellezza data dall’artista». Se la creatività è libera da ogni vincolo, la produzione artistica segue un percorso. «Cerco di avere una sorta di continuità; credo debba esserci nell’artista un’esperienza, un vissuto, un costrutto che viene codificato attraverso la sua arte. Altrimenti si rischia di fare mera decorazione», nota Yuri Catania, la cui carriera è iniziata nel 2005 come fotografo e regista di moda, con servizi realizzati per magazine tra cui Vogue e Harper’s Bazaar, mostre e premi internazionali. Ha uno studio a New York e dal 2013 vive e lavora a Rovio, dove, con sua moglie Silvia, ha anche dato vita alla galleria d’arte CasaGalleria.Art. Il suo percorso artistico è iniziato nel 2018, quando la fotografia si è spostata dallo studio agli ambienti urbani e architettonici pubblici o privati, attraverso installazioni su larga scala con materiali sostenibili come carta e colla, coinvolgendo la popolazione nelle realizzazioni e creando dei ponti tra arte fisica e digitale con la realtà aumentata. Fino ai due importanti

IN APERTURA, IL FOTOGRAFO E VISUAL ARTIST YURI CATANIA ’FRA’ I 400 ARTISTI RITRATTI IN UNA DELLE 40 OPERE IN FORMATO GIGANTE DEL SUO PROGETTO JAZZ OF THE WALL, REALIZZATE CON LA TECNICA DEL PASTE-UP, PER I 40 ANNI DI JAZZASCONA. IL PERCORSO NEL BORGO PARTE DAL MUSEO COMUNALE DI ARTE MODERNA, DOVE È IN CORSO LA MOSTRA YURI CATANIA. JAZZ OF THE WALL - NEW ORLEANS JOURNEY SOPRA, DUE OPERE PRESENTI AL MUSEO

IN FOTO, LA GRANDE OPERA SITE-SPECIFIC DI

YURI CATANIA, AL MUSEO COMUNALE DI ARTE

MODERNA DI ASCONA, SI AFFIANCA A UNA

SCELTA DI FOTOGRAFIE E A UNA DECINA DI FOTOCOMPOSIZIONI DELL’ARTISTA

IN BASSO, IL MURALES REALIZZATO

SULLA FACCIATA DELLA BIBLIOTECA

POPOLARE DI ASCONA

lavori appena terminati in Ticino. A Lugano, sulla facciata del Palazzo dei Congressi, Lugaxy Astro Lake invita a un viaggio artistico che unisce la figura dell’astronauta, inteso come esploratore tecnologico, alla natura del Parco Ciani e agli abissi del Lago Ceresio. L’artista mira a ristabilire la bellezza e l’equilibrio tra l’uomo e la natura, per evitare che la tecnologia faccia perdere il contatto con il senso di umanità e la tutela della biodiversità. L’imponente murales è stato realizzato con la tecnica del paste-up, ossia fotografia stampata e posta su carta, e la partecipazione di 250 persone per ritagliare le figure che l’artista ha collocato sul muro: «Non è più un pubblico che osserva e giudica o pregiudica, ma un pubblico che, diventando partecipe, è artefice con l’artista. Si ritrova a fare qualcosa di importante seppure effimero. Non c’è più l’artista sul piedistallo, ma l’artista-cantastorie che mette tutti intorno al fuoco», prosegue Yuri: «L’effimera natura dell’opera, destinata a dissolversi con il tempo e gli agenti atmosferici, riflette il carattere transitorio della vita, enfatizzando l’importanza di vivere il momento, il ‘qui e ora’».

L’altro imponente lavoro, ad Ascona, è Jazz off the Wall, la più grande esposizione a cielo aperto dedicata al jazz, con 40 opere per celebrare il 40esimo anniversario di JazzAscona,

SOPRA, L'OPERA DI STREET ART DI YURI CATANIA

LUGAXY ASTRO LAKE SULLA FACCIATA DEL PALAZZO DEI CONGRESSI DI LUGANO. APPENA TERMINATA, È STATA REALIZZATA CON LA TECNICA DEL PASTE-UP. MISURA 8 METRI DI ALTEZZA PER 42 DI LUNGHEZZA. BEN 250 PERSONE LO HANNO AIUTATO NELL'ESECUZIONE. ACCANTO, UN DETTAGLIO DELL’OPERA

attraverso la tecnica della paste-up, su edifici del Borgo, anche qui realizzata in forma di arte partecipativa. Il progetto include la mostra Jazz of the Wall - New Orleans Journey in corso al Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona fino al 1. settembre, che documenta l’esperienza vissuta da Yuri Catania nella città della Louisiana. Nella ricerca dell’essenza del jazz, le fotografie hanno immortalato l’essenza dell’essere umano, gioie e dolori, coraggio e paura, delusione e speranza. L’artista è un Canta-storie. E chiunque può ascoltarle.

© Yuri Catania

VISIONI da GUSTARE

Scene cult, entrate nella storia

della settima arte: commoventi, esilaranti, dissacranti, simboliche o, semplicemente, gustose. Cinema e cibo, un binomio appetitoso

Non si fa nemmeno in tempo a pensare al binomio cinema e cibo che immediatamente emergono frammenti di storia della settimana arte. Basti pensare a Ladri di biciclette e allo sguardo che il piccolo Enzo Stajola rivolge alla mozzarella filante del bambino alla tavola dei ricchi che mangiano con gusto in trattoria mentre il padre Lamberto Maggiorani deve fare i conti con i pochi soldi che ha in tasca e si sforza di non sfigurare davanti al figlio. E chi può dimenticare l’immenso Totò che in Miseria e nobiltà di Mario Mattoli, animato da una fame atavica, si infila gli spaghetti anche in tasca? Non si sa mai cosa può riservare, non dico il futuro, ma il resto del giorno!

Il cinema è un piacere (almeno dovrebbe esserlo…) e dialoga benissimo con altri piaceri. Il cibo in primis. Anche perché il cibo è una questione di ‘immaginario’. Altrimenti come si spiegherebbe il leggendario pranzo invisibile di Stanlio e Ollio nell’esilarante Annuncio matrimoniale di Lloyd French? Momento che - in quanto a importanza ‘teorica’ - se la gioca con la partita di tennis invisibile di Blow Up di Antonioni!

Il cibo, come il cinema, è anche una questione di messa in scena. Le portate e le sedute sono delle regie. Basti pensare a The Chinese Feast di Tsui Hark o Mangiare bere uomo donna di Ang Lee. Senza contare che alcune delle gag più micidiali della storia del cinema riguardano proprio il cibo. Più raffinato il piatto, più efficace la gag. Nessuno, riteniamo, è stato più in grado di osservare un’aragosta con gli stessi occhi dopo Una pallottola spuntata 2½ - L’odore della paura. Così come nessuno è più riuscito a mettersi educatamente in fila a una mensa senza pensare a John Belushi e al suo vassoio strapieno di ogni ben di Dio in Animal House.

Il cibo, inevitabilmente, si offre anche come chiave per feroci critiche sociali. E al cinema nessuno meglio di Marco Ferreri ha saputo raccontare il binomio fra consumismo e cibo. La grande abbuffata in questo senso è esemplare, mentre Come sono buoni i bianchi analizza, spietatamente, come il mondo del benessere tenga soggiogato il Sud globale attraverso le logiche della distribuzione della beneficenza e del cibo. Nesso che non era sfuggito, ovviamente, nemmeno alla grande Věra Chytilová che ne Le margheritine, suo capolavoro del 1966, filma una delle più entusiasmanti battaglie di cibo mai portate sullo schermo. I censori, però, ebbero gioco facile perché il film fu bloccato per ‘spreco capitalista’, permettendo così ai funzionari di non affrontare la questione della libertà che il film poneva. D’altronde, non è a tavola che le grandi questioni politiche vengono sovente dibattute? Dino Risi lo sapeva bene, e in Una vita difficile Alberto Sordi si ritrova a cena con dei monarchici mentre si celebra il referendum che avrebbe fatto dell’Italia una Repubblica. Che la questione del cibo ne celasse anche ‘altre’ ce lo ha raccontato (forse meglio di tutti) Massimo Troisi in Ricomincio da tre, quando portando il pranzo al professore riflette sui problemi ‘del contadino’ presentati come un problema di matematica scolastico. Massimo costruisce un discorso intero con i

GIONA A. NAZZARO, DIRETTORE ARTISTICO LOCARNO FILM FESTIVAL

suoi silenzi, le sue frasi non finite, mentre il professore mangia senza parlare. Tutto un mondo (di questioni - ancora - da discutere) in una scena esilarante a base di cinema, cibo (e agricoltura).

SOTTO, TRE INDIMENTICABILI SCENE A TAVOLA. AL CENTRO, ALBERTO SORDI E LEA MASSARI A CENA CON I MONARCHICI IN UNA VITA DIFFICILE

A SINISTRA, LA FAMIGLIA DELLO CHEF CHU RIUNITA PER LA CENA DOMENICALE CON IL SUO CONTORNO

DI PREOCCUPAZIONI SENTIMENTALI IN MANGIARE BERE

UOMO DONNA E A DESTRA, L’ESILARANTE

LESLIE NIELSEN ALLE PRESE CON L’INESPUGNABILE ARAGOSTA DI UNA PALLOTTOLA SPUNTATA 2½

Ciak, si cucina! Dal grande schermo, in tavola

Oltre 200 film da tutto il mondo fra cui 17 pellicole a contendersi il Pardo d’Oro, accompagnati da talk, eventi e non solo: il ricco menu della 77esima edizione del Locarno Film Festival è pronto per essere scoperto, portata dopo portata, dal 7 al 17 agosto. Se, come ricordato dal direttore artistico

Giona A. Nazzaro, cinema e cibo sono un

abbinamento ricorrente nella storia della settima arte, nelle prossime pagine Ticino Management Donna ha invitato quattro chef del Locarnese a ispirarsi liberamente a film di loro gusto per creare piatti che ne esprimano le atmosfere. Giocando anche con l’obiettivo...

DI Sapore Cinema

L’essenza di pellicole iconiche proiettata nei piatti creati ad hoc da quattro Chef del Locarnese di SIMONA MANZIONE _ foto di GIORGIA PANZERA in collaborazione con TICINO GOURMET TOUR

Salvatore Frequente Restaurant Eden Roc, Ascona

Un’offerta che non si può rifiutare

randagi e nobili

Nicola Leanza Ristorante Seven, Ascona
Spaghetti

Cinquanta sfumature di risotto

Riccardo Scamarcio
Il Ristorante di Villa Orselina, Orselina-Locarno

Saranno Mélanie Laurent e Guillaume Canet le due prime stelle a brillare in Piazza Grande per inaugurare Locarno77 portando sul grande schermo gli ultimi giorni di Maria Antonietta e Luigi XVI in Le Déluge di Gianluca Jodice. Sfarzo, sontuosi costumi, torreggianti parrucche e ricchi banchetti lasciano spazio alla narrazione degli ultimi

giorni di una monarchia che si scopre non assoluta e il cui crollo segna un grande spartiacque storico. Due interpretazioni strepitose che coronano la carriera di due fuoriclasse del cinema d’autore francese ed europeo. Proprio prima della proiezione, la sera del 7 agosto, saranno insigniti con l’Excellence Award Davide Campari.

GUILLAUME

Spettacolari

ALCHIMIE

Quelle che nascono fra due ingredienti o fra due attori, per regalare interpretazioni uniche

IN FOTO, UNA SCENA DA LE DÉLUGE DI GIANLUCA JODICE

CHE LA SERA DEL 7 AGOSTO INAUGURA IL LOCARNO FILM FESTIVAL. SUOI PROTAGONISTI, NEL RUOLO DI MARIA ANTONIETTA E LUIGI XVI, MÉLANIE LAURENT E GUILLAUME CANET, CHE VERRANNO PREMIATI SUL PALCO CON L’EXCELLENCE AWARD DAVIDE CAMPARI

. Un twist frizzante

Fresco ma intenso, delicato ma complesso, dal carattere frizzante e sorprendente come la sovrana Maria Antonietta, icona di stile. Perché spesso le idee più innovative nascono da una devianza alle norme. Così il Negroni Sbagliato, inventato nel 1972 da Mirko Stocchetto al Bar Basso di Milano, versando per sbaglio del prosecco al posto del gin: creava così involontariamente uno dei twist più famosi su un grande classico, che lo è diventato a sua volta. La ricetta originale: 1 parte di Campari, 1 parte di Vermouth Rosso, top di prosecco. Versare in un rock Tumbler Glass colmo di ghiaccio e mescolare 10/15 secondi con l’aiuto di un barspoon, guarnire con una fetta di arancia.

Da sempre associato al mondo dell’arte, del design e del cinema grazie alla sponsorizzazione di grandi eventi e progetti speciali, Campari al Locarno Film Festival esprime la propria alchimia con la settima arte sostenendo dal 2021 questo premio, intitolato a un pioniere convinto che il potere del cinema potesse superare i confini della creatività come Davide Campari. Fu sempre lui, figlio del fondatore Gaspare e fondamentale per l’espansione internazionale del brand, ad aprire il celeberrimo Camparino in Galleria

a Milano, diventato tempio dell’aperitivo. Durante gli undici giorni della rassegna, i suoi barman porteranno nella Davide Campari Lounge del Festival i più iconici cocktail a base di Campari e nuove creazioni. Ma come renderebbe omaggio Tommaso Cecca, Store Manager & Head Bartender del Camparino in Galleria, a un’icona di stile e bellezza, frivola, briosa e desiderosa di trovarsi al centro dell’attenzione come Maria Antonietta? Con un tocco frizzante: un ‘irregolare’ che è diventato un grande classico: il Negroni sbagliato.

IN FOTO, TOMMASO CECCA, STORE MANAGER & HEAD BARTENDER DEL CAMPARINO IN GALLERIA
Negroni sbagliato

Apparirà forse come un capriccio intellettuale o un gioco di parole. Ma a ben pensarci, anche il cibo si mette in forma. Una forma, tante forme, infinite forme. Tutte quelle che la creatività dei designer sa forgiare. Da quell’estro misto a tecnica, nascono contenitori che non si limitano a racchiudere e contenere pietanze e prodotti, ma assicurano a commensali e fruitori un’esperienza della tavola multisensoriale e per ciò stesso irresistibile. I designer allungano le linee, arrotondano le forme, sperimentano i materiali e li abbinano, sottraggono o aggiungono dettagli, osano. Allontanandosi dai codici estetici convenzionali, invitano a portare in tavola oggetti che sconfinano dal design in altri territori, in primis quello dell’arte. Capaci di sollecitare e appagare il gusto prima ancora che un solo boccone e un solo sorso al gusto abbiano dato il suo piacere. Oggetti il cui aspetto è così sorprendente che quasi ci si dimentica a cosa servano.

Quel design che costruisce una storia intorno al cibo offre, a chiunque lo ricerchi o lo sappia apprezzare, il piacere di assaporare con tutti i sensi. Così è per il design di Astrid Luglio: rivisita forme archetipiche e piccoli oggetti, antichi e di squisita fattura, che enfatizzano i rituali e reinterpretano la tradizione.

SOPRA, ASTRID LUGLIO, PRODUCT DESIGNER

SOTTO, LA SUA CREAZIONE ‘CAMERE OLFATTIVE’, CALICE DISEGNATO PER LA DEGUSTAZIONE OLFATTIVA

NELLA PAGINA ACCANTO, ‘TRAVASI GLASSES’ (ICHENDORF MILANO)

Quali ispirazioni e quali ambizioni caratterizzano il processo creativo degli oggetti in vetro che progetta? Ogni oggetto è per me un racconto che nasce dall’incontro tra una ricerca, un’ossessione e un’esigenza. Tramite alcuni progetti in vetro amo raccontare l’essenzialità della forma, tramite altri la potenza del colore. Mi piace rispettare l’autenticità di questo materiale e conferire dignità alle geometrie semplici lavorando sull’intuitività della funzione e un’estetica accogliente. Robusto e delicato al tempo stesso, è versatile e sa essere ecologico. Che cosa rappresenta per lei questo materiale? Il vetro borosilicato è stato uno dei primi materiali che ho incontrato per la realizzazione delle mie idee. C’è qualcosa di alchemico nel suo processo produttivo che mi affascina particolarmente. In un primo momento la trasparenza mi ha aiutato a focalizzarmi

sulla purezza delle forme, era perfetto in una fase in cui il colore non faceva parte del mio vocabolario progettuale. Successivamente ho iniziato a sperimentare anche con le cromie e questo passaggio mi ha aperto una moltitudine di possibilità che arricchiscono e ampliano la mia ricerca tutt’oggi. La sua poetica è un viaggio tra arte design funzionalità ed emozione...

Utopie culinarie ed esperienze sensoriali sono al cuore del mio processo creativo. Nei miei progetti mi piace indagare il coinvolgimento dei sensi e la cultura culinaria, lavorando con realtà produttive che vivono di passioni e ricerca sul cibo e con aziende animate da un interesse per il mondo che ruota intorno alla tavola, progettando prodotti che possano combinare narrativa e funzionalità in un delicato equilibrio.

Per

FRAGILIniente

Tra nuance di colore e consistenze visive, le creazioni in vetro di Astrid Luglio si fanno gustare, con lo sguardo e con il tatto. Sono saporite, prima ancora che le papille entrino in gioco

© Laura Baiardini

Un

secondo natura che fa

design GOLA

Nello spazio più vivido della casa si narrano storie di ibridazione di contesti. Esperienze materiche e rinnovate funzionalità ne sono le indiscusse, amabili, protagoniste

EuroCucina 2024 ha dettato le regole del gioco. Svelando le tendenze per il luogo più vitale della casa. Che, senza più diaframma con gli altri ambienti, è inserito in uno spazio multifunzionale. La cucina, anche regno di sperimentazione e tecnologia. Deputato alla preparazione dei pasti, ma sempre più arricchito con materiali preziosi e ad alte prestazioni tecniche.

Le superfici marmoree sono tra le grandi riconferme viste al Salone del Mobile.Milano. Una continua ispirazione, con finiture estremamente versatili e un catalogo mutuato dalla natura stessa: finiture sfumate, con venature più o meno accentuate, e una palette di colori che non lascia niente di intentato.

SOPRA E NELLA PAGINA ACCANTO, RICHIAMA LE VIBRAZIONI ACQUATICHE: LA COLLEZIONE

OCEAN LAGOON DI QUARZFORM

A DESTRA, ALESSI SPREMIAGRUMI / PESTELLO VALERIO, DESIGN BY GUIDO VENTURINI

SOTTO, FALMEC, BROOKLYN NASCONDE LA TECNOLOGIA

DI ASPIRAZIONE NEL DESIGN

IN BASSO A DESTRA, VENINI, COLLEZIONE CILINDRO, DESIGN BY PETER MARINO

L’impiego del marmo non si definisce solo nel rivestimento di singoli elementi come il top di un tavolo o di un mobile, lo schienale della cucina o determinati inserti, ma crea un dialogo con essenze, laccati o

il calore della terra

SOPRA, QUARZFORM OCEAN MIDNIGHT

A SINISTRA, ST. LOUIS, CANDELIERE COLLEZIONE LES ENDIABLÉS, DESIGN BY JOSÉ LÉVY

A DESTRA IN ALTO, MOLTENI & C., COLLEZIONE PRIME SOTTO, MIELE, DESIGN ARTLINE, NEL NUOVO BEIGE PERLATO IN BASSO A DESTRA, PATRICIA URQUIOLA X SIGNATURE KITCHEN SUITE, CABINET MULE FREE STANDING PER FRIGORIFERO SOTTOPIANO

metalli per un risultato che alla funzionalità imprime un accento d’arte.

Niente meglio dell’essenza giusta - e a ciascuno la sua! - per connotare gli ambienti con quel calore e quella accoglienza che il cuore della casa richiede e merita: frassino, teak, rovere grezzo, rovere naturale tra le nuove essenze ideali per conferire all’insieme un’identità leggera e fresca, ma resistono e resisteranno

SOPRA, POGGENPOHL CONTOUR CABINETRY COLLECTION

A SINISTRA, QUARTZFORM OCEAN REEF

SOTTO, CUCINA SIPARIO, IDEATA DA MAKIO HASUIKE & CO. IN COLLABORAZIONE CON IL TEAM DI ARAN CUCINE

linee morbide

sempre i legni scuri, per la loro attitudine a rendere la cucina istituzionale e senza tempo. Il ventaglio di materiali offre un sapiente mix di legno, laccato, vetri e finiture metalliche combinabili in un’ampia varietà di composizioni. Modularità e funzionalità sono le caratteristiche di sistemi che connettono lo spazio cucina alla zona living. I colori danno una risposta emotiva al bisogno di ritrovarsi intorno a un tavolo uniti dal rito più antico che ci sia; e amplificano il piacere di preparare i pasti per i propri cari e amici.

È il momento del burgundy, che evoca un senso profondità. A rafforzarne l’attualità, quest’anno il burgundy non si limita alle cucine ma spazia in ogni ambiente della casa, secondo le proposte di brand come Minotti, Gallotti&Radice e Baxter. In parallelo, anche i marchi della moda lo hanno messo alla ribalta, con Gucci che ha rieditato cinque icone del design italiano in bordeaux, nuovo signature color del label. Incontrastato il fascino puro del Limitless, un beige caldo dalla straordinaria versatilità: si combina perfettamente, con gradazioni di tono fredde e calde, a progetti d’arredo che prevedono sia toni bianchi e tenui - per un effetto rilassante, luminoso e sobrio - sia cromie più caratterizzanti come le superfici metallizzate (bronzo, titanio, peltro).

SOPRA, POGGENPOHL CONTOUR

CABINETRY COLLECTION

SOTTO, LOUIS VUITTON, SET DI DUE PIATTI

MONOGRAM FLOWER TILE

A SINISTRA, HERMÈS, SECCHIELLO DERBY

A DESTRA, QUARTZFORM

OCEAN ARTIC

SOTTO, BULTHAUP

vibranti attitudini

Il verde, che per vocazione infonde un senso di tranquillità e intimità, assicura un’eleganza sobria, e funziona in abbinamento a colori naturali o scuri, per ambientazioni più borghesi, prestandosi anche ad accostamenti più originali con colori come il rosa pastello. Osare con il giallo o il blu Klein, non è da tutti, ma il risultato finale… è un inno alla gioia. E in cucina la gioia è l’ingrediente migliore.

SOPRA, OFFICINE GULLO, UNDER THE TUSCAN SUN A DESTRA, PIATTO DIOR MAISON, TOILE DE JOUY, IN COLLABORAZIONE CON MANUFACTURE DES ÉMAUX DE LONGWY

SOTTO, DA SINISTRA, SWAROVSKI, PIATTO PIANO SIGNUM; ROSENTHAL MEETS VERSACE, LES TRÉSORS DE LA MER;

DIOR MAISON, TOILE DE JOUY, IN COLLABORAZIONE CON MANUFACTURE DES ÉMAUX DE LONGWY

DINCANTO

senza TEMPO

Un luogo simbolo del territorio che lo accoglie e di un’epoca gloriosa.

Il passato, qui, è riletto secondo i canoni di un lusso contemporaneo

imora sontuosa, accoglie l’ospite nell’abbraccio floreale e cipriato del suo parco lussureggiante. L’accesso alla villa è fiancheggiato da eleganti vasi decorati nei quali è accomodato il Buxus sempervirens, potato ‘in forma’; un rimando al giardino all’italiana di cui la specie è regina.

PROSPETTIVE_DESIGN

DI SIMONA MANZIONE IN COLLABORAZIONE CON ANDREA CAMERONI, GLOBAL REAL ESTATE ADVISOR

NELLA PAGINA ACCANTO, IL PARCO E

L’INGRESSO DELLA VILLA. IN QUESTA PAGINA, GLI SPAZI DELLA ZONA GIORNO OSPITATA AL PIANO TERRENO DELLA DIMORA, COSTRUITA

NEGLI ANNI VENTI DEL SECOLO SCORSO

Entrando, gli spazi ampi sono generosamente illuminati dalle finestre all’inglese. Velluti, sete, marmi, legni e metalli dorati, vetri soffiati, tappeti, colonne, boiserie e soffitti affrescati sono un inno alla bellezza e allo charme.

In un tripudio di verdi, la vasta gamma spazia dal verde Alzevola all’assenzio, dal verde cacciatore al verde Hooker. E non diversamente ne è dei gialli, dall’ambra al crema e al cromo fino al giallo imperiale. Pennellate di blu Cina nei vasi e genziana per alcune poltrone.

A sorprendere è il rosso crèmisi che, inserito in ambienti e con oggetti diversi, punteggia vigorosamente l’armonia dell’insieme.

Nelle sale della zona giorno, al pianterreno, dove la luce inonda gli ampi volumi e si riflette sulle superfici, la fantasia vola. Qui dove

ora l’unico rumore di sottofondo è il cinguettio degli uccelli, sembra quasi di sentire il fruscìo degli abiti da sera e il mormorio delle voci degli invitati alle feste che qui si svolgevano quasi un secolo fa.

La casa deve la sua esistenza a Mino Fiocchi, l’architetto che fece della semplificazione formale degli

NELLE IMMAGINI, UN SECOLO DOPO LA SUA EDIFICAZIONE, LA DIMORA HA RITROVATO IL SUO SPLENDORE GRAZIE A UN’ACCURATA OPERA DI RISTRUTTURAZIONE, CON UN PROGETTO DI INTERIOR ORIENTATO DECISAMENTE VERSO STILEMI CLASSICI

elementi classici dell’architettura il suo tratto distintivo; a caratterizzarne il lavoro furono lo studio e il reimpiego di forme tratte soprattutto dall’architettura palladiana e da quella neoclassica lombarda. Oggi la casa, dotata di undici lussuose camere e suite, offre ai suoi ospiti anche una spettacolare piscina all’aperto, un campo da tennis e spazi dedicati al benessere. È circondata da un meraviglioso parco di quattro acri, che era stato progettato dal più importante paesaggista italiano, Pietro Porcinai, il quale così scriveva: “Nella stressante realtà moderna il giardino è diventato un

NELLE IMMAGINI, I DIVERSI SPAZI DELLA VILLA SONO CURATI IN OGNI DETTAGLIO, CON LA PREDILEZIONE PER TENDAGGI E TESSUTI DI PREGIO E OGGETTI D’ANTIQUARIATO, CHE CREANO UN INSIEME RAFFINATO E AVVOLGENTE

rifugio piacevole, un luogo di meditazione, uno spazio per vivere all’aperto e in cui gioire del rapporto diretto con gli elementi naturali e godere il trascorrere delle stagioni. Ma per essere appagante per lo spirito e stimolante per i sensi lo spazio deve essere ‘plasmato’, ricercando l’equilibrio tra l’elemento vegetale e gli altri elementi tradizionali quali per esempio l’acqua, e deve possedere qualcosa di profondo e di intangibile, che non deriva solo dalla semplice immagine visiva, ma che trasmetta emozioni”.

CHI • COSA • DOVE

MODA & ACCESSORI

Armani; Borsalino; Bottega Veneta; Chanel; Fendi; Gabriela Hearst; Hermès; Louis Vuitton; Made for a Woman; Missoni; Montblanc; Philosophy di Lorenzo Serafini; Sensi Studio; Stella McCarthy; Studio Tondini; Valentino Garavani

OROLOGI & GIOIELLI

Lele Sadoughi; Hublot; Vacheron Constantin; Van Cleef & Arpels

BEAUTY

Chanel; Gallinée; Hermès; Nars; Shiseido; Sisley Paris

ABITARE

Aran Cucine; Baxter; Bulthaup; Falmec; Dior Maison; Hermès Maison; Ichendorf Milano; Louis Vuitton; Luxury Living Group; Makio Hasuike & Co.; Miele; Molteni; Officine Gullo; Poggenpohl; Quartzforms; Signature Kitchen; Versace Home Collection; St. Louis; Swarovski; Venini

BOUTIQUE & PUNTI DI VENDITA

Bucherer, Via Nassa 56, Lugano • Cartier, Piazzetta Maraini 1, Lugano Charly Zenger, Via Borgo 49, Ascona e Via Pessina 8, Lugano • Dior Counter / Manor, Salita Chiattone 10, Lugano Elite Gallery, Via Peri 6, Lugano • Frida, Via Pineta 40, 6979 Brè sopra Lugano • Gold Time, Via Luvini 4, Lugano e Piazza Indipendenza, Chiasso Gübelin, Via Nassa 27, Lugano • Hermès, Piazzetta Maraini, Lugano • Mersmann, Via Nassa 5, Lugano Montblanc, Via Pretorio 7, Lugano • Rocca 1794, Via Nassa 4, Lugano Somazzi, Via Nassa 36, Lugano • Tourbillon, Via Nassa 3, Lugano

LUOGHI

Atelier “La Tana del Gatto”, Yuri Catania; Camparino in Galleria; Casa della Letteratura per la Svizzera italiana; Cascata Piumogna, Faido; Cern - Portail de la Science, Ginevra; Dermalugano; Famm - Femmes Artistes du Musee de Mougins; GemGenève; Hotel Belvedere, Locarno; Il Ristorante di Villa Orselina, Orselina-Locarno; Locarno Film Festival; Museo Comunale d’Arte Moderna, Ascona; Ristorante Seven, Ascona; Osteria dell’Enoteca, Losone; Restaurant Eden Roc, Ascona; Società astronomica Ticinese

in COPERTINA Tejal Patil Agenzia: Wonderwall Management. indossa Philosophy by Lorenzo Serafini orecchini Lele Sadoughi IG tejalpatil_ photography Jolie Zocchi joliezocchi.com IG jolie_zocchi

styling Jolie Zocchi Studio joliezocchi.com make up Svitlana Prozort IG svitlana.prozort

location

Cascata Piumogna, Faido

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