I toni dell azzurro. Scuola e formazione personale dei giovani

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A Tu per Tu

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Prima Edizione: 2013 ISBN 978889845974 © 2013 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Marzo 2013 in Italia da Atena.net srl Grisignano (VI) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline ® Srl) Disegni creati da Luigi De Michele. Si ringraziano Daniela e Miranda per la paziente trascrizione.

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Elia Rubino

IScuola toni dell’azzurro e formazione personale dei giovani

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Iඇൽංർൾ

Pro-logo

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Chi sono Io: quasi una presentazione

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Un incipit

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Il letto

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Chi o cosa?

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Un punto di vista

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Socrate: ovvero l’arte del “rompiscatole”

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Una nuova Agorà

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Epicuro o del Quando che c’è

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Della mono-tonia

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Il manifesto del “fare” scuola

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La “Buddanata”

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Perché la Scuola?

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Le mie scuse

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A Tඎ ඉൾඋ Tඎ

Il cielo ha infiniti toni di azzurro ma non ci rendiamo conto di tutto ciò e lo chiamiamo semplicemente Azzurro. La Nostra Vita ha possibilità infinite ma, Ahimè, noi ne vediamo e ne consideriamo solo una.

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Pඋඈ-අඈ඀ඈ

Pro-logo, etimologia inventata da me: “a favore della parola”. Già, perché oggi niente è più a favore della parola, sia essa difficilmente scritta o più quotidianamente parlata. Eppure “in principio era la parola”, religiosamente tradotta con il “Verbo “, o meglio, “la parola è principio di tutto”. Così (sic! direbbero i latini) anche io ho iniziato a prendere coraggio per poter materializzare su questo foglio bianco strani segni vergati dal muscolo della mano, ma dettati da un ben più misterioso organo chiamato cervello. Sono anni vi dico, anni che sto cercando di scrivere, di fermare i mille soffi di vento che si insinuano nelle pieghe della mente, eppure non ho mai trovato il coraggio. Certo, ci vuole “coraggio”, non solo per vincere la pigrizia mentale di questo esistere post-moderno, ma ancor di più per tornare a “mettersi a nudo” (anche se fisicamente oggi è molto facile) e per esternare tutto il proprio cuore attraverso la parola. “In principio era il verbo”: impariamo a recuperare la parola che ci hanno rubato per avere la dignità e la forza di cantare tutti insieme: “in principio era Lei, la parola”.

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Cඁං ඌඈඇඈ Iඈ: ඊඎൺඌං ඎඇൺ ඉඋൾඌൾඇඍൺඓංඈඇൾ

Nel linguaggio militare esiste il “Presentat-arm”! In che consiste? È il comando con cui i soldati mettono in mostra la propria arma, custodita gelosamente come una donna. Antropologicamente (scusate il parolone molto di moda) si “ostenta” la propria forza, il vigore con cui si affronta la battaglia. Allora è giusto che io metta in scena una “Present-Azione!”, perché, ogni volta che parliamo-dialoghiamo, ci mostriamo, io spero, in tutta sincerità all’altro, e “agiamo” nei confronti dell’altro per farci conoscere. Chi sono io? Certamente un po’ presuntuoso, un po’ sciocco a voler parlare senza conoscervi, sperando che mi stiate ad ascoltare, presi -probabilmente- come siete dai vostri mille discorsi cifrati al vostro I-phone, I-pad, I-... (tra un po’ uscirà di certo una nuova versione e allora lascio il sospeso). Dunque presuntuoso perché vi chiedo, a fiducia, un po’ di attenzione in cambio di cosa? [già perché oggi nulla si dona, tutto si scambia, in una logica dove il mercato regna e l’affare serpeggia]. Di certo il “verbo” non lo ho. Penso che ognuno lo abbia dentro. Tuttavia ho avuto la sfortunata fortuna [si chiama ossimoro? dubbio necessario per dimostrare che si può essere insicuri a qualsiasi età, quindi è bene andare a cercare prima di dire o scrivere sciocchezze] di fare belle e brutte esperienze nel mondo della Jungla scolastica, tali da farmi riflettere. Sono sciocco, perché tanti le hanno vissute come me queste esperienze e allora, mi chiedo tra lo stupito e l’allocco, perché la

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scuola funziona ancora così? Questi pensieri sono per chi si ritiene presuntuoso e sciocco: Un sognatore che ruba al tempo attimi di eterno per creare parole. La mia classe, I A liceo classico, anno 1981. Silenziosi e composti gli studenti, capelli a caschetto, grossi occhiali tondi, attenti seguono sul ponderoso testo una lezione magistrale su Dante. Ma, e sottolineo ma, mentre tutti, tra il falso pirandelliano e il vero realistico scorrono le immagini dantesche, uno studente si agita dentro e, con il sorriso sulle labbra, con i piedi fa muovere la sedia della compagna che le è avanti, facendola risultare visibilmente agitata e attraendo così l’attenzione del professore che prontamente la redarguisce tra lo scandalo dei “secchioni” da lei capeggiati. Guardate bene quello studente dai capelli a caschetto nella sua irrequietezza, perché quello sono io. QUELLO SONO IO Ognuno di noi è un Quello, che, filosoficamente, [non vi impaurite, useremo molto questo avverbio che, normalmente, evoca pensieri persi nel vuoto: povera filosofia!] sta a significare “Quel singolo “, quell’individuo [memo: un giorno vi devo parlare, per chi non lo conosce, di uno straordinario uomo chiamato Kierkegaard: che fatica a scriverlo bene!] con una sua storia, con un suo vissuto, con tante esperienze da raccontare. Io sono stato sempre irrequieto; insomma mi definivano “vivace” per non chiamarmi rompi p. (Non vi ho detto ancora che non sopporto le parolacce?). “Potrebbe fare di più. A volte si distrae, non sta mai fermo”! Alzi la mano chi ha mai ricevuto queste “sentenze” al colloquio con i genitori? Tu? Tu? Bene, siete sulla buona (dal mio punto di vista) o sulla cattiva strada (dal punto di vista della tradizione scolastica!). Detto tra noi a me la scuola non piaceva, MI FACEVA UN 10

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PO’ SCHIFO. Amavo, al contrario, correre tra i boschi, arrampicarmi sugli alberi, fare capriole tra l’erba (caspita non è che ero il figlio illegittimo di Tarzan? :D) essere libero di andare a “danzare con il vento”. All’inizio, oltre le preoccupazioni di mia madre per avere un figlio così “girandolone”, mi preoccupavo anche io; quando poi iniziammo a “studiare” il Romanticismo compresi: avevo ricevuto in dono la “maledizione della luna piena”, come amavo definirla, o più semplicemente ero, e sono ancora, un ROMANTICO! Tutto ciò che era istituzione mi cominciava a star stretto. Più che le vie cittadine mi attraevano i sentieri che si perdevano nei boschi, più delle luci sfavillanti mi incantava vedere il chiarore lunare e giocare con le ombre create dagli antichi crepuscoli. Mia madre in questo senso, si era rassegnata. Un po’ mi pensava “diverso” [non gay, loro non sono diversi! Diversi sono quelli che la società, per paura o per invidia, non vuole riconoscere] altre volte capiva che ero un ragazzo con la voglia di essere libero! QUI CASCA L’ASINO! Ma povero asino dico io, perché deve cascare sempre lui? Non si poteva dire... casca una mucca.? No, no: ve la immaginate una mucca che casca: che bagno di... Latte :( Forse meglio lasciar stare la battuta allusiva... Noi ce le creavamo durante le ore di greco quando la lettura diventava più araba che greca... Proprio qui casca l’asino! Perché mi dovete dire come ha fatto uno che quando entrava a scuola già voleva uscire; uno che appena si sedeva veniva preso da una “letargite scolastica” [nota malattia autotrasmessa che caratterizza uno studente su uno, consistente in un progressivo sbadigliare accompagnato da pesantezza di pal... pebre e conseguente stato confusionale :) ] uno che quando iniziava l’ora mica pensava: “quando finisce?” Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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no, pensava “quando è iniziata”! Come ha fatto uno così a diventare... (punti di sospensione) a diventare ... (arci punti di sospensione) diventare PROFESSORE!!! Cavolo professore io, che non sopportavo il “loro” saper tutto, quel registro che si apriva e chiudeva; proprio io “faccio” il professore. I BIVI “Dicesi”, alla Fantozzi (spero vi ricordiate di questa mitica figura ironica inventata da Paolo Villaggio) dicesi “Bivio”, strada con due biforcazioni, per cui puoi decidere dove andare. Certo se ci sono i cartelli indicatori; se sai dove vuoi andare: altrimenti quando sei ad un bivio sono cavoli tuoi! Spesso è lì che si vede di che pasta siamo fatti. Altre volte il bivio è casuale, è provvidenziale, è misterioso. Beh certo è che scegliere diventa sempre “angosciante”, ti porta ad avere il fiato sospeso per paura di non sbagliare, perché, il più delle volte non si torna indietro: questo ricordatelo sempre... chi dice “ci pensero domani”, già si è arreso nella vita. Se ripercorro i bivi della mia esistenza devo dire che, se avessi giocato a “testa e croce” forse avrei fatto meglio. No, intendiamoci, non è che io sia stato un vigliacco, è che spesso non mi andava di decidere. Come un atleta che si allena tanto e poi... quando deve gareggiare rinuncia perché non vuole sciupare il magico momento della corsa confondendolo con la “competizione”. Io nei bivi spesso mi sono comportato cosi! Consiglio? Fatelo solo se pensate che questo mondo non vi interessa e lo trovate “stupido” (non l’ho detto io lo dice Nice ---> ma si scrive Nietzsche). Torniamo a noi: il mio progetto di vita era l’avventura, la ricerca, l’esplorazione: eppure ad un bivio, un po’ per pigrizia, un po’ perché ero legato alla mia terra, presi una direzione che definivo provvisoria e che, al contrario, si rivelò come definitoria. Diventai ufficialmente: professore di filosofia, il professore Elia Rubino! 12

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VENTICINQUE ANNI All’inizio pensavo: tra un po’ cambio lavoro, voglio fare l’ufficiale in aeronautica, il commissario di polizia, il ricercatore universitario e, alla fine, ho fatto il pollo!!! Gia! Nel mio lessico pollo è uno che pensa al domani mentre si fa sfuggire l’oggi: e poi? Come quasi tutti i polli che si rispettano finisce in un bel “Forno”:D. Certo se dovessi tornare indietro questi 25 anni diventerebbero - come tutte le nostre storie - un romanzo. Invece nei pensieri “folli” rivolti a voi, volti di un tempo sereno, ho il desiderio di capire cosa è cambiato in questi anni, come io e voi abbiamo vissuto la nostra scuola. Avevo 23 anni quando rimisi piedi nelle aule dopo l’università. Se ci penso, quasi in un contrappasso dantesco, io la scuola non l’ho mai lasciata, ci sono stato sempre affettuosamente dentro. Per oggi basta. Facciamo così. Ogni volta che mi fa male la mano smetto di scrivere. Così voi che con me condividete questi pensieri sparsi non vi annoiate e a me non fa male la mano. Egoistico “do ut des” (ti do così tu mi dai) ma la vita è così , ;-) allora lascio la penna e vi invito alla vita, perché ogni istante non torna più e nessuno potrà mai restituircelo.

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Le idee al pari dei virus restano in incubazione tanto tempo. Poi, quando meno te lo aspetti esplodono; peccato che, al contrario dei virus, spesso non siano contagiose.

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Iniziamo questo cammino di muta corrispondenza con la voglia e la volontà di fissare le idee. Avere il coraggio di scrivere e di mettersi in discussione oggi sembra la cosa più ovvia, ma anche la meno scontata che la società ti propone. Resta un mesto cercare relegato a pochi che, il più delle volte, preferiscono non parlare. Ogni inizio risulta difficile, articolato. Scrivere per sfogarsi, tirar fuori -ex-ducere in latino- ciò che si è accumulato dentro. Dunque scrivere significherà per me “e-ducare ed e-ducarsi” a leggere i segni che in 25 anni l’esperienza, gli errori e i successi, hanno inciso nel mio spirito, e a volte, anche nel mio corpo. RI-FLETTI-AMO Che bello giocare con le parole. A me, non so a voi, è sempre piaciuto scherzare, giocherellare e ironizzare sulla e con la vita. Che odio profondo l’intellettualismo, il clericalismo, il comunismo, il consumismo, insomma tutte le parole che finiscono con -ismo. Rappresentano (per me) la degenerazione delle idee, della spontaneità, della creatività. A questo proposito vi rimando (verbo funesto per gli studenti, lo uso in senso positivo) all’“Elogio della Follia” di Erasmo da Rotterdam, opera seria sulla grande forza dell’esistenza umana. Torniamo dunque al gioco delle parole che, come suggeriva Rodari, stupisce e meraviglia perché è una delle tante chiavi che apre le porte della creatività [ma lo diceva Rodari o me lo sto inventando io? Ricercare, sempre ricercare] Ecco la parola.

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RI-FLETTI-AMO... io l’ho scomposta in questo simpatico modo. Il suo significato? Amo una “cosa” (ri = res = cosa in latino) che “flette” (flectere) e qui, sentendomi in dubbio mi sono perso in Internet (perchè su Internet ci si perde facilmente se non si sa cosa trovare). Concludendo il gioco la parola riflessione cela l’amore per il tentativo di voler “piegare” o “spiegare” un concetto. Bene! Ditemi quante volte nella vita ci fermiamo a riflettere, a mettere in scena questo gioco di conoscenza e curiosità? O ancora, in quali occasioni inneschiamo un dinamismo di riflessione! Ad Elia, devo essere sincero, un gioco simile è sempre piaciuto, anche perché per me il motto “chi si accontenta gode” non è stato mai congeniale. Allora Riflettiamo o, “Sapere aude” tuonava Kant il filosofo. E in questo senso impariamo a kantare, di sicuro scopriremo tante cose che ci vengono nascoste dalle stesse parole!!! AVVERTENZA GENERALE Io posso dirvi ciò che non sono e ciò che non voglio: non sono un pedagogista nè un filosofo, nè uno studioso, nè voglio esserlo, mi piace riflettere [forse presuntuosamente, ma visto che tantissimi sputano sentenze, voglio farlo anche io: come diceva nonno Nanni: oggi la gente si sveglia la mattina e pubblica un libro, e allora, perdonatemi, l’ho fatto anche io.] Ciò che non voglio è invece farvi pensare che le mie sentenze siano teorie, medicine, panacea. Sono, al contrario, riflessioni nate dalla vita quotidiana a contatto con i ragazzi il cui sorriso ho inciso, in un modo o nell’altro, nel cuore. Le mie riflessioni nascono da meravigliose sensazioni vissute a contatto con studenti stupendi che hanno avuto la sola colpa di essere nati in una società che poco ha investito sull’educazione e la formazione dell’uomo. Qualcuno mi giudicherà un predicatore fallito, un illuso sognatore: per me è importante è che sia me stesso, coerente con un giullaresco impegno nel voler testimoniare che la scuola può 16

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veramente cambiare se noi cambiamo. :D LA “MIA” SCUOLA Avete presente un bimbo piccolo quando inizia a costruire le sue prime categorie relazionali? Il primo concetto in formazione è l’ego [Ehi non appendete il muso, non voglio farvi una lezione di psicologia dell’età evolutiva]. Anche in me si è formato questo forte senso di possesso! Così voglio parlarvi della mia, mia, e di nuovo “mia scuola”. Come la vedo, come la vivo, come non me la fanno vivere. Qualcuno ci rimarrà male, ma in fondo è la “mia” scuola... vediamo insieme una scena della scuola oggi.

Paese: non so dove Giorno: non so quando Luogo: non so quale scuola Le formiche lente e veloci si alternano e convergono verso un piccolo formicaio che inizia a brulicare: gli insettini hanno uno zaino sulle spalle che li rende, in apparenza, operosi ed oberati. Riconosci subito gli studenti: prima di entrare a scuola sorridono, appena entrati scatta la metamorfosi ed ecco la faccia dello studente. Pronta a mutare camaleonticamente aspetto ad ogni ora in relazione al professore di turno. Sembrano tanti camaleonti: al punto che ti chiedi qual’è la loro vera faccia? [attenzione al qual è perché la maggior parte degli studenti e a volte anche altre categorie lo scrive così!]. Lo studente modello ha sviluppato, moderno Rambo (per chi non lo conoscesse è il “tipico” americano onnipotente che senza armi distrugge un esercito: per la serie “c’è l’ho solo io”. La forza!) uno spirito di adattamento pauroso. Riesce a dormire con gli occhi aperti e mangiare senza muovere la mandibola, a messaggiare con il suo lui/lei senza utilizzare un muscolo. Il suo istinto di sopravvivenza gli consente di copiare un compito ad Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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una velocità impressionante. In una gara tra una fotocopiatrice e lo studente ha vinto lo studente. Andare a scuola è una palestra di sopravvivenza. Ti insegna a creare le scuse più impensate per sfuggire all’interrogazione, inutile citarne alcune: sono così assurde che il mio cervello le rimuove. Dunque lo studente modello entra in classe e scopre ogni giorno di più che il bianco è grigio. Il grigio della vita ripetitiva e monotona, lo scontato incedere delle ore che trascorrono prevedibili. Lo studente a scuola scopre anche la durezza della sedia! Cinque ore seduto mentre il fondo-schiena chiede pietà. E poi si parla di “appiattimento”: voglio vedere voi per 30 ore circa alla settimana con il deretano sempre lì schiacciato: ma è logico che si appiattisce. Il nostro studente è rassegnato: segue la lezione simile ad un robot. Interviene solo se su richiesta; per il resto preferisce sognare la sua vita futura, il suo amore, ciò che farà ...dopo la scuola. Ahi, “La scuola è proprio come una p_ _ _ _ _a (fate il gioco dell’impiccato) tutti ci vanno ma nessuno la ama!” Sentenziava una frase scritta su un diario di una mia alunna. Mi veniva da riflettere: ma se sono parte del sistema scuola anch’io sono come una p_ _ _ _ _a? Tutti assistono alle mie lezioni perché liberi-costretti, ma nessuno ama la mia disciplina? Eh ma se è così, voglio essere pagato dallo Stato almeno il triplo considerato quanto prende una ragazzina per partecipare ai festini dei politici. Già lei non è una p_ _ _ _ _ a, è una ESCORT, una intrattenitrice, e va bè, diciamo pure che è una benefattrice visto che solleva il morale (e forse anche qualcos’altro) degli over 60!!! Torniamo alla “nostra” scuola che è meglio. Il momento in cui lo studente acquisisce coscienza [cioè si rende conto di essere sveglio] è quando il professore apre il registro per l’interrogazione! Già la parola mi richiama un gesto 18

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inquisitorio. Ma chi è sottoposto ad interrogazione? Il presunto colpevole? Chi ha commesso un delitto? In questo contesto lo studente si sottopone al supplizio. Scatta il meccanicismo di autodifesa. Se ha studiato poco o niente arriva il malessere del momento: per la donna mal di testa con il rafforzativo “sono problemi di donna, professore, non può capire”. Certo che non posso capire: ma quante volte al mese sta male una donna? e che è? Il ragazzo sfoggia invece il suo mal di testa e mal di gola anche fuori stagione. Meno fantasioso e più realista. L’interrogazione, uno dei pochi momenti del protagonismo studentesco insieme alla ricreazione, qui l’etimo farebbe pensare a tutt’altro. Improvvisamente il cortile della scuola a quell’ora, novello Vaticano, lancia una fumata bianca e i passanti pensano ad un incendio o ad una perdita. Pensate che un po’ di anni fa i vigili del fuoco erano stati allertati da una zelante signora che pensava ad un incendio! La ricreazione è un grande accumulo di energia: quante calorie si ingurgitano in merendine e patatine che vanno ad accumularsi sui fianchi e sui glutei delle nostre studentesse! E poi... poi... potrei continuare per ore ma preferisco fermarmi qui. Se vi specchiate in questa scuola e vi rendete conto che qualcosa non va, andate tranquillamente avanti. Se pensate che abbia detto solo idiozie ingigantite da una ironica retorica allora tornate dal libraio dove avete acquistato questo libro e chiedete il rimborso spesa. Vi darà un buono acquisto per un qualsiasi libro di ottica! (tanto se non vedete una scuola così dovete essere un po’ miopi :D). Cavolo che male alla mano. Mi avverte che è l’ora di smettere. Ci vediamo presto miei cari amici pensando che oggi abbiamo RI-FLETTUTO insieme. Le idee, dicevo all’inizio di questa lettera, sono come virus; allora lasciamoci contagiare: se vogliamo.

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Troppe volte abbiamo rinunciato alla possibilità di essere ciò che siamo per cedere il posto alla suadente tentazione di apparire come il tempo vuole.

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Iඅ Lൾඍඍඈ

Ebbene sì, coraggiosi e intrepidi che avete deciso di seguirmi, oggi vi scrivo da... un letto. Eh sì, avete capito bene, non è un errore di stampa [spesso quando sbagliamo ci appelliamo ai famosi correttori automatici e sentenziamo: è un errore di stampa!]. Vi scrivo da questo tenero rifugio. Se vado indietro ai tempi degli studi,- cavolo! (Imprecazione colorita e odorosa che sostituisce il più volgare c_ _ _o che si usa - a volte - anche a letto :D, nelle nostre zone) come passano gli anni ;-), volentieri mi concedevo ore di studio nella mia posizione preferita, in un letto. Molti lo vedono come un simulacro da tenere in sacro ordine, anche quando ci si dorme o quando ci si fa l’amore sempre attenti a non scomporlo! (ma come si farà?). Dimmi come dormi e ti dirò chi sei, sostiene una certa psicologia. Chi di voi invece, ha mai usato un letto per studiare? È intimo, tranquillo, rilassante, riflessivo (non ho detto soporifero). L’importante è che ciò che studi sia di tuo gradimento, altrimenti passi dalla realtà al sogno in pochi istanti. Se mi si chiedesse qual è (stavolta lo scrivo bene, hai visto mai!) il luogo ideale per studiare a casa, sarei un fiero assertore di questo indispensabile arredamento domestico. Con una tazza di buon thè caldo d’inverno e fresco d’estate, diventa un compagno ideale che ti trasporta in qualsiasi dimensione. Quand’ero piccino mi immergevo sotto le coperte e immaginavo, immaginavo ad occhi aperti di essere su un aereo e di volare in luoghi meravigliosi: POTERE DELL’IMMAGINAZIONE. Qui, dal letto, oggi vorrei iniziare a discutere della

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MIA SCUOLA La scuola, quella che ho subìto io, quella che ho vissuto per anni insieme a voi. Alcuni alunni mi dicevano: “Prof. fondate voi una scuola, noi ci trasferiamo!” Ne hanno fondate tante nel corso della storia, il problema vero è che la scuola istituzionale non ha mai fatto veramente tesoro delle indicazioni di altri modelli cosiddetti alternativi. Certo se pensiamo alla scuola dell’infanzia troviamo il trionfo di tante metodologie delle scuole attive e di innovazioni post-attiviste. Eppure, se andiamo verso l’alto delle vette scolastiche, la tradizionale scuola crociana trova la sua bandiera. Scusate, ma da quanti anni non si toccano i “programmi scolastici”? E nessuno dice nulla! Lo so che mi attirerò l’ira dei prof, eppure non sembra possibile che è quasi un secolo che si studia allo stesso modo, le stesse cose, con (quasi sempre) le stesse metodologie. Ai sostenitori di questo “Neo-idealismo” gentiliano [e ora come le spiego ‘sta parolona se non masticate un po’ di filosofia; bene, allora vi “rimando” al potente Internet] potremmo dire: “scusate, ma voi viaggiate con la stessa “cinquecento” di cinquanta anni fa? Oppure preferite un’auto con tutti i comfort, adeguata dalla tecnologia alle “moderne esigenze dell’uomo moderno?” (mi sembra uno slogan pubblicitario!) Potrei anche ribadire, sempre utilizzando la metafora automobilistica, che un operaio certamente non utilizza le tecniche di montaggio di trent’anni fa, si è “aggiornato”, “formato”, “specializzato”: parole usate nella scuola, ma con quali risultati? Suvvia, non mi accusate di essere pesante, torniamo alla MIA SCUOLA, quella in cui molti miei alunni sarebbero voluti entrare. Forse non ci sarà mai! Perché non ho i soldi, non ho la sistematicità e, senza essere tanto vigliacco, dovrei dire che mi è passata la voglia. Russò (in tema di letto dal quale vi scrivo oggi ci sta bene, ma si scrive Rousseau, grande intellettuale del Settecento) direbbe 22

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che è inutile formare spiriti nuovi se poi la società li rende nuovamente schiavi. Così nasce l’Emilio, il “superman” dell’educazione, senza padre nè madre, cresciuto lontano dalla città e dai suoi mali. Bene, come dire: io li cresco, la società li devia. Chiudo subito la polemica e mi riprometto di non scrivere più in un letto: mi rende polemico! Un tempo mi faceva sognare (non pensate male, però!) Vi traccio una mappa degli argomenti che diventano argomentazioni a sostegno della “mia scuola”, che poi mia non è, la dedico soprattutto a chi, quando entra in aula, viene preso dalla sindrome dello sbadiglio oppure dal morbo degli “occhi pesanti”. Kant, il filosofo più odiato dagli studenti (di certo a torto, perché ha un pensiero attuale e profondo), sostiene che l’uomo deve sempre porgere a se stesso domande di senso: Unde? Ubi? Quo? Noi porgeremo alla “nostra” scuola alcune domande di senso, che costituiranno il nucleo centrale per una riflessione “dal basso” su questo mondo che mi ha deliziato e tormentato per venticinque anni di vita. Ancora, mi viene in mente la tecnica studiata nei corsi di giornalismo e che poi ho scoperto essere la base corretta di ogni nostra azione, la regola delle W a cui il giornalista deve rispondere per essere esaustivo nel descrivere un fatto. (Siccome sono ancora a letto e normalmente al letto ci si rigira spesso, anch’io rigiro l’ipotesi e utilizzo questa scansione!) Who? Chi, è che utilizza la scuola? Where? dove, “costruire” la scuola? When? quando, “fare” scuola? What? cosa, “fare” in una scuola? Why? perché, “fare” scuola?

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