Feltrino News n. 10/2021 Settembre

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N° 10 - Ottobre 2021 - Supplemento del periodico Valsugana News



Editoriale di Franco Zadra

NON È VERO, MA CI CREDO

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e proprio volete la vera verità, dei vaccini che ci stanno inoculando a spron battuto come se non ci fosse un domani, dovete sapere che possono generare gravi malattie poiché sono stati prodotti troppo velocemente e le uniche informazioni vengono dalle aziende. Sono vaccini sperimentali e noi siamo le cavie di questo laboratorio globale. Tra l'altro sono questi stessi vaccini che provocano l'infezione. I vaccini, è oramai certo, fanno venire le malattie autoimmuni perché indeboliscono il sistema immunitario. La regia del Nuovo Ordine mondiale, iniziato con Kissinger, predispone che vengano nascosti all'opinione pubblica gli effetti collaterali e i decessi post vaccino, ma è ormai evidente che i vaccini sono anche la causa di infertilità e aborti, modificano il nostro Dna, e provocano trombosi, miocarditi e pericarditi. Per questo i produttori di vaccini e i medici fanno firmare il consenso, per evitare responsabilità! E poi, dai 19/20 anni in giù per i soggetti sani è impossibile morire per Covid o manifestare sintomi gravi, ma noi, giù a vaccinare chiunque, e più vacciniamo, più escono nuove varianti, e continuiamo a farlo anche d’estate quando il virus scompare ed è inutile vaccinarsi o mettere le mascherine. Tranquilli, ora vi spiego... Quanto avete letto fin qui è un piccolo rosario riassuntivo delle migliaia di Fake News che circolano in rete, tanto più insidiose quanto più si travestono di plausibilità. Per ciascuna di queste, l'Istituto Superiore di Sanità ha puntualmente ribattuto con dati e fatti concreti, forse divulgando troppo generosamente nozioni scientifiche e conoscenze di tecnica medica poco comprensibili per il volgo, ma sempre suffragando, al di là di ogni

ragionevole dubbio, come sensata e necessaria la scelta vaccinale. Non ho spazio qui per riprendere i contenuti di ragione che, a mio avviso, potrebbero soddisfare anche il più riottoso dei No Vax, e anche, lo confesso, me ne manca il tempo e la voglia. Non tutti nascono con la vocazione del virologo e a me riesce più semplice il fidarmi di chi ha studiato e presiede l'ISS. So per altro che nelle persone, anche in me, vi è qualche invincibile ignoranza che non si arrende ad alcuna evidenza scientifica, soprattutto quando non si hanno tutte le informazioni necessarie per coglierne la validità. Non sono qui a dire che poche migliaia di fanatici stiano influenzando i dubbiosi, e ho pieno rispetto per quelle persone, sono qualche milione, che per i motivi più diversi danno credito alle Fake di cui sopra, o per motivi legati alla propria salute, scelte alternative naturali, e altro ancora hanno scelto di non vaccinarsi. Se fossi al governo non avrei avuto “le palle” per imporre un obbligo vaccinale,

vista anche l'oggettiva impossibilità di “stanare” chi, nelle fasce più a rischio, ha scelto di non vaccinarsi. Non invidio quindi Draghi e chiunque si trovi nella posizione di decidere per il bene collettivo, ma non per questo mi abbandono alla caciara dei Talk Show per trovare un qualche supporto al mio dubbio. Sarebbe come attraversare le sabbie mobili poiché per aggirarle ci vuole più tempo. Con tutto rispetto per chi dubita, spero che continui a farlo rinunciando però al proselitismo e a quel protagonismo di leone da tastiera, poiché fin dal 2015 ho incorniciato e appeso sopra la mia postazione, a mio monito, quanto disse il grande Umberto Eco: «I social media danno diritto di parola a legioni d’ imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli!».

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Sommario DIRETTORE RESPONSABILE Prof. Armando Munaò - 333 2815103 direttore.feltrinonews@gmail.com CONDIRETTORE dott. Walter Waimer Perinelli - 335 128 9186 email: wperinelli@virgilio.it REDAZIONE E COLLABORATORI dott.ssa Katia Cont (Cultura, arte, cinema e teatro) dott.ssa Elisa Corni (Turismo, storia e tradizioni). dott. Maurizio Cristini (Enologo ed esperto in giochi ed enigmistica) Laura Paleari (moda e costume) - dott.ssa Laura Fratini (Psicologa) Veronica Gianello (Storia, arte,cultura e tradizioni) dott.ssa Alice Vettorata - dott.ssa Francesca Gottardi (Esteri- USA) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, tradizioni,attualità) dott. Nicola Maschio (attualità, politica, inchieste) Paolo Rossetti (Attualità, inchieste) - Patrizia Rapposelli (attualità, cronaca) dott.ssa Alice Rovati (Responsabile Altroconsumo) dott. ssa Chiara Paoli (storica dell’arte - ed. museale -cultura e tradizioni) Francesco Zadra (Attualità) - dott. Zeno Perinelli (Avvocato) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, attualità) Ing. Grazioso Piazza - dott. Franco Zadra (politica, attualità) dott.ssa Monica Argenta - dott.ssa Erica Zanghellini (Psicologa) dott. Casna Andrea (Storia, cultura, tradizioni) Caterina Michieletto (storia, arte, cultura) Alessandro Caldera (sport e cronaca) dott.ssa Daniela Zangrando (arte, storia e cultura) Alex De Boni (attualità e politica) - dott.ssa Erica Vicentini (avvocato) CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA dott. Francesco D’Onghia - dott. Alfonso Piazza dott. Marco Rigo . dott. Giovanni D’Onghia RESPONSABILE PUBBLICITÀ: Gianni Bertelle Cell. 340 302 0423 - email: gianni.bertelle@gmail.com IMPAGINAZIONE E GRAFICA : Punto e Linea di Alessandro Paleari - Fonzaso (BL) Cell. 347 277 0162 - email: alexpl@libero.it EDITORE E STAMPA GRAFICHE FUTURA SRL- Via Della Cooperazione, 33- MATTARELLO (TN) FELTRINO NEWS Supplemento al numero di Ottobre di VALSUGANA NEWS Valsugana News – Registrazione del Tribunale di Trento: n° 5 del 16/04/2015. COPYRIGHT - Tutti i diritti riservati Tutti i testi, articoli, intervista, fotografie, disegni, pubblicità e quant’altro pubblicato su FELTRINO NEWS, sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl - PUNTO E LINEA, quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore Responsabile o dell’Editore, è vietata la riproduzione e la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni pubblicitarie, per altri giornali o pubblicazioni, posso farlo richiedendo l’autorizzazione al Direttore Responsabile o all’editore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio le loro grafiche e quindi fatto pervenire alla redazione o all’ufficio grafico di FELTRINO NEWS, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

Ottobre 2021

L’editoriale: Non è vero ma ci credo

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In difesa del pianeta terra

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Sommario

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Camille Claudel

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Maltrattamenti :Io non ti denuncio

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Salute: pericolo obesità

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In morte di Aldo Moro

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Furti in casa: come proteggersi

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Nel cuore delle bambine di Kabul

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I marroni della vallata feltrina

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Gli stupri e le violenze in Italia

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Moda oggi: Luisa Spagnoli 66

Le violenze sui minori 14

Medicina & Salute: attenti ai farmaci online

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Daniele Groff e la musica

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Medicina & Salute: la Ludopatia e/o Gambling

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USA: 11 settembre 2011

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Bertha Benz, la prina donna dell’auto

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Occidente, popolo e scienza

18

Uomo, natura e ambiente

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L’avvocato risponde: ho prestato ma non sono stato pagato

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Innovazione e sostenibilità

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Lettera al direttore

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Attualità online: web camgirl

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Incidenti domestici ai bambini

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Ottobre in festa

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La censura e la libertà di stampa 30 Giovani, sport e società

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In filigrana: dai televisori ai politici

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Il Museo Burel a Belluno

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La sostenibilità parte da noi

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La vera statura dell’essere umano

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Il personaggio : Rolly Marchi

44

Maddalena Boso, bellezza e semplicità

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Confessa che ti passa

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Ieri avvenne Aldo Moro Pagina 8

Amici e compagni di vita

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4 ottobre, giornata degli animali

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La pagina verde

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Il 1° Simposio regionale di Spaventapasseri

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Ragnar Kjartansson e il Covid-19

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Molta frutta e verdura arriva dall’America

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Il peperoncino allunga la vita

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Kefir: la bevanda del benessere

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Supercibi: se la salute vien mangiando

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Pneumatici invernali e catene e bordo

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Uomo, natura, ambiente Carlo Barbante Pagina 21

Moda oggi Luisa Spagnoli Pagina 66

Inizia con questo numero una collaborazione con la dott.ssa Daniela Zangrando, laureata in Progettazione e Produzione delle Arti Visive all’Università IUAV di Venezia, direttrice di Museo Burel, Museo d’Arte Contemporanea della città e della provincia di Belluno e docente di Ultime Tendenze nelle Arti Visive all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia. E’ stata a capo di diversi progetti a Perarolo di Cadore, Belluno e ha diretto lo spazio Monotono Contemporary Art a Vicenza. Ha collaborato con istituzioni e realtà legate al sistema dell’arte, tra cui Museo Internazionale e Biblioteca della Musica (Bologna), Triennale (Milano), GAMeC (Bergamo), ABAVr-Accademia di Belle Arti (Verona), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino), Poëziezomers – Kunstzomers (Watou), Spazio Oberdan (Milano), Angelos Jan Fabre (Anversa). I suoi testi sono apparsi su cataloghi e giornali di settore. 5


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I maltrattamenti silenziosi di Patrizia Rapposelli

IO NON TI DENUNCIO

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fregiata dall’acido, ancora picchiata fino a ridurla in fin di vita, minacce e reclusioni domestiche, sono i casi recenti di donne vittime di un assoggettamento fisico e psicologico all’interno di una relazione sentimentale. Donne uccise o private di dignità fisica e psicologica dal partner o dall’ex partner, conclusioni di un gioco che nel tempo vede al suo interno una maturazione: campanelli dall’allarme che nascondono un presagio. Tema che nell’ultimo tempo sembra uscire dal silenzio ovattato di quelle cronache che hanno dato spazio ad altro, ma che da secoli vedono la donna preda di un’ideologia di matrice patriarcale improntata sul possesso. Oggi se ne parla maggiormente in quanto si è assistito ad una vera e propria escalation della violenza di genere; la pubblicazione dei dati Istat a riguardo è allarmante, come sono incisivi i numeri, i quali raccontano che solo il 7% delle donne ha il coraggio di denunciare una violenza, mentre oltre la metà 52,7% non riesce a farlo. Perché quei campanelli d’allarme, indici di una relazione “malata” non vengono ascoltati e meglio ancora nei casi specifici non sfociano nella denuncia? Minacce, soprusi e sottomissioni

non denunciati. La banalità della risposta comune non tiene conto dello sforzo psichico necessario a sottrarsi da una situazione di questo genere; infatti a dispetto dell’opinione pubblica e dei media, gli studi oscillano tra spiegazioni di carattere psicologico e sociale-culturale. Denuncia vuol dire rendere inevitabilmente pubblica una situazione d’impotenza cui la donna sta vivendo: l’umiliazione e la vergogna provata per se stessa e la condizione vissuta scontra con il giudizio sociale facile. Capire le motivazioni che portano la vittima ad “accettare” silente è improbabile, ogni caso è a sé, giocano una serie di multi fattori che toccano la persona nella sua totalità, tenendo presente anche il contesto socioculturale vissuto. Capire i meccanismi che si insinuano in una donna maltrattata è complesso, teniamo presente che nella maggior parte dei casi già la relazione di coppia di partenza si dice patologica, ossia ci sono degli input che sfociano in una relazione affettiva borderline, di dipendenza o malata che creano un rapporto disfunzionale, non positivo; in queste situazioni si perde l’oggettività e si tende a sminuire quanto accade. Uno schiaffo, una gelosia esasperata, l’imposizione di pratiche sessuali inde-

siderate, l’abuso verbale, l’idea di un potere sbilanciato nel maschio alfa, sono esempi di quei campanelli, quegli input che lavorano nello spirito e nella mente del partner coinvolto, comportandone delle conseguenze. Tralasciando l’idea del non sentirsi abbastanza tutelati dalla giustizia, sono pochi i casi che si concludono con l’assegnazione di una responsabilità penale a carico del maltrattante, questa è un’altra prospettiva d’analisi, sarebbero le ricadute che tali effetti avrebbero sulla donna a motivarci la non scelta della denuncia. La spirale della violenza vede l’uomo violento raggiungere il suo scopo di sottomissione della donna facendola sentire incapace, debole, impotente, totalmente dipendente da lui:” senza di me non sei nessuno”; possiamo capire come ciò vada a condizionare l’essere di una persona, parliamo di annullamento della stessa. L’aspetto caratteristico della violenza nella relazione, che non si trova in nessun altro tipo di crimine, è l’intimo rapporto tra la vittima e il reo; in una coppia ognuno permette all’altro di arrivare fin dove lo autorizza, qualunque dinamica, nasce, vive e si alimenta con il contributo di entrambi.

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Ieri avvenne di Waimer Perinelli

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l corpo era nel portabagagli di una vettura Renault 4, rannicchiato con le le ginocchia verso il petto, come stanno seduti nel grembo materno i bimbi nascenti, ma era il corpo di un uomo di 61 anni; il suo nome Aldo Moro. Aldo Maria Luigi Moro era nato in Puglia, a Maglie, il 23 settembre del 1916 e in quel tragico 9 maggio del 1978 era il presidente della Democrazia Cristiana il partito di maggioranza relativa del Parlamento italiano, di cui era stato fondatore e rappresentante nella Costituente, poi segretario nel 1959. Un politico autorevole, colui che aveva ideato l'assurdo geometrico delle parallele convergenti giustificando la capriola con doppio salto in avanti per legare il partito Comunista Italiano al Governo della nazione e alla DC. Un salto mortale almeno per lui, visto

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che, una delle poche cose certe sulla sua morte è che venne assassinato per impedire, rallentare, frenare, il nascente governo, uno dei tanti, di Giulio Andreotti, nel quale entravano per la prima volta nella storia italiana i comunisti, guidati da Enrico Berlinguer. Era chiamato Compromesso Storico e rispondeva alle alla grave situazione socio-economica dell'Italia. Evidentemente a qualcuno non piaceva e il 16 marzo del 1968, lo stesso giorno in cui Andreotti avrebbe presentato al Parlamento i sui prescelti, l'auto che trasportava Aldo Moro dall'abitazione a Palazzo Montecitorio, fu intercettata da un nucleo armato, chiamato Brigate Rosse, che a colpi di mitraglietta, uccise due carabinieri, tre poliziotti di scorta per rapire il presidente della DC. Chi erano veramente le brigate rosse probabilmente non lo sapremo mai,

forse direbbe John Le Carrè non lo sapevano nemmeno i membri;di certo sappiamo che a Trento si formò all'inizio degli anni 70 del 900 un gruppetto di estremisti rivoluzionari che trovarono a Milano l'humus e terreno per crescere e poi altrove, a Roma e stati stranieri, soldi e complicità. Fino a quel 1978 avevano sparato a destra, al centro, anche a sinistra, mica tutta la sinistra è buona, poi dopo il rapimento di Moro e la sua uccisione, qualcuno decise che non servivano più e, in poco tempo, lo Stato li imprigionò o costrinse alla fuga. Nel frattempo, il 5 giugno del 1975, la trentina Margherita Cagol, nome di battaglia Mara, annoverata tra i fondatori delle BR, era stata uccisa in un scontro a fuoco con i carabinieri. Ma torniamo al rapimento di Moro e alla sua prigionia. In un carcere segreto rimase per 55 giorni. Venne istituito un


Ieri avvenne

tribunale del popolo e subì un processo politico. Aldo Moro si difese e più o meno volontariamente scrisse molte lettere, alla famiglia, al governo agli amici di partito. Supplicava lo Stato di aprirsi al dialogo con i brigatisti anche a costo di accettarne le rivendicazioni (per la liberazione chiedevano il rilascio di alcuni terroristi detenuti). Il 19 aprile scrisse al segretario della DC Benigno Zaccagnini , lanciando presagire il peggio: “Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul paese…”. Il messaggio non fu ascoltato, il processo celebrato, la condanna emessa. L’ultimo comunicato dei terroristi, il numero nove, arrivò il 5 maggio. Annunciava la conclusione del processo popolare a carico dello statista: “Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza”. Moro, con la scusa di un cambio di prigione, fu fatto accovacciare nel bagagliaio della vettura, poi gli fu gettata addosso una coperta e gli spararono 12 colpi

di arma da fuoco. Egli sapeva della condanna e scrisse alla moglie : “Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunse incomprensibilmente l’ordine di esecuzione”. Quattro giorni dopo il suo corpo sarà ritrovato a via Caetani. Una strada scelta con cura: situata ad identica distanza di 150 metri, dalle sedi del Pci e della Dc. Lo Stato rinnova ogni anno il ricordo dei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, la morte della sua scorta e le altre vittime del terrorismo e delle stragi sui cui autori e motivazioni la verità non è ancora completamente emersa. Lo ha detto anche quest'anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha constatato il fallimento del progetto eversivo e ha aggiunto: ".. ci sono ancora ombre, spazi oscuri, complicità, non pienamente chiarite, l’esigenza di completa verità è molto sentita dai familiari. Ma è anche un’esigenza fondamentale per la Repubblica." D'altra parte com'è stato più volte ricordato, s'indaga in un universo magmatico, di movimenti politici, di intrecci malavitosi che superarono fatalmente i confini con ruoli, mai fino in fondo chiariti, di alcuni apparati dello Stato. E non solo di quello italiano. Nel 2008, le tesi di un coinvolgimento degli Stati Uniti, furono avvalorate dalle confessioni di un ex funzionario di Wha-

shington, Steve Pieczenik, che lavorò agli ordini dei segretari di stato Henry Kissinger, Cyrus Vance e James Baker. L’uomo raccontò alla stampa americana di aver partecipato al sabotaggio dei negoziati con le Br, affermando come l’idea fosse di “sacrificare Aldo Moro per il mantenimento della stabilità politica in Italia”. Il Pontefice, Paolo VI, amico intimo del politico della Democrazia Cristiana, si rivolse a Dio con parole molto forti: ..." Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico, disse, ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita." Nel frattempo la giustizia umana ha lentamente, com'è consuetudine proseguito il cammino e a partire da quel 9 maggio, apogeo di una guerra civile strisciante, furono arrestati, processati e condannati alcune decine di brigatisti. Fra tutti Mario Moretti, all'epoca capo dell'organizzazione. I giudici hanno inflitto complessivamente 32 ergastoli e 316 anni di carcere.

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Bambine, fede e religione di Franco Zadra

Nel CUORE delle BAMBINE di Kabul Contro i Talebani di Kabul che hanno decretato per le donne il divieto di lavoro, tranne che per mansioni che non possono essere svolte da uomini, che impongono l'esclusione delle bambine dalle scuole superiori, inseguendo un progetto criminale che vuole le donne cancellate dalla storia, invisibili, ignoranti e sottomesse, non si protesta solo nelle piazze. Ho la pretesa di farlo anche raccontando un fatto insignificante, del tutto invisibile alla cronaca giornalistica, occorso a una bambina di 10 anni, non a Kabul, ma proprio qui dalle nostre parti.

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n fatto del quale all'occorrenza saprei fornire tutte le “pezze d'appoggio” sufficienti a suffragarne la veridicità, corrispondendo completamente a tutti i canoni giornalistici, ma che nell'immediata lettura potrà apparire forse per ciò che non è, fantasioso e apologetico. Un fatto della cui concretezza testimonio in prima persona e dalla veridicità verificata e verificabile, ma per ovvi motivi solo in seconda istanza. È accaduto a una mia vecchia amica che si accompagnava con la nipote decenne, Victoria, per una visita a una chiesa delle nostre, un pomeriggio di alcuni giorni or sono. Accolte dalla penombra dell'edificio sacro dov'erano entrate per una breve sosta di preghiera, la mia amica disse subito alla nipote: «È vuota! Non c'è nessuno!». Capita di solito che sia il vuoto la prima cosa che ci colpisce, della quale ci sorprendiamo nell'istante che ci incontra. Capita anche

se siamo “religiosi” e il nostro vecchio sguardo cerca ancora un Volto nella notte. Ma Victoria ebbe subito a ribadire, con una luce brillante negli occhi: «Non vedi nonna? È piena! È piena dell'amore di Dio!». Che cosa è accaduto? Perché lo racconto? Quando la mia amica mi disse di questo fatto, un senso di meraviglia mi riempì e mi complimentai con lei per la risposta della nipote. Poi, forse per il solito vizio che mi accompagna, di collegare i fatti, mi ricordai di quella preghiera che la Tradizione ci conserva, “Angelus Domini”, che coglie il nucleo pulsante dell'annuncio a Maria, con la quale possiamo partecipare di quell'abbandono al Mistero rappresentato dal “fiat” con cui Lei esprime la sua fede. «Nell'intimità impenetrabile di questo gesto di libera accettazione – scrive don Luigi Giussani – sta la chiave di volta per il misterioso incontro di Dio e di Maria, e la misura gigantesca di questa Donna «benedetta tra tutte», di questa viandante vittoriosa dell'umano cammino. Quale libertà ha avuto Maria di fronte al «fuori norma» assoluto che le stava accadendo, da cui è dipeso il destino di tutto il mondo!». Una bambina di 10 anni, in un contesto

del tutto diverso da quello delle bambine di Kabul, ma con lo stesso cuore, gli stessi desideri di fondo, vede il pieno dove la nonna, come accade alla maggior parte di noi, vedeva il vuoto. E nello spazio di un soffio ha incontrato Dio. Collegando i fatti, mi ritrovo solidale con il mio collega, l'Evangelista Luca, che riporta un fatto della medesima concretezza di questo, accaduto duemila anni fa, che si ripropone oggi ai miei occhi di giornalista, per mostrare come sia possibile e credibile anche ciò che è accaduto alla Madonna, poiché si ripete in tutti i rapporti che fissano la trama della vita degli uomini e la trama che è dentro la storia, cioè la storia di Dio dentro la storia del mondo. Che cos'è la fede se non proprio quella forza piena di attenzione con cui l'anima aderisce al segno di cui Dio si è servito, e sta a questo segno con fedeltà, nonostante tutto? Niente a che vedere con le violenze talebane! Comprensibile però a un cuore di bambina. Non dimentichiamo le bambine di Kabul, come Maria, dopo che “l'Angelo partì da Lei”, rischiano quella solitudine, anche psicologica, nella quale si è trovata, nelle condizioni nuove nelle quali il Signore l'aveva messa, con tutti gli altri ignari e con il niente cui appoggiarsi, senza alcuna apparente motivazione se non la lealtà con il ricordo di un incontro.

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Cronache italiane di Armando Munaò

Gli STUPRI e le VIOLENZE in ITALIA In questi ultimi tempi le cronache dei giornali evidenziano, a chiare lettere, non solo le violenze, ma anche il numero degli stupri che quotidianamente colpiscono le donne, siano esse italiane che straniere. La violenza non ha nazionalità perché, come ha sottolineato la presidente del Telefono Rosa, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, «non è corretto fare una differenza di cittadinanza, ma tutti noi dobbiamo preoccuparci, visto che sta passando un messaggio tremendo di impunità”. Gli stupri in Italia, sono all’ordine del giorno e, purtroppo, sempre di più coinvolgono e interessano anche ragazze giovani e giovanissime in molte le regioni italiane. L’Associazione Giovanni XXIII precisa che il totale delle violenze che colpiscono le donne sono così suddivise: 56% violenze sessuali, 32% violenze fisiche, 12% violenze psichiche.

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econdo i dati di Istat e Viminale il problema è serio e potrebbe essere molto più grave tenendo conto del sommerso. Molti casi, infatti, non vengono denunciati, soprattutto quelli che avvengono in famiglia o ai danni di donne straniere. Sempre secondo i numeri delle statistiche sembrerebbe che i nostri connazionali siano i maggiori artefici delle violenze. Di fatto, però, non è così perché le cifre di cui sopra non disegnano la vera situazione in quanto le percentuali dovrebbe essere rapportate al numero di cittadini presenti sul territorio.

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Nel 2020 si è registrata una denuncia per violenza sessuale ogni 130 minuti. Una media quotidiana di 11 tra stupri e abusi, segnalati da donne che hanno avuto il coraggio (perché spesso è proprio necessario utilizzare questa parola) di raccontare questa orribile esperienza. In totale, si contano più di 300 fascicoli nuovi al mese. Numeri che sintetizzano le storie e i drammi centinaia donne, in prevalenza giovani e ragazze, come racconta l’Osservatorio dei Diritti: “Da gennaio ad aprile 2021 sono stati denunciati o scoperti 135 casi di atti sessuali con minorenni (contro i 137 del primo quadrimestre 2020, bisestile, con una differenza dell’1%), 885 violenze sessuali “semplici” (erano 905, con un calo del 2%), 254 vio-

lenze sessuali aggravate (contro 229, quindi con un aumento dell’11%), 11 violenze sessuali commesse in istituti d’istruzione e formazione (contro 13 del gennaio-aprile 2020, pari a -15%) e 19 violenze sessuali di gruppo (contro 16, con una crescita del 19%), per un totale di 1.304 reati legati alla sfera più intima delle persone offese”. Numeri che tuttavia comprendono anche i giovanissimi, ovvero i minorenni. Prosegue il sopra citato Osservatorio dei Diritti: “Sono passate da 794 a 834 (+5%) le denunce per adescamento di minorenni. I casi noti di pornografia minorile sono lievitati da 511 a 615 (+20%). I maltrattamenti contro familiari e conviventi sono saliti da 20.850 a 21.396 (+3%), sempre dal 2019 al 2020”. Ma chi sono le vittime più frequenti? L’incidenza delle donne al di sotto dei diciotto anni supera il 70% per svariati reati monitorati, mentre addirittura raggiunge l’80% per le violenze sessuali di ogni tipologia. Spaventoso inoltre il dato che riguarda gli stupri di gruppo, che nel 2020 ha raggiunto il 93% dei casi, contro l’88% del 2019. Ancora, bambine e ragazze: nel primo quadrimestre del 2021 queste ultime


Cronache italiane rappresentano il 100% delle vittime di due o più stupratori (furono l’88% nello stesso quadrimestre 2019). Un ultimo sguardo va rivolto agli autori di simili azioni: l’87% degli indagati è di genere maschile, mentre solo il restante 13% di genere femminile. Infine, l’Osservatorio dei Diritti conclude: “La nazionalità predominante è quella italiana (72%, contro il 28% di quella non italiana). Gli under 18 sono il 2% dei presunti responsabili e gli over 65 il 22%. La fascia d’età 18-24 corrisponde al 9% delle persone sotto inchiesta, i 25-34enni sono il 22%, i 35-44enni il 31% e i 45-64enni il 22 per cento”. L’Istat in uno dei suoi ultimi rapporti evidenzia anche che nel nostro paese gli abusi di carattere sessuale sono un numero impressionante: 1 milione e mezzo di donne avrebbe subito una violenza sessuale nel corso della vita

tra stupri e tentati stupri. Sarebbero cioè 700mila circa le donne vittime di stupro, e 820 mila quelle che hanno subito un tentativo. L’Istat, purtroppo ci dice anche che il fenomeno delle violenze ha di fatto dimensioni molto più grandi perché solo il 7% degli stupri e delle violenze viene denunciato. Molte le donne che hanno paura e molte non dichiarano la violenza perché il fatto si verifica all’interno delle mura domestiche e avvengono per opera del compagno, del fidanzato, o del partner, o persona conosciuta. A tal proposito i dati

ci dicono che di abusi nell’ambito familiare interessano circa Il 37,6% tra mogli o compagne che avrebbero riportato ferite o lesioni e che il 22% sarebbe destinatario di angherie e maltrattamenti.

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Le violenze sui minori di Patrizia Rapposelli

Stato di emergenza

I bambini di cui non si parla

L

o stato perenne di emergenza ha posto l’attenzione su temi ormai triti e ritriti. Oggi si parla di vaccinazioni, di prof no pass, dei guariti non vaccinati discriminati, della pressione sul cittadino medio e la piccola impresa. E molto di più. Conseguenze di una pandemia che sembra non avere fine sotto molti punti di vista. Poco spazio è stato dedicato ad un altro aspetto in tempo di Covid. È un anno segnato dall’incremento della violenza sui minori e della pedopornografia in rete. Il report del Servizio analisi criminale mostra come nel 2021 sono aumentati i reati di adescamento di minorenni (più 18 per cento), di violenza sessuale aggravata (più 11 per cento) e di violenza sessuale di gruppo (più 19 per cento). Drammatiche sorprese. Aumentano i reati consumati sulla pelle dei più piccoli. E, nel Paese dell’emergenza, si scopre che nell’ultimo biennio, tra i minori maggiormente colpiti ci sono le bambine. Purtroppo, si parla di 11 abusi sessuali al mese, 5 sono online. Proprio così, nonostante l’anno di relazioni interrotte fisicamente anche, in alcuni momenti, con la scuola, il ridotto incontro con altre persone, se non nel perimetro domestico, ha fatto registrare dei picchi significativi. La complessità del fenomeno rende difficile la rilevazione ed emersione, contribuendo a renderlo un vero e proprio problema sociale. Pensiamo all’impatto sul benessere fisico, mentale e collettivo del minore. Nel 2020 l’OMS, sulla base di dati di circa 151 Paesi, ha calcolato che ogni anno nel mondo un miliardo di bambini è vittima di violenza. Numeri da riflessione. Piccoli tra i 2 e i 4 anni subisco punizioni violente da parte

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di genitori e ricordiamolo, uno su quattro assiste alle brutalità inflitte alla madre dal partner. È un grave e diffuso problema collettivo, sebbene poco conosciuto e scarsamente segnalato. Il fatto che milioni di minori sono stati costretti a rimanere chiusi in casa per un lungo periodo, ha drasticamente ristretto la cerchia di relazioni in contesti extrafamiliari, ha determinato da un lato l’aumento degli abusi (dalle violenze, ai maltrattamenti, alla trascuratezza) tra le mura domestica e dall’altra un accrescimento degli adescamenti online. Soffermandoci su quest’ultimo aspetto e confrontando i dati del 2019 con il 2020 emergono cifre inquietanti. Il numero dei video è più che raddoppiato, per capire, da 992.300 a 2.032.556, le chat sono aumentate da 323 a 456, così come le cartelle compresse da 325 a 692 e i link monitorati da 8.489 a 14.521. Oltre internet di superfice, il problema

comprende anche il deep web e il dark web (la parte più grande di internet che non viene indicizzata nei motori di ricerca). E per parlare di un mondo vicino al nostro, anche gruppi di WhatsApp e Telegram. Ci vorrebbe forse più responsabilità da parte degli internet provider, degli amministratori dei siti e delle piattaforme di file-sharing, o più in generale sulla libertà della rete. Chi controlla però i minori connessi e abbandonati online? E dall’altra parte, i servizi di prevenzione e contrasto della violenza minorile hanno subito forti interruzioni durante questa emergenza sanitaria, esponendo i minori a un maggior rischio in determinati contesti familiari. Le chiusure scolastiche in corso e le restrizioni di movimento hanno lasciato molti bambini bloccati in casa, alla mercé di soggetti abusanti e sempre più frustati. Una pandemia dall’impatto devastante davvero su più fronti sociali.


I nostri artisti di Gabriele Biancardi

DANIELE GROFF E LA MUSICA

IL SOGNO CHE CONTINUA

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ono legato a Daniele Groff, tanto, fu grazie alla mia complicità che ebbi modo di fargli consegnare brevi manus Gianni Morandi la sua “cassetta”. Morandi, che è tutto tranne che impreparato, capì che il ragazzo aveva enormi potenzialità. Ma Daniele è stato artefice del suo successo. Effimero? Breve? Dipende da quale chiave di lettura si preferisce aprire il fascicolo che lo riguarda. Oramai il ragazzino si è fatto uomo e anche padre. A pensare che è vicino ai cinquanta anni, fa un pochino impressione. A Daniele non è mai mancato il coraggio, lo stesso che lo portò a girare prima Parigi e poi Londra, forte di un diploma al conservatorio in pianoforte, sì sa suonare, senza contare che suona abilmente chitarra, oboe e violoncello. La sua preparazione gli è servita nel comporre e nello stare a proprio agio su un palco suonando. Erano gli anni 90, dove il brit pop la faceva da padrone. Oasis in testa e lui non ha mai nascosto questa sua inclinazione. Daniele è una bella persona, lo dico sinceramente e credo che abbia avuto meno di quanto lui abbia dato a questo lavoro che può regalare momenti meravigliosi e crisi depressive subito dopo. Ricordo come un vecchio alpino, l'emozione di trovarmelo davanti al festival di Sanremo nel 1999 con “Adesso”, sembravamo due italiani che si trovano all'altro capo del mondo. Se andate a sbirciare sulla sua storia wikipediana, vi accorgerete che i nomi che hanno collaborato alla sua carriera sono tanti e importanti. Ma allora, cosa è successo? Perché non lo vediamo più in televisione? Non gli è mai mancato nemmeno il fisique du

role per poter apparire. Lo spessore dei suoi testi è innegabile. Magari non ha la voce di Bocelli, ma questo è un altro discorso che magari affronteremo. Daniele semplicemente ha perso qualche treno. Magari non ha saputo approfittare del momento magico, magari non voleva scendere a compromessi (come i Bastard, altri trentini doc), o semplicemente hanno deciso che non era più “spendibile”. Vuoi che non ha mai attizzato la voyeristica nazionale che vede Barbara D'Urso fiera conduttrice di polemiche e scandali, vuoi che magari ha attraversato un periodo di appannamento artistico. Fare un brano che scali le classifiche, magari non è nemmeno difficile, continuare a inanellare successi, è davvero una impresa, che spesso non è nemmeno collegata alle doti e capacità dell'artista. Oggi un cantautore, categoria vilipesa a quanto pare dalle nuove generazioni, ha vita difficile. Forse Daniele è apparso in un periodo storico artistico sbagliato, non si può nemmeno dire che le sue canzoni siano calate di intensità, anzi, gli ultimi due singoli del 2015 “Bellissima la verità” e del 2016 “Sempre nella mia testa”, sono di ottima fattura. Ricordo che pure Lucio Dalla ha lavorato con lui. Daniele suona ancora ovviamente, serate, convention, ma credo che non sia facile per lui. Fortunatamente ha la pelle spessa e disincantata. Ma se vostro figlio venisse a dirvi che da grande vuole fare l'artista. Come la prendereste? Io credo che i sogni vadano seguiti, sarebbe orrendo perdere le emozioni di un artista, solo perché gli è stato impedito di esprimersi. Non avendo figli non posso capire la

grande responsabilità di essere padre e quindi di offrire il meglio per la progenie. Chiaro che è un cammino erto e veramente difficile da fare. Oggi le meteore da classifica sono più numerose delle stelle cadenti nella notte di San Lorenzo. Ma non perdiamoci d'animo! Non possiamo fare a meno di arte, di poesia, di musica. Senza saremmo tutti più poveri. Daniele ha scelto di continuare sui palchi di tutta Italia. Esiste un posto dove bluffare non si può, dove se non sei preparato fai figure meschine. Il palco. E su questo, Daniele non è secondo a nessuno tant'è che se segui i suoi social, ti accorgi che ha date, certo, non lo vediamo all'arena, ma nemmeno al “grande fratello vip”. Per lui la musica è una cosa seria, da trattare con rispetto e amore, oggi le teenager che sognavano con “Daisy” sono grandicelle, ma se ascoltano ancora questa canzone, è perché evidentemente ha saputo entrare nei cuori. Io aspetto sempre suo materiale nuovo, non sono schiavo delle mode, sono schiavo delle produzioni oneste. In questo, e non solo, Daniele è in testa.

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USA: 11 settembre 2001 di Francesca Gottardi

Vent’anni dal giorno che ha cambiato l’America

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lle 9 del mattino dell’11 settembre 2001 due aerei dirottati nel cielo di Manhattan colpivano le iconiche Torri Gemelle nel cuore di New York. Un terzo aereo colpisce il Pentagono. Il Volo 93, che si pensa fosse diretto alla Casa Bianca o al Campidoglio, si schianta invece in Pennsylvania dopo che i passeggeri si ribellano ai dirottatori. Quello dell’11 settembre è il primo attacco terroristico di tali proporzioni sul suolo americano. Responsabili sono 19 terroristi di Al Qaeda. Sono quasi 3000 le vittime di quel tragico giorno, 6000 i feriti. Questo senza contare le 2000 persone che si stima siano decedute negli ultimi 20 anni a seguito delle conseguenze derivanti dall’inspirazione di polveri tossiche disseminate dall’attacco e dal crollo delle Torri, quali tumori e problemi respiratori. L’attacco alle Torri Gemelle non ha avuto solo immense conseguenze nell’immediato, con centinaia di fami-

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glie per sempre segnate dalla perdita di un loro caro. A seguito degli attacchi terroristici gli Stati Uniti sancirono una vera e propria guerra al terrorismo jihadista. Gli USA iniziarono dapprima un conflitto in Afghanistan e poi in Iraq, accusandoli di aver aiutato i militanti di Al Qaeda. Tali conflitti hanno contribuito ad aumentare l’instabilità geopolitica della regione ed alcuni ritengono che l’invasione abbia incentivato il nascere di nuovi gruppi terroristici. A livello domestico, a seguito degli attacchi gli USA hanno introdotto leggi severissime in materia di terrorismo ed immigrazione. Oggi emigrare e viaggiare negli USA significa passare attraverso un laborioso screening fisico e burocratico prima di poter varcare il confine. Il trattamento da parte delle autorità USA di individui sospetti di esser coinvolti in atti di terrorismo è stato ampiamente criticato da

varie organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. Per esempio, controversa fu la pratica interrogatoria del waterboarding (annegamento simulato), in seguito bandita. In occasione del ventesimo anniversario si sono svolte numerose cerimonie commemorative, tra cui nel luogo dove un giorno sorgevano le Torri, al Pentagono e presso il sito dello schianto del Volo 93. Delle Torri oggi rimangono due ampie fontane nere che tracciano il perimetro dove un tempo sorgevano gli edifici. Il luogo è stato chiamato “Ground Zero” ovvero punto di impatto. Il Presidente Americano Biden ha presenziato alla cerimonia, assieme alla First Lady Jill Biden ed agli ex presidenti Barack Obama e Bill Clinton. Assente l’ex presidente Donald Trump, che non ha preso parte a nessuna cerimonia ufficiale ma che ha visitato Ground Zero in privato. Le cerimonie sono iniziate con l’inno USA, seguite da momenti di silenzio in corrispondenza dell’ora degli attentati e del crollo delle Torri. I parenti delle


USA: 11 settembre 2001 vittime hanno poi ricordato i loro cari elencandone i nomi. È impossibile dimenticare. A distanza di 20 anni il ricordo di quel fatidico giorno è ancora vivido: tra le 8:46 e le 10:27 dell’11 settembre 2001 l’occidente fu messo in ginocchio in meno di due ore. Molti dei passeggeri sugli aerei dirottati hanno lasciato diretta testimonianza dei loro ultimi minuti prima dei fatali schianti. “Stanno accoltellando le mie colleghe davanti ai miei occhi”, dice disperata una hostess in una chiamata al suo supervisore. Un passeggero lascia un messaggio vocale ai suoi cari: “L’aereo è sotto il controllo di persone armate di bombe, ci stanno dirottando, vi voglio bene.” Barbara Olson, a bordo di uno degli aerei, chiama il marito descrivendo come i dirottatori, armati, stessero costringendo i passeggeri a spostarsi verso il fondo dell’aereomobile. Gli chiede dispera-

tamente: “cosa devo fare?” Poi lo schianto. Quando Sean Rooney, che lavorava in una delle Torri, chiamò la moglie Beverly Eckert lei subito gli chiese dove si trovasse. Sean rispose “al 105 piano.” Beverly sapeva che Sean non sarebbe mai tornato a casa. “C’era un edificio in fiamme sotto di lui, ma Sean non perse mai la compostezza; neanche quando tutto attorno a lui c’era fumo e le finestre attorno a lui erano talmente calde che non si potevano nemmeno toccare. Avevamo smesso di parlare di vie di fuga. Sean mi ha disse di dire alla sua famiglia che gli

voleva bene, e poi abbiamo iniziato a parlare di tutta la felicità che abbiamo condiviso, di quanto siamo stati fortunati ad avere l'altro. […] Alla fine, mentre il fumo diventava più denso, Sean continuava a sussurrare, “Ti amo”. Poi, all’improvviso, ho sentito per telefono l’edificio crollare con l’assordante suono di una valanga.

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A parere mio di Cesare Scotoni

Occidente, Popolo e Scienza NON FACCIAMOCI RUBARE LE PAROLE

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on un certo dolore ci siamo abituati negli anni al progressivo scolorire del Significato riferito a fin troppo importanti Significanti senza renderci conto che l’equivoco semantico rappresenta una forma di sopruso. Anzi, prima da parte dei fin troppo diffusi “maghi della Comunicazione” ed infine nell’uso delle parole sui media mainstream, abbiamo assistito ad un autentico scippo dei Significati, a danno della Verità e della Creatività che sono proprio nella Parola per antichissima

Tradizione. Spesso la pretesa del “neologismo” veicola l’inganno, basti ricordare come il negare l’evidenza della Prima Diversità (quella genetica, racchiusa nei cromosomi) fosse inizialmente veicolata come un “Rifiuto del Diverso” da parte di chi la sottolineava. Ora invece essa veste come “Orgoglio dell’Ambiguità”, ma resta nei fatti un rifiuto di quella diversità. Questa pratica, riconducibile forse ad una forma di dialettica, è divenuta Prassi ed ora permette di ridurre le Parole a Brand, sfruttando quell’attributo evocativo che artiglia comunque chi ascolta all’antico Significato per mistificare il Senso delle cose e la loro Verità. Pensiamo ad alcune parole, poche visto

lo spazio che abbiamo. Ad esempio: OCCIDENTE, POPOLO, SCIENZA. Parole che forse oggi meritano affetto per come sono bistrattate. L’Occidente è quello della tradizione greca della Polis e della Democrazia? O lo è quello, più lontano dai venti dell’Asia e che ci riporta alla tradizione di quella Repubblica Romana pre Imperiale e dell’Urbe universalistica cui si ispirarono i Padri Fondatori d’oltre Atlantico? La Siria dei cristiani è alle radici dell’Europa Cristiana? Il Rinascimento di quel “Particulare” che diviene Universale ne è parte essenziale? Il Corso Modernizzatore era Occidente nella sua avventura verso le steppe zariste? La Vienna degli Asburgo che perse la sfida con la Prussia e poi la Prima Guerra Mondiale era dunque Occidente? Cosa c’è di tutto quello nelle avventure della NATO in medio Oriente? Sono gli USA che han tradito la loro Costituzione e l’Occidente nel 1915 o è l’idea universalistica dell’Impero il connotato dell’Occidente nella Storia di cui quelli sono i custodi? Non sono domande oziose, l’Unione

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A parere mio Europea voleva essere Occidente e non fu capace di darsi una Costituzione. Ci han scippato un’Idea o forse l’abbiamo regalata all’anglosassone per un piatto di lenticchie? Il saper definire quel Significato ed il condividerlo, mai come oggi è urgente, per capire se l’Occidente sta nell’antica ambizione di un’Europa dall’Atlantico agli Urali o se ha cambiato casa nel 1915. O se la casa è una o magari è più di una. E di conseguenza capire come ricongiungere significato e significante, pena l’eterno equivoco su Ruolo e Responsabilità che ci si assume usando le Parole. Popolo pure merita più attenzione. Rappresenta chi accetta l’esistenza di un Potere sovra ordinato, cui deve riconoscere Legittimità. Per millenni il il popolo era la cifra di Regni, Repubblica ed Imperi. Dal Senatus PopulusQue Romani, al popolo dei Comuni e delle Rivoluzioni a quello dei partiti popolari esso è stato

sempre a fianco del potere. Legittimava il potere. Oggi qualcuno che finge essere elites pensa di governare facendone a meno. In nome di chi nega l’esigenza di dare al Potere quella Legittimità senza la quale esso si riduce a sopruso. Ed è la seconda volta che SOPRUSO emerge in questo appunto. E non può essere un caso. Scienza un termine importante, difeso nella Storia dal Potere come Parte del Dogma, come Conoscenza Fondante e traduzione di un disegno cosmogonico nella realtà dell’esistenza e che con Bacone e Galileo si fa metodo e verifica ed apre la porta alla Modernità. Mai ci è toccato come in questi ultimi 18 mesi veder trattare i 4 secoli di Storia e di

Progresso in cui abbiamo celebrato il Dubbio che del Metodo Scientifico è il Fondamento, come una parentesi da dimenticare. Da sacrificare nel Nome delle Verità Asserite su cui poi costruire un diverso bilanciamento di quei Poteri che il Popolo, in Occidente, ha voluto negli ultimi 250 anni, ricondurre a quei patti di Diritti e Doveri del Cittadino e degli Organi Statuali che ancora chiamiamo Costituzioni. E che l’Unione Europea dovrà pur darsi.

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Attualità di Nicola Maccagnan

UOMO, NATURA, AMBIENTE

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a passaggio obbligato a occasione di grandi opportunità: la sfida del cambiamento climatico raccontata dal professor Carlo Barbante, che ci dice: “Ogni giorno conta!”. Cinquantotto anni, feltrino “doc”, Carlo Barbante è direttore dell'Istituto di Scienze Polari del CNR e professore Ordinario all’Università di Venezia dove si occupa da anni di ricostruzioni climatiche ed ambientali e dello sviluppo di metodologie analitiche innovative in campo ambientale e biologico. Ha partecipato a numerose spedizioni e campagne di prelievo

in aree polari e nelle Alpi ed è coordinatore di progetti di ricerca nazionali ed internazionali, nonché autore di oltre 300 pubblicazioni in riviste scientifiche ad alto impatto. Docente di Earth’s Climate alla Ca’Foscari Harvard Summer School ha recentemente acquisito un prestigioso Advanced Grant dell’European Research Council per lo studio dell’impatto antropico sul clima in epoca pre-industriale. È stato professore distaccato presso l’Accademia Nazionale dei Lincei dal 2012 al 2014 ed è membro eletto e vicepresidente 21


Attualità

dell’Accademia delle Scienze detta dei XL e Segretario della Classe di Scienze dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti. È incluso nel top 2% degli autori scientifici internazionali come impatto in termini di citazioni scientifiche, secondo la classifica della Stanford University del 2019 di indicatori di citazione standardizzati. Professor Barbante, che cos’è per lei lo studio della terra e in particolare la climatologia (una professione certo, ma poi cos’altro: una passione, una missione,…)? Com’è nato questo amore? Un po' alla volta, ma credo di averlo avuto sempre dentro. Io mi sono laureato in chimica industriale e pensavo di fare sintesi di polimeri e di lavorare nel mondo delle materie plastiche, ma poi avvicinandomi sempre di più all'ambiente, camminando in montagna e pestando neve ho capito che i ghiacciai delle nostre montagne ci stavano letteralmente sparendo sotto i piedi e questo mi ha portato a ripensare il mio lavoro. Poi ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste al momento giusto e da lì è cominciata la mia attività. 22

Qual è l’evento o la manifestazione naturale che più l’ha stupita in questi anni di studio? Vedere la Groenlandia fondersi così rapidamente. Sorvolando la Groenlandia d’estate si vedono dei laghi enormi e dei fiumi che passano da un lago all’altro drenando l’acqua da bacini molto grandi. Una cosa del genere non si era mai vista; quest’anno nel centro della Groenlandia, a 3.200 metri di quota, è addirittura piovuto, un fenomeno fuori da ogni possibile previsione. Cambiamenti climatici, o forse meglio dire crisi climatica: perché alcuni ancora sembrano non voler rendersene conto e prenderne atto? E’ un falso problema, come sostiene qualcuno, o siamo realmente di fronte a un’emergenza mondiale? Ormai è acclarato che l'uomo è il solo responsabile, con l’emissione di gas serra, del riscaldamento globale: 1,2 gradi dall’epoca preindustriale è tantissimo, è quello che noi climatologi definiamo un cambiamento climatico repentino e che ha degli impatti sull’ambiente del nostro pianeta davvero molto, molto importanti. La crisi climatica è talvolta difficile da comunicare; parlo da

qualche anno di crisi climatica e non più di cambiamento climatico. Credo sia compito degli scienziati far capire la gravità della situazione e dei giornalisti e dei media comunicarla in maniera adeguata, perché quello che abbiamo davanti è davvero qualcosa di epocale. Gli Stati, in particolar modo occidentali, stanno facendo quanto è nelle loro possibilità (non solo a parole) o siamo alla solita “melina”? Ci sono delle prese di posizione molto importanti, gli stati occidentali sono molto “sul pezzo” da questo punto di vista; per quanto riguarda la riduzione delle emissioni abbiamo dei target importantissimi al 2050, con l’obiettivo di andare verso la neutralità carbonica. Certo è che la dinamica in atto è comunque molto preoccupante: nel 2015, quando fu siglato l’accordo di Parigi, l’anidride carbonica presente in atmosfera superò per la prima volta le 400 parti per milione; oggi, dopo solo sei anni, abbiamo toccato le 420 parti per milione. C’è contezza del problema, ma l’inerzia del sistema politico e decisionale è molto forte. Dovremo lavorare proprio su questo, sulla rapidità delle decisioni: ogni giorno conta! Il Green Deal europeo: sarà davvero una svolta epocale? Lanciato nel 2019, è sicuramente un processo molto importante, visto che coinvolgerà tutte le istituzioni europee (Parlamento, Consiglio, Commissione). Potenzialmente il primo continente mondiale a raggiungere la neutralità carbonica nel 2050 sarà proprio l’Europa. Un obiettivo molto impregnativo, visto che da qui al 2050 dovremo dimezzare ogni dieci anni le emissioni di gas serra e questo dovrà passare attraverso una transizione energetica molto spinta, che riguarderà anche i


Attualità centri storici e i trasporti. Tutto questo non è semplice e la Commissione europea istituirà un fondo ad hoc per sostenere i paesi, soprattutto dell’ex blocco sovietico, in cui il percorso è ancora all’inizio, come ad esempio la Polonia, dove l’80% dell’energia è ancora prodotta dal carbone. Che cosa possiamo fare noi, singoli e semplici cittadini, per contribuire a combattere i cambiamenti climatici con i nostri comportamenti di ogni giorno? E tutto questo può servire davvero? Assolutamente sì; ci sono comportamenti individuali importantissimi e semplicissimi. L’efficientamento energetico (sfruttando anche i sussidi oggi a disposizione per l’isolamento delle abitazioni), il passaggio a fonti energetiche rinnovabili e l’utilizzo dei mezzi pubblici sono pratiche virtuose assolutamente rilevanti per la battaglia in difesa del pianeta. Molto lo fa poi la Finanza, anche quella piccola, nel senso che gli investitori, ovvero le famiglie, dovrebbero indirizzarsi a Fondi e investimenti che non prevedono sovvenzioni al petrolio e alle energie fossili. Ci racconta un episodio divertente, e magari uno meno “simpatico”, delle sue campagne scientifiche nelle aree polari? Le due cose in verità coincidono. L'ultima volta che sono stato in Groenlandia, in un campo a 2.500 metri di quota in maniera del tutto inaspettata abbiamo avuto la visita di un orso polare. Un fatto singolare, visto che l’orso ha fatto oltre 600 chilometri per arrivare lì dalla costa e anche questo disorientamento delle specie animali è un segno tangibile del cambiamento climatico in atto. L’aspetto buffo sta nel modo con cui siamo comunque riusciti a gestire e vivere, anche con un sorriso, questa situazione potenzialmente pericolosa. Guardando al mondo attuale e alle sue dinamiche, che cosa le dà

maggior speranza per il futuro dei nostri figli e che cosa la preoccupa invece di più? Mi preoccupa molto l'inerzia della classe politica attuale a tutti i livelli; quello che mi dà maggior fiducia sono i giovani, che hanno compreso meglio di noi che la transizione in atto è veramente epocale. La mia, la nostra, generazione è la prima che lascia il pianeta peggiore di come lo ha trovato e questo dovrebbe farci riflettere molto, imporre ai nostri comportamenti un cambiamento radicale. Lei è stato, soprattutto in gioventù, anche un atleta di ottimo livello (rugby, sci, …). Che cosa le ha insegnato in particolare lo sport? Mi ha insegnato la perseveranza, mi ha insegnato che per raggiungere degli obiettivi serve dedizione e bisogna a volte anche imparare dalle sconfitte; lo sport è fatto di molte sconfitte e di qualche vittoria, una bella metafora della vita Che cosa c’è nella sua agenda di lavoro nei prossimi mesi? Nell'immediato sono di nuovo in

partenza per l'Antartide; stiamo effettuando una perforazione nel centro dell'Antartide che vorrebbe “coprire” il clima della terra nell’ultimo milione e mezzo di anni. Si tratta di un’impresa che mi impegnerà per i prossimi 5 anni, in parte con la presenza sul campo e in parte per lo studio e la ricerca; un grosso progetto europeo a guida italiana, di cui il nostro Paese deve essere molto orgoglioso e per il quale ci sono molte aspettative a livello internazionale. In conclusione, le chiedo un messaggio per i nostri lettori, soprattutto quelli più giovani, proprio in merito all’impegno che è oggi richiesto ad ognuno di noi per salvare il pianeta… E' una sfida e come tutte le sfide è difficile, ma offre anche grandi opportunità. Tutta la transizione energetica ed ecologica che stiamo vivendo ci può portare grandi novità anche sul piano del lavoro e delle nuove professioni, degli investimenti e dei ritorni economici. Un passaggio obbligato può così diventare anche una grande opportunità, soprattutto per le giovani generazioni.

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Uomo & società di Grazioso Piazza

Innovazione e sostenibilità

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lcuni mesi fa fu Akio Toyoda a smuovere il dibattito. Lui, numero uno di Toyota, era insospettabile nella veste di critico delle politiche pubbliche alla base del lancio espansivo del mercato delle auto elettriche. Più di recente un nuovo scossone è giunto da un’altra rilevante voce, quella di Carlos Tavares, rappresentante di spicco del mercato degli autoveicoli in quanto Amministratore Delegato di Stellantis. Il tema posto da entrambi coincide e riguarda la reale sostenibilità di una conversione globale dei mezzi circolanti in auto elettriche. Senza addentrarsi nella sussistenza o meno di una netta relazione causa/ effetto tra l’adozione della propulsione elettrica massiva e l’obiettivo di decarbonizzazione, aspetto toccato in 24

un precedente articolo, le osservazioni mosse da Tavares ci permettono qui di affrontare due ulteriori aspetti. Due sfaccettature del tema che assumono come spunto il mercato dell’auto elettrica, ma hanno una valenza certamente più generale. Il primo riguarda la valutazione su quanto sia opportuno che a guidare e indirizzare la ricerca industriale sia una scelta politica. L’introduzione di incentivi verso singole e specifiche tecnologie porta infatti i produttori a concentrarsi su quello specifico segmento di mercato e a distogliere o alleggerire l’attenzione verso le direzioni non sovvenzionate e quindi più impegnative nell’affrontare la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni. La conseguenza potrebbe essere quella di trascurare tecnologie che, se giunges-

sero a maturazione, potrebbero fornire risultati migliori rispetto agli obiettivi attesi. Insomma, l’indirizzo troppo esplicito e a suon di incentivi diretto alla sola propulsione elettrica ci può costare la perdita del vantaggio generato dalla concorrenza basata sulla ricerca di soluzioni con sguardi a 360 gradi. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza cerca così di correggere il tiro, affiancando alla spesa destinata ad incentivare l’elettrico anche quella diretta al mercato del combustibile a idrogeno. Un allargamento che può giovare, ma che rimane limitato rispetto a ciò che la ricerca industriale potrebbe produrre, come ampiamente dimostrato dall’evoluzione realizzatasi, in pochi anni, in altri settori. Il secondo aspetto, ancora più generale,


Uomo & società riguarda il significato da dare al termine sostenibilità, termine che anche qui è già stato usato. La condivisione di un concetto di approccio sostenibile alla produzione, alle infrastrutture, al futuro da costruire non sempre conduce a chiedersi cosa ciò debba significare e, di conseguenza, come debba realizzarsi tale sostenibilità. L’associazione più diffusa del termine porta a dargli una connotazione sostanzialmente ambientale: ciò che è sostenibile è rispettoso dell’ambiente. Vero, ma questo è sufficiente per caratterizzarne il significato? Il tema ha assunto un livello di attualità crescente negli ultimi anni, ma non è tanto giovane quanto molti ritengono. Nel 1972 l’introduzione del concetto di sviluppo sostenibile apparve in un rapporto dell’ONU, maturato poi, nel 1987, con una definizione, all’interno di quello che è noto come Rapporto Brundtland, “Our common future”, ove si chiariva cosa si intendesse per sviluppo sostenibile: “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Uno sviluppo che non è “una definitiva condizione di armonia, ma piuttosto un processo di cambiamento”, non una situazione statica, ma un processo dinamico, variabile nel tempo. Infatti, “Il concetto di sviluppo sostenibile comporta limiti, ma non assoluti, bensì imposti dall'attuale stato della

tecnologia e dell'organizzazione sociale alle risorse economiche e dalla capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane”. Quale connessione esiste tra le esternazioni di Tavares e le definizioni del Rapporto Brundtland? Taluni dei dubbi espressi dal CEO di Stellantis si indirizzavano appunto alla soddisfazione del concetto di sostenibilità come non connesso esclusivamente agli aspetti ambientali, ma anche economici e sociali. I mezzi puramente elettrici, senza negarne i potenziali benefici sul fronte ambientale, risultano ancora molto più costosi, a parità di categoria del mezzo, di quelli con motore a combustione, condizione che li porta, anche al netto degli incentivi, a non risultare accessibili alla globalità del ceto medio, ma più indirizzati a determinate componenti sociali. Altrettanto, un forzato cambiamento del mercato va inevitabilmente a determinare potenziali crisi da parte di aziende operanti sul mercato “storico”, che si troveranno a competere in ambienti in cui i

margini di guadagno sono più limitati, con conseguenze non trascurabili su lavoratori e sull’indotto. Crisi che dovranno fare i conti con la carenza di quelle materie prime che le auto elettriche usano in modo più intenso rispetto a quelle classiche. Ciò che riguarda tutti noi, aldilà del tema usato quale esempio e nel momento in cui valutiamo le nostre scelte e gli auspici sulle azioni della politica, deve sempre fare i conti con le definizioni risalenti al 1987. La sostenibilità non guarda solamente al rispetto dell’ambiente, ma a un intreccio di rapporti molto più complesso che riguarda gli equilibri sociali e la stabilità economica. Ne è un esempio il banale e generalizzato tema sulla riduzione dei consumi, condivisibile se riferito a ciò che è spreco, ma meno scontato in termini più allargati, considerando come tra le implicazioni dei minor consumi vi sono anche minori esigenze di produzione, quindi un minor capitale umano da destinarvi e le naturali conseguenze che ciò innesca a livello

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Attualità online di Patrizia Rapposelli

Webcam Girl

In pandemia un settore che non soccombe, fiorisce

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etto nel motore di ricerca “webcam girl”, il primo risultato è un annuncio che invita a registrarsi sul sito webcam più grande d’Italia. Lavoro flessibile. Pagamenti rapidi. Esperienza non richiesta. Prima di entrare nel merito, occorre dire che esistono video su YouTube, accessibili da chiunque, e consigli pratici su come scaricare programmi e accedere a videochat erotiche. Il mercato è florido. Dal lontano 1958 quando la legge Merlin chiudeva le case di tolleranza, siamo arrivati al 2021 dove i lupanari sono le case. Prostituzione sessuale più digitale e vigorosa che mai.

Secondo una ricerca condotta da un istituto di statistica, il lavoro da Cam Girl ha visto un’importante impennata con la pandemia. Infatti, il sesso online è fiorito. Diventare “lavoratrice erotica” significa utilizzare uno strumento di lavoro efficacie per guadagnare, allineato perfettamente alle esigenze di un momento storico preciso. Il mondo della pornografia virtuale si è ampliato. L’esperienza non richiesta rende appetibile l’attività a donne di qualsiasi età. L’attrattiva è trasversale, indipendentemente dal livello sociale e culturale. E va oltre lo stereotipo di bellezza. Un corpo considerato “difettoso” nella

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vita extra virtuale è qui indifferente, anzi viene esaltato. Oggi parliamo di quarantenni e sessantenni disposte ad affacciarsi maggiormente nel settore. Il guadagno c’è, è immediato e allettante, per chi è in difficoltà economica. Ma immettersi in questo mercato sommerso, senza consapevolezza, è un errore. Il cliente paga per guardare, vederle giocare sessualmente e nelle sezioni hardcore avverare perversioni degradanti. La sex worker si sente desiderata in una forma di esibizionismo reciproco e voyeurismo perverso. Un lavoro facile e domestico. Una fotografia del dietro Cam rileva i motivi economici come


Attualità online spinta a fare questa scelta. Opzione che imprigiona poi nel circolo vizioso dell’autostima ritrovata. Scelta o necessità? I dati Istat del 2020 svelano che la maggior parte degli italiani perdenti lavoro durante l’emergenza sanitaria sono donne: nel solo mese di dicembre 2020, c’è stato un calo complessivo di 101 mila occupati, di cui 99 mila del gentil sesso. L’economia del camming non è una novità, forse sta solo bypassando la soglia del tabù. È sconcertante. Le caratteristiche sessuali sono state trasformate in una fonte di profitto. Il sesso online diviene legittima fonte di guadagno e per certi versi eticamente accettabile. Molte sex worker, prima ancora del caso pandemico, ricordiamolo gravemente sono minorenni. In Italia vendere

il corpo è legale. Ovvero, è lecito lo scambio di servizi per denaro, mentre sono illegali le attività collaterali come favoreggiamento, sfruttamento, organizzazioni in luoghi chiusi o su strada e controllo da parti di terzi. Quindi le ragazze non possono essere dipendenti di nessuno e nessuno deve ricavare profitto dalla loro attività. Per il resto il lavoro non è perseguibile penalmente. In media una Cam Girl guadagna da un minimo di 300 euro a un massimo di

2.500 euro al mese circa. Stabilisci il valore che dai a ciò che offri. Un vero e proprio mercato del lavoro. Ieri si parlava di “schiave del sesso”, oggi di lavoratrice autonoma. Un business on line che nasce per gioco e sfocia nel marketing. Un erotismo svincolato da confini morali. Corpi mercificati. Prostituzione e pornografia sono da sempre oggetto di inquisizione, perché considerati violenza e sfruttamento a prescindere che c’è chi sceglie di lavorare in quel settore. Al di là di idee moralizzatrici, esistono donne a cui piace una sessualità ritenuta immorale. Molte donne si battono per i diritti e la libertà, è questa la libertà che vogliono alcune? È a questo che si educa la nuova generazione? Possiamo solo farci delle domande.

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Tra passato e presente di Chiara Paoli

Ottobre in festa S

i è conclusa il 12 settembre scorso la nona edizione di “Trento e la baviera”, nota anche come “Oktoberfest Trento”, evento sorto per celebrare Andrea Michele Dall’Armi, banchiere di origini trentine, ma trasferitosi in giovane età in Germania, considerato l’ideatore della famosissima Oktoberfest di Monaco di Baviera. La manifestazione ebbe origine tra il 12 e il 17 ottobre 1810, per onorare il matrimonio del principe ereditario Ludovico I di Baviera Baviera con la principessa Teresa di Sassonia Hildburghausen; il programma prevedeva a quel tempo una corsa di cavalli al Theresienwiese, prato “ribattezzato” con questo nome in onore della sposa. Per questo motivo nel 1824 ricevette la Medaglia d'oro al valore civile. La festa venne riproposta poi negli anni successivi, prevedendo la gara equestre fino al 1960, ma apportando in ogni edizione leggere modifiche. Già l’anno seguente venne proposta anche una fiera agricola, chiamata “Festa centrale dell’agricoltura”, che ora si svolge solamente una volta ogni quattro anni. Le prime altalene sono state costruite nel 1818, all’epoca la birra veniva servita in piccole baracche. La statua della Baviera trova collocazione nella piazza a partire dal 1850, mentre il bicchiere super capiente da un litro, detto Mass è stato introdotto nel 1892. Leggenda vuole che i camerieri debbano essere capaci di portarne ben dieci contemporaneamente. Nel 1896 ha avuto inizio il cambiamento più radicale, quando un gruppo di osti e produttori di birra vollero sostituire le vecchie baracche pericolanti, con i primi tendoni.

La prima metà del ventesimo secolo è un periodo scandito da guerre, crisi economica e indigenza, non è tempo di festeggiare. l’Oktoberfest si ferma, come avviene anche quest’anno a causa della pandemia. Nel 1950 si aggiunge un nuovo tassello con “O’ Zapft is!”; il primo cittadino in carica in quell’anno, Thomas Wimmer, propose la principale tradizione giunta sino ai giorni nostri: a mezzogiorno in apertura della festa, il sindaco stappa con l’ausilio di un martello il primo barile e i fiumi di birra iniziano a scorrere. Le celebrazioni solitamente prevedono una sfilata ed un corteo di persone vestite con i tipici abiti tradizionali, chiamati Lederhosen quello maschile e Dirndl quello femminile. La birra che viene servita è di varietà Maerzen e prodotta seguendo rigorosi standard che risalgono al 1516; i quattro ingredienti utili alla produzione sono: orzo, luppolo, malto e lievito. Soltanto sei fabbriche di birra possono servire altre quelità: Augustiner, Hacker Pschorr, Hofbräu, Loewenbraeu, Paulauner, Spaten. Questa del 2021 è la seconda edizione che salta a causa della pandemia, ma l’organizzazione ha già fissato le date per il 2022 e se tutto va bene, potremo celebrare il 187° Oktoberfest a partire dal 17 settembre e fino al 3 ottobre 2022. Le date prevedono solitamente che la manifestazione prenda il via il sabato che segue il 15 settembre e si prolunga sino alla prima domenica di ottobre, ma se questa cade l’1 o il 2 del mese, viene prorogata al 3,

giorno di festività nazionale. La birra si può degustare fino alle 22.30, dopo quell’ora il servizio rimane attivo solo al "Käfer Wies'n-Schänke" e al "Kufflers Weinzelt". Bancarelle e giostre chiudono più tardi, molti sono gli oggetti caratteristici di questa festa che vengono proposti ai turisti, perché possano portare a casa qualcosa a ricordo di questa esperienza. I più caratteristici e amati sono sicuramente i cuori di pan di zenzero, conosciuti con il termine tedesco di Lebkuchen decorati con glassa, fiori e iscrizioni per tutti i gusti. Gli innamorati (schatz) esibiscono il loro dolcetto, grazie alla confezione con i caratteristici nastri che permettono di tenere il biscotto al collo. Ovviamente per “asciugare” tutta la birra che si beve e per godere al meglio della giornata, sotto i tendoni si possono degustare le immancabili salsicce affumicate, carni arrosto, crauti e pretzel. E se rotolate a terra, a causa di una pinta di troppo, nessun problema, a salvarvi ci pensano loro: i “corpi della birra” o “Bierleichen”.

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Tra passato e presente di Franco Zadra

La nascita della censura e la libertà di stampa* T utti i sistemi politici dell’ultimo secolo hanno imposto delle limitazioni alla comunicazione pubblica e privata. Storicamente, il primo limite imposto è stato quello della censura militare a salvaguardia della sicurezza nazionale. Quello più famoso è il celeberrimo caso Dreyfus, con il sovrapporsi di diversi metodi di censura, fino anche a quella che oggi viene chiamata autocensura, cioè la scelta deliberata da parte degli organi di stampa di non divulgare una notizia conosciuta.

Dreyfus era un ufficiale dell’esercito francese alla fine dell’Ottocento, tra i pochi di origine ebraica riuscito a salire nelle gerarchie militari, accusato sulla base del ritrovamento di alcune 30

carte nel cestino del suo ufficio, di essersi proposto di vendere all’esercito tedesco dei segreti militari. Lo scandalo esplose violentissimo: Dreyfus fu accusato di essere una spia e un traditore del suo paese. Fu arrestato, processato, condannato alla deportazione nella Guaiana, una colonia penale in America Latina tra le più terribili della Francia di allora, malgrado le prove addotte non fossero affatto convincenti. I giornali francesi, scelsero di parlarne il meno possibile, di non occuparsi direttamente delle indagini, e di non presentare le prove che nel frattempo alcuni andavano raccogliendo sulla innocenza di Dreyfus. Poi arrivò la bomba! Prima le Figarò, poi Emile Zolà, pubblicarono delle violentissime accuse ai militari francesi di avere fabbricato le prove e di avere condannato un innocente. Dreyfus fu riportato in Francia, riprocessato, condannato soltanto a 10 anni, alcuni anni dopo gli fu concessa la grazia, e quando morì, la stampa francese ne parlò con un certo distacco e incertezza, mostrando di nutrire ancora dei dubbi sulla vicenda, con l’esito di

smussare il problema sollevato da Zolà e da altri intellettuali francesi, della libertà individuale di poter dimostrare la propria innocenza, la discussione sulla modalità di conduzione dei processi, e la legittimità di alcune sentenze. Un caso che portò per la prima volta l’intera Europa, ma anche gli Stati Uniti, a discutere su quali dovessero essere i limiti, i ruoli, e le funzioni della stampa. Il primo grande esperimento di censura fuori della Francia, ma che coinvolse anche questa, fu la Prima guerra mondiale, quando tutti i paesi europei hanno messo a punto dei sistemi di controllo sulla stampa. Limitazioni introdotte già con l’avvicinarsi della guerra, sempre più severe, alle notizie che potessero riguardare la sicurezza dello Stato, interpretata però in maniera molto più rigida che in passato. «Il nemico ti ascolta!» è il motto emblematico del pericolo percepito dagli stati che imponevano limitazioni alla stampa. Ma sui giornali non c’erano soltanto notizie di carattere strettamente militare. Vi erano anche notizie sul, cosiddetto, “spirito pubblico”.


Tra passato e presente

L’opinione pubblica era a favore della guerra? I giornali cosa ne pensavano? Gli editorialisti come si schieravano davanti alla possibilità che il proprio paese venisse coinvolto in una guerra? La censura fu quindi da subito allargata in maniera diffusa secondo un meccanismo che, con l’inizio della guerra, fu perfezionato in ogni minimo dettaglio. Il Comando supremo, in Italia come negli altri paesi, stabilì che i giornali, prima di essere pubblicati, dovessero venire sottoposti al controllo di un prefetto, in molti casi un funzionario nominato dal prefetto, che leggeva i giornali prima della loro pubblicazione e stabiliva cosa poteva venir pubblicato e cosa no. Spesso la censura si limitava alla cancellazione di alcuni articoli, e i giornali uscivano con articoli in bianco, o semplicemente con la cancellazione di alcune righe. Particolare è il caso dell’Italia poiché quasi tutta

la stampa italiana si schierò a favore della guerra. Quindi i direttori di giornali e gli stessi giornalisti, consapevoli della posizione del proprio giornale e dei meccanismi di censura, si autocensuravano non presentando al prefetto dei pezzi che potessero essere in qualsiasi modo considerati come pericolosi per la sicurezza nazionale. La censura, in apparenza, fu esercitata in modo limitato, ma perché ne esisteva una a monte fatta già dai giornalisti. L’Avanti! che si attestava su posizioni socialiste, fu invece colpito duramente dalla censura, presentando pubblicazioni di pagine con larghi spazi in bianco, lasciando al lettore l’impressione che il giornale avesse qualcosa da dire, ma non era stato autorizzato a dirlo. Questo meccanismo trova corrispondenza in un altro, molto più sofisticato, che si sviluppò insieme alla censura: il cosiddetto Servizio P, cioè la propaganda. Questo Servizio P aveva lo scopo non solo di impedire ai giornalisti di pubblicare notizie pericolose, di mantenere alto lo

spirito pubblico, ma anche la funzione di mantenere alto il livello di partecipazione dei soldati, spiegando loro i motivi per i quali si combatteva e quali erano gli obiettivi. Una censura che si estendeva quindi anche al controllo delle corrispondenze private da e per il fronte. Il Servizio P creò poi dei nuovi giornali, destinati in primo luogo ai combattenti e alle regioni interessate dal conflitto, alcuni dei quali ebbero diffusione anche nel paese. Giornali di trincea che testimoniavano che il ruolo dei giornalisti non fosse solo quello di attenersi alle strettissime regole della censura, ma anche quello di raccontare l’eroismo dei soldati, la loro partecipazione allo sforzo bellico, e, come nel caso dell’Italia, le ragioni della vittoria. Una stampa che si fa carico quindi, in maniera molto più sottile del mero controllo sulla diffusione delle notizie, di esaltare lo spirito pubblico, convincere i soldati, e compattare le masse, propiziando un esito positivo all’immenso sforzo bellico. *Questo articolo ha come fonte principale un corso del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento in Giornalismo Radiotelevisivo, tenuto da Dario Biocca, docente di storia contemporanea.

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Giovani, sport e società di Alice Vettorata

IL RAW CREW Durante l'infanzia e l’adolescenza si iniziano a prendere decisioni e sviluppare interessi che permettono ai ragazzi di creare una personalità autentica. Un errore che purtroppo si verifica spesso da parte degli adulti è quello di indirizzare i giovani a delle scelte preconfezionate per abitudine, falsi preconcetti e spesso per mancanza di possibilità, un’ampia categoria che racchiude diversi moventi. Queste scelte indotte hanno soprattutto ripercussioni sulla selezione della scuola da frequentare e sugli hobby da coltivare, dallo sport alle attività di svago. Concentrandoci sul settore sportivo e analizzandolo in una realtà montana come la nostra, tra i vari motivi che portano a una scelta troviamo anche quello delle strutture esistenti, ridotte rispetto a quelle disponibili nei centri urbani più estesi. Nel nostro territorio è presente un gruppo di persone, chiamato Raw Crew, che ha deciso di invertire l’ordine di questa tendenza, creando uno spazio dedicato ai ragazzi i quali possono cimentarsi così in sport differenti seguiti da professionisti. Parlando con Demis, uno dei fondatori di questo gruppo, è possibile capire l’importanza di un progetto come il loro. Cosa vi ha spinti a dare vita a questo progetto? In cosa consiste? La nostra amicizia e passione per degli sport non convenzionali come motocross, downhill, BMX, skate, snowboard e freestyle ci ha portati a creare l’associazione BLBike, un modo che ci ha permesso di promuovere degli eventi sportivi in provincia. Oltre a

ciò, uniti sotto l’associazione, abbiamo iniziato a gestire lo skate park di Mel, prima privo di copertura da parte di altri enti. A causa dei lavori di rinnovo alla struttura ci siamo trasferiti a Lentiai. In questa sede siamo inizialmente stati ospitati dalla Pro loco dal parroco Luca, per poi trasferirci, con la riapertura successiva al lockdown del 2020 nella zona artigianale di Lentiai. In questa nuova postazione abbiamo avuto l’opportunità di far crescere ulteriormente le nostre idee. Quali sono state le novità nella nuova sede? Già dal 2019 avevamo creato dei campi estivi con l’obiettivo di far avvicinare i giovani alle discipline sportive meno convenzionali. Volevamo dar loro la possibilità di scegliere dei nuovi sport nei quali mettersi alla prova. Conosciamo la difficoltà di intraprendere degli sport simili in autonomia, dato che noi abbiamo imparato in questo modo. Per questo motivo abbiamo voluto facilitare il percorso di avvicinamento allo skateboard, BMX o motocross, per citarne alcuni. È un modo per renderli più sicuri. Il riscontro ottenuto grazie ai camp è stato ottimo; i ragazzi sperimentano degli sport mai provati prima e si appassionano mentre i genitori apprez-

zano l’idea dello skate park seguito da dei professionisti. Quali sono le vostre idee per il futuro dell’associazione? Vorremmo far diventare questo nostro interesse una professione, cosa non semplice dato il territorio nel quale ci troviamo, spesso non capace di osservare il mondo circostante e le innovazioni che può acquisire da esso. Ciò che speriamo di realizzare è uno skate park aperto, senza orari e aggiornato! Le strutture attuali sono obsolete rispetto a quelle esistenti in altre città. Ci preme inoltre è riuscire a eliminare la divisione che classifica alcuni sport di serie A e altri di nicchia. Riservano tutti la medesima attenzione e cura, e un modo per farlo è creare strutture idonee e fruibili anche dai ragazzi. Il pubblico deve essere libero di poter scegliere senza essere condizionato dalla scarsità dell’offerta e delle strutture esistenti. Dopo aver deciso di non abbandonare il progetto spronati proprio da questi motivi abbiamo stretto i denti e deciso di realizzare un’officina dedicata alla manutenzione dei mezzi necessari per praticare i nostri sport e uno shop inerente a questo settore.

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In filigrana di Nicola Maccagnan

Dai televisori ai politici,

l’Italia al tempo della rottamazione. Ma sarà sempre vero che nuovo equivale a migliore?

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oiché, come diceva quel tale, “le parole sono importanti” (o quanto meno dovrebbero esserlo), partiamo proprio dal significato del termine “rottamazione”, così come riportato dall’autorevole Istituto Treccani: 1. Attività consistente nel selezionare, ricavandolo da qualsiasi struttura metallica ma spec. da autoveicoli fuori uso, il materiale metallico ancora riutilizzabile, e nell’inviarlo come rottame in fonderia. 2. Sostituzione di vecchi oggetti con altri più moderni, favorita da incentivi economici e sgravi fiscali: incentivi per chi effettuerà la r. delle auto non catalizzate. 3. Nel linguaggio politico e giornalistico, liquidazione del gruppo dirigente di partiti, enti, aziende e sim.; per estensione, anche con riferimento a singole personalità, emarginazione dalla scena pubblica conseguente a perdita di prestigio e di posizioni di potere. Più di qualcuno, forse, sarà sorpreso nel notare che il primo significato del termine non rappresenta l’atto di disfarsi di qualcosa, di gettarlo via, bensì quello di recuperare il materiale (in questo caso metallico) da inviare alla fonderia e quindi da destinare ad un futuro riuso. Quasi paradossalmente potremmo dire, rispetto almeno all’uso di senso comune

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più recente, l’attività di rottamare nasce quindi come sinonimo di recupero e riutilizzo di quanto è possibile da un oggetto oramai vecchio e obsoleto. Eppure questa parola e tutti suoi derivati hanno assunto in questi ultimi anni, potremmo dire soprattutto nell’ultimo decennio, una valenza ben diversa, diventando quasi il termine-simbolo di un processo di cambiamento radicale spesso cercato ostinatamente, voluto a tutti i costi, addirittura rivendicato. E questo con tutto il carico di accezioni negative (e quasi liberatorie) insito nel disfarsi di un vecchiume oramai non soltanto inutile, ma addirittura di impiccio all’avanzare del nuovo. E non sfugge a nessuno di noi che il

processo “rottamatorio”, quasi un mantra di questo baldanzoso inizio del 21esimo secolo, non si è certo limitato all’ambito degli oggetti e dei beni di consumo (in origine fu la rottamazione delle auto, poi estesa a telefonini, televisori, materassi, elettrodomestici, mobili e quant’altro…); il termine “rottamazione”, forte anche del successo avuto quale slogan in una certa fase della vita politica nazionale, in particolare da Matteo Renzi, è stato ben presto sdoganato e riadattato anche alle umane vicende, facendo di fatto entrare le persone, o alcune categorie di esse, tra i “rottamabili”. Ora, senza entrare nello specifico delle singole situazioni e applicazioni del “principio di rottamazione”, qualche


In filigrana riflessione vale forse la pena di farla. Anzitutto sul piano economico, dove il processo di sostituzione di beni più vecchi a favore di quelli di nuova generazione (e spesso tecnologicamente più evoluti) ha conosciuto in questi anni grandi fortune. E, va detto, non solo per meriti propri, viste le poderose campagne di incentivo messe in atto, di tempo in tempo, con il sostegno delle finanze pubbliche. Auto meno inquinanti hanno sostituito via via veicoli più obsoleti; il primo digitale terrestre ha portato nelle nostre case, una decina di anni fa, televisori di nuova generazione. E così, come per molti altri beni, si è innescato un processo di rottamazione che oggi, ben diversamente da quanto si poteva immaginare all’inizio, si dimostra sempre più come un fenomeno quasi perpetuo e non occasionale. Viviamo insomma in una stagione di eterna rottamazione che se, da un lato, spinge sicuramente alla crescita la produzione industriale e commerciale (qualcuno dice “drogandola” con ritmi e necessità insostenibili nel lungo periodo), dall’altro pone anche qualche problema non di poco conto. Uno per tutti, certo non trascurabile, è la produzione dei rifiuti che questo impetuoso turnover di beni di lunga durata produce sui sistemi territoriali e su quello globale. E così mentre l’Europa si dichiara impegnata

in un Geen Deal epocale e in Italia è stato creato il Ministero della Transizione Ecologica, nei fatti il super-consumo da rottamazione sembra porre sul fronte opposto questioni che dimostreranno tutta la loro complessità, ancor più, nei prossimi anni. Tradotto: cambiare televisore ogni 5 anni (attenzione: siamo alla vigilia del digitale di seconda generazione!), auto ogni 7 o smartphone una volta all’anno è una scelta di cui siamo ben consapevoli (in tutte le sue implicazioni) o una prassi a cui siamo stati indotti quasi inconsapevolmente in nome della crescita economica (e/o di altre ragioni)

a cui partecipiamo oramai come attori non protagonisti? E, si badi bene, non si tratta qui di fare del pauperismo di facciata, né una battaglia ambientalista fine a se stessa, bensì di guardare i processi e i fenomeni a tutto tondo e in maniera responsabile, con le implicazioni di breve e lunga durata che comportano. Il ragionamento si fa ancora più carico di dubbi, e a tratti stridente, se applicato alle persone. Archiviare con leggerezza e facilità, talora addirittura con sprezzante superiorità, una intera generazione sembra non dimostrarsi, in numerosi campi, la scelta più azzeccata. Aggiornarsi è necessario, innovare - oltre che un imperativo del “mercato” - è spesso anche una stimolante occasione di crescita. Voltare pagina per il solo gusto di farlo, magari in nome di un nuovismo imperante, sta dimostrando invece tutti i propri limiti, nell’ambito delle professioni e del lavoro come della politica, tanto per stare agli esempi più evidenti. Nuovo è bello. A patto che sappiamo riconoscere il suo reale valore, così come quello di ciò che abbiamo rottamato prima di lui.

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L'arte in cronaca di Armando Munaò

IL MUSEO BUREL A BELLUNO Una particolare struttura artistica, sicuramente unica nel suo genere e nella sua essenza. Un Museo di Arte contemporanea che in una sinergia d'intenti chiama gli artisti ad una dinamica e quantomai costruttiva partecipazione. Per saperne di più abbiamo intervistato Daniela Zangrando che del Museo Burel è la dinamica direttrice.

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aniela, per due anni Lei è stata direttrice della Spazio Monotono Contemporary Art di Vicenza. Quale è stata la molla ispiratrice che ha motivato l'apertura del Museo Burel? Museo Burel nasce dopo una serie di esperienze. La direzione di Monotono Contemporary Art a Vicenza, gli anni a Milano, i viaggi in Belgio, i progetti curati a Perarolo di Cadore, le tante collaborazioni. E, non ultimo in ordine di importanza, dopo un periodo di allontanamento dal mondo dell’arte contemporanea. La molla ispiratrice è stata l’uscita di uno studio effettuato dal CGIA di Mestre nel 2018 sullo spopolamento dell’area del bellunese, in cui emergeva una situazione complessa e problematica. Mi sono detta: se voglio far qualcosa per questo territorio, devo farla con gli

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strumenti che conosco e padroneggio, quelli della cultura e del contemporaneo. E ho deciso di partire con questo sogno di un museo d’arte contemporanea, che covavo da molto. Ci vuole presentare la carta d'identità di questo museo che ci sembra unico nel genere nel bellunese e uno dei pochi in tutto il Veneto? Un museo è un organismo. E la carta d’identità di un organismo non può che essere articolata e complessa. Se dovessi sintetizzare al massimo, forse mi fermerei su tre aspetti. Il primo è il nome: Burel. Burel è una montagna cara al territorio bellunese. È molto severa. La sua parete nord-ovest è verticalissima, ha circa 1500 metri di dislivello, e ha tenuto lontani anche gli alpinisti fino agli anni Settanta del Novecento. Le montagne, qui, non sono ignorabili. Sono parte di un contesto che non è solo paesaggistico, ma è anche mentale, di pensiero, legato all’immaginario e al quotidiano. La severità del Burel è qualcosa con cui l’arte e il Museo devono fare i conti. Il secondo aspetto riguarda un termine citato spesso da un curatore che stimo molto, Hans Ulrich Obrist (direttore della Serpentine Gallery di Londra): la generosità. Penso che la generosità sia lo strumento che ogni museo deve avere come base, come cuore, come ossatura. E deve anche essere il modo con cui ogni operazione viene portata avanti e proposta. Il terzo aspetto è legato alla funzione sociale dell’arte. Perché l’arte non è

diversa dall’educazione, dai vigili del fuoco, dagli ospedali, e da qualsiasi altra funzione connaturata alla società, come ha impresso a fuoco tra i miei pensieri quello che definisco sempre come il mio maestro, il curatore belga Jan Hoet. Come si posiziona nel panorama artistico culturale il Museo Burel? Burel è un museo che si occupa dell’arte e del linguaggio del contemporaneo. Quello che fa è captare le esigenze e le urgenze dell’oggi, chiamando gli artisti e le figure che ne sono interpreti a mostrare le proprie ricerche e i risultati a cui sono approdati. Può sembrare una frase complicata, ma vi chiedo di andare un po’ oltre. Siamo circondati dal contemporaneo. Contemporaneo è tutto quanto ci circonda, qui e ora. E non c’è niente di inavvici-


L'arte in cronaca

nabile. Basta essere curiosi e affamati. Quale rapporto ha Burel con i vari artisti? E con il pubblico? E quali sono i suoi spazi espositivi? Potrei rispondere che Burel è un museo innamorato degli artisti e del pubblico. Nel vero e proprio senso della parola. Entrambi sono creatori di realtà. Gli artisti con le loro opere e il pubblico con l’interazione, le domande, le perplessità, gli sguardi. Senza la presenza dell’uno o dell’altro polo, un museo sarebbe solo uno spazio di retorica e di solitudine. Agli artisti, così come al pubblico, Museo Burel propone, e lascia carta completamente bianca. Per quanto concerne gli spazi, immaginate un museo di due sole stanze. Un punto, nel cuore della provincia, incuneato nel centro storico di Belluno.

Non dovete sentire questa sua dimensione come un limite. L’arte e la cultura sono caleidoscopiche, sono centri di irraggiamento, di incontro, in cui trovarsi e ritrovarsi e da cui muovere i pensieri. Cosa c'è dietro l'angolo e quali le aspettative future? Museo Burel si confronta di anno in anno con un quadro concettuale legato al territorio. Il primo anno il filo conduttore è stato quello dell’Om Selvarech (l’uomo selvaggio con le sue radici folcloriche e antropologiche, ma anche motivo per ragionare attorno all’alterità e all’altro); quest’anno è stata la volta dell’Anguana, creatura delle acque, dalla parvenza per metà umana e per metà animale, essere fluido che ci ha permesso di addentrarci nelle questioni legate ai generi. Questi fili conduttori vengono messi poi nelle mani degli artisti e di soggetti legati al mondo della cultura. Continueremo a

muoverci in questa direzione, sicuramente, puntando al sempre maggiore coinvolgimento del territorio e dei suoi abitanti. Abbiamo in ballo un sacco di progetti! Vi aspettiamo!

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Uomo, ambiente e sviluppo economico di Caterina Michieletto

La sostenibilità

parte da noi L

a base del nostro presente e del futuro delle prossime generazioni è racchiusa nell’aggettivo “sostenibile”: gli interventi pubblici e privati in materia di sviluppo economico, in connessione con la dimensione sociale ed ambientale, devono e dovranno essere sostenibili. L’obiettivo della sostenibilità ha ispirato anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, risposta del governo nazionale alla crisi pandemica e al contempo manifesto di una rinascita del Paese su rinnovati e solidi presupposti. Su grande scala l’attuazione dello sviluppo sostenibile è prerogativa e responsabilità dei poteri pubblici, nazionali e sovranazionali, che a fronte di violazioni da parte di colossi imprenditoriali possono ricorrere a pesanti sanzioni commerciali, per altro con un effetto deterrente nei confronti di altre potenziali trasgressori. Ad un livello intermedio operano gli enti pubblici territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) che sostituiscono o integrano le misure per lo sviluppo sostenibile provenienti dal centro. Ebbene, la realtà dei fatti ci ha dimostrato che entrambi questi interventi pubblici non sono e non saranno sufficienti. Infatti, se immaginiamo la ripartizione dell’obiettivo sostenibilità come una “piramide” abbiamo parlato del vertice e del livello medio di questa piramide, ma non delle sue fondamenta, che sono il pilastro che

regge la costruzione: quelle fondamenta siamo noi. Senza il nostro aiuto in questa campagna per la sostenibilità il rischio è quello di investire senza ottenere risultati. Se questo è il presupposto affinché i progetti per la sostenibilità siano efficaci, vediamo “perché” e “come” il singolo deve fare nel proprio quotidiano lo sviluppo sostenibile. Rispetto al “perché” è necessario riflettere su due aspetti. In primo luogo, esiste una stretta relazione tra attuazione del principio dello sviluppo sostenibile e principio di partecipazione, relazione che trova il punto di collegamento nel superamento delle diseguaglianze ambientali, sociali ed economiche. Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile si devono necessariamente intersecare con le reali necessità della popolazione: non è possibile ottenere un diffuso e consapevole coinvolgimento delle persone nello sviluppo sostenibile se permangono discriminazioni di reddito, corruzione, disparità nell’accesso ai servizi pubblici. Le cifre ISTAT sul tasso di tasso di povertà assoluta nel 2020 sono impressionanti: due milioni di famiglie e oltre 5,6 milioni di individui si trovano in questa condizione.

Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di realizzare i propri bisogni, ma precondizione affinché si possa tutelare il futuro è garantire le circostanze economiche e sociali per i bisogni presenti. In secondo luogo, se guardiamo all’etimologia dell’aggettivo “sostenibile”, scopriamo una curiosa associazione. “Sostenibile” è derivazione del verbo “sostenere”, in latino sustĭnēre, dove “sus” indica “sub”, ossia “sotto” e “tĭnēre” si traduce con “tenere”. Dall’addizione di questi due termini “sotto + tenere” nasce un concetto di una forza e di un valore incredibili: tenere sollevata una cosa o una persona sopportandone il peso dal di sotto. Il gesto del “sostenere”, del “tenere sollevato” qualcuno o qualcosa per 39


Uomo, ambiente e sviluppo economico

qualcuno è espressivo di quell’altruismo autentico e umanitarismo moderno che porta le persone a sentirsi parte di un tutto. Dunque, questo modo di sentire che ci appartiene deve essere posto al centro del comportamento e delle azioni di ogni singola persona, per “fare” la sostenibilità e porsi come protagonisti attivi di questa missione. Giungiamo al “come”: in che modo, con-

cretamente, è possibile attuare uno sviluppo sostenibile in questi campi della vita quotidiana? Ci sono piccole ma estremamente importanti scelte nel nostro quotidiano possono fare la differenza. Soffermiamoci sul settore agro-alimentare per vedere cosa, come consumatori, possiamo fare e quanto la nostre decisioni, in apparenza briciole, cumulate le une con le altre e ripetute nel tempo, sono determinanti per attuare e promuovere lo sviluppo sostenibile. - Acquistare alimenti privi di sostanze

chimiche dannose per la salute umana e per l’ecosistema (come il glifosato, sostanza indagata come cancerogena e contenuta in erbicidi spesso utilizzati nelle piantagioni intensive). - Incentivare la filiera corta nella produzione e nella distribuzione di frutta e ortaggi. - Improntare gli acquisti di alimenti al criterio della stagionalità, sapendo che tutto ciò che non è di stagione è stato ottenuto con l’intervento di processi chimici, con un’alterazione del ciclo naturale della pianta e del frutto; - Leggere accuratamente le etichette degli alimenti che acquistiamo, che certifichino la legalità della catena produttiva dall’inizio alla fine, cioè che quel prodotto non sia stato realizzato con manodopera a basso costo, con sfruttamento delle risorse naturali,

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Uomo, ambiente e sviluppo economico nell’inosservanza degli standard normativi posti a tutela della salute umana e dell’ambiente; - Favorire l’acquisto di alimenti con imballaggi eco-sostenibili: imballi “Green PE e il Green PET” ossia di plastica rigenerabile perché derivante da materie prime rinnovabili (per es. la canna da zucchero); materiali di carta certificata FSC secondo i rigorosi standard ambientali e sociali del Forest Stewardship Council®, a supporto di una corretta e responsabile gestione delle risorse forestali; confezioni compostabili, realizzati con materie prime derivanti dalla lavorazione di prodotti agricoli ed altre risorse compostabili, come per esempio il mais e la cellulosa. Da quando il principio dello sviluppo sostenibile ha fatto la sua comparsa negli anni Novanta, prima nei convegni

scientifici e poi nei dibattiti pubblici, l’approccio alla questione è stato più in una prospettiva statica che non dinamica. Si è infatti posto lo sviluppo sostenibile come una meta ambiziosa e lontana, piuttosto che come metodo di vita. Perché dovremmo parlare di “metodo”? La risposta viene suggerita dalla radice

greco-latina del termine: “méthodos”, tradotto “ricerca, indagine”, è derivazione di “hodós”, che significa “strada, via”. Lo sviluppo sostenibile dovrebbe essere esattamente questo: la strada che percorriamo e coltiviamo ogni giorno e la direzione che imbocchiamo per il futuro.

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Il senso religlioso di Franco Zadra

LA VERA STATURA DELL'ESSERE UMANO Nella lettura de “Il senso religioso” di Luigi Giussani, abbiamo visto come il volto umano, quella “scintilla” che accende l'esistenza, l'energia profonda con cui gli uomini di tutti i tempi e di tutte le etnie si rapportano con tutto, sia riscontrabile in una esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità che fa cogliere come conseguenza logica e razionale, per quella esperienza elementare di cui tutte le madri, di ogni tempo e latitudine e allo stesso modo, dotano i loro figli, che la natura dell'uomo è rapporto con l'infinito. Un Infinito che si può amare, nell'accettazione di una realtà che ci è data, oppure bestemmiare, prigionieri di una illusione di se come soggetto autonomo, ma destinato a dissolversi nel nulla.

C

i sono quindi due scelte radicalmente opposte che si presentano alla nostra esperienza: affermare noi stessi all'infinito o accettare l'infinito come significato di sé e, il senso religioso che andiamo riscoprendo, dice chiaramente che «l'uomo afferma veramente sé stesso solo accettando il reale, tanto è vero che comincia ad affermare sé stesso accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è data da sé». Capita a proposito, una scelta che per un milione o quasi di sottoscrittori del referendum su l'eutanasia legale sembra divenuta del tutto ragionevole e “umana”. Con quel referendum - per il quale siamo in attesa di un pronunciamento sulla ammissibilità del quesito proposto che intende riformare in parte l'articolo 579 del codice penale che punisce l'omicidio del

consenziente prevedendo una pena da 6 a 15 anni -, si vorrebbe promuovere una sorta di diritto a morire, legalizzando di fatto l'eutanasia, affermando convintamente che il singolo uomo ha tutto il potere di determinare il suo significato ultimo e le azioni a esso tese. Una convinzione affascinante poiché sembra salvare interamente la statura dell'essere umano, che però si finisce per condividere solo nella dimenticanza di sé come creatura finita e senza alcuna consistenza permanente. È quindi dimostrazione di onestà intellettuale la precisazione del Giudice Costituzionale per dire che «non esiste un “diritto di morire” in quanto tale, dato che dall’art. 2 della Costituzione discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire». Risulta ingannevole, invece, invocare un “diritto” a l’eutanasia “attiva” - come ha fatto il Comitato promotore del Referendum -, appellandosi alla sentenza sul caso Cappato, il dj Fabo, travisando di fatto i limiti e i principi che quella sentenza ha fissato. Ma come posso, io qui, avere la spudoratezza di contrastare la volontà di un milione di sottoscrittori il Referendum, miei connazionali? Con quale coscienza lo posso fare? Scrive Giussani: «L'esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità, costituiscono il volto ultimo, l'esigenza profonda con cui gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze accostano tutto, al punto che

essi possono vivere tra loro un commercio di idee oltre che di cose, possono trasmettersi l'un l'altro ricchezze a distanza di secoli, e noi leggiamo con emozione frasi create migliaia di anni fa dagli antichi poeti con un'impressione di suggerimento al nostro presente, come talvolta non deriva dai rapporti quotidiani». Suggerisco in conclusione la lettura meditata (e perché no la memorizzazione?) del Salmo 87, «Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte...». Libro suggerito: La libertà dell'ordine, un sentiero aperto per il ritorno, Gustave Thibon.

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Il personaggio fra la neve di Waimer Perinelli

ROLLY MARCHI

UN TRENTINO DI CORTINA D'AMPEZZO

I

ndro Montanelli ha scritto che una sera prese in mano il romanzo "Il silenzio delle cicale" con l'intento di: "leggerne alcune pagine, per vedere come cominciava, e poi non l'ho più lasciato fino alle tre di notte". L'autore del romanzo è Rolly Marchi e quando inizi a scrivere della sua vita non sai da che parte iniziare perché le porte di accesso sono tante, varie, mutabili come i tornelli. Rolando Marchi, Rolly per chi gli ha voluto bene, nasce a Lavis, un paese a 8 chiloetri da Trento, il 31 maggio del 1921 e muore a Milano il 14 ottobre del 2013 a 92 anni. Due date certe, in mezzo una vita attiva, quasi frenetica, con al centro lo sport, la passione per la montagna per Cortina d'Ampezzo e tutta la provincia di Belluno dove ha scalato la Croda Da Lago in cordata con l'amico Dino Buzzati nel 1966 e fu l'ultima ascensione del romanziere bellunese. Rolly aveva in comune con il roman-

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ziere la professione di giornalista e un buon successo di un romanzo "Ride la luna" finalista al premio Campiello di Venezia nel 1979. Entrambi partecipavano alle feste in laguna e raccontavano episodi divertenti della società letteraria e frivola. Entrambi hanno lavorato a Milano ma Rolly era un irrequieto e non sostava a lungo nemmeno all'ombra delle Dolomiti ampezzane, fassane o di Campiglio. Personalmente l'ho conosciuto bene ad Agordo nel 1994 dove, da inviato della Rai regionale, seguivo la finale del premio Agordino d'oro, ideato dallo stesso Rolly con l'intento di premiare persone con notevoli meriti ma "discrete". Fra di loro, non per caso, Reinold Messner, Tone Valeruz, Manuela di Centa. Rolly, era come loro ma contemporaneamente, esuberante, spigliato presentatore, amichevole, poteva ingannare, sembrare diverso. In realtà era molto riservato, parlava volentieri soprattutto degli amici, delle persone care. Raccontava volentieri dell'iniziazione allo sci. Era il 1934 e con il padre era salito fino ad un rifugio in Paganella, la montagna sovrastante la casa natale, e guardava gli adulti sciare. Il gestore del rifugio gli prestò gli sci del figliolo e Rolly cominciò con una serie di cadute fino a che qualcuno gli suggerì di adottare la tecnica di una ragazzina spigliata che faceva parte del gruppo:. "

E' lo spazzaneve, gli dissero, devi solo guardare le punte degli sci che a valle quasi s'incrociano" La cosa non funzionava perfettamente, perciò il giovane Rolly, per spiegare il suo handicap rispetto alla rivale disse: " A lei riesce bene perché è strabica". Risero tutti ed egli comprese così quanto poteva essere facile, con l'ironia, sdrammatizzare le difficoltà della vita. Questa è stata l'arma vincente della sua lunga esistenza. Oltre all'ironia possedeva fantasia e intuizione. Fra il 1957 e il 58 assieme agli amici Gigi Panei, guida alpina e maestro di sci, all'esordiente ,ma già famoso, Mike Buongiorno, fondò il Trofeo Topolino, la manifestazione che per molti decenni ha portato migliaia di giovani di tante nazioni a gareggiare sulle piste innevate. La sua alta figura ed il cappello ampio impostogli da Wat Disney ai giochi olimpici di Sqauw Valley del 1966, gli valsero il soprannome di Cow Boy delle nevi. Ne rideva soddisfatto come uno dei ragazzini che portava sulla neve, come l'immagine di Topolino stampata sui pettorali degli atleti, piccoli, ma molto competitivi. Portava il cappello da Cow Boy anche


Il personaggio fra la neve fra i grandi della Tre-Tre la competizione mondiale fra le più rinomate delle Dolomiti. Poi smise, all'improvviso, senza una spiegazione. Ma non mancò mai al suoi impegni. Né di frequentare l'amata Cortina dov'era arrivato nel 1956 come speaker ufficiale delle Olimpiadi. Qui rimase per libera scelta. "In altri luoghi, ricordava, mi hanno offerto gratuitamente il terreno per costruire la casa e anche la legna per scaldarla, ma io ho preferito queste montagne e la gente ampezzana". In Trentino era sempre presente per seguire da cronista lo sport invernale, organizzare nuovi eventi, per ritrovare gli amici, la madre presso la cui tomba aveva scelto di essere sepolto a Centa San Nicolò, un paesino che dalla Vigolana si affaccia sulla Valsugana. Per Rolly trentino, un po' orso e molto aquila, il tributo più forte è venuto in

occasione della morte dalla provincia di Belluno, dall'ampezzano. "Cortina è in lutto, titolavano i giornali, quel 14 ottobre di nove anni fa, è morto infatti all'età di 92 anni, Rolly Marchi, giornalista e scrittore trentino, ma grande e assiduo frequentatore di Cortina. Uno di quei personaggi che hanno segnato la storia della Conca, dove era conosciuto assolutamente da tutti. Uomo di sport, letteratura, fotografia, giornalista, scrittore, e molto altro." Veramente molto altro ma e soprattutto un uomo gentile e sorridente. Noi lo ricordiamo anco-

ra, con il viso illuminato dalla fiamma del camino, nella saletta dell' albergo di Agordo, raccontare gli incontri con Franco Nones, Walter Bonatti, Reinold Messner, Dino Buzzati... le arrampicate, le escursioni; non per vantarsene ma per descrivere quanto erano bravi i suoi amici.

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“LA RAGAZZA COPERTINA” CERCA

Il periodico FELTRINO NEWS cerca modelle, fotomodelle e ragazze, anche non professioniste, di età compresa tra 18 e 40 anni, per selezionare le “RAGAZZE COPERTINA” da pubblicare, mensilmente, in copertina del mensile e riservando alle prescelte un’ampia intervista (2-3 pagine) da parte del direttore responsabile. Il servizio fotografico, che sarà realizzato da un fotografo professionista, l’intervista e la pubblicazione delle foto anche all’interno del giornale, sono a titolo gratuito. Le interessate dovranno inviare 3-5 foto (possibilmente con una in primo piano del viso) e un recapito telefonico per contatto a: direttore.feltrinonews@gmail.com. Alle prescelte sarà richiesta la sottoscrizione della liberatoria per l’uso e la pubblicazione delle foto. Per ulteriori informazioni: 333 2815103 (Armando Munaò - direttore responsabile) 347 2770162 (Alessandro Paleari - responsabile grafica e impaginazione)


La ragazza copertina di Armando Munaò

Maddalena Boso, bellezza e semplicità “Una persona è davvero bella quando ispira e suscita sensazioni positive e piacevoli in chi la circonda”. Incontrando per strada Maddalena si è subito attratti dalla sua bellezza e dai lineamenti del volto che istintivamente ti coinvolgono e che, senza alcun dubbio, rispecchiano i tradizionali canoni della nostra italianità. Poi, quando la conosci e conversi piacevolmente con lei, ti accorgi che la sua non è solo bellezza, ma è un insieme di semplicità, genuinità e grande voglia di vivere. All’inizio forse è un pochino timida, ma, poi, con il passare del tempo, si dimostra socievole e particolarmente simpatica con un sorriso spontaneo, smagliate e accattivante che non solo riesce a trasmettere allegria e buonumore, ma anche quella particolare empatia che non è facile trovare. Come tutte le sue coetanee anche Maddalena ha molti sogni nel cassetto che in cuor suo, desidera vedere realizzati, anche se, come

lei stessa sottolinea nell’intervista, rimane con i “piedi ben piantati per terra” e quindi non si lascia facilmente coinvolgere da ciò che potrebbe essere di non facile realizzazione. Nel dialogo, la “nostra” esprime una particolare predisposizione per i contatti umani che non sempre si trova nei ragazzi e ragazze della sua età, ma che in lei si concretizzano con il fatto che facilmente riesce a diventare amica e buona conoscente con le persone, che per i più ovvi motivi, la circondano e con le quali intraprende buone e costruttive relazioni. Una cosa, però, Maddalena, ci tiene a sottolineare ovvero il “fantastico” rapporto che ha con la sua famiglia, che ama tantissimo e che è l’unico

e vero concreto punto di riferimento del suo vivere, grazie e per effetto di quei sani principi, morali e di educazione, che i genitori le hanno saputo infondere. L’INTERVISTA Maddalena, quanto conta la bellezza per una ragazza? Credo che oggi, in questa nostra società e secondo gli attuali canoni, la bellezza e l’aspetto fisico, non solo nella nostra quotidianità, ma anche in moltissimi campi sono importanti e molto considerati. Ed è indiscutibile, infatti, che “essere belli” quasi sempre aiuta il percorso di vita lavorativa 47


La ragazza copertina

anche se, purtroppo, e non di rado, per alcune ragazze e in tanti campi può o potrebbe essere una scorciatoia per percorrere la tradizionale “strada” e ottenere quindi particolari risultati altrimenti difficilmente raggiungibili. Aggiungo che essendo la bellezza una considerazione soggettiva credo sia veramente difficile stabilire cosa è bello e cosa non lo è. Quanto sono importanti i valori della famiglia nella crescita e nella formazione, anche morale, di una ragazza? Per me la famiglia conta tantissimo. E' un vero punto di riferimento. E sono i miei genitori che con il loro esempio, i loro insegnamenti anche educativi hanno

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contribuito e contribuiscono alla mia crescita e formazione. Credo che poter contare su una “bella” famiglia e un buon rapporto con tutti i componenti, sia fondamentale per avere una buona visione della vita. Quando si ha la famiglia si ha tutto. In questa nostra società sembrerebbe che molte ragazze abbiano perso il concetto del valore morale. A tuo avviso, per il raggiungimento di alcuni obiettivi è più facile dire SI’ oppure NO a una proposta particolare in cambio dell'ottenimento di qualche lavoro? A mio avviso per dare una giusta risposta a questa domanda è necessario considerare sia la personale concezione di morale che si ha e sia gli insegnamenti che si sono ricevuti. Sono del parere che nell’accettare

o rifiutare la proposta, entrano in gioco non solo gli elementi prima citati, ma anche e credo principalmente la dignità e l'onesta della ragazza stessa. Non desidero fare la moralista, ma sono fermamente convinta che se tutti questi elementi fanno parte del suo DNA, la risposta deve essere una e una sola: NO. Maddalena, hai mai partecipato a sfilate o a concorsi di bellezza? No. Non ho mai sfilato ne partecipato ai concorsi. Magari in futuro se capitasse l'occasione… chissà. Tuttavia, se lo facessi, mi

piacerebbe avere alle spalle una persona esperta, non solo di supporto e d'incoraggiamento ma anche per ricevere i necessari consigli onde evitare di cadere nei facili errori che potrebbero capitare. Si’, credo che un giorno potrei anche provarci. A tuo avviso l'esibizionismo può essere considerato un pregio o un difetto? Secondo me entrambe le cose. Se è moderato ed espresso con


La ragazza copertina una certa classe, quindi non volgare, credo possa andare bene. Se invece non rientra in questi canoni ed è fatto solo e solamente per attirare sguardi, attenzione e apprezzamenti allora non lo approvo. Personalmente non amo l’esibizionismo, anche se qualche complimento piacevole e “carino” può essere accettato. Sono del parere che chi decide di esibirsi e quindi farlo anche in maniera sfacciata, è una scelta dettata dalla personalità di ognuno, che non mi sento mai di condannare o criticare. Magari non lo approvo, ma rispetto le idee e i comportamenti altrui. In questi ultimi anni la nostra società e il nostro modo di vivere sempre di più sono condizionati dalla presenza del social, di internet e del Web in genere. A tuo avviso i comportamenti delle ragazze e dei ragazzi appaiono sempre più disinibiti, spesso anche con l'esposizione dei propri corpi con foto e video a volte osè? Personalmente, e lo so che sarà difficile crederlo, sono una persona anti social. A mio parere i social hanno creato e purtroppo creano personaggi che quasi sempre non rappresentano la realtà. Le ragazze e i ragazzi che usano i social sono accomunati da un “idem sentire” e se per caso non rispetti alcuni canoni o non sei d'accordo con la maggioranza, diventi subito il soggetto di derisione, di commenti negativi e offese che non raramente rasentano la più spinta volgarità. Ecco perché, a mio modestissimo avviso, molte ragazze e ragazzi scelgono di omologarsi ai canoni richiesti per fare parte

“dei più”. E capita anche, e non di rado, che molti, nascondendosi nell'anonimato, sfogano le loro frustrazioni attaccando e offendendo gli altri. Quindi, in merito a quello che hai detto, le ragazze e i ragazzi concretizzano più l'apparire che l'essere? Assolutamente sì. L'apparire è di facile costruzione perchè si possono creare canoni e aspetti inesistenti, ma che spesso trovano riscontri positivi. L'essere invece mette in mostra la propria personalità, la propria educazione, i propri comportamenti e i propri valori. Capita infatti che molte ragazze per ottenere parere positivi si fanno fotografare in pose sex, magari in ambienti particolarmen-

te accattivanti, facendo vedere oggetti di valore o usando altri accorgimenti che attirano l’attenzione. Poi alla fine scopri che è tutto un quadro falso volto al solo ottenimento dei famosi like. Capita anche che in occasione di una cena in compagnia, invece di riprendere l’allegria e la gioiosità dei partecipanti, si preferisce riprendere i piatti oppure il vino che si sta bevendo o l’ambiente circostante. Quando una ragazza assume atteggiamenti non educati e non ortodossi e che, a volte, anche nel linguaggio, possono rasentare la volgarità credi che questo modo di fare sia imputabile in primis alla famiglia che forse non ha saputo dare i giusti insegnamenti e poi alla nostra società? La maleducazione e il linguaggio triviale sono cose che decisamente non tollero. Una ragazza può essere la più bella del mondo ma se manca dei principi educativi e di moralità e assume comportamenti volgari credo che debba rivedere il suo modo di vivere e di essere. E' mia opinione che su tutto questo la famiglia possa avere inciso, perché magari, per i più 49


La ragazza copertina

svariati motivi, che non condanno, non è stata in grado di imprimere nella mente dei propri figli i concetti fondamentali di vita. Come ho detto prima la famiglia è e deve essere un vero punto di riferimento. Spetta ai genitori dare l'impronta di vita. E se ciò non accade allora, non di rado, si piò crescere nel non rispetto della vita altrui e concretizzando valori e comportamenti decisamente errati. Maddalena, entriamo nel privato: sei fidanzata? Sì, sono fidanzata e ho una stupenda relazione che va avanti da oltre nove anni. Io e questo ragazzo ci siamo conosciuti quando eravamo molto piccoli e la

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nostra storia sta continuando in maniera veramente meravigliosa. Purtroppo ci vediamo poco perchè lui studia all'estero, ma questa lontananza non sminuisce per niente il nostro volerci bene. Anzi lo cementa e lo rafforza perchè non è solo il sentimento che ci unisce o il grande reciproco rispetto o la sincerità, ma anche il fatto che condividiamo molti ideali e molti aspetti della vita tra i quali, e in maniera prioritaria i valori della famiglia e dell'educazione. Che cosa pensi dell'amicizia. Di quella vera ovviamente. Questo sentimento è uno degli elementi portanti e fondamentali del mio essere anche se mi preme sottolineare che le vere amicizie devono essere decisamente poche che non devono essere confuse con le conoscenze, gli amici delle feste, delle ricorrenze e dei divertimenti. Le faccio una piccola ma vera confidenza: i

miei amici si contano sulle dita di una mano. Siamo cresciti insieme dall'asilo a oggi. E a distanza di anni il nostro legame è più solido che mai. E anche in questa domanda mi permetta di citare due vecchi adagi: il primo dice che: “ I veri amici si vedono nel bisogno”. Il secondo: “I veri amici sono come le stelle, non sempre si vedono ma sai che ci sono e sono presenti”. E qual è il tuo piccolo o grande sogno nel cassetto? Sogni e desideri tanti, ma siccome credo di essere una ragazza con i piedi per terra cerco di

vedere la vita e il mio futuro con gli occhi della realtà. Ci sono sogni che a volte si possono avverare e si tenta di farlo, ma ci sono anche desideri che non di rado rimangano nel cassetto di ciò che poteva essere, ma non è stato. Al momento sono felice di dare una mano alla mia famiglia. Poi se potrò rendere concreto qualche mio sogno di certo non mi tirerò indietro e m’impegnerò con tutta me stessa per realizzarlo nel migliore modo possibile.


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La religione in cronaca di Franco Zadra

Confessa che ti passa... È

raro di questi tempi leggere un articolo sulla confessione, ma qui dove vogliamo parlare anche di benessere e salute ci è parso opportuno affrontare l’argomento, sorvolando sul fatto, ormai sotto gli occhi di tutti, che si tratti ormai di una pratica quasi scomparsa, riservata anche nelle parrocchie a quei gruppetti sempre più esigui di catechesi della seconda elementare e ai loro genitori, nel esasperato tentativo pastorale, fallito da decenni, di farne un momento solenne, titolato con “la prima confessione”, mai assurta ai fasti solenni della prima comunione o della cresima. Pur se di confessio-

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ne dei peccati si dovrebbe trattare in campo religioso e sotto una prospettiva di fede, considerando l’aspetto teologico del sacramento che altro non è se non un incontro con il Signore risorto, ne vogliamo parlare qui solo per un suo aspetto secondario, quello della salute e del benessere, inteso in senso laico, che ne può derivare. Non è questo che può motivare una pratica religiosa, ma ne rappre-

senta comunque un effetto collaterale importante che è andato perduto per la nostra società e che non sappiamo più recuperare. Si pensi solo a quanto benessere ha portato nella vita di Agostino d’Ippona, lo scrivere quel bestseller mondiale intramontabile, conosciuto come Le Confessioni. Un'opera autobiografica in 13 libri, scritta intorno al 400, unanimemente ritenuta tra i massimi capolavori


La religione in cronaca della letteratura cristiana. Sant'Agostino, rivolgendosi a Dio, narra la sua vita e in particolare la storia della sua conversione al Cristianesimo. Si tratta di un continuo discorso che Agostino rivolge a Dio, da qui il termine confessione, che inizia con una Invocatio Dei (invocazione di Dio), e una narrazione, interrotta frequentemente da ampie e profonde riflessioni, della sua infanzia, vissuta a Tagaste, e degli anni dei suoi studi e poi di professione come retore nella città di Cartagine. Una confessione che ha stravolto una vita improntata alla più sfenata dissolutezza e libertinaggio morale. Possiamo ben credere che proprio quell’esercizio di scavo nella propria memoria, quel suo confidarsi, affidarsi a Dio, gli abbia salvato la vita oltre che l’anima. Oggi tutto questo è scomparso dal nostro orizzonte sociale e il motivo si potrebbe ricercare in quel sospetto di “controllo sociale” che dalla rivoluzione francese in poi ha segnato la pratica

religiosa agli occhi dei laici ormai prossimi a svincolarsi totalmente dalle “paturnie medievali” che li volevano soggetti e intrappolati in una divisione del lavoro per caste e una rigida e immobile scala sociale. Un pallido riverbero del concetto di confessione lo ritroviamo nell’espressione inglese “coming out”, utilizzata, per esempio, per indicare una dichiarazione di omosessualità volontaria e su iniziativa personale. Diversa da “outing”, usato quando uno è “outed”, cioè viene scoperto, esposto, quindi si rivela l’inclinazione sessuale di una persona senza il suo consenso. L’outing è dunque spesso associato a un’accezione negativa, a una

situazione spiacevole che viola la privacy di una persona che si trova quindi a subire una rivelazione senza il proprio benestare. Se però Coming Out è tutto ciò che ci resta della confessione, possiamo scordarci per sempre gli effetti terapeutici che essa poteva rappresentare, anche se si è tuttavia convinti, sempre per rimanere in tema di omosessualità, che un gay dichiarato, per amore o per forza, scoperto o autorivelatosi, sia più felice di chi invece vive, e può continuare a vivere, nella riservatezza il proprio orientamento sessuale. Tutta un’altra storia dal confidare in Dio, dal trovare un gancio in mezzo al cielo. Su quel tipo di salute è calato un definitivo Amen… e così sia!

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LETTERA AL DIRETTORE Da parte di una gentile lettrice riceviamo questo articolo che volentieri pubblichiamo.

IN DIFESA DEL PIANETA TERRA

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a qualche anno a questa parte si parla molto di problemi legati all'ambiente, tra cui l'inquinamento, animali in via d'estinzione, fiumi e nubi tossiche, riscaldamento globale, aumento dei rifiuti, deforestazione e tanti altri. L'inquinamento dell'aria ad esempio provoca gravi danni alla salute ed è dovuto all'uso di combustibili, come il gas, petrolio, carbone. Da qualche decennio, l'automobile per l'essere

umano è diventata indispensabile, tanto da utilizzarla anche solo per brevi tragitti. Se l'uomo al posto della macchina si spostasse a piedi, in bicicletta oppure in autobus si riuscirebbe a respirare aria più pulita. Il contributo di ogni singola persona a volte può fare davvero la differenza. Infatti, molte persone volenterose si rendono disponibili nel cercare almeno di migliorare la salute della Terra, che è in grave pericolo, raccogliendo rifiuti in strada e in mare e cercando di utilizzarne di meno, ma soprattutto limitare la produzione di plastica che ormai da diverso tempo sta devastando interi mari; e sarebbe meglio sostituirla con materiali eco sostenibili.

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LETTERA AL DIRETTORE

Un altro grave problema, riguarda il lago D'Aral che si trova in Asia centrale. E' una distesa d'acqua salata che mezzo secolo fa era profonda 55 metri e che adesso è meno della metà e continua a prosciugarsi. Adesso dalle acque spuntano numerosi isolotti a causa del loro abbassamento. Uno dei motivi è che le acque del lago venivano utilizzate per irrigare le piante di cotone e così è aumentata la salinità dell'acqua. Questa salinità ha distrutto numerose

piante acquatiche e numerosi pesci e ha provocato anche varie malattie agli abitanti del villaggio. Adesso nel lago, oltre all'acqua salata, ci sono numerosi prodotti chimici rilasciati da fertilizzanti e dai pesticidi. Attualmente non ci sono più molte specie di pesci e la pesca scarseggia molto. Un altro grosso problema che causa la distruzione dell'ambiente circostante è l'abbattimento delle foreste che provoca la scomparsa di interi ambienti naturali e l'estinzione di specie di animali e vegetali. Inoltre per questo

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motivo i terremoti e le alluvioni sono in aumento. Un episodio che ci ha visto “protagonisti” è stato proprio Vaia. Il mondo è uno solo e quindi dobbiamo custodirlo, rispettarlo ma soprattutto poter garantire alle generazioni future un luogo migliore e più vivibile. (Miriam P.)

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L'artista di altri tempi di Alice Vettorata

CAMILLE CLAUDEL

Il pensatore”. Titolo dell’imponente statua in bronzo rappresentante un uomo seduto, con il volto appoggiato stancamente su una mano, raccolto in sé stesso. Un’opera che divenne icona di un nuovo stile scultoreo nato a fine ‘800 grazie ad Auguste Rodin, la quale viene ancor’oggi spesso associata alla branca di studi della filosofia. Una figura che rappresenta in modo intenso l'introspezione che può attuare un essere umano, la riflessione profonda di chi indaga nella propria personalità, estraniandosi dal mondo che lo circonda per comprendersi al meglio. Questi sono alcuni tratti salienti di un bronzo che ha fatto la storia dell’arte, e non solo. Permettono anche di comprendere stati d’animo che ognuno di noi può provare nella propria vita, ai

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quali però ciascun individuo può reagire in modo differente. Camille Claudel ad esempio, fu una di quelle persone che reagì in modo più doloroso a questi tentativi di comprensione di sé stessi, causa legami affettivi e dinamiche lavorative complesse da elaborare e gestire. Già da bambina giocava con ciò che in futuro sarebbe divenuto la sua professione, anche se oscurata dalla celebrità altrui, modellando l’argilla. Camille, dopo aver trascorso un’adolescenza dedita alla lavorazione della creta si trasferì con la famiglia a Parigi, luogo nel quale venne seguita nel suo percorso formativo dal maestro Alfred Boucher, nonostante le rimostranze materne che la intimavano di non proseguire la carriera da artista. Professione che non si addiceva ad una ragazza appartenente a una famiglia borghese di fine ‘800. Fortunatamente però trovò supporto da parte del padre e del fratello Paul, noto diplomatico, i quali sovvenzionarono i suoi studi a Parigi e a Roma, certi del suo talento, abituati a vedersi presi come modelli e ritratti nelle piccole sculture della ragazza. Nonostante la memoria collettiva leghi indissolubilmente la Claudel con la figura di Auguste Rodin in quanto suo Maestro, ciò non è completamente corretto, e a breve capiremo il motivo di quest’affermazione data dagli storici dell’arte. Abbiamo citato Boucher, primo

insegnante della ragazza, la quale conobbe solo successivamente Rodin, lavorando nel suo studio e divenendo sua amante. Quest’ultima condizione però non fu quella che, come spesso siamo facilmente indotti a credere, le causò sofferenze tali da farla vivere presso la struttura psichiatrica di Montfavet. Ciò che la fece crollare dal punto di vista psicologico furono gli abbandoni, il distacco della madre e sì, anche il legame con Rodin, ma quello lavorativo. Le sculture che oggi possiamo ammirare e che sono state attribuite a Camille Claudel sono poche rispetto alla mole di lavoro che i suoi conoscenti le hanno visto modellare durante le

loro visite in studio. Indizio del fatto che la sua collaborazione non si limitava a pochi dettagli, come potrebbe fare un allievo in una bottega di un artista, bensì alla creazione di parti estese dei bronzi di Rodin. Esattamente, di Rodin. Noi vediamo la sua firma incisa nelle creazioni, ma non quella della Claudel. Le poche opere superstiti interamente e


L'artista di altri tempi

unicamente di Camille ci permettono di comprendere i sentimenti dell’artista. Sculture sensuali, dolci, malinconiche e precarie. Dei “non finiti” dinamici che fanno immergere l’osservatore inel tumultuoso turbinio di emozioni provate dall’artista. Come L'Âge mûr, scultura che rappresenta l’abbandono straziante, probabilmente da parte della madre e non da Rodin che spesso si è pensato. L’ossessione per Rodin invece, una

delle condizioni che la portò a soffrire di disturbi psichici, era principalmente basata su questioni legate alla sfera lavorativa e artistica, non alla passione. La causa dei suoi disturbi veniva erroneamente ricondotta al sentimento amoroso nei confronti di Rodin. Una percezione, quella che la vita di una donna debba necessariamente dipendere da quella di un uomo, che continua ancor oggi a distorcere le biografie femminili del passato e dell’attualità. Con certezza lei scolpiva mani e piedi delle figure, talvolta però non si limitava a ciò. Forniva idee e spunti, modellava interi corpi di argilla e marmorei. Lui in compenso, poneva la propria firma sulle opere realizzate dalla collaboratrice, amante, spesso fautrice e mente. Una dinamica che probabilmente non era nemmeno pianificata da parte del noto scultore, ma che era ormai insita nella cultura dell’uomo, maestro, che trova l’aiuto di una stu-

dentessa apprendista per portare a termine le opere, insegnandole così i trucchi del mestiere. Camille Claudel, come molte altre donne, è stata molto di più. È ad oggi la portavoce di una categoria troppo ampia di persone che avrebbero meritato un posto d’onore nel mondo del lavoro, e che invece sono state declassate al ruolo di amanti apprendiste.

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Per vivere bene e in salute di Nicola Maschio

Salute: pericolo obesità, tra rischi concreti e stili di vita

U

no stile di vita sano, equilibrato e senza eccessi è fondamentale. Uno strappo alla regola ogni tanto, va inteso, è concesso; tuttavia, quando mangiare male e senza freni diventa una scomoda abitudine, ecco che possono insorgere problemi legati al sovrappeso o all’obesità. Ma quali sono i numeri nel nostro Paese? E soprattutto, quali rischi corrono le persone che rientrano in questa particolare categoria? Partiamo innanzitutto da un dato non italiano, non europeo ma addirittura globale: l’obesità tra bambini e ragazzi, stima l’Organizzazione Mondiale della Sanità riguarda oltre 340 milioni di individui con età compresa tra 5 e 19 anni. I dati, aggiornati alla fine del 2019, vengono evidenziati con particolare enfasi

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dall’ISTAT, che prosegue: “Nei paesi dell’Ue, in media, è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. Cipro (20%), Italia (18%), Spagna (18%), Grecia e Malta (17%) mostrano i valori più elevati; Danimarca (5%), Norvegia (6%) e Irlanda (7%) quelli più bassi”. Insomma, nel nostro Paese la problematica è presente in modo decisamente importante. Ma l’Istituto di ricerca continua nell’analisi dei propri dati statistici: “Nel biennio 2017-2018, in Italia si stimano circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni (28,5% nel 20102011). Emergono forti differenze di genere con una più ampia diffusione tra i maschi (27,8% contro 22,4%). L’eccesso di peso tra i minori au-

menta significativamente passando da Nord a Sud (18,8% Nord-ovest, 22,5% Nord-est, 24,2% Centro, 29,9% Isole e 32,7% Sud). Le percentuali sono particolarmente elevate in Campania (35,4%), Calabria (33,8%), Sicilia (32,5%) e Molise (31,8%)”. Elemento particolarmente interessante riguarda dunque la diffusione dell’obesità nel nostro Paese: se infatti nell’area del Nord le percentuali tendono a restare mediamente attorno al 20%, sono ben dieci (o più) i punti percentuali in meno rispetto a quanto registrato in alcune zone del meridione, dove il culmine lo tocca sicuramente la regione campana. Ma cosa fare quindi per contrastare la crescita di questo fenomeno? Le strade sono diverse, ma alcune più sicure delle altre. In primis, il consumo di frutta e verdura che, come evidenziato ulteriormente dall’ISTAT, spesso è associato ad un più elevato grado di istruzione: “Anche con riferimento alle abitudini alimentari appare evidente l’influenza delle caratteristiche socioculturali dell’ambiente familiare: più elevato è il titolo di studio conseguito dai genitori più accurato è l’aspetto nutrizionale dei bambini in termini sia di consumo quotidiano di frutta e verdura e sia di adeguatezza nelle


Per vivere bene e in salute

quantità consumate giornalmente. Nel periodo 2016-2017, il 74,2% dei bambini e degli adolescenti consuma frutta e/o verdura ogni giorno, ma solo il 12,6% arriva a consumarne 4 o più porzioni (11,4% nel 20102011)”. Sostanzialmente, ad un titolo di studio elevato sembra corrispondere una maggiore consapevolezza del “mangiare sano”. In secondo luogo, l’attività sportiva: in questo caso, l’ISTAT evidenzia come siano diversi i ragazzi impegnati nel praticare sport di qualsiasi tipo, spiegando che “Nel 2017-2018 sono circa 5 milioni 30 mila i ragazzi di 3-17 anni che praticano nel tempo libero uno o più sport (59,4% della popolazione di riferimento). Il 52,5% lo fa con continuità e il 6,9% saltuariamente”. A testimonianza di quanto sia importante seguire uno stile di vita sano, è il Centro per la Cura e Chirurgia dell’Obesità dell’Istituto per la Sicurezza Speciale italiano a dare qualche ulteriore dato rispetto ai rischi legati all’obesità. Sono diverse infatti le situazioni che, a causa dell’eccesso di peso, possono comportare pericoli nei confronti della persona interessata. “Se consideriamo le patologie e i rischi per la salute che si associano all'obesità – scrive il sopra citato CCCO, – appare chiaro

che l'obesità possa costituire un importante fattore di mortalità. Secondo le stime effettuate, ogni anno in Europa 320.000 persone muoiono per cause legate direttamente all'obesità; la mortalità correlabile all’eccesso di peso rappresenta pertanto un serio problema di salute pubblica in Europa dove circa il 7,7% di tutte le cause di morte sono riconducibili all’eccesso di peso. L’aspettativa di vita nella popolazione severamente obesa è ridotta (si parla di un accorciamento dell'aspettativa di vita di 7-10 anni) con un rischio di morte che cresce all'aumentare dell'indice

di massa corporea e della circonferenza addominale”. Il rischio concreto di perdere la vita, legato all’obesità, è dunque da tenere in assoluta considerazione. Ma sono anche altri i fattori che possono portare ad una grave difficoltà nell’affrontare la quotidianità e la vita di tutti i giorni: “Il rischio di sviluppare malattie cresce all'aumentare dell'indice di massa corporea – prosegue il Centro. – In particolare, i pazienti con obesità grave presentano spesso severe malattie cardiocircolatorie (ipertensione, malattie cardiovascolari) e respiratorie quali dispnea, cioè mancanza di respiro, per sforzi anche modesti, la sindrome di Pickwick (facilità ad addormentarsi durante le comuni attività giornaliere), le apnee notturne (Sleep Apnea Sindrome). Infine, è bene sottolineare il problema dell’obesità nei bambini e negli adolescenti: sono infatti esposti fin dall’età infantile a difficoltà respiratorie, problemi articolari, mobilità ridotta, ma anche disturbi dell'apparato digerente e di carattere psicologico”.

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Attualità di Paolo Rossetti

FURTI IN CASA

Come proteggersi meglio

I suggerimenti e consigli da parte dei Carabinieri e della Polizia di Stato

S

econdo i dati presentati dall’ Istat, la maggior parte dei ladri entrano in casa con applicando diverse metodologie: il 15% circa lo fa non scassinando o forzando porte e finestre; il 43,8% con raggiri o approfittando della distrazione 0 assenza dei padroni di casa; il 6,3%) approfittando del fatto che sia particolarmente semplice aprire la porta di ingresso. Le statistiche ci dicono che nel 68% degli episodi, in casa non vi è nessuno al momento del furto. Normalmente i ladri agiscono in genere ove ritengono vi siano meno rischi di essere

scoperti o nella case dove risiedono anziani o persona sole. Purtroppo in questi ultimi tempi i delinquenti non osservano questo principio e quindi entrano anche quando all’interno della abitazione ci sono gli inquilini. Quindi per non trovare spiacevoli sorprese è utile applicare alcuni importanti consigli per difendersi dai ladri suggeriti dall’Arma dei Carabinieri e dal Comando Generale della Polizia di Stato. * Durante le assenze brevi lasciate accesa una luce o la radio o la televisione in modo da mostrare all’esterno che

la casa è abitata. I rumori scoraggiano il ladro. * Se l’assenza è lunga, ditelo solo alle persone fidate e chiedete loro di fare dei sopralluoghi ogni tanto. * Sulla segreteria registrate il messaggio sempre al plurale. Mai «siamo assenti», ma «in questo momento non possiamo rispondere». * Una porta blindata con spioncino e serratura di sicurezza può servire a fermare i ladri. Sono utili anche videocitofoni e/o telecamere a circuito chiuso, una chiave non facilmente riproducibile

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Attualità

da non lasciare mai sotto lo zerbino. * Chi abita ai piani bassi monti delle grate alle finestre o utilizzi dei vetri antisfondamento per evitare intrusioni indesiderate. * Gli antifurti vanno collegati possibilmente con i numeri di emergenza. Nella sezione modulistica del sito www. carabinieri.it trovate le indicazioni per collegare il vostro antifurto al 112. * Sul citofono mettete solo il cognome e così anche sulla cassetta della posta per evitare di indicare il numero degli inquilini che vi abitano.

* Di notte è preferibile chiudere tutte le serrande e anche qualche porta interna. * Può essere utile non seguire una routine con orari ben definiti, in modo da non agevolare i furti. * Una regola da non dimenticare e che ci viene insegnata sin da bambini è quella di non aprire la porta a persone sconosciute; se un’abitazione è stata presa di mira, infatti, nella maggior parte dei casi verrà tenuta sotto controllo visivamente e, qualche volta, addirittura acusticamente tramite semplici microspie piazzate all’interno della casa. Per non correre questo rischio, è consigliabile non far introdurre in casa sconosciuti inattesi e diffidare di persone che si spacciano per qualcuno senza poterlo provare. Prevenire i furti non significa però farsi ossessionare dall’idea di venire derubati.

* Se vivete in una casa isolata, adottate un cane. Per i ladri è un grande deterrente. * Conservate in un luogo sicuro fotocopie dei documenti di identità e gli originali di tutti gli atti importanti (rogiti, contratti, ricevute fiscali, etc.). * Se avete degli oggetti di valore, fotografateli e riempite una scheda con i dati considerati utili in caso di furto. * Cercate di conoscere i vostri vicini e scambiatevi i numeri di telefono, per poterli contattare in caso di prima necessità. * Tenete conto che i primi posti esaminati dai ladri sono gli armadi, i cassetti, i vestiti, l'interno dei vasi, i quadri, i letti e i tappeti. * Illuminate bene l'ingresso e le zone buie. Se all'esterno c'è un interruttore della luce, proteggetelo con una grata o con una cassetta metallica.

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MARRONI della VALLATA FELTRINA

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a storia del Marrone feltrino inizia nella notte dei tempi. Sicuramente era presente in tutta la vallata e nelle circostanti colline fin dai primi insediamenti romani. Durante il Medioevo il consumo di questo frutto autunnale aumentò a causa delle carestie, fino a diventare nel Quattrocento, sotto forma di farina, tra le consuetudini alimentari più diffuse in tutta la vallata. Ai tempi dell’annessione del Veneto all’Italia, le castagne ed i marroni erano consumati soprattutto dalle classi rurali più povere della popolazione, ma dalla seconda metà del Novecento hanno iniziato ad essere apprezzati anche nelle vicine città, fino ad essere considerati dei prodotti alimentari assolutamente rinomati. Del resto, nel corso dei secoli, castagne e marroni erano stati apprezzati anche da personaggi aristocratici, famosi e potenti come, ad esempio, Carlo Magno che li amava cotti nel vino. In quell’epoca si credeva, tra l’altro, che macerati e lessati nell’alcool avessero effetti afrodisiaci. Rimanendo nell’argomento, nel settecento era consuetudine regalare alle dame le castagne confezionate in dolcetti glassati, i moderni marron glacé. Si trattava di un dono dal significato malizioso, tenuto conto che la loro forma assomiglia a quella di un testicolo. I nostri nonni, fino alla metà del secolo scorso, raccontavano varie leggende su questo frutto, tra tutte, la più curiosa narra che un tempo lontano i marroni si lamentassero per essere continuamente prede indifese degli scoiattoli del bosco che divoravano, con voracità, la loro polpa chiara e dolce che, a quell’epoca, non aveva alcuna protezione. Fortunatamente un bel giorno arrivò un mago che, dopo avere recuperato lungo la strada alcuni ricci morti, li trasformò in cappottini ricoperti di spine che regalò

a castagne e marroni. Una volta indossati, i prelibati frutti erano, finalmente, al riparo dalle scorribande dei golosi scoiattoli. Dalle favole alla realtà: ancora ai nostri giorni non a tutti appare chiaro come si faccia a distinguere i marroni dalle castagne. Che tra loro ci siano delle differenze lo sancì, addirittura, un Regio Decreto nel lontano 1939. Entrambi sono i prelibati frutti dell’albero di castagno, che è una pianta spontanea, elegante ed, allo stesso tempo, rustica,

che può vivere anche per alcuni secoli ed assumere un aspetto imponente, a volte, addirittura, monumentale. Gli alberi selvatici, in cui le operazioni dell’uomo si riducono alla raccolta, producono le castagne, che si distinguono per essere piuttosto piccole e dalla forma schiacciata; quelli che, invece, vengono coltivati, regolarmente potati ed accuditi dall’uomo producono dei frutti più grossi ed omogenei chiamati marroni. A conferma di ciò, un riccio di castagna può contenere fino a sette 63


Cibo di casa nostra

frutti, mentre quello del marrone non supera i tre. Questi ultimi sono più richiesti dal mercato, costano di più e sono considerati più pregiati anche perché la pellicola, che li riveste, è più liscia e sottile e si sbuccia molto più facilmente. Tra i vari tipi di marrone in commercio si distingue, per l’appunto, quello feltrino, che è rinomato per la dolcezza e la farinosità della pasta, che si presenta compatta e resistente alla cottura. Questa varietà si distingue per la forma ovaidale, per l’apice ricoperto da una pelosità vellutata, oltre che per avere una facciata laterale generalmente piatta e l’altra convessa. Le coltivazioni dei marroni sono prevalentemente concentrate nel territorio del basso bellunese ed è tipico nei comuni di Alano di Piave, Arsiè, Cesiomaggiore, Feltre, Fonzaso, Limana, Pedavena, Quero, Vas, San Gregorio nelle Alpi, Seren del Grappa e Sospirolo. Il periodo della raccolta inizia a fine settembre e prosegue, generalmente, fino al giorno di San Martino, che si festeggia l’11 novembre. Fino a qualche decina

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di anni fa, i marroni, in dialetto locale “moroni”, venivano raccolti in famiglia e riposti nelle caratteristiche gerle, o in panieri e ceste di vimini. Ogni comunità raccoglieva i frutti dei castagni, senza mai debordare sul terreno altrui, ma dopo l’11 novembre questa regola cadeva ed anche il bestiame poteva goderne, tenendo conto che, in questo periodo, sono generalmente più piccoli e meno sani. Dal 1996 i coltivatori del comprensorio si sono associati nel “Consorzio tutela Morone e Castagno del Feltrino”, che ha sede legale a Feltre e il centro di lavorazione a Fonzaso. Il suo scopo è quello di tutelare e valorizzare i castagneti ed il marrone della zona. Attualmente i 70 soci, che hanno scelto come Presidente Andrea Rusalen, coltivano una sessantina di ettari e conferiscono, ogni anno, tra i quaranta ed i cinquanta quintali di prodotto che, in gran parte, viene commercializzato in ambito locale, oltre che in Toscana dove viene trasformato in farina. “Il marrone feltrino – spiega Serena Turrin socia fondatrice del Consorzio e componente del consiglio direttivo dell’associazione nazionale Città del Castagno – è un frutto sano, genuino e salubre, tenendo conto che sulle piante non viene effettuato alcun trattamento con prodotti di sintesi.” Qualche anno fa anche i castagni del bellunese erano stati attaccati dal Cinipide galligeno, ma questo dannosissimo parassita è stato efficacemente combattuto naturalmente con lanci di insetti antagonisti. “La coltivazione dei castagni – aggiunge Serena Turrin – co-

stituisce una risorsa importante per il territorio non solo da un punto di vista economico e storico - culturale, ma anche ambientale, in quanto il sottobosco viene curato e tenuto pulito, come si faceva una volta. Se così non fosse sarebbe ricoperto da sterpi, arbusti di ogni genere e non sarebbe più fruibile dall’uomo.” Il marrone Feltrino nasce, dunque, nei territori bellunesi lambiti dalle fresche e limpide acque del Piave, di quel fiume, che più di un secolo fa, fermò l’invasione teutonica guadagnandosi il prestigioso epiteto, passato alla storia, di “Sacro alla Patria.” E non è dunque un caso se molti e competenti enologi consiglino il consumo dei marroni della vallata feltrina accoppiato a quello dei vini del Piave. Di questo parere sono anche Renzo Lorenzon ed Alberto Vidotto, entrambi si sono diplomati presso la prestigiosa scuola enologica di Conegliano, risiedono sulla sinistra trevigiana del Piave e, con passione e professionalità, seguono molte cantine della zona dispensando sapienti consigli. “Per le caldarroste –


Cibo di casa nostra premettono – non ci sono dubbi che ci vogliono vini giovani, meglio se novelli ed, ancor meglio, se leggermente frizzanti. Vanno bene sia i bianchi che i rossi.” L’enologo Lorenzon in questo caso consiglierebbe “il Pinot bianco, ma soprattutto gli incroci Manzoni nelle tre versioni di bianco, rosato e rosso, che sono stati creati un secolo fa sulle colline trevigiane da professore Luigi Manzoni, prestigioso direttore della Regia Scuola Enologica di Conegliano.” A sua volta, il collega Vidotto a questi vini ne aggiungerebbe un altro, ricavato da una varietà autoctona, sebbene non molto conosciuta, del territorio di Zenson di Piave. “Si chiama Grapariol – precisa – e non è altro che una Rabosina bianca. A mio parere si accosterebbe benissimo a questi frutti autunnali, sia nella versione frizzante, che in quella spumante.” Con castagne e marroni si possono, inoltre, preparare varie pietanze, sia

come primi che come secondi piatti. “Con gli gnocchi ed i vari tipi di pasta, come pure con il purè – sottolineano i due enologi - si dovrebbe bere un buon Merlot od un buon Cabernet Sauvignon del Piave. Si tratta di vini dal contenuto tannico elevato, che mitiga la succulenta pastosità tipica delle castagne e dei marroni.” Invece, la carne di maiale o i polpettoni di carni bianche, con il ripieno di polpa di marroni, con che bevanda sarebbe corretto accoppiarli? “Con queste pietanze non avrei dubbi – esordisce Renzo Lorenzon - di consigliare il Raboso, si tratta sicuramente del vino più appropriato sia nella versione classica, che in quella Malanotte, tenuto conto che quest’ultima

contiene anche una piccola percentuale di passito.” Ed alla fine del pranzo e della cena arriva l’atteso momento del dolce, naturalmente a base di castagne e marroni. “Il mio consiglio – replica convinto l’enologo Alberto Vidotto – ricade sicuramente sui vari passiti: vanno benissimo quelli della zona del Piave e cioè di Manzoni e Raboso.”

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Moda oggi di Laura Paleari

Luisa Spagnoli:

Stilista e Imprenditrice

F

u una delle prime grandi imprenditrici italiane, conosciuta per il marchio di abbigliamento che porta ancora il suo nome e, forse non tutti sanno, per l’ideazione di un prodotto dolciario importantissimo per la nostra penisola: il Bacio Perugina; iniziando un nuovo processo di industrializzazione che riguardò, non solo la sua regione ma l’Italia intera. Luisa Spagnoli, all’anagrafe Luisa Sargentini, nasce il 30 ottobre 1877 a Perugia da una famiglia di modeste origini, suo padre

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era un pescivendolo e sua madre una casalinga; subito dopo essersi sposata con Annibale Spagnoli, i due comprano una drogheria dove cominciano a produrre confetti e, in seguito, con altri imprenditori che faranno la storia: Francesco Buitoni, Leone Ascoli e Francesco Andreani, assunsero 15 operai, aprendo un’azienda dolciaria. L’azienda cercò di progredire, nonostante la guerra in corso, che segnò duramente la vita di tutti, tanto da arrivare ad un punto in cui all’interno dello stabilimento lavoravano solo la stessa Luisa Spagnoli e i suoi due figli: Mario e Aldo. Il vero successo iniziò nel 1922, quando, la più innovativa del gruppo, appunto Luisa, si rese conto che a fine giornata, tra i vari scarti prodotti, abbondavano la granella di nocciole e il cioccolato. In un’ottica decisamente moderna, decise di utilizzarli per creare un cioccolatino grande quanto la nocca di una mano, con un cuore di gianduia e granella di nocciole, inizialmente chiamato “Cazzotto”, ricordando, appunto, l’immagine della nocca di un pugno chiu-

so. Il nome, in seguito, venne considerato troppo aggressivo e sarà Buitoni a rinominarlo “Bacio Perugina”, parallelamente all’inizio della storia sentimentale con la stessa Luisa Spagnoli, di 14 anni più grande di lui. Si racconta che i bigliettini che oggi conosciamo all’intenso dei Baci, siano dei rimandi a quelli che i due innamorati si scambiavano, mantenendo comunque il loro rapporto il più discreto possibile. L’azienda che la Spagnoli creò fu veramente innovativa: con la crescita di personale, soprattutto femminile, la Spagnoli creò un asilo nido e uno spaccio interni all’azienda, per tutte le madri lavoratrici, promuovendo il diritto all’allattamento e il congedo retribuito di maternità, anticipando così, molte delle politiche aziendali messe in atto negli ultimi decenni. Parallelamente a tutto questo, alla fine della prima Guerra Mondiale, Luisa Spagnoli utilizzo la pelliccia dei coniglia d’Angora, accuditi dalla stessa, per creare dei capi di abbigliamento: scialli e boleri. L’angora è una lana proveniente dalla Turchia, che Luisa Spagnoli scoprì durante un suo viaggio a Parigi; fu grazie a lei che cominciò il commercio di questo tessuto in Italia.


Moda oggi Con alcune collaboratrici, mise a punto un tecnica particolare per filare questa lana ottenendo un tessuto omogeneo e fine. I conigli non venivano uccisi ne tosati ma semplicemente pettinati; il pelo pettinato veniva poi lavorato per ottenere un filato, il quale ebbe un grande successo alla Fiera di Milano nel 1930. Venne creata nel sobborgo di Santa Lucia, l’ ”Angora Spagnoli”, dove i meravigliosi capi creati, venivano poi indossati dalle dive più acclamate del tempo. Lo stile di Luisa Spagnoli si distingue da sempre per l’eleganza e la femminilità dei capi proposti, pur seguendo i trend che la società crea anno dopo anno. Il grande genio della Spagnoli, purtroppo, venne arrestato da un grave tumore alla gola; una volta diagnosticato le vennero dati solo sei mesi di vita. Nonostante la ricerca di una cura, spostandosi nella capitale francese, Parigi, la malattia ebbe la meglio e Luisa Spagnoli si

spense all’età di 58 anni, nel 1935. La fiamma che però la animava, non si spegnerà mai, continuando ad ardere nel figlio Mario, il quale trasformerà l’impresa in una vera e propria realtà industriale a livello globale; il primo negozio fu aperto a Perugia, nel 1940, proseguendo su Firenze,

Roma, Venezia, Napoli e Milano. Oggi quelle idee, nate da una donna senza paura di osare, sono conosciute e apprezzate in tutto il mondo, elevando l’imprenditoria e il genio italiani.

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Walter Zanella e Teresa Gallina

Un nuovo libro su Ernesta Bittanti

La cerimonia di consegna del Diploma al Merito Museo Storico Fondazione

da Trentino Cultura

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Medicina e salute di Armando Munaò

ATTENTI AI FARMACI ONLINE POSSONO ESSERE PERICOLOSI Dall’AIFA, dall’Aduc, dall'Associazione Urologi e dall’Antitrust, un invito alla massima cautela e grande attenzione agli acquisti. Rivolgersi solo e solamente al proprio farmacista di fiducia oppure alle farmacie online autorizzate.

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uello delle farmacie false che si presentano su internet è oramai un vero business mondiale. Sempre di più si trovano siti del tutto somiglianti a vere farmacie che promettono di vendere farmaci autorizzati e invece propongono articoli e ritrovati illegali e potenzialmente dannosi per la salute. Sono tantissimi i falsi farmaci che possono avere effetti collaterali o gravi interazioni con altri medicinali assunti e che alla lunga possono diventare veri cocktail micidiali. Secondo una recentissima ricerca relativa agli acquisti on line di farmaci e medicamenti vari, è dimostrato che un italiano su due si avvale di questa particolare e non sicura metodologia affidandosi a non certificati siti che reclamizzano l’acquisto a basso di prodotti farmaceutici che nulla hanno di certo e garantito. Non solo ma i numeri evidenziano anche che più del 40% degli intervistati dichiara di considerare il web un canale sicuro per

l'acquisto di medicinali poiché, a loro dire, lo fanno perché sui siti visitati è presente la parola 'farmacia' e quindi certezza di garanzia. Nulla di più falso perché per essere certi di essere in presenza di una farmacia online attendibile e sicura è necessario che sulla Home Page sia presente un "bollino" rilasciato direttamente dal Ministero e che certifica e garantisce la serietà e l'affidabilità del rivenditore. Oramai il web è diventato il luogo più frequentato per acquisti e gli scambi commerciali e purtroppo i danni e la pericolosità alla salute di questa prassi sono testimoniati anche dalle affermazioni del Presidente di Federfarma Servizi, Antonello Mirone, il quale oltre a sottolineare che alla base vi è una totale mancanza di consapevolezza circa i potenziali rischi che si corrono acquistando indiscriminatamente medicinali via internet evidenzia che questi farmaci sono prodotti senza nessun controllo di sicurezza e di qualità. Non solo, ma se questi prodotti costano poco

significa che per la loro preparazione non sono usati i richiesti principi attivi che ogni farmaco dovrebbe avere. Da qui il risultato che nel 100% dei casi presentano qualche anomalia, più o meno dannosa. Un’analoga indagine ci dice anche che in oltre il 30% dei farmaci venduti su internet non ci sarebbe il principio attivo e che il circa il 20% il principio attivo richiesto darebbe diverso oppure presente in dosi sbagliate oppure presente in piccolissime quantità e che potrebbero contenere elementi potenzialmente dannosi. Un altro dato significativo è che ad acquistare online sono principalmente gli uomini e lo fanno per avere a bassa costo (ma non certificati) sia farmaci per la disfunzione erettile (Viagra, Cialis e similari) sia anabolizzanti o prodotti per migliorare le prestazioni fisiche, di non certa provenienza. Le donne, seppur con minor frequenza, per le creme di bellezza, tinte e coloranti o prodotti per dimagrire.

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Medicina & Salute di Erica Zanghellini*

La Ludopatia e/o Gambling,

una nuova e pericolosa dipendenza

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uando si parla di nuove dipendenze si considerano tutti quei comportamenti o attività lecite che però minano la qualità della vita o i rapporti sociali del soggetto e della propria famiglia. Non centrano nulla come istintivamente si potrebbe pensare con la dipendenza da sostanza chimica. In questi casi infatti, si considerano una serie di emergenti dipendenze del nostro secolo, tra le quali il fare acquisti compulsivamente (che può portare a disturbi di accumulo), o da tecnologia, o ancora dal gioco d'azzardo fino ad arrivare alla dipendenza dal proprio lavoro o dal sesso. Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento sensibile di questi comportamenti patologici, tanto da spingere i professionisti del settore ad individuare protocolli di intervento o comunque approfondire dei metodi di cura terapeutici efficaci. Ricordiamoci che le dipendenze sono

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sempre esistite e sono mutate asseconda alla cultura, al contesto in cui si vive e in base alla società. Facendo una breve carrellata si è passati dall'alcool, all'uso di droghe (sintetiche e non) fino ad arrivare al mondo attuale dove si riscontrano dipendenze che possiamo definire di tipo comportamentale. Nonostante i mutamenti avvenuti rispetto l'oggetto delle condotte patologiche, si possono evidenziare dei parallelismi comuni tra tutte queste difficoltà. Come prima cosa, si riscontra alla base delle varie patologie una dis-regolazione degli impulsi, accompagnati da comportamenti definiti compulsivi. Questi tipi di atteggiamenti si caratterizzano da una perdita di controllo temporanea nell'attività e/o della situazione in cui ci si ritrova.

Spesso è accompagnata/scatenata da una sensazione crescente di tensione interna, che funge da motivatore nel mettere in atto il comportamento mal adattivo (in gergo tecnico è definito craving). Naturalmente nel momento in cui questo impulso è soddisfatto la tensione lascia spazio al sollievo e/o al piacere. A comportamento avvenuto, la persona arriverà alla consapevolezza delle conseguenze negative e in alcuni casi all'emergere di sensi di colpa che però non si rivelano sufficienti, per non ricadere nell'abitudine malsana. Come detto sopra, sinteticamente questi sono i meccanismi per cui si instaurano e si mantengono i comportamenti di dipendenza. Una delle “piaghe” dei nostri tempi se parliamo di nuove dipendenze, basta pensare alle recenti notizie di cronache in cui un padre ha lasciato in


Medicina & Salute

macchina alle tre di mattina al freddo e al gelo il figlioletto, riguarda la ludopatia o gambling (gioco d'azzardo problematico). Gambling significa “puntare o scommettere una data somma di denaro, o oggetto di valore, sull’esito di un gioco che può implicare la dimostrazione di determinate abilità o basarsi sul caso”. Ampliando la definizione, il giocare d’azzardo quindi può anche essere definito come “qualsiasi puntata o scommessa fatta, per sé o per altri, con denaro o senza, a prescindere dall’entità della somma, il cui risultato sia imprevedibile ovvero dipenda dal caso o dall’abilità” (Gamblers Anonymous, 2000). Possiamo considerarla a tutti gli effetti un problema con impattanti ripercussioni sulla qualità di vita, che spesso coinvolge non solo la persona interessata, ma porta con sé anche i famigliari. Dobbiamo inoltre aggiungere, spesso e volentieri, comportamenti rischiosi che hanno ripercussioni negative sul proprio benessere e quello dei propri cari. Quante persone hanno dilapidato patrimoni, immobili ecc..per colpa di questo problema? Sebbene come ogni cosa importante, necessita di impegno e di costanza per arrivare all'obiettivo è essenziale sapere che si può superare questa situazione, esiste una via d'uscita e prima ci proviamo meglio è. Se è affron-

tata fin dai primi segnali d'allarme le possibilità di risolvere la difficoltà connessa al gioco patologico in tempi veloci e in modo efficacie aumentano proporzionalmente. Evitare eventuali complicanze direttamente connesse, quali crolli finanziari, crisi famigliari e lavorative, fino ad arrivare nei casi più estremi a problemi giudiziari risulta essere, come facilmente intuibile, un forte vantaggio. Non pensiamo che sono pochi i casi dove almeno uno di questi fattori entra in gioco, ed è per questo che è importante non sottovalutare possibili campanelli di allarme o rimanere nel dubbio se un nostro caro abbia questo tipo di difficoltà. Procrastinare la presa in mano della situazione o meccanismi di giustificazione si riscontrano quasi in tutte le storie dei giocatori e della propria famiglia. Uno degli approcci terapeutici efficaci per affrontare questo problema comprovato da studi scientifici, è la terapia cognitiva-comportamentale che punta a identificare i meccanismi alla base della dipendenza da gioco e alla sostituzione di eventuali strategie disfunzionali per affrontare e gestire tale condotta problematica.

Ricordiamoci che purtroppo è molto difficile il primo approccio, il giocatore spesso e volentieri nega la propria condizione, cerca di tenerla nascosta alla sua famiglia, e quando viene a galla rigetta l'ipotesi di avere una dipendenza e quindi di cercare aiuto. Affidarsi a specialisti del settore per il trattamento, vuol dire come prima cosa essere motivati ad affrontarla. Finché una persona non ammette di avere un problema col gioco mancano i presupposti per intraprendere una terapia di successo. La motivazione deve essere interna, cioè deve essere la persona stessa a volere modificarsi/ cambiare, se così non fosse ma, per esempio si rivolge solo per via di pressioni esterne dei famigliari oppure lavorative si riducono le percentuali di riuscita. Ricordo inoltre, che è possibile anche frequentare dei gruppi di auto-aiuto dedicati a tale tematica; sono importanti per facilitare la maturazione della consapevolezza del problema e per mantenere un buon grado di motivazione per superare tale patologia. Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 3884828675

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La prima donna dell'auto di Anna Stefani

Bertha Benz

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ertha Benz è la donna che ha compiuto il primo vero viaggio in auto della storia. Lo ha fatto per quasi 200 km al volante della Patent Motorwagen (la prima vettura di sempre) progettata dal marito. Bertha Ringer nasce a Pforzheim (Germania) il 3 maggio 1849. Terza di nove figli di un carpentiere, conosce Karl Benz (che nel 1886 inventerà la prima automobile) nel 1870, lo aiuta finanziariamente a sviluppare la sua attività nel periodo di fidanzamento, e lo sposa il 28 luglio 1872. Nello stesso anno assiste alla nascita del primo motore a scoppio, mentre l’anno successivo vede la luce il suo primo figlio, Eugen. Seguiranno Richard (1874), Clara (1877), Thilde (1882), ed Ellen (1890). L’attività del marito inizialmente non ha successo, dopo il brevetto depositato nel 1886, lo sviluppo dell’au-

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to languiva e la famiglia Benz attraversa una crisi finanziaria fino a divenire nullatenenti. Con un’intuizione geniale, nel 1888, all’insaputa del marito, Bertha carica i due suoi figli più grandi sulla Patent Motorwagen ideata da Karl e percorre il lungo tratto di strada che separa Mannheim da Pforzheim. Un viaggio tutt’altro che facile su quel veicolo a tre ruote dotato di un motore monocilindrico quattro tempi da 1660 centimetri cubi e 2,5 Cv a 500 giri che raggiungeva la velocità massima di circa 16 km/h, e con un consumo medio di 10 l/100 km, a fronte di un serbatoio di soli 4,5 litri. Durante il viaggio, Bertha si dovette improvvisare meccanico, pulendo i carburatori con

gli spilloni dei capelli e chiedendo a un calzolaio di sistemare le ganasce dei freni. Per fare il pieno di carburante si reca in una farmacia di Wiesloch che ancora oggi è considerata il primo distributore di benzina della storia, e non mancano le soste presso bagni pubblici e fontane per l’acqua necessaria al raffreddamento. Il motore da 2,5 Cv è inadatto a sopportare le salite, per questa ragione Eugen e Richard devono spesso scendere dalla vettura e spingere. In seguito a questa esperienza Bertha consiglia al marito di inserire una marcia più corta per superare meglio le pendenze. Solo dopo l’arrivo a Pforzheim informa il marito con un telegramma e torna a casa il giorno seguente. L’impresa di Bertha Benz porta moltissima pubblicità a Karl e alla sua vettura: nel giro di


La prima donna dell'auto anche il primo modello costruito in serie. Fu poi sviluppata anche in versione quattro ruote in esemplare unico, con sterzo con fuso a snodo. L'esemplare guidato da Bertha Benz è giunto fino a oggi ed è conservato al Museo dell'Automobile Dr. Carl Benz di Ladenburg, in condizioni originali. La vettura è di proprietà dello Science Museum di breve tempo i mezzi di trasporto doLondra. tati di propulsore a scoppio entrano a Rimasta vedova nel 1929, far parte della quotidianità e vengono Bertha muore il 5 maggio acquistati anche dai più irriducibili 1944 a Ladenburg (Geroppositori. mania). Nel 2008, in suo La Patent-Motorwagen fu prodotta onore, viene creata la Berfino al 1894 in 25 esemplari, con tha Benz Memorial Route: motori da 1,5 a 3 Cv, diventando così una strada turistica di 194 Logo con colori quadricromia applicati

km che passa per i luoghi attraversati da Bertha. Nel 2016 Bertha Benz è stata insignita dell’onoreficenza 'Automotive Hall of Fame, l’associazione mondiale che raccoglie le figure che si sono maggiormente distinte nel campo dell'industria dell'automobile, tra nomi quali Ferdinand Graf von Zeppelin, Ferdinand Porsche, e Giovanni Agnelli.

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L’avvocato risponde di Erica Vicentini*

HO PRESTATO MA NON SONO STATO PAGATO Un lettore ci pone un quesito molto interessante, che riepilogo come segue. Dopo aver dato in prestito ad un amico una somma di denaro considerevole (euro 6.000,00) alla presenza della moglie (immagino di lui), il debitore purtroppo è deceduto. Alla richiesta del nostro lettore-creditore di vedersi restituita la somma di denaro prestata al decuius, la moglie ormai vedova ha risposto che non riconosceva il prestito al marito perché aveva utilizzato i soldi per scopi personali: quindi faceva capire la volontà di non restituirli. Quante volte capita a tutti, nella vita quotidiana, di aiutare, del tutto in buona fede, un amico economicamente in difficoltà. Nel caso di specie, purtroppo, è intervenuto un fatto imprevedibile e grave che ha reso complessa una situazione che potrebbe sembrare a prima vista lineare e quasi ovvia. La vicenda, infatti, tocca questioni giuridiche molto diverse fra loro, che si intersecano e rendono la risposta articolata: si è di fronte ad un contratto verbale, stipulato in presenza solo di un testimone, fra un soggetto deceduto debitore e il creditore che intende richiedere l’adempimento. Partiamo da una premessa obbligatoria: nel nostro ordinamento, è sempre difficile il recupero di una somma di denaro data ad altri a titolo di prestito (senza interessi) o mutuo: la strada è lunga e passa da un accertamento giudiziale per poi arrivare all’esecuzione coattiva con il precetto ed il pignoramento. Ciò ovviamente se la restituzione non avviene in via bonaria, ossia per volontà del debitore, con pagamento spontaneo. Ritengo che, dal punto di vista della esistenza e validità del contratto, i dati che il lettore ci fornisce risultino sufficienti per ritenere che non vi siano ostacoli: il contratto, infatti, è stato stipulato in forma orale (immagino con la vecchia “stretta di

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mano”) che è del tutto sufficiente e valida per un contratto di questo tipo (artt. 1325 ss c.c.): si è creato quindi un vincolo fra le parti che contempla reciproci diritti e doveri. In più, ci viene pare che al momento della stipulazione del contratto era presente una testimone: questo elemento è sicuramente importante anche se la testimonianza non è un mezzo di prova “forte” come può esserlo un contratto scritto e firmato. È fisiologico che il creditore chieda oggi l’adempimento a coloro che ritiene eredi anche se, da quanto ci viene esposto, non sappiamo se, al momento della stipula del contratto, sia stata pattuita una certa scadenza o termine dopo il quale fosse esigibile il pagamento.

Nel caso di debitore deceduto, di regola i debiti che aveva contratto in vita confluiscono nel c.d. asse ereditario e, quindi, ricadono sugli eredi che accettano l’eredità. Poco importa qual è stato il motivo del debito o delle spese sostenute dalla persona deceduta: di regola, sulle figura dell’erede confluiscono tutte le posizioni soggettive (attive ma anche passive) che erano in capo al decuius. Uno dei problemi che si pone, quindi, è verificare il primo luogo se la moglie e gli altri chiamati all’eredità abbiano accettato o meno di diventare eredi (artt. 459, 470 ss c.c.). Esistono vari modi di acquisto dell’eredità: espressa, tacita, semplice o con beneficio di inventario.


L'avvocato risponde

Laddove la moglie (o altri chiamati all’eredità) accettino di diventare eredi a tutti gli effetti, non vedo ostacoli a che il nostro lettore (e creditore) richieda l’adempimento del contratto di prestito stipulato in via orale dal decuius. Vero è, però, che l’adempimento potrebbe non essere spontaneo.

In tal caso, è necessario l’intervento di un avvocato che, di regola, dapprima diffida il debitore a pagare in maniera spontanea: ciò a mezzo di una c.d. lettera monitoria. Laddove il debitore non paghi, sarà necessario instaurare un giudizio civile in Tribunale per accertare la sussistenza del credito e vedere condannati i debitori-eredi alla restituzione della somma. Solo in tal modo, infatti, sarà possibile avere un titolo per poter poi andare a recuperare coattivamente (ad esempio con un pignoramento) la somma dovuta: non esistendo un contratto scritto, l’accertamento del Giudice sarà in primo luogo volto a verificare l’esistenza dell’accordo fra le parti (anche a mezzo di testimoni)

nonché la dazione effettiva della somma di denaro. Ottenuto il titolo, ovvero la sentenza di condanna, il nostro lettore-creditore potrà recuperare coattivamente la somma dagli eredi che hanno accettato l’eredità. Ovviamente, solo un’analisi completa di tutti i documenti e di tutte le circostanze rilevanti può permettere un parere esaustivo e una valutazione sulla necessità o meno di una causa. *Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84 Chi desiderasse avere un parere su un problema o tematica giuridica oppure una risposta su un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore.feltrinonews@gmail.com

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Lettera al Direttore Da parte di una gentile lettrice riceviamo e volentieri pubblichiamo CONTINUITÀ CON LA TRADIZIONE

Parlare di Alfonso Fratteggiani Bianchi per me è un grande piacere. Nato e cresciuto in Umbria viene scoperto dal noto collezionista Giuseppe Panza. Noto per i suoi monocromi, Fratteggiani Bianchi si concentra sul colore allo stato puro. La peculiarità delle opere dell'artista Umbro è la ricerca del colore. E' stato un lungo cammino che alla fine ha trovato una soluzione ottimale: il colore posto direttamente su di un supporto in pietra senza l'uso di collanti che ne alteri l'intensità cromatica. Era necessario avere la superficie di un materiale che nelle sue piccolissime cavità trattenesse in modo stabile i finissimi granuli (Kremer

Pigmente) puntiformi del pigmento. Superficie ideale che l'artista ha individuato nella pietra serena, tipica della sua Umbria, utilizzata nel Rinascimento da Brunelleschi nell'architettura e nell' edilizia. L'artista non adopera pennelli o altri strumenti. Il colore è steso con un dito della mano destra. Per farlo

aderire alla superficie liscia della pietra è necessaria una pressione molto delicata per fare penetrare il colore. Sono stati necessari 3000 anni di storia dell'arte per fare maturare le condizioni che rendono possibile

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Lettera al Direttore questa arte, che per la prima volta ha dato al colore la possibilità di esprimere tutta la sua potente bellezza.

L'IMPACCHETTAMENTO

Le grandiose opere di Land art, pensate per anni, diventano spettacolari scenari effimeri per pochi giorni: anche il ricordo e la memoria fanno parte dell'opera d'arte ambientale. Christo fa galoppare la fantasia del pubblico e dello spettatore,siamo portatori a dare un valore maggiore alle stesse cose che abitualmente vede con occhio differente. Il velo che spesso ci offusca la visuale che dalla mente raggiunge il campo visivo.

SIAMO TUTTI FIGLI DI DUCHAMP

Ed infine partiamo sempre da Du-

champ, passando per il coraggio di un Manzoni, di Klein e di un Fontana. Alla mozzarella in carrozza, di De Dominicis, alle sgocciolature di Pollock e a tutte le stramberie di Warhol, per poi arrivare alla banana di Cattelan. Una banana e un pezzo di scotch . Lui la banana ce l'ha ed è andato ovunque. Maurizio Cattelan è un artista internazionale. Ma scusa una banana attaccata al muro? Per carità! " Non è arte perché non mi emoziona". Ciò che conta è il gesto, l'idea. Maurizio dice sempre che le sue

opere devono poter essere riassumibili in una frase, in una telefonata, in pochi secondi. "Non pensare di fare arte, falla e basta, lascia che siano gli altri a decidere se è buona o cattiva se gli piace o se gli faccia schifo. Intanto mentre gli altri sono lì a decidere tu fai ancora più arte".

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Prevenire si può di Franco Zadra

Incidenti domestici ai bambini

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bambini, quando arrivano in una casa la riempiono, così come riempiono la vita dei genitori. Ma le mura domestiche possono essere anche teatro di incidenti per i piccoli. La maggior parte degli incidenti domestici che capitano ai bambini, impegnano i genitori a prevederli e prevenirli, coinvolgendo tutte le persone che girano per casa, come nonni, babysitter, o fratelli più grandi. Ogni giorno, e da un giorno all’altro, ci sorprendiamo per come i bambini crescono e cambiano, evolvendo e avventurandosi per la casa in modo sempre più spavaldo. Secondo un’indagine Istat sugli “Aspetti della vita quotidiana”, ogni anno in Italia si verificano circa oltre 3 milioni e mezzo di incidenti domestici con altrettante persone coinvolte. Tra le principali cause di morte nei minori tra 1 e 5 anni, gli incidenti domestici vedono più di 660mila bambini in questa fascia d’età ricorrere alle cure ospedaliere in seguito a un incidente dentro casa. Uno studio statistico indica più frequentemente la ricorrenza del trauma da caduta e da schiacciamento (55%), seguito da ferite e da lesioni da taglio (17%) provocate da animali (3,5%), urto e schiacciamento (14%), ustione termica, chimica e corrente elettrica (7%) e segnala un rischio aumentato in alcune ore del giorno e in alcuni giorni della settimana, i prefestivi e festivi, o durante particolari eventi familiari come un trasloco, un lutto, o la nascita di un fratello. L’assunzione accidentale di sostanze nocive e i traumi, che avvengono soprattutto in cucina, sono prevalenti al di sotto dei 4 anni, fin da quando il bambino comincia a muoversi in modo autonomo e impara

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a conoscere gli oggetti che lo circondano mettendoli in bocca. D’altra parte i bambini hanno bisogno di esplorare per capire il mondo che gli sta intorno e i genitori, pur se sorvegliano con attenzione, non possono impedire loro di sperimentare la propria capacità di affrontare le difficoltà, creando invece le condizioni perché possano agire senza rischi, o riducendo al minimo i fattori di rischio, intervenendo nell’ambiente domestico con tutte le trasformazioni necessarie, e adottando comportamenti corretti per creare le condizioni indispensabili di sicurezza, adattandole via via ai cambiamenti del bambino, seguendone le tappe evolutive per farlo vivere in una casa sempre sicura, una casa a misura di bambino. Per riuscire a ovviare alle piccole disattenzioni che possono capitare, occorre tener presente alcuni consigli elementari che considerano che i rischi principali da 0 a 6 anni sono, la caduta, l’asfissia/annegamento, l’ustione. Si consiglia, per esempio, di far

dormire il bambino a pancia in su, e mai nel letto con i genitori. Quando è sul fasciatoio non lasciamolo mai solo neppure per un attimo, avendo a portata di mano tutto quanto serve prima di iniziare qualsiasi operazione, come il cambio del pannolino. Riporre i prodotti per l’igiene lontano dalla sua portata, il borotalco o altre polveri, se inalate, possono essere pericolose. Per evitare ustioni controlliamo sempre la temperatura del bagnetto, quella giusta è 37°C, e mai lasciare i bambini da soli accanto a vasche da bagno piene d’acqua. Attenzione al latte del biberon. Deve avere una temperatura sui 38-40 gradi. Non lasciamo mai da solo il bambino in presenza di animali domestici. Ma per prevenire gli incidenti sono importanti, la conoscenza dell’ambiente in cui li crescete, capire la loro indole, e adottare comportamenti corretti nella gestione del menage familiare.


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Cani, gatti e piccoli animali di Angela Sartori

AMICI E COMPAGNI DI VITA

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iamo un popolo di pet-friendly, ovvero amici degli animali. Secondo i dati del rapporto Italia redatto dall’Eurispes riferito al 2016 infatti noi italiani condividiamo le nostre case con ben 60 milioni di animali domestici tra cani, gatti, ma anche pesciolini, tartarughe, criceti, conigli, uccellini e persino rettili e animali esotici. Quasi la metà di noi quindi, il 43,3%, possiede almeno un animale domestico. Definire i nostri amati coinquilini semplicemente “animali domestici” è però quasi riduttivo; sappiamo tutti infatti che per noi sono molto di più, diventano membri della famiglia e veri e propri compagni di vita a cui confidare pensieri e stati d’animo e con cui condividere momenti di affet-

to e di gioia, tirando fuori il nostro lato più tenero e giocoso. Anche la filmografia e la letteratura hanno contribuito a mettere in risalto lo speciale rapporto che si instaura tra un essere umano e il suo animale. Una storia su tutte molto famosa è quella di Hackico, film ispirato alla storia vera del cane Hachi, di razza Akita Unu, che non rassegnato alla morte del suo padrone tutti i giorni alla stessa ora si reca alla stazione ad aspettare il suo ritorno dal lavoro. Ma anche le pagine dei libri offrono innumerevoli narrazioni di quest’amicizia duratura, millenaria. La scrittrice parigina Colette ad esempio nelle sue pagine elogia i suoi compagni cani, ma specialmente i gatti, che lei preferiva, confessando che “Da loro ho imparato a essere riservata, disciplinata e intollerante del rumore.” L’ americano John Steinbeck premio Nobel per la letteratura invece, in un suo libro condivide un’intera avventura insieme a Charley, il suo barboncino francese, che porta con sè in viaggio per gli Stati Uniti. Per tutti il proprio animale è insomma

speciale, insostituibile; con ciascuno infatti instauriamo un rapporto unico, poiché proprio come noi umani ognuno di loro ha una propria personalità, delle abitudini, dei modi di comunicare propri, che diventano parte integrante della reciproca convivenza. Gli animali insomma ci fanno stare bene: alleviano la nostra solitudine e garantiscono un affetto incondizionato, ma ci aiutano anche a crescere emotivamente. Secondo alcuni studi inoltre, si ritiene che vivere con un cane o un gatto aiuti addirittura a ridurre il livello di colesterolo nel sangue e a regolare la pressione arteriosa. Quel che è certo è che è questi piccoli e grandi amici riescono davvero a rendere la nostra vita ancora più ricca e vivace.

LA PAROLA AI LETTORI COMUNICATO DI REDAZIONE

Chi fosse interessato alla pubblicazione di uno scritto o un articolo riguardante una opinione personale, un fatto storico, di cronaca o di un qualsiasi avvenimento, può farlo indirizzando una email a: direttore.feltrinonews@gmail.com. Il testo, di massimo 3.500 battute, dovrà necessariamente contenere nome e cognome dell’articolista l’indirizzo di residenza e un recapito telefonico per la verifica. Il direttore si riserva la facoltà della non pubblicazione in caso l’articolo non dovesse rispettare l’etica giornalistica o d’informazione.

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Non solo animali di Monica Argenta

4 Ottobre:

Giornata Mondiale degli Animali

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l 4 ottobre si celebra la Giornata Mondiale degli Animali e non a caso in quella stessa data si celebra San Francesco, figura religiosa conosciuta per aver chiamato “fratelli” tutti gli esseri del Creato. Ma cosa è esattamente la Giornata Mondiale degli Animali? A cosa serve e quando è nata? Iniziamo col dire che la Giornata del 4 ottobre è una ricorrenza che esiste oramai da 90 anni, da quando cioè ad un congresso internazionale tenutosi nel 1931 a Firenze si riconobbe la necessità di istituire una data condivisa a livello globale dedicata alla preservazione delle specie in via di estinzione. Promotore dell'iniziativa fu lo scrittore ed editore tedesco Heinrich Zimmerman che già dal 1925 aveva iniziato ad organizzare eventi a favore di questa causa. Sensibile ai cambiamenti della società e al passo con i tempi, lo scopo originale della Giornata si è sviluppato, arricchito e negli anni si sono affiancati altri obiettivi, per lo più complementari. In sintesi, la mission odierna consiste nel favorire una cultura compassionevole che si nutra di riforme legali e progressi sociali per rendere il nostro mondo un luogo più giusto per tutte le creature. Il sito www.worldanimalday.org.uk (disponibile in moltissime lingue grazie al traduttore) dispone di tutti gli approfondimenti del caso e si offre come “vetrina” per far conoscere le diverse iniziative. Dal 2003 viene gestito dalla Fondazione inglese Naturewa-

tch. Pieno di risorse ed idee destinate sia ai singoli individui sia ai diversi gruppi come Associazioni, scuole, ambulatori veterinari è una vera e propria boccata di ossigeno per ogni amante degli animali. Visitandolo, vi si potrà scoprire che assieme alle ingiustizie riservate ai nostri “fratelli”, di cui purtroppo veniamo a conoscenza quotidianamente, ci sono anche innumerevoli buone notizie. Scopriremo ad esempio che anche in Paesi dalle condizioni socioeconomiche problematiche si stanno portando avanti importanti e bellissime progettualità. Solo per citare qualche esempio: SPARE, associazione per la protezione animale in Egitto è riuscita a far inserire delle modifiche pro-benessere animale nella nuova Costituzione, così come attivisti in Sudan sono riusciti a far introdurre una legislazione specifica in Parlamento. Gli aspetti da affrontare per una

migliore relazione uomo/animale, a livello globale, sono tantissimi e estremamente complicati, non può certo essere l'istituzione di una Giornata Mondiale di per se a risolverli. Però, come per ogni movimento di massa, non può esserne sottovalutata la portata, ovvero la capacità di mobilitare un gran numero di singoli individui verso obbiettivi comuni. Condividere buone pratiche, successi, ma anche problemi ancora da risolvere, è sempre di ispirazione per chi vuole rispondere ad una sfida in modo costruttivo. La Giornata Mondiale degli Animali, associata anche alla festa del nostro Patrono Nazionale, potrebbe essere quindi per noi italiani di doppio stimolo per cercare di costruire un mondo migliore. E come direbbe lo stesso San Francesco: ”Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile e all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile”.

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Curiosità di casa nostra di Monica Argenta

I° Simposio Regionale di SPAVENTAPASSERI

A Poggio Pagnan di Borgo Valbelluna

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l I° Simposio Regionale di Spaventapasseri si è tenuto a settembre 2021 presso la vigna di Poggio Pagnan a Zottier, Borgo Valbelluna. Ammetto che mentre leggevo la locandina che pubblicizzava l'evento ho vissuto emozioni contrastanti: sbalordita e divertita. Mi sono immediatamente immaginata un gruppo di Spaventapasseri provenienti da tutto il Veneto, seduti su una struttura a forma di anfiteatro discutere con voce gracchiante (perché è così che immagino la voce di uno spaventapasseri...). Le immagini surreali erano degne del più puro realismo magico sudamericano, un'atmosfera che contraddistingue comunque la piccola frazione di Zottier. E poi arriva il giorno dell'appuntamento ed eccomi lì, in una splendida giornata dal cielo azzurrissimo a cercare di capire cosa potesse capitare di così magico tra i filari di una piccola vigna su una collinetta incorniciata dalle montagne. La proprietà, apparte-

nente alla famiglia Cet è incantevole di per se e Giampaolo, assieme al giovane Alex, hanno tutte le capacità e volontà di risaltarne gli aspetti più suggestivi: un luogo di recupero delle tradizioni e valorizzazione del patrimonio naturalistico. Dopo pochi minuti mi appare più chiaro il loro programma della giornata: lo scultore zumellese Beppino Lorenzet ed altri artisti suoi amici artisti son stati invitati ad un Simposio di Scultura per creare degli spaventapasseri. Quindi il termine “simposio” assumeva una sua declinazione specifica, tra scultori molto utilizzata, di opportunità di lavorare fuori dal proprio laboratorio. A stretto contatto con altri colleghi, gli scultori possono condividere aspetti tecnici e conviviali e permettono al pubblico di seguire la progressiva evoluzione delle loro opere. Oltre al citato Lorenzet, c'erano Andrea Gaspari di Cortina, Sara Andrich di Canale D'Agordo, Luca Lisot di Santa Giustina, Marco Pancrazio di Asiago, Gianluca De Nard di Sedico e Gianluigi Zeni di Mezzano (TN), tutti nomi di comprovata fama. Un allegra brigata insomma , come si suol dire, che ha dato vita a sette spaventapasseri, spettacolari ognuno a modo suo. Lo spaventapasseri, lo sappiamo tutti, storicamente è stato un dissuasore utilizzato contro gli attacchi da parte degli uccelli sulle culture. Da tempi immemori rappresenta uno dei tanti strumenti utilizzati dall'uomo nella sua contrapposizione ancestrale contro l'ostile mondo naturale. Le opere proposte da questi 7 artisti sono invece diverse,

più giocose ed attuali. In particolar modo colpisce Sara Andrich, unica esponente femminile, che propone uno spaventapasseri capace di ospitare un nido sulla sua testa, o Bepi che allunga il naso al suo fantoccio per poter offrire uno spazio di sosta ad un eventuale uccello stanco. E' evidente che i tempi son cambiai, per fortuna! Tutte le opere sono state prodotte con particolare attenzione ecologica, create con materiali biodegradabili o riutilizzabili, c'è pure un fantoccio giraffa, perché Andrea sostiene che se funziona in Africa …. Gli spaventapasseri del Iº Simposio regionale sono sculture straordinarie , nate in un contesto straordinario. Saranno lasciati nell'azienda, tra i filari di vite a vegliare sui raccolti fino alla loro naturale dissoluzione “scacciando gli uccelli golosi ma attirando tante persone di tutte le età, sollecitandoli a fantasticare” ( dice Beppino Lorenzet). Fantasticare, e già, e magari immaginarli seduti in cerchio per parlare dei loro problemi, gracchiare e ridere di noi umani che a volte siamo ancor più immobili e irreali di loro.

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Racconti d'arte in collaborazione con Museo Burel di Daniela Zangrando

RAGNAR KJARTANSSON E IL COVID-19

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artiamo da qui. Da un’opera che sembra un incantesimo. Si intitola “The Visitors”. È del 2012, e porta la firma dell’artista Ragnar Kjartansson, nato in Islanda nel 1976 e uno degli artisti visivi più riconosciuti della sua generazione. Come fa a dire qualcosa sul Covid-19 – vi chiederete immediatamente – se è stata realizzata nel 2012, quando non avremmo mai immaginato di trovarci nel bel mezzo di una pandemia? Lo scopriremo assieme. Ma voglio subito confidarvi una cosa che ho imparato all’inizio della mia esperienza universitaria. La grande arte, non importa se sia espressione del Quattrocento, del Novecento, o d’oggi, è in grado di anticipare i tempi. Li precorre. È un concetto sul quale torneremo spesso. Seguitemi ora al centro del lavoro. Entriamo in un’ampia sala. Al centro non c’è nulla, ci siete solo voi. Alle pareti, vi circondano nove video in scala 1:1 che mostrano un gruppo

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di donne e di uomini che suonano e cantano una melodia. Sono l’artista e alcuni collaboratori e musicisti. Tra di loro alcune delle figure di spicco del panorama musicale islandese, tra cui i componenti di gruppi quali Múm e Sigur Rós.

Ognuno di loro è mostrato in una delle stanze di una grande residenza ottocentesca di Rokeby, sul fiume Hudson, nell’Upstate New York, proprietà da oltre duecento anni di una delle famiglie più benestanti e influenti della società, della finanza e della politica americane di fine Ottocento – inizio Novecento. L’installazione ci fa entrare nella biblioteca, nello studio, nella sala della musica, nella cucina, in una camera da letto, nella sala da bagno, ci lascia affacciare su un pianerottolo e sulla veranda della casa. Tutti gli spazi sono accumunati da uno stato di nostalgica decadenza. Muri dai colori tenui scrostati, sedie di legno, credenze signorili, specchi e paraventi. Libri che dichiarano di non aver lettori da lungo tempo. Grandi dipinti con cornici baroccheggianti e dorate. Colonne di gesso e stucchi decorativi. Poltrone con imbottiture floreali. Mezzi busti di uomini dallo sguardo eroico. Sopra la testiera del letto della camera, un campo di papaveri rovinato dagli anni,


Racconti d'arte in collaborazione con Museo Burel sul quale svolazzano dei corvi neri. I musicisti, illuminati dalla luce bagnata e tenue dell’alba, cantano tutti la medesima traccia, composta dall’artista a partire dalla poesia “Feminine Ways”, che in italiano potrebbe essere tradotta come “Modi femminili”, scritta nel 2010 da Ásdís Sif Gunnarsdóttir, artista, performer ed ex moglie dell’artista. Fate uno sforzo e immaginatela. Non vi sarà difficile. È come il canto delle Sirene. Si incolla in testa e non vi lascia più. È toccante, commovente. Non soffermatevi sulle parole e lasciatevi solamente cullare da questa nenia, ninnananna, incantesimo per l’appunto. L’artista suona una chitarra in una vasca da bagno, e inizia a recitare lentamente i versi. C’è chi suona un violoncello, chi un pianoforte. Chi una fisarmonica. Tutti i musicisti stanno ripetendo alcuni versi… li sentite avanzare e tornare moltissime volte. Vi raccontano di come, ancora una volta, ci si immerga in modi femminili. Ci si abbandoni. Il loro è un crescendo quasi orchestrale. Sono un coro. La melodia si dilata, prende spessore. Sentirete gonfiarsi il cuore in petto e non potrete smettere di seguirli. Eccoli che ora quasi bisbigliando vi parlano di stelle che esplodono in cielo e di come non possiate far nulla. Se non guardare in alto – mi vien da aggiungere. Completamente avvolti dalla musica, vi sentirete uno di loro,

uno di quei musicisti, con le note che ronzano in testa e sulle labbra. E vi sembrerà quasi strano quando, proprio alla fine, i personaggi dei video si ritroveranno tutti assieme, e lasceranno la casa, incamminandosi nel verde. E il Covid-19? – mi chiederete. Non vi sarà sfuggito come in “The Visitors” ogni personaggio abiti uno spazio differente. Ognuno di loro canta la stessa identica melodia, ma è solo, collegato agli altri musicisti unicamente attraverso le cuffie audio. Sono esseri isolati, che diventano coro e gruppo solo grazie alla musica, ad una condivisione che va oltre lo spazio. È qualcosa che abbiamo conosciuto proprio durante la lontananza a cui

ci ha costretto ed in parte abituato la pandemia. Chiusi negli ambienti domestici, abbiamo fatto esperienza di cosa possa significare ‘esser soli assieme’, comunicando tramite social, messaggi, schermi. È stata un’esperienza prolungata, che ha cambiato la nostra idea di casa, di quotidiano, e che forse ha anche modificato e dato nuovo senso al significato più intimo dell’amicizia. Ragnar Kjartansson, come abbiamo visto, ci introduce a questa condizione, prima ancora che sia vivibile. In modo poetico ci fa intravedere nuove possibilità per stare assieme e per combattere la solitudine. Magie dell’arte. E questa è solo la prima.

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Lo sapevate che... di Chiara Paoli

Molta della frutta e verdura sulle nostre tavole, arriva dall’America?

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rima della scoperta dell’America (1492), in Europa non si mangiava la patata e neppure il mais o la fragola. Tutti prodotti oggi ampiamente diffusi e coltivati anche in Valsugana. La patata nasce sulle Ande, ed era uno dei cibi più diffusi tra gli Inca che incrementarono le differenti varietà per poterla coltivare nelle diverse regioni. Sono i Conquistadores spagnoli che per primi giungono in Perù, a scoprire e descrivere la patata nel 1537. Tale tubero viene quindi introdotto in Europa, ma inizialmente era riservato ai soli animali e denominato tartuffolo o tartufo bianco. A incidere sull’opinione è anche la forma irregolare della patata, per la quale era considerata deforme e si pensava addirittura che potesse cagionare la lebbra. Tale tubero poi non veniva menzionato nei testi sacri e per questo motivo si riteneva che Dio fosse contrario all’uso della patata per l’alimentazione umana, e associata di conseguenza al diavolo e alla stregoneria. Il vegetale che cresce nel sottosuolo si diffuse ampiamente, assieme al mais,

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intorno alla metà del ‘700, quando con l’aumentare della popolazione, si rese necessario sviluppare coltivazioni che garantivano una maggiore resa in termini quantitativi rispetto ai cereali. Carestia e guerre resero la patata un alimento indispensabile per la sopravvivenza delle classi più povere. Crescendo sottoterra era meno soggetta ai danni provocati dagli eserciti di passaggio, e a sostenere fortemente il suo utilizzo giunse anche il farmacista e agronomo francese Antoine-Augustin Parmentier, di cui oggi udiamo ancora il nome, che sta a indicare la crema di patate. Lo stesso vale per il pomodoro, i peperoni, e il fico d’india, elementi fondamentali della dieta mediterranea, ma assenti nel continente europeo sino agli albori del XVI secolo. Anche il pomodoro, re delle ricette italiane, della pasta al sugo, e della pizza, giunge a noi dall’America centrale. Se gli Aztechi lo chiamavano xitomatl, i francesi lo ribattezzano come pomme d'amour, quindi

"pomo d'amore" perché ritenevano avesse anche proprietà afrodisiache. Pare che il navigatore e poeta inglese sir Walter Raleigh, abbia fatto dono di tale pianta carica di frutti, alla regina Elisabetta, appellandola a sua volta con l’epiteto “apples of love”. La prima descrizione risale al 1544 ed è frutto di Pietro Andrea Mattioli, consigliere e medico personale del principe vescovo di Trento Bernardo Clesio. Il pomodoro deve il suo nome al colore giallo intenso che inizialmente lo caratterizzava e che solamente più tardi, per i climi più favorevoli, si trasformò nel frutto rosso che oggi noi tutti conosciamo, anche grazie a selezioni e innesti. Le piante di pomodoro inizialmente, a sua volta ritenuto velenoso, per la sua notevole somiglianza all'erba morella, utilizzata in ambito medico, ma tossica, assieme alla patata venivano utilizzate come piante ornamentali. Nel 1640 i nobili di Tolone donano quattro piante di pomodoro al cardinale Richelieu, e, per rimanere in Francia, per gli uomini era consuetudine


Lo sapevate che... regalare alle nobildonne piantine di pomodoro, come gesto d'amor cortese. Come alimento sulle tavole degli europei il pomodoro si affermerà soltanto verso la fine del XVIII secolo. Una delle scoperte più golose del Nuovo Mondo poi è il cacao, conosciuto e coltivato dalle popolazioni Maya. Una leggenda azteca narra che la pianta di cacao venne offerta agli uomini dal dio Quetzalcoatl (dio serpente piumato), per confortarli nelle loro fatiche quotidiane. Inizialmente conosciuti con il nome di Amygdalae pecuniariae (cioè mandorla di denaro), perché i semi di cacao erano anche adoperati quale moneta di scambi (e spesso i gusci venivano contraffatti e riempiti di fango); vennero poi definiti da Linneo “Theobroma cacao”, ovvero “cibo degli dei”, e come dargli torto? A condurre il prelibato oro nero in

Europa nel 1528, è Hernán Cortés che viene scambiato per la divinità Azteca e riceve quindi in dono un’intera piantagione. La bevanda offerta al celebre conquistatore era amara, ma lui seppe riconoscerne le benefiche qualità rinvigorenti, e in Spagna venne addolcita con zucchero, e aromatizzata con anice, cannella e vaniglia. Ma il prodotto appare come energizzante che può rivelarsi pericoloso, tant’è che inizialmente a Madrid viene emanato un decreto, in base al quale era proibito vendere la cioccolata da bere; tuttavia essa circolava in forma

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di tavolette o pastiglie da sciogliere in acqua. Tra i cibi provenienti dall’America anche la zucca, il fagiolo, la vaniglia, le arachidi, note proprio come noccioline americane, e ancora frutti esotici come l’avocado, l’ananas, il mango, e la papaya.

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Curiosità alimentari di Elisa Corni

Il peperoncino allunga la vita A

manti dei cibi saporiti, del peperoncino e del piccante buone notizie: questa passione potrebbe allungarvi la vita. A dirlo la scienza. La notizia arriva dalla Cina; qui l’accademia per le scienze ha riportato i risultati di uno studio durato 4 anni. Un gruppo di studiosi si è concentrato proprio sui cibi piccanti che, secondo ricerche precedenti, hanno una serie di proprietà benefiche. Tutto grazie alla capsaicina, la molecola che produce l’effetto infuocato quando mangiamo certi alimenti. Questa, a quanto pare, è ottima alleata per combattere l’obesità, ma avrebbe anche principi anti-ossidanti

e combatterebbe il cancro. Un sacco di benefici per i quali forse si potrebbe resistere al bruciore. I ricercatori cinesi hanno dimostrato questi benefici osservando le abitudini alimentari di 480 mila persone tra il 2004 e il 2008. Questi individui avevano tutti tra i 39 e i 70 anni, e per anni ogni loro pasto è stato monitorato, registrato e catalogato. Inoltre, a tutti questi dati si sono aggiunti quelli raccolti attraverso una serie di questionari sulle abitudini di vita - consumo di alcol, assunzione di carne, verdure e cibi piccanti - cui tutti i partecipanti all’esperimento hanno dovuto rispondere.

Inoltre nei quattro anni dell’esperimento i ricercatori hanno tenuto sotto controllo le condizioni di salute degli individui che hanno partecipato alla ricerca. Molti altri i fattori presi in considerazione durante lo studio. In primo luogo la storia clinica: infatti, dal gruppo sono state escluse le persone che avevano avuto problemi come malattie cardiache, casi di cancro o infarti. E poi altri fattori, come l’attività fisica o il grado d’istruzione, sono stati tra gli

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Curiosità alimentari Curiosità 1

elementi presi in considerazione per una complessa analisi statistica. Perché, finito il periodo di osservazione, i ricercatori asiatici hanno iniziato ad analizzare e incrociare tutti i dati raccolti durante la prima fase dello studio. E la conclusione che è saltata loro agli occhi, era appunto la connessione tra decessi, buona salute e abitudini alimentari ‘hot’. Entrando più nel dettaglio, secondo lo studio i consumatori moderati di piccante - 1 o 2 pasti piccanti a settimana - hanno mostrato un’incidenza dei decessi del 10% inferiore rispetto ai palati più delicati. Invece, a quanto pare, i più appassionati dei sapori forti - peperoncino o simili 3, 5, 6 o 7 volte a settimana - hanno mostrato un’ulteriore riduzione: -14% di decessi rispetto a chi il peperoncino proprio non lo digerisce. Inoltre, come emerso dallo studio, peperoncini, chili, pepe e altre spezie con la capsaicina sembrerebbero essere anche ottimi nemici di cancro e ischemie.

Il peperoncino è una pianta autoctona delle americhe. Reperti archeologici dimostrano che nel Messico veniva coltivata e utilizzata già nel 5.500 a.C. sia in Perù che in Messico, dove era l’unica spezia esistente. Arrivò in Europa grazie a Cristoforo Colombo e la sua adattabilità a tutti i climi la rese una spezia economica e di ampia diffusione.

Curiosità 2

Il chimico americano Eilbur Scoville (1865-1942) è noto ai posteri per aver classificato la piccantezza. Da lui prende infatti il nome la Scala Organolettica che determina quanto è piccante una cosa. Si passa dai 100-1.000 del peperone dolce, ai 2.000.000 - 2.200.000 punti del Carolina Reaper, un peperoncino ibrido che è anche l’ultimo commestibile. La capsaicina pura ha 16.000.000 punti sulla Scala di Scoville.

La capsaicina è ciò che rende piccanti i peperoncini. Si tratta di un composto chimico derivato da acidi grassi altamente irritante per le mucose dei mammiferi come l’uomo. Se vi siete spinti troppo oltre e vi brucia tutta la bocca, non bevete acqua, ma latte o birra. Latticini e alcol sono entrambi efficaci contro il piccante.

Curiosità 3

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Alimentazione e salute di Chiara Paoli

KEFIR, LA BEVANDA DEL BENESSERE

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mpossibile non conoscere un alimento così antico come il Kefir, anche se il suo nome non è sempre stato questo. Stiamo parlando del latte fermentato che la stessa Bibbia cita persino nel Deuteronomio e nella Genesi, Mosè lo considera elemento vitale donato da Dio, si dice inoltre che fosse utilizzato dalla gente di Abramo. Troviamo traccia di un’antica ricetta per preparare latte fermentato, arricchito da miele e frutta nella biografia del giovane e dissoluto imperatore Eliogabalo che visse agli albori del III secolo d.C.. Questa prelibatezza dalle proprietà benefiche si ritrova descritta anche tra le pietanze offerte nei banchetti, nelle famose novelle delle ''Mille e una notte''.

Leggenda narra però che sia stato nientemeno il profeta Maometto a consegnare agli uomini caucasici i primi granuli di Kefir, ribattezzati, infatti, con il nome di “miglio del profeta”. Grande uso ne fece anche il mitico condottiero Gengis Khan che ne scoprì le benefiche caratteristiche grazie a un tentativo di sabotaggio. Un suo corriere, nel chiedere rifornimento di acqua, prima di effettuare la traversata delle steppe della Mongolia, ottenne latte fermentato che,

anziché danneggiarlo, fu per lui fonte di energia. Venne perciò imposto alle truppe e la bevanda si diffuse ampiamente nel mondo orientale.

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Alimentazione e salute Il latte fermentato viene menzionato anche in occasione delle Crociate, e nel XIII secolo; ne parla il grande Marco Polo ne “Il Milione”, racconta infatti di popolazioni caucasiche che usavano nutrirsi con una bevanda fermentata che viene definita Chemmisi. È però durante il Rinascimento, in Francia, che il kefir viene riconosciuto come probiotico (organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell'ospite. Cfr. Wikipedia). In quel periodo venne infatti utilizzato per la prima volta per guarire Francesco I, tormentato da problemi intestinali. La notizia di una cura miracolosa giungeva dall’Oriente; fu proprio il Gran Turco a portare a corte le pecore e una ricetta, mutando la materia prima nella miracolosa pozione che contribuì a curare il Re. Da questo momento il Kefir inizia ad avere larga diffusione, ma una tappa fondamentale della diffusione dei latti fermentati

la segna Ilya Ilyich Mechnikov che studiò nello specifico i fermenti lattici e le loro proprietà, giungendo a scoprire l'immunità anti infettiva e ottenendo nel 1908 il premio Nobel. Assomiglia allo yogurt, ma in realtà è molto più potente, si tratta infatti del frutto di diversi tipi di batteri e lieviti che incidono sul riequilibrio della flora batterica intestinale. Elemento ideale da consumare perché contiene poche calorie e ricco di acido folico e vitamine del gruppo B che lo rendono un ottimo alleato per il nostro benessere fisico. Il kefir aiuta e sostiene il sistema immunitario, è un valido sostegno per favorire la digestione e limitare il colesterolo “cattivo” nel sangue. Oltre a favorire la regolarità intestinale, aiuta a “sgonfiare” la pancia, è ricco di minerali e ami-

noacidi, il giusto alleato per la nostra dieta. È possibile acquistarlo al supermercato in versione cremosa o in flaconi da bere, o farlo in casa, grazie ai granuli, che vengono semplicemente mescolati al latte di vacca, pecora, o capra, a seconda dei gusti. Per gli intolleranti al lattosio e i vegani, è possibile trovare on-line anche alcune ricette che propongono il kefir all’acqua. I granuli di kefir si possono trovare in farmacia o erboristeria.

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Salute e benessere di Elisa Corni

Supercibi:

se la salute vien mangiando

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avigando in rete, sfogliano una rivista, o guardando la televisione può capitare di incappare nella presentazione di un qualche alimento presentato come salutare, nutriente, quasi miracoloso. Sono i super-cibi: dallo zenzero al pak-choi, dai mirtilli al melograno. Ma perché super-cibi? Quali sono le loro proprietà? Soprattutto, quanto è vero e quanto, invece, frutto di una sapiente campagna di marketing? Qualche anno fa, per esempio, esplose la mania “bacche di goji”, tradizionale frutto mongolo. Questi frutti selvatici venduti in sacchetti dopo essere stati essiccati pare vantino proprietà benefiche da non sottovalutare. Aiutano a combattere lo stress, a dare forza alle donne in gravidanza, a chi soffre di sbalzi d’umore; delle magiche bacche in grado di aiutare, sì, ma non di curare, come hanno sottolineato diversi biologi e nutrizionisti che hanno studiato le bacche rosse provenienti dalla mongolia. Contengono carboidrati, proteine, lipidi, ma anche antiossidanti e altri elementi in grado di stimolare il sistema immunitario e ridurre l’ipertensione. Sempre da oriente proviene il pak choi (o bak choi) anche noto come cavolo cinese. Assomiglia a un finocchio cresciuto e ha un sapore di cavolo,

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ma sono soprattutto le sue incredibili proprietà ad averlo reso un alimento piuttosto diffuso anche sulle nostre tavole. Si tratta di un cibo che al contempo è ipocalorico e ricco di antiossidanti. Infine, è ricco di elementi anti-infiammatori, e nella tradizione asiatica è usato proprio per alleviare i sintomi di influenze e raffreddori. Ma il re dei super-cibi a detta di tutti è lo zenzero. Questa radice dal sapore aspro e pungente e dall’odore penetrante sembra stare bene con tutto e dare una mano contro ogni piccolo inghippo. Una tisana di zenzero fresco e limone aiuta contro il raffreddore, mentre se accompagnato al basilico aiuta a calmare i dolori di stomaco. Gli indonesiani lo masticano per ridurre la stanchezza, e negli Stati Uniti è considerato un toccasana contro la nausea; in alcune aree dell’Africa, infine, è mescolato con la linfa dell’albero di mango per dare origine a una panacea contro tutti i mali. Non occorre affacciarsi alle grandi pianure asiatiche per trovare cibi particolarmente nutrienti: senza scomodare le cucine etniche, basta guardare alla cara dieta mediterranea. Pesce, frutta, e verdura fresca sono tutti super-cibi. Perché, infatti, a leggere bene le indicazioni l’efficacia degli alimenti straordinari è

collegata al connubio con una vita sana e una dieta equilibrata. Mangiare solo bacche di goji, back choi, alghe e zenzero non ci allungherà la vita: è la varietà a essere la vera medicina. I super-cibi non sono stati però accolti con entusiasmo unanime: alcune categorie di scienziati, nutrizionisti ed esperti stanno provando a mettere in guardia i consumatori difronte a quella che a volte sembra più una moda che una verità scientifica. Non tutti i cibi presentati come “super”, infatti, hanno particolari caratteristiche nutrizionali o incredibili poteri lenitivi o addirittura curativi. Prendiamo due esempi di frutta che è buona e sana, ma non ha nessuna caratteristica distintiva. Il primo è il mirtillo, i cui poteri anti-ossidanti e l’alto livello di nutrizione sono da anni decantati in tutte le salse. Il secondo alimento dotato di superpoteri solo sulla carta è l’aglio. A dirlo una ricerca svolta da una ricercatrice statunitense che ha analizzato i fattori nutritivi di circa cinquanta varietà differenti di verdura e frutta. Otto i fattori fondamentali (dal ferro alla vitamina C), e non tutti i super-cibi hanno superato la prova. Se infatti il bak choi guadagna la medaglia d’argento in questa speciale classifica, aglio e mirtilli erano fuori dai giochi.


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al 15 Novembre 2021 e fino al 15 Aprile 2022, su alcune strade italiane (definite degli enti gestori delle singole tratte stradali e fuori dai centri abitati) la legge italiana prevede l’obblio della circolazione per tutti gli autoveicoli sia con pneumatici invernali o in alternativa con le 4 stagioni oppure con le catene a bordo, se non si montano le gomme prima citate. Tale obbligo vale su tutte le strade comprese le autostrade. Sono esclusi da tale obbligo i ciclomotori a due ruote e i motocicli. Le regioni caratterizzate da un clima particolarmente rigido con temperature anche sotto lo zero e le zone di montagna, possono usufruire di deroghe speciali, che permettono di anticipare il periodo di entrata in vigore. E’ utile ricordare che già dal 15 ottobre si potra’ effettuare il cambio gomme da estive in invernali ma che dal 15 novembre (senza deroga alcuna) scatta l’obbligo sopra richia-

PRATICHE VEICOLI

mato. Alla scadenza del 15 aprile si ha poi tempo un mese – fino al 15 maggio - per cambiare gli pneumatici invernali con quelli estivi. Ovviamente sono esclusi chi ha montato e viaggia con le 4 stagioni. Chi non rispetta tale obbligo ovvero di dotarsi degli pneumatici invernali sopra citati o viaggiare con le catene a bordo, oppure montare gomme invernali con codice inferiore alle indicazioni del libretto di circolazione, rischia le sanzioni amministrative secondo questa quantificazione: 1) Da 41€ a 168€ se chi sta commettendo l’infrazione viene fermato mentre circola nei

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centri abitati e da 84€ a 355€ se l’accertamento avviene al di fuori di essi; 2) Il possibile fermo del veicolo fino alla messa in regola degli pneumatici; 3) La decurtazione di 3 punti per la violazione “gomme” e anche di ulteriori 5 punti per guida pericolosa.

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FELTRINO NEWS è un periodico mensile distribuito gratuitamente in tutti i comuni della Vallata Feltrina e della Conca bellunese. È stampato in 5mila copie con una foliazione di 96/104 pagine tutto a colori e su carta patinata con formato 23cm x 31cm. FELTRINO NEWS è un free-press non schierato politicamente e quindi suo precipuo compito è quello di dare una corretta informazione e giusta narrazione dei fatti, degli eventi e degli avvenimenti, siano essi politici, sociali, culturali o economici. La redazione di FELTRINO NEWS è formata da 30 collaboratori di cui 12 giornalisti, 2 avvocati, 1 ingegnere, 2 psicologhe e una corrispondente dagli USA. La consulenza medico-scientifica è garantita da 4 medici. FELTRINO NEWS viene posizionato in oltre 280 punti quali edicole, farmacie, supermercati, centri commerciali, alberghi, ristoranti, parrucchieri, autostazioni, ambulatori, ospedali, bar, negozi, macellerie e in tutti i luoghi di pubblica affluenza.

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