Torazina, cartoline da Acidolandia

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Giancarlo Tommasone

artisti affermati che dicevano di metterlo in culo al sistema, al potere e a come cazzo lo chiamavano ogni volta, ho conosciuto di questi artisti che poi alla fine si sono fatti vendere e comprare per una macchina nuova, per il nome messo bene in evidenza sul giornale, per una bionda o una moretta da mantenere e da amare per forza, per quelle minuscole fottute parole che ci muovono tutti, indistintamente, soldi, sesso. Cinque lettere, dieci lettere in due, stesse iniziali. E allora non mi venite a dire che ho sbagliato, non mi venite a dire che ho fatto bene, sappiate soltanto che la verità non la sapremo mai fino in fondo, ed io, voi, Nina e la buonanima di Bobby abbiamo solo pochi momenti per dire no, e sono momenti che si pagano, si pagano con la solitudine, l’emarginazione, essere anormali rispetto alla normalità chiamata mondo. Essere malati a caccia della guarigione. Qualcuno, è vero, dura un po’ di più. O magari dura tutta la vita, vedi Bobby morto in un sottoscala o mio padre in fondo a una grotta. Qualcuno riesce a scappare dal sistema che ti divora come ha fatto Nina, ma io non sono così, non proprio, forse sono soltanto un vigliacco che si accontenta. Ecco tutto. Un vigliacco che si accontenta di far parte di qualcosa di luccicante e profumato e si vanta della sua buona dedica personalizzata sul libro più venduto del momento. Capisco soltanto ora che la mia sfuriata con il dottor Ilardi e il professor Fiorenza, seppur dettata da una logica e gestita in modo notevole, era comunque stata prevista. Capisco che tutti i vantaggi che ho ottenuto, anche quelli col direttore del mio giornale del cazzo, beh, anche quelli erano vantaggi e vittorie illusorie, o perdite programmate da parte dei miei avversari. Perdite ininfluenti. Perché se davvero vuoi vincere contro questo tipo di persone non hai altra alternativa che la fuga. Scappare via come ha fatto Nina, o chiuderti sotto terra come Bobby o Nello il barone. Con questo tipo di persone o di eventi, o con quello che hanno alle spalle, non c’è speranza. Uno come me non vincerebbe mai. Anzi, ritornando al mio giornale, non ho fatto altro che perdere due volte, perché la mia rubrica ha fatto salire le vendite del cento per cento, magari del duecento per cento. Altro che vendetta riuscita e affermazione dei propri diritti. E adesso, mentre sono inchiodato al semaforo, staranno brindando al loro nuovo figlio. La critica grassa, lo scrittore più famoso della terra, il professor Fiorenza

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