«Nel cantiere della modernità. Storia, memoria, identità», di Danilo Zardin

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Indice

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Prefazione

Quadri

1. Tra presente e passato: la dinamica della conoscenza storica 2. I fattori della realtà storica 3. Continuità e fratture

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Sondaggi / 1: Cultura e religione

4. «Grande miracolo è l’uomo». Antropologia e religione nel Rinascimento 5. Cattolicesimo vs. età moderna? 6. Il rinnovamento cattolico nell’Italia del Cinquecento. Carismi, santità, missione 7. Corpus Domini 8. «Ave verum»: quando la pietà incontra il genio 9. Michelangelo: creazione, incarnazione, resurrezione 10. Epifania, l’arte di fronte all’intimità familiare del Bambino 11. Bach, Oratorio di Natale: la tenerezza che si fa abbraccio 12. Le Passioni di Bach. L’ultimo approdo del dramma supremo 13. Quella domanda di grazia che unisce i cattolici a Lutero 14. Riforma protestante, difendere il ‘fortino’ o purificare la memoria? 15. Protestanti e cattolici non possono dividersi la carne dell’uomo 16. Praga. La fede che dà il volto a una città 5

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Sondaggi / 2: Figure

17. Erasmo e l’umanesimo cristiano 18. Fede e umanesimo al servizio del bene comune: Gasparo Contarini 19. Giberti: da Roma alla «vera riforma» 20. «Ad maiorem Dei gloriam». L’ideale culturale dei gesuiti 21. Il cardinale Federico Borromeo. Dalla trasfigurazione letteraria alla realtà storica del Seicento

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Sondaggi / 3: Incontri di civiltà

22. La ‘calamita’ Italia e il melting pot che ha fatto la sua storia 23. Il Mediterraneo, i mondi ‘connessi’ e la storia ‘globale’ 24. Il falso ‘gemellaggio’ tra cristianesimo e Occidente 25. Radici: quando Atena si ‘converte’ 26. Dall’Oriente mediterraneo al cuore degli spazi europei: i ‘ponti’ invisibili di san Charbel 27. Vecchia Europa e Nuovo Mondo: così il cristianesimo ha ‘conquistato’ gli indios

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Sondaggi / 4: Idee, istituzioni e potere

28. La carità è madre 29. Chiesa e politica, il lungo cammino della libertà (dal potere) 30. Tramonto della rivoluzione? 31. Il lungo viaggio dell’illuminismo cattolico e la revisione necessaria 32. Chiesa, fede e diritti umani, la lezione inevitabile della storia 33. Diritti umani e cristianesimo 34. Fede e politica, la via di Ratzinger nel tempo del relativismo 35. Le forze che muovono la storia

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Scheda bibliografica

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Prefazione

Si sono voluti qui raccogliere i contributi di approfondimento su questioni di metodo, di impostazione dello studio della modernità nei suoi aspetti diversi, soprattutto in relazione a momenti, problemi e figure significativi che hanno animato il cantiere della sua laboriosa costruzione, apparsi in sedi disperse non sempre di facile accesso (pubblicazioni per l’aggiornamento dei docenti di scuola, riviste digitali, pagine di cultura di giornali). Il tratto che li accomuna è quello di essere finalizzati non tanto alla ricerca di carattere specialistico (di cui mi occupo in altri contesti accademici), quanto piuttosto alla sintesi e alla divulgazione del sapere storico. Con questa scelta, la scommessa di fondo a cui mi sono ispirato si traduce nel tentativo di accostarsi alla storia, quindi all’intreccio dei nessi che legano la storia della società e le sue istituzioni con il mondo delle idee e la cultura che le attraversano, intendendo questa ottica di lettura come una risorsa culturale di ampia fruizione, che può aiutare a comprendere la genesi del nostro mondo attuale e a mettere a fuoco le circostanze con cui dobbiamo misurarci nella realtà del presente. Il volume è concepito come ideale prosecuzione della precedente raccolta pubblicata, sempre per i tipi delle Edizioni di Pagina, nel 2014: I fili della storia. Incontri, letture, avvenimenti. Quella prima miscellanea trova qui un indispensabile complemento, venendo restituita a una visione d’insieme delle prospettive di indagine che sono state adottate nel fare luce sulla complessità dei processi di modellamento del paesaggio moderno. Come già era avvenuto con la raccolta del 2014, tutti gli scritti riproposti in una nuova cornice sono stati armonizzati fra loro, corretti e integrati in molti passaggi e corredati di un minimo apparato di note bibliografiche là dove queste erano assenti o lacunose. Oso confidare che i due volumi realizzati, in dialogo tra loro, possano consentire almeno di intravedere alcune delle dinamiche decisive del divenire storico e le linee salienti degli esiti a cui ci ha portato nel contesto di quell’Occidente di cui siamo parte, 7


contribuendo ad alimentare un interesse rinnovato per la storia fra i nostri studenti, in coloro che hanno il compito di introdurli in modo intelligente e vivo nella conoscenza della cultura, fra quanti hanno a cuore la comprensione del mondo che abitiamo e la salvaguardia del suo patrimonio di civiltà: salvaguardia non immobilista e ciecamente difensiva, ma aperta al rapporto con il nuovo, elastica e creativa, capace di interagire, positivamente, con il diverso da sé. Aggiungo soltanto il più sentito ringraziamento ai direttori delle riviste e ai curatori dei volumi in cui i testi che ho selezionato hanno visto la loro prima comparsa per aver acconsentito a una loro ripresa sia pure in una veste arricchita e ampiamente modificata. In particolare la mia riconoscenza va a Federico Ferraù della redazione de «Il Sussidiario.net», a cui devo molte delle sollecitazioni che mi hanno spinto a non rimanere rinserrato nei recinti dei miei temi privilegiati di studio analitico, per tentare le vie meno comode di una mediazione e di una divulgazione culturale con qualche risultato spero di non irrisoria utilità. Allo stesso modo mi sento debitore nei confronti di tutta la redazione della rivista di aggiornamento nel campo storico-umanistico «Lineatempo» e, in primo luogo, dell’amico direttore Andrea Caspani, con cui condivido ormai da molti anni una responsabilità di collaborazione operosa e di indirizzo scientifico tutt’altro che avara di sorprese e soddisfazioni felici, a lato della cittadella universitaria in cui si svolge la mia professione di docente. Ma anche all’interno dei suoi meandri istituzionali non sono mancati incontri, occasioni di scambio e partecipazioni a imprese comuni con molte personalità e colleghi che si muovono, come me, nell’area della modernistica o portano avanti progetti di scavo sulle connessioni tra storia, società, cultura e religione, con i quali mi è stato facile, in molte occasioni, entrare in sintonia. È proprio vero che, sul terreno della ricerca così come nella vita, non si finisce mai di imparare. Sulla linea di una tenace continuità di fondo, si possono sempre innestare scoperte incoraggianti, nuove curiosità, revisioni e allargamenti di orizzonte che spalancano a paesaggi inediti – o, di quelli che ci sembravano già familiari, mostrano lati prima rimasti in ombra. Non restare fermi sulle posizioni acquisite, progredire su piste anche diverse da quelle del passato lasciato alle spalle è un ideale che ho cercato di coltivare fin dai primi inizi. È un compito a cui mi sento richiamato ogni volta che, dalla finestra del mio studio su Largo Gemelli, 8


mi soffermo a guardare i tetti della basilica di Sant’Ambrogio, vetusta di secoli, e i suoi due campanili, dei monaci cistercensi e dei canonici, mentre fra le pieghe dei nostri edifici, qui in Cattolica, sfilano folle di studenti alla ricerca, viene da pensare, non solo di un certificato di laurea da esibire per la carriera. A questo compito mi è offerta la possibilità di rispondere incrociando, proprio in questi spazi strutturalmente sempre in bilico fra tradizione e progresso, tante persone con cui condivido interessi e gusti di studio, in primo luogo nelle due Facoltà di Scienze della formazione e di Lettere e filosofia, oltre che nel Dipartimento di Storia dell’economia, della società e di scienze del territorio «Mario Romani», a cui sono lieto di afferire. Milano, 15 luglio 2019

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1 Tra presente e passato: la dinamica della conoscenza storica

I metodi e gli oggetti privilegiati della conoscenza storica sono molteplici e cambiano nel corso del tempo, in rapporto a come si modifica il punto di vista dell’osservatore che si implica con i suoi meccanismi di costruzione. Ma la dinamica di fondo del legame che cerchiamo di instaurare con il nostro passato, nella scia del percorso battuto per avvicinarsi sempre di più al nostro presente, riposa su un nucleo essenziale che resiste ai cambiamenti di superficie. Aprirsi alla dinamica di questa conoscenza retrospettiva, che guarda all’indietro per comprendere la realtà dell’oggi e prefigurare le vie di un possibile sviluppo futuro, costringe a riproporsi una domanda che dovrebbe stare all’inizio di ogni sguardo rivolto alla dimensione storica del cammino con cui l’uomo trasforma il mondo intorno a sé, la sua identità e la sua cultura. Che cosa mette in moto il bisogno di custodire una memoria dell’itinerario che ha portato a modellare la fisionomia in cui ci riconosciamo? Qual è il fattore primario che entra in gioco? Dove si radica l’interesse, in senso forte, che giustifica la mossa della ragione in questo suo particolare modo di entrare in azione? 1. Partiamo da una prima constatazione, dettata da semplice realismo. La spinta decisiva che apre all’interesse per la storia non sta nella storia in quanto tale, cioè nel puro passato, nell’oggettività a sé stante della conoscenza del passato come realtà esterna a noi. Questa può contenere in sé un valore ‘archeologico’. Può diventare la materia di una erudizione specialistica anche molto analitica e raffinata. Ma è difficile pensare che solo da qui scaturisca la spontaneità di una inclinazione istintiva indirizzata verso ciò che per suo statuto ci appare, all’inizio, lontano ed estraneo rispetto al nostro orizzonte attuale. La regola vale, a maggior ragione, all’interno della comunicazione didattica del sapere storico, rivolta a fruitori non esperti. Al contrario, il fattore trainante della spinta più sensata e consapevole alla conoscenza storica chiama in causa l’io che vive nel presente, la co13


scienza dell’uomo presente. L’interesse autentico per la storia si incrementa in funzione di una esperienza da far maturare nell’oggi, nel momento in cui la coscienza dell’uomo è interrogata e costretta a reagire dalle circostanze che definiscono la cornice del suo prendere forma, la traccia di un destino con cui confrontarsi. Vale in modo eminente per il singolo individuo, ma vale anche per le realtà collettive o una intera comunità sociale capaci di elaborare il senso di una tradizione di appartenenza: può essere una trama di relazioni, per esempio di parentela o di ceto, di mestiere, di sintonia ideologica o culturale, oppure una comunità di abitanti, un ambito territoriale che ci ingloba, un popolo, una nazione, un complesso di civiltà. Alla base ci vuole sempre un soggetto umano in via di costruzione, non immobilizzato, in sviluppo; un soggetto che tende a crescere, a consolidarsi, e perciò vuole fare luce sulla realtà in cui si scopre innestato, vuole comprendere chi è lui veramente, da dove viene, perché lui e il mondo sono così, come sono diventati quello che sono, di che cosa siamo figli, quale è il compito, di quale responsabilità e di quali significati vogliamo farci portatori. 2. Come scatta questo lavoro su di sé della ragione, che si interroga sul suo contenuto e ci proietta verso la visione del passato che portiamo con noi come bagaglio di eredità? Normalmente, non si tratta di curiosità che si generi per autonoma forza immaginativa. È, piuttosto, un genere di domanda che nasce dalla realtà stessa che ci interpella, dall’interno dell’esperienza vissuta in prima persona dal soggetto. La realtà del contesto in cui siamo immersi, che è parte di noi, ci viene incontro e ci provoca con i suoi segni che non si spiegano da sé e rimandano ad altro, recando impressa l’orma del tempo che passa. Sono i riflessi, indeboliti e frammentari, di momenti o situazioni che abbiamo lasciato alle spalle e non ci sono più, nella loro fisionomia globale. Echi che ci arrivano da un passato a volte remotissimo (le strutture originarie di una forma religiosa, i quadri del diritto, gli schemi delle mentalità...), a volte ridotti a flebili voci che resistono a una piena decifrazione esplicativa, come fossero messaggi enigmatici formulati in una scrittura ignota, altre volte ancora conservando le tracce eloquenti di evoluzioni a noi molto più vicine sul filo della durata (nel campo dell’economia, della politica, delle realtà sociali, della cultura). In ogni caso, questi segni agiscono come richiami che risvegliano la nostra 14


attenzione. Ci parlano di qualcosa a cui ci sentiamo agganciati, anche se non lo padroneggiamo ancora in termini sicuri. Esercitano una presa su di noi, offrendosi come l’oggetto di un rapporto di conoscenza attraversato dagli interrogativi di un inevitabile processo di messa a fuoco: cosa sono, nella loro tessitura sostanziale, questi materiali (idee, strutture, avvenimenti) che entrano a comporre l’ossatura del nostro presente? Cosa sta dietro la realtà di essi che appare in primo piano e si lascia catturare? Questo perché emerge subito all’evidenza che i ‘mattoni’ di cui è fatta la realtà del mondo non ce li inventiamo noi. Ci sono dati. Ce li troviamo davanti in gran parte già forgiati da chi ci ha preceduto. 3. È indispensabile andare a fondo di questa relazione con il soggetto che origina la dinamica dell’interesse per la storia. Si tratta di recuperare lo spessore della sua ‘utilità’, tutta l’implicazione anche esistenziale di una forma tipica del movimento dell’esperienza umana. Davanti alla coscienza di un uomo, o di una comunità di uomini, spinti a entrare in rapporto con la realtà che li costituisce, la realtà cessa di essere uno schermo piatto. Diventa una grande domanda che ci coinvolge e ci ricongiunge con i passi di un tragitto che è stato percorso nel tempo. Ci riporta alle origini. Possiamo dire che, nella sua essenza, la storia intesa come conoscenza esiste in quanto è la ricostruzione di una ‘consanguineità’ che ci rende solidali con ciò che ha plasmato la realtà del nostro io e del mondo che abitiamo. La memoria storica getta un ponte verso il passato da cui abbiamo preso le distanze avanzando nella corsa del tempo. Lo fa rivivere per noi, dal nostro punto di vista attuale. Lo rende comprensibile, gli restituisce una capacità di parlare, e facendo così ci rimette in dialogo con le ragioni e i significati che lo avevano nutrito, ci consente in un certo senso di ‘riappropriarcene’. Possiamo dire che la sensibilità storica nasce e matura, per suo statuto, geneticamente, come affermazione e continua riconquista di un nesso tra noi e ciò che è stato prima di noi. La storia è la ragione che fa ritrovare i fili di una continuità: ricostruisce l’unità con la tradizione da cui proveniamo, è in se stessa una tradizione in cui ci immedesimiamo, che diventa parte della costruzione della nostra identità presente. Ricucendo il tessuto della memoria, ci porta a riabbracciare il nostro passato. Ma non può farlo che in funzione del presente che noi siamo, educandoci a vederlo in rapporto con noi, come una cosa sola con ciò che noi siamo. La storia è innanzitutto 15


genealogia. Per citare un riferimento culturale ‘alto’, potremmo rinviare all’idea crociana della storia come «autobiografia del presente». Emerge, al fondo, l’idea della «contemporaneità» di ogni storia, ossia il principio del rapporto costitutivo con il passato insito in ogni frammento del tempo presente, così che diventa possibile esaltare in termini ancora più radicali l’intuizione del legame tra passato e presente che in Marrou si configurava come il semplice accostamento di due realtà distinte che vanno messe in raccordo tra loro per illuminarsi a vicenda. Oppure potremmo citare Koselleck, con la sua idea del passato che è passato proprio in quanto è «passato-per-noi», cioè un «passato-presente» (se fosse solo ‘passato’, resterebbe estraneo al nostro orizzonte e, in sé, inespugnabile, o comprensibile solo in modo nebuloso, del tutto frammentario e facilmente distorto). 4. Con i primi tre passaggi abbiamo cercato di rileggere (dall’interno) la dinamica del primo attrezzarsi della conoscenza storica, il suo germe iniziale. Ma poi la ragione di tipo storico (la ragione che afferra la dimensione ‘storica’ dei diversi aspetti costitutivi della realtà), una volta messa in movimento, tende a seguire una sua logica di sviluppo, che in un certo senso è obbligata, strutturale, svolgendo in modo sempre più aperto ciò che all’inizio è solo implicito, potenziale. Come cresce su di sé la percezione del senso storico? Più la conoscenza della storia ci fa inoltrare nella familiarità con il passato reso contemporaneo a noi, più essa ci fa entrare nelle sue pieghe, esaltando progressivamente dettagli prima invisibili. Ci porta ad avanzare nell’immedesimazione. Ma più il legame si salda, più ci rendiamo conto che noi, oggi, siamo diversi perché abbiamo introdotto una distanza rispetto a ciò che eravamo anche in un passato vicino. Abbiamo costruito un edificio su fondamenta che altri avevano posto, riadattando impalcature e mattoni avuti in consegna per farne l’uso migliore. Nello stesso tempo, più siamo vivi, portatori di un’esperienza ricca e originale, più ci siamo resi capaci di manipolare, di far crescere e di riconfigurare quanto abbiamo ricevuto come lascito. Balza in primo piano, insieme e al di là delle linee di continuità, il senso della differenza. Ci sono certamente le stabilità, le cose rimaste in piedi e prolungate. Ma si colgono con sempre maggiore chiarezza anche gli scarti, le perdite, i rifiuti; e dall’altra parte le innovazioni creative, le aggiunte, le rivoluzioni. 16


Maturando nella conoscenza del paesaggio di una storia che, a partire dalla nostra coscienza implicata nel presente, si dilata all’indietro risalendo alle sue premesse, noi possiamo diventare capaci di percepire il salto di posizioni che è stato compiuto lungo il percorso. Si profila la linea di una evoluzione, la malleabilità di un processo di trasformazione. Si affaccia in tutta la sua imponenza la realtà del divenire. Siamo sempre eredi, cioè figli (in un rapporto di analogia o di discendenza rispetto agli uomini e alle stagioni che ci hanno dato una forma, in debito con loro), e simultaneamente siamo anche altro, con una nostra autonomia, dentro una catena di legami ma capaci di sporgerci al di là di essi. In quanto eredi, portiamo in dote il marchio di una alterità: ci scopriamo come un di più dentro il flusso del tempo che ha plasmato l’architettura di quello che è il contesto in cui ci muoviamo. Arriviamo in questa prospettiva a sottolineare che il senso maturo della storia è la coscienza di una continuità di sviluppo che però non è bloccata, ma aperta al mutamento, al riassestamento su linee almeno in parte originali e che noi – per il fatto stesso di esistere e di svolgere il nostro ruolo – spingiamo sempre in avanti; un ‘avanti’ che però non è automaticamente e necessariamente un ‘meglio’, in quanto indica solo la propensione inevitabile all’oltrepassamento dei risultati acquisiti. Tutto ciò che vive nel tempo tende per sua natura a trasformarsi, cambia pelle e attraversa parabole produttrici di esiti continuamente variabili. Pensiamo a come muta il volto delle città che abitiamo. All’organizzazione pratica e al significato del lavoro; ai rapporti sociali; alle regole del comportamento; al modo di vestire e di esprimersi. Per risalire poi da qui agli schemi di cui ci serviamo per inquadrare i compiti delle istituzioni politiche, al loro stesso configurarsi e modificarsi nei passaggi decisivi che segnano la storia di una collettività. Ma è giusto, per inciso, interrogarsi: si cambia sempre e comunque? Con quali ritmi? Con guadagni in partenza garantiti? Si intravede in questa luce il punto altrettanto irrinunciabile della non-necessità, il tema della ‘libertà’ o della drammaticità come sfondo più adeguato per comprendere le dinamiche dell’avventura umana nel tempo della storia che passa e ridisegna l’esistenza dei singoli così come dell’insieme che li ricomprende. Una postilla su questo quarto punto cruciale è doverosa: dobbiamo prestare grande attenzione a difendere l’aspetto fondamentale del rapporto con l’alterità, quindi la dimensione della ‘diversità’, del divenire e del 17


cambiamento, che rendono possibili le metamorfosi e introducono i passi in avanti verso il nuovo sulla scena della storia umana. Il mutamento è la parola chiave della storia, che proprio da questo connubio ha ricavato la forza del suo stesso imporsi come pratica di conoscenza da coltivare, fin dalle epoche più remote. Non a caso, la struttura logica portante di ogni narrazione sul passato si può ultimamente ricondurre alla classica formula di esordio del racconto del mito o della fiaba: «C’era una volta...», «Si racconta che...», «Un tempo lontano...». Con queste concatenazioni discorsive si rimanda al ricordo di qualcosa che è avvenuto nel tempo, che è accaduto ‘ieri’ e adesso è finito, o ha mutato volto (e per questo ne possiamo stilare la cronaca, comunicarla ad altri con cui siamo in relazioni di interscambio). Ma ancora, di nuovo: si deve intendere che tutto è cambiato? No di certo: ci sono anche le cose che restano, le forze di stabilità. Ci sono le grandi eredità, le permanenze che restano produttive. O che magari diventano gabbie e intralci che, da un certo momento in poi, ostacolano il cammino, costringendo a deviazioni laboriose, sfociando in tentativi, non sempre riusciti, di ribaltamento più o meno audace e incisivo. In storia, la scommessa centrale è riuscire a tenere insieme le due dimensioni tra loro intrecciate: la continuità e la discontinuità, l’unità con il passato che sta dentro di noi come risorsa di un patrimonio da sfruttare e nello stesso tempo la nostra spinta costitutiva a differenziarci rispetto a ciò che ci ha preceduto e ci ha generato, come le due parti di un unico intero. 5. Ci introduciamo così, per una logica di coerente sviluppo, nel quinto e ultimo passaggio. Siamo partiti da una ‘tesi’ (la spinta genetica che fa scaturire la capacità di pensare la storia e origina l’interesse da cui siamo trascinati a conoscerla, quindi a condividerla attraverso la comunicazione) e siamo passati alla sua ‘antitesi’ (uno sguardo allenato a una prospettiva storica sempre più lucida e approfondita, che dilata e scavalca la dinamica dell’approccio centrato sull’immedesimazione però anche inglobandola, continuando a farsene nutrire). La sintesi a cui si può alla fine approdare è quella che vuole salvare l’unità di tutto il percorso conoscitivo dall’oggi del presente verso lo ieri del passato che è parte di noi, in quanto entra a determinare il senso della nostra tradizione, e viceversa, muovendo dal rapporto con il passato in funzione della messa a fuoco della nostra identità nel presente. Puntiamo a tenere insieme i due poli che abbiamo visto 18


in tensione perché le due distinte dimensioni della conoscenza storica che abbiamo evidenziato sono in se stesse collegate da un intreccio che è ultimamente dialettico, come in un gioco di sponde il cui congegno fondamentale è una interdipendenza da cui non si può sfuggire (se non si vuole amputare, scorporandolo nei suoi momenti costitutivi, il funzionamento di una forma particolare della nostra ragione, alle prese con la comprensione del passato che è la nostra matrice). Lo scambio elastico e la possibilità di un arricchimento reciproco sono quelli che connettono tra loro il movimento della dilatazione della coscienza, che vuole ritrovare la sua origine, si protende verso le sue radici, le riassorbe in sé e crea l’abbraccio accogliente della memoria (con tutto quello che abbiamo sottolineato in merito alla logica della parentela, dell’appartenenza, dell’identità), da una parte; e dall’altra, sul fronte apparentemente opposto, in congiunzione con questa legge primaria della forza di attrazione del simile sul simile, la progressiva scoperta dell’alterità del passato. Man mano lo facciamo ‘nostro’, il passato può recuperare davanti a noi tutta la sua (relativa) indipendenza. Se non lo fagocitiamo piegandolo a nostro uso e consumo, svela gradualmente la sua ricchezza, una ‘densità’ che noi abbiamo interpretato, corretto, fatto evolvere in certe direzioni e non altre, prendendo la nostra specifica strada. Il passato, costituendosi come tale nel rapporto che con esso stabiliamo, si distanzia da noi e crea il senso di una ‘prospettiva’: lo possiamo guardare anche da fuori e in un certo senso ‘da lontano’. Nella marcia di avvicinamento di una vera conoscenza, che non si accontenta di circoscrivere la realtà nei propri schemi e si apre al desiderio di capire, di fare spazio all’altro da sé, il passato si mostra sempre più largo, più profondo e più vasto di ciò che noi riusciamo a dominare, nel punto da cui cerchiamo di rappresentarcelo. L’elemento che si introduce, come abbiamo detto, è quello della presa di distanza: tra il nostro passato e, di fronte a lui, il presente che è diventato ormai un’altra cosa. È cambiato. Cambia a volte nel suo stesso codice genetico, nella sua organizzazione portante, che fissa l’ordine del mondo e definisce l’insieme dei ruoli e dei significati che noi attribuiamo ai diversi elementi della realtà (economia, politica, istituzioni, forme della mentalità), in rapporto con i quali noi aderiamo a un contesto di civiltà ed esprimiamo il senso di una identità traducendoli in cultura, facendoli emergere all’evidenza dell’autocoscienza. Questi due lati estremi intorno a cui si annoda il tessu19


to della memoria storica sono però legati da un movimento circolare che li fa dialogare e sostenersi a vicenda, nella cornice di una ambivalenza che è interna alla stessa logica abituale di sviluppo del senso storico che si assesta e prende solidità nel sapere condiviso da una comunità. 6. Una sentenza memorabile del grande storico olandese Johan Huizinga riassume con la suggestione di una affascinante evocazione simbolica la dinamica della conoscenza che abbiamo fatto emergere, insistendo sul nesso che ne tiene uniti i due distinti modi di espressione qui sopra individuati. Nella visione di Huizinga si oscilla da una all’altra delle due sponde del fare storia e si conclude riconducendo tutto al legame inscindibile del loro integrarsi reciproco, accostato come vertice di massima lucidità di una piena e organica comprensione sintetica: «Alla storia premono il distacco, il contrasto, le prospettive [è il secondo polo del movimento della ragione storica che abbiamo evidenziato, quello trascinato dal senso della ‘differenza’]. Nel passato non ricerchiamo soltanto ciò che è affine e corrispondente alle nostre attuali condizioni [sembra che da qui H. risalga per antitesi alla mossa in senso contrario del riconoscimento nell’identico, alla memoria costruita per analogia, fondata sull’annessione del simile con il simile], ma anche [ricerchiamo] ciò che è opposto, completamente estraneo [e di nuovo si viene ributtati sull’altro versante della distanziazione, dell’apertura al cambiamento che separa e fa maturare]. La comprensione storica nasce proprio da questo spaziare fra due poli molto distanti» (Huizinga, La scienza storica, p. 109; sottolineatura mia).

Dove sta il punto di forza di questo modo di guardare alla parabola complessiva della conoscenza storica? Mi pare che la chiave di volta stia nel legame di interdipendenza tra le due linee diverse di rapporto con l’oggetto storico che viene stabilito. C’è dentro l’idea che la storia diventa vera storia, per noi che cerchiamo di conoscerla e la comunichiamo, quando, crescendo su di sé, arriva a far emergere lo scarto di un mutamento o di uno sviluppo che si è introdotto nella catena delle affinità che ci tengono uniti al nostro passato, e perciò vi si fonde in modo inestricabile, diventando un tutt’uno con esse: la storia come uno ‘spaziare’ (una specie di moto di oscillazione, un continuo andirivieni pendolare) tra due estremi che però si rimandano a vicenda, si cercano e si influenzano in un rapporto 20


di simbiosi, come i due poli opposti di un unico campo di forze che, respingendosi, attirano verso direzioni diverse, ma nello stesso tempo sono legati tra loro (sono fulcri della stessa coppia di forze). Tenere insieme e far interagire in modo produttivo il rispetto totale per l’alterità del passato, da una parte, e dall’altra l’attaccamento, il gusto, la curiosità per l’identità di sé immersa nella realtà vitale del presente ci fa diventare capaci di riconoscerci tributari, collocati su un cammino già prefigurato da chi ci ha preceduto, che si snoda lungo la traccia di sostegni, filtri e risorse messi a nostro servizio, e nello stesso ci dispone a vincere il rischio di diventare noi manipolatori e padroni esclusivi di ciò che, invece, ha generato il nostro presente, da cui dipendiamo, senza poterlo piegare a nostro uso e consumo. Con il bagaglio di una coscienza storica così intesa, mobile e aperta, desiderosa di imparare dall’incontro con l’altro da sé, possiamo introdurci più consapevolmente in una esperienza da vivere in una contemporaneità che non sia però ‘imperialista’, tale da soffocare sotto il proprio punto di vista livellatore tutto ciò che scavalca ed eccede i suoi schemi attuali, protesa a ritrovare nello specchio del tempo che si trasforma solo la conferma delle certezze dominanti nella realtà dell’oggi. Ma dobbiamo chiederci, in conclusione: può esistere una memoria genealogica che non sia fagocitante, pensata e anche deliberatamente modellata per divorare in se stessa il passato? C’è spazio per una memoria veramente dialogica, cordiale, capace di stimare ciò che è diverso e viene prima di noi? O all’opposto, si può concepire lo sguardo rivolto al passato, il senso di una tradizione che siano veramente ‘inclusivi’, capaci di accogliere al loro interno la legge inesorabile del cambiamento? Si può pensare a una storia di civiltà che non sia schiacciata sul culto del passato irrigidito nelle sue forme obsolete, a una tradizione non tradizionalista ma vivente, che sia una vera tradizione? È giusto porsi questo genere di domande perché l’unità circolare dei due movimenti, o dei due poli alimentatori del rapporto tra il presente e il passato è anche una dimensione della cultura da curare, che va coltivata. È una maturità da far progredire attraverso la pratica della ricerca e della trasmissione del sapere restituite alla loro etica costitutiva. È la storia riportata alla sua norma più autentica e in un certo senso moralizzata, difesa dalle sue potenziali patologie e dai suoi rischi sempre incombenti di chiusura o di semplificazione unilaterale. Se si spezza il legame che abbiamo cercato 21


di mettere a tema, si scade in una ragione storica impoverita, deformante. Se viene meno, infatti, il rispetto per la diversità del passato, tutto tende a essere riassorbito in un eterno presente. Si scade nell’anacronismo di pensare a ciò che è stato ieri come la semplice anticipazione abbozzata di uno sviluppo che porta alla realtà che ora siamo diventati nel nostro presente, come si coglie nella forma più ingenua in ogni prospettiva di evoluzionismo schematico, fondato sulla progressione lineare verso un unico esito obbligato. Sul lato opposto, se si dimentica il nesso del passato con l’oggi (l’utilità concreta della dimensione storica per noi contemporanei, per capire tutti i diversi aspetti della cultura, della tradizione e della realtà sociale che definiscono il contesto della nostra situazione attuale), sprofondiamo nel pantano del passato slegato dalla nostra esperienza nel tempo presente. La storia si capovolge nella sterilità opprimente del nozionismo informativo. Si abbassa a culto degli antenati, quando non a spirito di regressione o di polemica nostalgica contro i vizi attribuiti alla realtà che segna l’orizzonte della nostra condizione, confluendo in un sapere astrattamente intellettuale, separato dal coinvolgimento globale dell’io nell’esperienza che viviamo, indirizzati verso un destino o un interesse da perseguire. La filologia pura, l’asettica tecnica autoreferenziale della ricostruzione del passato fondata su prove accertate e criticamente vagliate, qualora scisse dal rapporto con il centro vivo della cultura e dell’identità del soggetto umano, cessano di essere strumenti al servizio del dialogo con la globalità delle esperienze più significative, degne di memoria e ricche di fascino eloquente, prodotte dall’avventura degli uomini nel flusso del tempo che passa e si sedimenta. L’unità vivente del senso storico è una dimensione irrinunciabile da salvaguardare per ogni tipo di rapporto con i contenuti della tradizione culturale che ha configurato il nostro volto di uomini moderni.

Bibliografia I testi di riferimento a cui si è rinviato nel corso dell’analisi sono: M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1950; 19692 (ed. or. 1949). G. Galasso, Nient’altro che storia, Bologna, Il Mulino, 2000. J. Huizinga, La scienza storica, Roma-Bari, Laterza, 1974 (ora anche Milano, Res

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Gestae, 2013; parte prima di Id., La mia via alla storia e altri saggi, Roma-Bari, Laterza, 1967, da ed. in lingua olandese 1950). R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Genova, Marietti, 1986 (ora anche Bologna, Clueb, 2007; ed. or. 1979). H.-I. Marrou, La conoscenza storica, Bologna, Il Mulino, 1962 (ed. or. 19541959). Per approfondimenti: F. Cardini, La bottega del professore, Padova, Libreriauniversitaria.it, 2015. P. Prodi, Il tramonto della rivoluzione, Bologna, Il Mulino, 2015. A. Prosperi, Identità. L’altra faccia della storia, Roma-Bari, Laterza, 2016. Ulteriore bibliografia: G. Reguzzoni, Conoscere per indizi. L’interpretazione come percorso di verità, Arona (Novara), XY.IT, 2010. D. Zardin, I fili della storia. Incontri, letture, avvenimenti, Bari, Edizioni di Pagina, 2014.

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