Augustine Thompson, O.P.
Francesco d’Assisi Una nuova biografia
Traduzione di Giovanni Desantis e Roberta Cappelli Edizione italiana a cura di Giovanni Desantis
Indice
Introduzione
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Parte prima La vita 1. «Quando ero nel peccato» (1181-1205)
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La città, la casa e la famiglia di Francesco, p. 13 - Nascita e giovinezza, p. 17 - Avventure militari, p. 20 - Francesco in crisi, p. 22 - Francesco “abbandona il mondo”, p. 25
2. Il penitente di Assisi (1206-1209)
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Francesco a San Damiano, p. 29 - Dio manda a Francesco seguaci, p. 33 - I penitenti vanno a Roma, p. 35 - La fraternità, p. 41 - Francesco alla Porziuncola, p. 44
3. La fraternità delle origini (1209-1215)
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Francesco come capo spirituale, p. 47 - Per le strade intorno ad Assisi, p. 50 La conversione di Chiara, p. 61 - Francesco affronta una nuova crescita, p. 64
4. Espansione e consolidamento (1216-1220)
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Francesco e la natura, p. 70 - Integrazione nella vita della Chiesa, p. 74 Francesco invia lettere e organizza missioni, p. 77 - Francesco all’estero, p. 84
5. Francesco torna a casa (1220-1221)
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Francesco e il cardinale, p. 91 - Francesco si dimette, p. 100 - Altre lettere e un testamento spirituale, p. 102 - Frate Elia e il capitolo del 1221, p. 109
6. Regole e ritiro (1221-1223)
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Il documento di lavoro di Francesco, p. 113 - Revisione e approvazione della regola, p. 122 - Francesco si prepara al ritiro, p. 132
7. La via della Croce (1223-1225)
134
Francesco abbandona il comando, p. 134 - Sul monte della Verna, p. 138 Francesco scende dalla montagna, p. 144 - Il Cantico di frate Sole, p. 148
8. Da penitente a santo (1225-1226) Fallimento delle cure mediche, p. 152 - Il ritorno ad Assisi, p. 157 - Il Testamento di Francesco, p. 160 - Gli ultimi giorni con i confratelli, p. 164 - Dalla morte all’altare, p. 166
152
Date importanti della vita di Francesco
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Per ulteriori letture
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Parte seconda Fonti e discussioni Nota preliminare
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Abbreviazioni 179 Sulla “questione francescana�
181
La ricerca scientifica moderna su Francesco, p. 183 - Fonti per una Vita di Francesco, p. 190 - Maneggiare le fonti, p. 198
Sul capitolo 1
202
Sul capitolo 2
221
Sul capitolo 3
240
Sul capitolo 4
256
Sul capitolo 5
269
Sul capitolo 6
282
Sul capitolo 7
295
Sul capitolo 8
305
Bibliografia 313 Indice analitico
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Introduzione
Questo libro reca il sottotitolo Una nuova biografia, con il quale non intendo semplicemente una biografia recente, ma una biografia che presenta anche un nuovo ritratto dell’uomo noto come san Francesco d’Assisi. Abbiamo la fortuna di avere a disposizione una grande massa di storie, aneddoti, resoconti e scritti su Francesco che datano al suo stesso secolo, la maggior parte dei quali sono ora considerati dagli studiosi in parte o del tutto “leggendari”. La presente biografia è il primo deciso tentativo in lingua inglese di trattare queste fonti medievali su Francesco in un modo coerentemente, talora spietatamente, critico. Lo scopo è rivelare, al meglio delle nostre possibilità, l’uomo dietro le leggende. Con un’unica notevole eccezione – lo studioso italiano di Francesco, Raoul Manselli –, anche gli autori accademici che si sono occupati di Francesco sembrano fondarsi sullo stesso insieme di storie, per lo più assemblate nella stessa maniera. Oppure, sulla scia di Manselli, non vanno molto oltre le sue ricostruzioni. Talvolta affermano addirittura che è impossibile trovare l’uomo dietro le leggende. Gli autori popolari, d’altro canto, imprimono differenti torsioni alla vita di Francesco nel suo complesso, ma solitamente ripetono eventi di quella vita come se la loro veridicità storica fosse ovvia. Oppure, nel migliore dei casi, li rubricano come “leggendari” senza tentare di trovare la realtà storica dietro di essi. Nello scrivere questo libro, mi sono posto una serie di domande sulla documentazione che abbiamo su Francesco. Anzitutto, chi ha composto il testo? È stato Francesco, qualcuno che lo conobbe o qualcuno che ne sentì solamente parlare? Curiosamente, molte biografie popolari prediligono storie per sentito dire rispetto agli scritti stessi di Francesco. Poi, quando è stato composto il documento? Dubito molto che possiamo fidarci di resoconti composti oltre due generazioni dopo la morte di Francesco e per i quali non abbiamo ulteriore documentazione. Questo è specialmente il caso delle storie di miracoli, non perché io non creda che i miracoli accadono, ma perché Francesco fu proclamato santo e per la gente del Medioevo aggiungere altri miracoli alla sua “biografia” non era frode, ma un atto di omaggio
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Introduzione
e devozione. Il famoso Lupo di Gubbio non ha superato questa verifica. D’altra parte, la vita di Francesco sarebbe incompleta senza la percezione popolare del potere miracoloso che circondava la sua persona quando egli divenne un “santo vivente” nei suoi ultimi anni. Soprattutto, sono stato particolarmente diffidente riguardo a ogni storia in cui Francesco è usato come il portavoce di una fazione coinvolta in qualche diatriba all’interno del suo Ordine anni dopo la sua morte, specialmente storie sulla pratica francescana della povertà. Questa lettura delle fonti su Francesco ha dato luogo a una serie di divergenze rispetto al racconto usuale. Il Francesco che sono venuto a conoscere è risultato un uomo più complesso e personalmente tormentato rispetto al santo delle leggende. È fuorviante, credo, assimilarlo a una qualche immagine stereotipa di “santità”, specialmente una che sottenda che un “santo” non ha mai crisi di fede, non è mai adirato o depresso, non esprime mai giudizi e non si sente mai frustrato per sé o per gli altri. L’umanità stessa di Francesco lo rende, ritengo, più imponente e stimolante di un santo che abbia incarnato quel tipo (impossibile) di santità. Vorrei anche mettere in evidenza che il mio “Francesco storico” non è il “vero Francesco”, più di quanto lo siano il Francesco delle leggende e delle biografie popolari. Egli è “storico” nel senso che il quadro che ho dipinto è un risultato del metodo storico, non di riflessione teologica o di pia edificazione. Ciò detto, sono convinto che il mio Francesco è più vicino all’uomo noto ai suoi contemporanei del XIII secolo che non la figura che emerge dalle biografie moderne da me lette. Spero davvero che il mio ritratto riveli un Francesco che stimoli una nuova riflessione teologica e una più intensa pietà cristiana. Sono arrivato a Francesco, in qualche modo, da esterno. In quanto storico, ero nuovo al mondo, cavilloso e spesso acrimonioso, della controversia accademica sul Francesco storico. Specialmente per i suoi moderni seguaci, i frati francescani, le monache, le suore e i terziari laici, il modo in cui si immaginano Francesco e le sue preoccupazioni ha forti implicazioni, talvolta molto divisive, per la vita di oggi. Non ho un interesse personale in questi dibattiti interni ai francescani. Come dicono gli americani, in termini colloquiali, «non ho un cane in questo combattimento». Ma devo altresì essere franco. Sebbene io scriva principalmente come storico, sono anche un cattolico, un prete e un membro dell’Ordine dei predicatori, i domenicani, che sono spesso considerati i gemelli dei frati minori di Francesco. Ammetto di non aver mai avuto una particolare devozione per san Francesco, e ho sempre trovato abbastanza curioso che noi domenicani ci riferissimo a lui come «il nostro santo padre Francesco», usando il titolo
Introduzione
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di “padre” che egli si affannò a evitare. Dopo aver lavorato alla sua biografia, il mio rispetto per Francesco e per la sua visione è cresciuto e spero che questo libro parlerà ai moderni, ai credenti come ai non credenti, e che il Francesco che sono venuto a conoscere avrà qualcosa da dire loro oggi. Alcuni lettori di questo libro saranno studiosi, forse francescani, che hanno passato anni a studiare il Medioevo, l’Ordine dei frati minori o il suo fondatore. Questi lettori avranno domande sui metodi e sulle fonti: per loro ho fornito dei commenti a ciascun capitolo nella Parte seconda del libro, Fonti e discussioni. Questi commenti spiegano le decisioni che si trovano a monte del mio racconto. Il capitolo di Fonti e discussioni intitolato Sulla “questione francescana” risponde ad alcuni quesiti che tutti i lettori potrebbero avere sulle controversie erudite che sono di solito indicate come la “Ricerca del Francesco storico” e che durano da oltre cento anni. Gli specialisti vorranno leggere tutte queste sezioni di commento sistematicamente, probabilmente insieme alla vita. Altri lettori vorranno addentrarsi in questi commenti solo occasionalmente, quando si chiederanno perché descrivo avvenimenti della vita di Francesco nel modo in cui lo faccio. I lettori che vorranno consultare le sezioni di commento vi troveranno i riferimenti alle pagine che corrispondono al testo della vita. Se i lettori hanno intorno ai cinquant’anni, come me, è probabile che abbiano conosciuto Francesco dal film di Franco Zeffirelli Fratello Sole, sorella Luna, l’ultimo e forse il più grande monumento di una serie di interpretazioni romantiche da oltre un secolo a questa parte. In questa storia Francesco era uno spirito libero, uno sregolato genio religioso, una sorta di hippie medievale, frainteso e poi sfruttato dalla “Chiesa medievale”. O forse lo conoscono come l’uomo che parlava agli animali, un mistico della natura, un ecologista, un pacifista, un femminista, una “voce per il nostro tempo”. Per altri, egli è l’omino di gesso sull’abbeveratoio per uccelli, il più accattivante e il meno minaccioso dei santi cattolici. Come Gesù, Francesco appartiene a tutti e così tutti, o quasi tutti, hanno il loro Francesco. Ed è così probabilmente che deve essere. In tanti anni di insegnamento sono rimasto sorpreso da quanto gli studenti possano rimanere delusi quando incontrano un Francesco diverso da quello che si aspettano. Stranamente, il momento più doloroso è quando scoprono che san Francesco non scrisse la Preghiera della pace di san Francesco, un inno popolare meglio noto con il suo incipit «O Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace», cantato su una melodia del compositore anglicano Sebastian Temple. Molti sono sconvolti nell’apprendere che questo canto non è identico al Cantico di frate Sole di Francesco, da cui Zeffirelli
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Introduzione
prese il titolo del suo film. La Preghiera della pace è moderna e anonima, fu scritta originariamente in francese e data al 1912 circa, quando fu pubblicata in un piccolo periodico spirituale francese, “La Clochette”. Per quanto nobili possano essere i sentimenti ivi espressi, Francesco non potrebbe avere scritto un pezzo del genere, incentrato com’è sul soggetto in prima persona, con la sua costante ripetizione dei pronomi “io” e “me”, mentre le parole “Dio” e “Gesù” non compaiono nemmeno una volta. C’è anche un buon numero di altre storie che qui non si troveranno, la più famosa delle quali è forse “Francesco e il Lupo di Gubbio”. E nemmeno comparirà il presunto incontro con san Domenico, un’omissione che disturba moltissimo alcuni miei confratelli domenicani che hanno letto le bozze o hanno discusso con me quest’opera. Ognuno di noi ha il suo “Francesco”. Nel mio lavoro storiografico, evito di solito di suggerire che cosa il passato dovrebbe significare per i lettori moderni. Ma, poiché molti mi hanno chiesto che cosa ho imparato da Francesco, farò alcuni cenni su che cosa mi ha insegnato come cattolico. Sono certo che egli insegnerà a ciascun lettore qualcosa di particolare, perciò queste riflessioni sono soltanto mie personali. In primo luogo, mi ha insegnato che l’amore di Dio è qualcosa che trasforma l’anima e fare il bene per il prossimo ha origine da questo, non è semplicemente un fare il bene al prossimo. Francesco era più per l’essere che per il fare. E il prossimo che il cristiano serve deve essere amato per se stesso, non importa quanto sia indegno di amore, non perché possiamo cambiarlo con le nostre buone opere. In secondo luogo, piuttosto che una chiamata a compiere una missione, un programma o un’idea, la vocazione religiosa riguarda un cambiamento nella percezione che si ha di Dio e della creazione. Soprattutto, non ha nulla a che fare col successo, personale o collettivo, che è qualcosa che Francesco schivò sempre. In terzo luogo, la vera libertà dello spirito, anzi la vera libertà cristiana, nasce dall’obbedienza, non dall’autonomia. E come Francesco mostrò molte volte con le sue azioni, l’obbedienza non è un’astrazione, ma implica una concreta sottomissione alla volontà di un altro. Libertà significa diventare “schiavo di tutti”. Infine – e spero che questo sovverta tutto quello che ho appena scritto – non ci sono strade predefinite e chiare verso la santità cristiana.
Italia centrale e dintorni di Assisi
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Parte I. La vita
compiuta da Ugolino dette a Francesco una libertà che prima gli mancava. A seguito del capitolo di Pentecoste del 3 giugno 1219, Francesco finalmente realizzò la sua antica speranza di andare all’estero, a predicare Cristo agli infedeli e forse anche a conseguire il martirio. A giugno inoltrato, il fonda-tore nominò due vicari, uomini che avrebbero diretto la fraternità a nome di Francesco mentre egli era lontano, Gregorio di Napoli e Matteo di Narni, e partì per il Medio Oriente.
Francesco all’estero La riconquista di Gerusalemme, caduta nelle mani dei musulmani durante la III crociata nel 1187, era stata un progetto di papa Innocenzo III ed era ora un obiettivo di Onorio III. Finalmente, dopo anni di pianificazioni frustrate, le forze crociate erano nella posizione di muovere contro il sultano ayyubide dell’Egitto, Malik al-‘Aˉdil (1145-1218), noto ai franchi come “Safadino” dal suo titolo onorario “Saif al-Din”. Al-‘Aˉdil era salito al potere durante i disordini e la guerra civile che seguirono la morte di suo fratello Saladino. Egli unificò Egitto e Palestina con la sua vittoria nella battaglia di Bilbeis e fu proclamato sultano. Coltivò buoni rapporti con gli stati crociati e incoraggiò il commercio. D’altro canto, egli aveva il controllo di Gerusalemme, obiettivo dei crociati, e dal 1217 i capi cristiani, dall’Europa e dalla Siria, avevano forgiato un’alleanza con Keykavus I, il sultano selgiuchide di Rûm, in Anatolia centrale, che voleva espandere il suo controllo verso sud in Siria. Egli avrebbe premuto sul sultano in Palestina, mentre i crociati avrebbero attaccato direttamente il delta egiziano. L’invasione dell’Egitto sarebbe stata ricordata come la V crociata. Nel giugno del 1218, le forze crociate raggiunsero il delta del Nilo e assediarono il porto di Damietta. La città doveva servire come base per un assalto alla capitale egiziana, Il Cairo. Dopo aver organizzato le truppe egiziane e palestinesi al nord, al-‘Aˉdil scese in campo contro gli invasori, solo per poi morire nella campagna militare in settembre. Nonostante la sua età avanzata, al-‘Aˉdil era stato un generale molto capace e un efficace comandante. Suo figlio, Malik al-Kaˉmil (1180-1238), era molto meno efficiente ed energico. Piuttosto, era noto per la sua clemenza e umanità. Nel 1219, il cardinale Pelagio Galvani di Albano arrivò per prendere il comando delle forze crociate, che si erano divise a causa di rivalità e discordie. Al-Kaˉmil propose di negoziare, suggerendo lo scambio di Gerusalemme con la rinuncia all’assedio da parte dei crociati e la loro partenza dall’Egitto. I capi secolari della crociata, in particolare
4. Espansione e consolidamento
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Giovanni di Brienne, re in carica di Gerusalemme, erano inclini ad accettare l’offerta. Il cardinale invece riteneva che una sicurezza durevole non sarebbe stata possibile senza rimuovere la minaccia egiziana e che l’accordo proposto dal sultano non garantiva alcun aiuto ai cristiani che vivevano sotto il giogo musulmano. Egli pose il veto sull’offerta. Durante questa situazione di stallo, Francesco arrivò in Egitto, accompagnato da un compagno, Pietro Cattani (o di Cattanio, chiamato così dal suo luogo di nascita, Gualdo Cattaneo vicino a Bevagna), un giurista che era recentemente entrato nell’Ordine. Il viaggio di Francesco in Egitto, benché unico in quanto coinvolgeva il capo del movimento, era parte dei progetti missionari del capitolo del 1219. Se l’itinerario del suo viaggio per l’Oriente fu quello tradizionale, egli salpò da Bari o Brindisi in Italia meridionale. La sua nave poi costeggiò la Grecia, passò lungo il litorale settentrionale di Creta, e probabilmente si fermò per fare provviste alla roccaforte crociata di Rodi o Acri. O dall’una o dall’altra, poi essa si diresse a sud verso il delta del Nilo. Alcuni francescani erano già arrivati insieme ai crociati, e altri ne seguirono ora con Francesco. Fonti tarde menzionano tra costoro frate Illuminato e fra Leonardo. A differenza della situazione del suo mal congegnato viaggio in Francia, il fatto di aver nominato dei vicari aveva assicurato a Francesco che la sua assenza non avrebbe causato problemi amministrativi per la fraternità. Quando Francesco arrivò, l’esercito crociato stava assediando Damietta. Il contatto con la vita militare dell’accampamento lo turbò profondamente. Ciò gli procurò premonizioni disastrose ed evocò ricordi delle sue stesse traumatiche esperienze militari. Egli espresse le sue apprensioni a uno dei compagni, probabilmente Pietro Cattani, chiedendogli cosa avrebbe dovuto fare. Il frate disse a Francesco di seguire il suo istinto, cosicché il piccolo monaco fuori posto si mise in moto, vagando per il campo ed esprimendo a gran voce le sue ansietà ai soldati, pare con una certa vivacità. Per le rozze truppe crociate, diventò una specie di zimbello; per i loro capi, apparve come un’inutile minaccia per il morale. Le paure di Francesco si rivelarono ben fondate: il 29 ottobre l’esercito crociato subì una pesante sconfitta dinanzi alle mura della città. Rielaborazioni più tarde hanno trasformato questo episodio nell’impavido annuncio di una profezia visionaria, mentre gli scrittori moderni spesso lo fanno passare come una predicazione pacifista e antibellica. Le motivazioni reali di Francesco sembrano essere state molto personali, non visionarie o ideologiche. In ogni caso, Francesco non era un pusillanime. Presto egli chiese il permesso di varcare le linee nemiche, entrare nel campo musulmano e predica-
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Parte I. La vita
re Cristo al sultano al-Kaˉmil. Il cardinale rigettò categoricamente la richiesta. La morte era la punizione solitamente riservata a coloro che tentavano di convincere i musulmani ad abbandonare la loro religione, e ciò valeva anche per ogni musulmano che si convertisse. Francesco fu imperterrito; lui e un suo compagno – fonti tarde lo identificano in Illuminato – continuarono a tormentare il cardinale, argomentando che giacché essi sarebbero andati solo con il suo permesso, non per un suo comando, non sarebbe stata sua la responsabilità di ciò che sarebbe accaduto loro. Il cardinale, un alto diplomatico e funzionario ecclesiastico, sapeva poco o nulla di Francesco o del suo movimento. Egli non poteva conoscere le loro intenzioni o prevedere l’effetto della loro infiltrazione nel campo egizio. Di nuovo rigettò la richiesta, affermando che non aveva modo di verificare se i loro progetti fossero dettati da Dio o dal demonio. Alla fine, provato dalla loro ostinazione, Pelagio disse che non li avrebbe fermati, ma che essi non avrebbero dovuto dire assolutamente a nessuno che egli avesse un benché minimo rapporto con la loro missione. Il cardinale si stava evidentemente lavando le mani della faccenda, dicendo in sostanza: se siete feriti, imprigionati o uccisi, non aspettatevi alcun aiuto da parte mia. Ma la sua principale preoccupazione era impedire ad al-Kaˉmil di pensare che la visita dei frati implicasse un cambiamento della sua linea dura di opposizione a ogni negoziato. I capi secolari della crociata possono ben aver sperato che il viaggio di Francesco riaprisse la possibilità di una soluzione negoziale. Francesco era probabilmente ignaro delle implicazioni politiche del suo tentativo. In ogni caso, Francesco e il suo compagno lasciarono disarmati il campo crociato, attraversarono il Nilo, e si avvicinarono alle fortificazioni musulmane. Le guardie egiziane, pensando che quegli uomini fossero disertori che volevano rinnegare la loro fede per accettare l’Islam, li presero in custodia. Quando fu evidente che i due non avevano alcuna intenzione di abbracciare l’Islam, le guardie cominciarono a maltrattarli. Francesco, che non aveva nessuna conoscenza dell’arabo, cominciò a urlare ripetutamente l’unica parola che conosceva, “Soldan”. Alla fine, i soldati, perplessi, lo portarono da al-Kaˉmil. Tutte le testimonianze affermano che il sultano ricevette bene i frati, senza dubbio sperando che essi fossero, in realtà, una nuova ambasciata incaricata di riaprire i negoziati. Egli li avrebbe riconosciuti come membri del clero cristiano dalla loro chierica e dall’abbigliamento religioso. Il sultano, sicuramente comunicando con i confratelli attraverso un interprete, chiese se essi fossero ambasciatori dei crociati, o se volessero accettare l’Islam, o forse le due cose insieme. Francesco eluse la domanda riguardo a eventuali
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messaggi dei leader crociati e arrivò subito al punto. Egli era venuto come ambasciatore del Signore Gesù Cristo e per la salvezza dell’anima del sultano. Francesco espresse la sua volontà di spiegare e difendere il cristianesimo. Questo non era assolutamente ciò che il sultano voleva: rispose che non aveva tempo per discussioni teologiche e che aveva una gran quantità di esperti religiosi che avrebbero potuto mostrare ai due la verità dell’Islam. Francesco era contento di aver trovato un uditorio più ampio per il suo annuncio e accettò il confronto, dicendo che se il sultano e i suoi consiglieri non fossero rimasti persuasi dalla sua esposizione, essi avrebbero potuto decapitarlo. Alcuni dei consiglieri religiosi del sultano furono convocati per presentare la fede di Maometto a Francesco. Egli replicò proclamando la sua fede. La reazione fu repentina: Francesco stava tentando tutti loro all’apostasia e dunque era pericoloso. Gli esperti musulmani unanimemente suggerirono al sultano di giustiziare entrambi i francescani per aver predicato contro Maometto e l’Islam. Gli consigliarono di non ascoltarli nemmeno, poiché anche questo era pericoloso. Gli esponenti religiosi poi si ritirarono. Francesco aveva fatto una certa impressione, non si sa se positiva o negativa, su uno dei capi religiosi musulmani presenti: è registrato sulla pietra tombale del giurista Faˉkhr ad-Din al-Faˉrisi che egli fu coinvolto con al-Kaˉmil nell’«affare del monaco». Al-Kaˉmil, comunque, non giustiziò né scacciò via i due frati. Piuttosto, lasciato solo con loro e, probabilmente, un interprete, il sultano sembra essere stato impressionato dalla sincerità di Francesco e dalla disponibilità a morire per la sua fede. Forse sperava anche che, una volta che avessero terminato di discutere di questioni religiose, ci potesse essere un’apertura al negoziato politico. Cominciò quindi una lunga conversazione tra Francesco e il capo musulmano. Francesco continuò a confessare la sua fede cristiana nel Signore Crocifisso e nella sua promessa di salvezza. Al-Kaˉmil continuò ad ascoltare educatamente, certamente sondando di tanto in tanto per capire se le omelie del piccolo italiano mascherassero un addentellato politico. Malgrado la linea dura dei suoi consiglieri, il sultano aveva ben poche ragioni di adombrarsi alle dichiarazioni di fede di Francesco, poiché, come osservò lo stesso Giacomo da Vitry, i musulmani non facevano nessuna obiezione alle espressioni di lode per Gesù, che era un profeta anche per loro, purché l’interlocutore evitasse qualunque allusione al messaggio di Maometto come falso o ingannevole. Francesco non parlò mai male di Maometto, per il semplice fatto che non parlava mai male di nessuno. Più tardi, quando altri francescani attraversarono le linee di combattimento e predicarono contro Maometto, furono fortunati a cavarsela solo con una fustigazione.
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Parte I. La vita
Dopo molte conversazioni protrattesi per un certo numero di giorni, e trovando che la discussione non faceva nessun passo avanti politico, il sultano decise di porvi fine. Egli fece un’offerta finale: se i frati fossero rimasti abbracciando l’Islam, egli avrebbe provveduto al loro benessere. Francesco e il suo confratello rifiutarono categoricamente l’offerta, dicendo che non erano venuti con l’intenzione di convertirsi, ma di predicare Cristo. Allora, con un gesto tipico dell’ospitalità mediorientale, al-Kaˉmil fece preparare un tavolo con stoffe preziose e ornamenti d’oro e d’argento e li offrì in dono ai due confratelli. Con grande stupore del sultano, Francesco spiegò che la loro religione gli proibiva di accettare qualsiasi dono prezioso, denaro o beni di proprietà. D’altra parte, egli sarebbe stato lieto di accettare cibo per quel giorno. Allora, che abbia chiesto o meno a Francesco di pregare per lui, come pretendono alcune fonti cristiane, al-Kaˉmil fu felice di offrire loro un magnifico pasto, dopo il quale ordinò che fossero respinti nelle linee crociate. Francesco non aveva forse convertito il sultano, ma lui e i suoi compagni fecero una profonda impressione sul clero cristiano presente a Damietta, incluso Giacomo da Vitry, vescovo di Acri. Con grande disappunto del vescovo, il parroco della chiesa crociata di San Michele di Acri, don Ranieri, abbandonò il suo superiore per unirsi ai francescani. Altri due chierici legati al suo gruppo, Colin l’Inglese e Michele della Chiesa della Santa Croce, si unirono a Francesco. In una lettera datata alla fine di febbraio o al marzo del 1220, indirizzata ad amici della sua patria, Giacomo da Vitry attribuì la rapida crescita del movimento di Francesco all’incapacità di selezionare e mettere alla prova gli aspiranti e all’inclinazione dei frati a inviare uomini entusiasti, anche se impreparati, in ogni parte del mondo. Secondo il vescovo, tra coloro che erano attratti dal movimento vi erano troppi giovani instabili ed entusiasti, non adatti ai rischi della vita religiosa itinerante fuori dal chiostro. Quando Francesco nel 1216 attirava semplicemente fratelli laici delle campagne dell’Umbria, il vescovo di Acri aveva avuto solo parole di lode per il movimento. Adesso però, alla luce dello zelo imprudente di Francesco nell’attraversare le linee nemiche, e della sua disponibilità ad accogliere nei suoi ranghi membri fuori controllo del clero, l’opinione di Giacomo era più incerta. Egli scriveva ai suoi amici che aveva fatto di tutto per impedire al suo cantore Giovanni di Cambrai, al suo chierico Enrico e a molti altri di unirsi a Francesco. Queste defezioni in parte spiegano l’incremento numerico esponenziale che la fraternità sperimentò in seguito alle missioni fuori d’Italia del 1217. L’impatto che Francesco ebbe sui chierici del vescovo di Acri fu, tuttavia,
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di breve durata, poiché egli lasciò presto l’Egitto. Qualche tempo dopo la conquista crociata di Damietta, il 5 novembre del 1219, Francesco decise di andarsene. L’orrore del saccheggio che seguì allo sfondamento delle mura probabilmente gli riportò dolorosi ricordi della sua personale esperienza di soldato a Collestrada. Poiché Francesco era arrivato verso la fine di agosto, la sua permanenza in Egitto durò perciò al massimo due o tre mesi. Alcuni seguaci di Francesco rimasero con i crociati e fu persino affidata loro la custodia di una chiesa nella città di Damietta. Francesco invece proseguì verso la Siria, dove alcuni missionari francescani erano approdati due anni prima. Una volta arrivato in Siria, Francesco ricevette notizie allarmanti da casa. In sua assenza, i suoi vicari, Gregorio e Matteo, avevano stabilito cose che oggi sembrano cambiamenti di scarso rilievo nella disciplina penitenziale. Seguendo le generali prescrizioni della Chiesa allora in vigore, i confratelli si astenevano dalla carne il venerdì, giorno del digiuno cattolico. A questo Francesco stesso aveva aggiunto l’astinenza il sabato, anch’esso giorno tradizionale di penitenza nella Chiesa latina. Gli altri giorni, si poteva mangiare la carne. I vicari decisero che durante i giorni di non digiuno la comunità potesse mangiare solo la carne che veniva spontaneamente offerta in elemosina, e non procurarsene per conto proprio, e che non dovesse mangiare carne, neanche ricevuta in elemosina, il lunedì. Inoltre, tutti i mercoledì e i venerdì, i frati dovevano astenersi dai latticini oltre che dalla carne, a meno che non venissero loro offerti spontaneamente. Un frate laico, indignato dal fatto che i vicari stessero aggiungendo proibizioni alla loro forma di vita, rubò una copia delle costituzioni e, senza permesso alcuno, fuggì dall’Italia. Egli arrivò in Oriente solo per trovare Francesco seduto a tavola a pranzare con Pietro Cattani e parecchi altri, molto probabilmente nella roccaforte crociata di Acri. Il pasto includeva la carne poiché, prima delle nuove costituzioni, quello non era considerato un giorno di astinenza. Il confratello confessò la sua colpa, di aver rubato le costituzioni e di essere fuggito dall’Italia senza “un’obbedienza”. Chiudendo un occhio sulla pessima condotta del confratello, Francesco lesse le nuove costituzioni e si rivolse a Pietro, che era un canonista per formazione. Gli chiese, dandogli il titolo onorifico di giurista, come spesso faceva per scherzo: «Signor Pietro, adesso che faremo?»; Pietro rispose, sicuramente con un sorriso: «Ah, Signor Francesco, quello che piace a voi, perché voi avete l’autorità». Francesco replicò: «Mangiamo dunque, come dice il Vangelo, ciò che ci viene messo davanti». Il gruppo, incluso il frate laico, si sedette dunque a pranzare. Queste nuove costituzioni, che andavano oltre le norme bibliche e pubbliche della Chiesa,
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Parte I. La vita
andavano anche contro la salda convinzione di Francesco che i confratelli dovessero vivere solo secondo il Vangelo. Francesco, pare, non visitò mai Gerusalemme durante il suo viaggio in Oriente, poiché non c’è alcuna testimonianza che egli sia incorso nella scomunica legale imposta da Onorio III per i cristiani che visitavano la città, controllata dai musulmani. Se egli visitò altri luoghi della Terra Santa, le testimonianze più attendibili non ne parlano. Poco dopo, probabilmente agli inizi di marzo o aprile, Francesco partì per l’Italia, insieme a Pietro Cattani, Elia da Assisi e un nuovo frate ammesso da Elia, Cesario da Spira, probabilmente da Acri.
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Parte II. Fonti e discussioni
Francesco all’estero La V crociata [pp. 84-90] Sulla V crociata e la politica del Levante negli anni Dieci e Venti del Duecento, cfr. Powell (1986: in part. 158-160, 187) sulla presenza di Francesco in Egitto. Golubovich (1926), nonostante sia un vecchio lavoro, è molto sobrio e nel complesso convincente, anche se io non accetto tutte le sue conclusioni. Nel corso dei secoli, storie e oggetti con un preteso collegamento alla visita di Francesco al sultano sono comparsi o sono stati fabbricati (compresi i doni che Francesco rifiutò); chi fosse interessato alla storia di come la visita è stata interpretata, a partire dalle fonti più antiche, può consultare Ghinato (1964). Fonti per Francesco in Egitto [pp. 84-90] Le fonti principali per il viaggio di Francesco in Egitto sono 1C 57 (schematico e celebrativo), 2C 30 (Francesco predice la disfatta dei crociati), Giordano 1015 e Giacomo da Vitry (FF: pp. 1462-1468). Si veda anche il commento nell’edizione Huygens delle Lettere di Giacomo da Vitry (pp. 21 e 102) sulle motivazioni del cardinal Pelagio. Come nota De Beer (1977 [1983: 27-38]), la trattazione di Giacomo da Vitry su Francesco in Egitto è appesantita da riferimenti biblici (venti in sedici righe) ed è talvolta stereotipata. Cfr. Fortini (1959, 2: 137-146), per la possibile identificazione di fra Leonardo di Assisi come il compagno di Francesco in Egitto. Che Illuminato fosse con Francesco – in effetti era il suo socius – si trova in Bonaventura, LM 9.8, che si suppone sia testimonianza oculare del frate. Io preferisco il più contemporaneo racconto di Giordano da Giano, che afferma che il socius di Francesco era Pietro Cattani. La mia descrizione della rotta verso l’Oriente corrisponde all’itinerario “tipico”; un’esatta determinazione della data o della città di partenza è impossibile. Matanic (1976: 251) offre date di viaggio tipiche. Non mi fido della data comunemente assegnata derivante da Bartolomeo da Pisa, la cui data di partenza del 24 giugno suona tipologica, poiché fa di Francesco un nuovo Giovanni Battista in Egitto. Francesco e i crociati [pp. 85-86] Non farò congetture sulla questione perenne se le attività di Francesco fossero “pacifiste” o di “opposizione alle crociate”. Francesco non ha mai menzionato le crociate (o la guerra) in nessuno dei suoi scritti. Le cronache francescane e non francescane medievali adducono solo due ragioni per la decisione di Francesco di andare in Egitto: la conversione del sultano (e implicitamente degli altri musulmani) e il desiderio di martirio. Sono questi gli unici aspetti del viaggio trattati da Francesco in Rnb 16. Tommaso da Celano riferisce con schiettezza che Francesco era turbato ed emotivamente scosso, sebbene non ne indichi mai la causa.
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Il Francesco di 2C 30, una storia di profezia, va in giro nell’accampamento per dar voce ad un’ansietà riguardo a un pericolo, non per opporsi alla crociata in generale. Prendo questo racconto per quello che è e mi rifiuto di sovraccaricarlo di interpretazioni. Una rassegna degli studi fino agli anni Settanta del Novecento si trova in Matanic (1976: 243-250), che è però acritico. È una speculazione suggerire che Francesco favorisse i principi e il partito “della pace” piuttosto che il cardinal Pelagio e il partito “della guerra”, anche se è quanto il sultano probabilmente sperava. Prendo Francesco in parola (Rnb 16.5-7) che la sua speranza era di convertire il sultano e nient’altro. Che la conversione dei musulmani avrebbe posto fine (almeno in teoria) alle crociate non significa che evangelizzazione e crociata siano due concetti in qualche modo opposti. Su questo, cfr. Cardini (1974: in part. 221-234) che, sebbene datato per molti aspetti, ha ragione su questo punto. 2C 30 è la fonte più antica che citi la profezia di sventura riguardante l’attacco contro Damietta. Per quanto possa essere allettante interpretare le parole di Francesco come una difesa del pacifismo e una critica dei progetti militari della crociata, concordo con Vauchez (2009 [2010: 99]) che il punto cruciale del passo è la chiaroveggenza di Francesco, non la sua opposizione all’esercito. Il racconto è essenzialmente una storia di miracoli atta a mostrare la visione soprannaturale degli eventi da parte di Francesco. Ha tutti i sintomi di una profezia ex eventu. La sua assenza in tutte le fonti quasi contemporanee a Francesco mi costringe ad escluderla. Poiché la profezia predice il fallito attacco del 29 agosto contro Damietta, escludere la storicità di questa storia significa anche rimuovere quella data come definito terminus post quem per l’arrivo in Egitto. La missione presso il sultano [pp. 86-88] Sulla missione presso il sultano, cfr. Tolan (2009), che si concentra principalmente sullo sviluppo delle leggende che circondano l’avvenimento. La missione è forse l’avvenimento meglio documentato della vita di Francesco, per lo meno nelle fonti non francescane. Moses (2009) è scorrevole e popolare ma riconfigura anacronisticamente Francesco come un attivista pacifista. Lemmens (1926) ha opportunamente raccolto quasi tutte le fonti, originali e derivate, sulla visita in Egitto. La visita è descritta da Giacomo da Vitry (FF: pp. 1462-1468) e in alcune cronache laiche. La più estesa è la Cronaca di Ernoul in francese antico (FF: pp. 1468-1471), del 1226/1227 circa, sulla quale cfr. Morgan (1973). È interessante il fatto che, pur con tutti i suoi dettagli, Ernoul non sembra conoscere il nome di Francesco. Più breve, ma diverso per molti aspetti, è il racconto in francese antico contenuto nella Morte di Corradino, sultano di Damasco di Bernardo il Tesoriere (FF: pp. 1471-1472), del 1229/1230, che confonde al-Kaˉmil con suo fratello Malik al-Mu’azzam (Corradino). Bernardo racconta che Francesco si autodefiniva “ambasciatore di Cristo”, e ciò suona più autentico del complesso discorso teo-
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logico che Ernoul fa pronunciare a Francesco. La Storia dell’imperatore Eraclio in francese antico (FF: p. 1473), del 1229/1231, contiene solo una breve voce su Francesco in Egitto, ma è molto importante per il dettaglio che egli partì per la Siria dopo la presa di Damietta a causa del «male e del peccato che cominciavano a crescere» nell’esercito dei conquistatori. Attingo a tutte queste cronache e a Giacomo da Vitry per la mia versione dei fatti. Si veda Vauchez (2009 [2010: 95]), sull’iscrizione di Faˉkhr ad-Din al-Faˉrisi riportata da un arabo del XV secolo, Ibn al-Zayyaˉt, che sosteneva di averla vista nel cimitero del Cairo. Louis Massignon (1972: 482-484) notò per primo questo riferimento. De Beer (1977 [1983: 83]) segnala Yusud Ahamd, Turbal al-Faˉkhr alFaˉrisi, Cairo 1922, pp. 17-18, come fonte pubblicata. Con buona pace di Manselli (1982 [2013: 306]), non trovo sorprendente che al-Kaˉmil ricevette Francesco: il sultano era stato deluso da Pelagio e Francesco gli faceva sperare che i negoziati potessero ripartire. Fu d’aiuto il fatto che Francesco non arrivò con una scorta armata: ad al-Kaˉmil sarà sembrato un emissario di pace, proprio come appare a molti studiosi moderni. Il colloquio di Francesco con al-Kaˉmil [pp. 86-88] La migliore trattazione del colloquio con il sultano è Powell (1983). Si veda anche Kadar (1984: 119-131). Meno utile, ritengo, è De Beer (1977 [1983: 166177]), che si preoccupa di promuovere il progetto di Francesco come emissario di pace, implicitamente a sostegno di Giovanni di Brienne e dei principi contro il cardinal Pelagio. Questo Francesco mi sembra troppo politicamente motivato. L’interpretazione di De Beer è molto influenzata dalla sua accettazione della storicità della profezia di Francesco in 2C 30. Powell (1986: 159) suggerisce che la visita ebbe luogo in settembre. Powell è corretto nel collocarla prima della caduta della città, come raccontato da Giordano da Giano, piuttosto che dopo, come sostengono i cronisti del XIV secolo. “La prova del fuoco” [p. 87] Rigetto questo famoso episodio che si trova in LM 9.8. Bonaventura è la più antica testimonianza del fatto che Francesco si offrì di dimostrare la sua fede al sultano camminando sul fuoco. Tale storia implica un mettere alla prova Dio che sembra estraneo a Francesco, ed è assente in tutti i racconti quasi contemporanei. Il dialogo in De verbis fratris Illuminati, Golubovich (1906: 36-37), proveniente da una raccolta di prediche del XIV secolo, sembra proprio un exemplum omiletico. Francesco coglie in fallo il sultano in una serie di trucchi basati su citazioni bibliche e suggerisce alla fine che i musulmani sono bestemmiatori che occupano ingiustamente terre cristiane. Questo approccio mi sembra semplicemente l’opposto di quello raccomandato da Francesco in Rnb 16. Cito queste storie tarde solo perché sono molto conosciute e io, invece, le ometto. Cfr. Vauchez (2009
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[2010: 127]) sul «corno d’avorio e [le] due bacchette» che si presume il sultano regalasse a Francesco, oggi reliquie nel Sacro convento di Assisi. Francesco sulle missioni musulmane [pp. 88-89] Giacomo da Vitry fa durare il soggiorno presso il sultano «dies aliquot» nella sua storia e «multi dies» nella sua lettera. Quanto effettivamente durò è impossibile dirlo. Rnb 16, «Di coloro che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli», è molto indicativo del comportamento personale di Francesco in Egitto e del suo modo di avvicinarsi al sultano. Francesco propone due forme di testimonianza da rendere ai musulmani: la prima è semplicemente vivere una vita santa in mezzo a loro; la seconda è annunciare la salvezza in Cristo. Egli sembra escludere l’attacco all’Islam, ma sottolinea che se sopraggiungesse la persecuzione o la morte, i frati devono accettarla come mandata da Dio. Rb 12 elimina queste riflessioni personali sulla predicazione ai musulmani. Defezioni verso i francescani [p. 88] Giacomo da Vitry, Lettera VI (nell’edizione di Huygens, alle pp. 123-133), descrive defezioni del suo clero verso i francescani. Giacomo scrisse nel giro di un anno dall’avvenimento. Golubovich (1926: 315-316) pubblica il documento menzionando la chiesa francescana a Damietta. Egli ritiene (ivi: 322) che Francesco si fermò in Egitto sei mesi in più per prendere personalmente possesso di questa chiesa a febbraio. Questa deduzione sembra gratuita e renderebbe meno probabile un viaggio in Siria. L’opinione di Manselli (1982 [2013: 308]) è che Francesco si trattenne fino alla riconquista di Damietta da parte dei musulmani – vale a dire, oltre un anno. Ciò sembra ancora meno probabile, a meno che non si ponga l’arrivo delle notizie dall’Italia in Egitto, e non in Siria. Storia dell’imperatore Eraclio (FF: p. 1473) è l’unica fonte che indichi una data, ma non si è investito su di essa. Sicché la accetto: Francesco lasciò Damietta poco dopo il 5 novembre. La violenza del saccheggio può ben aver fatto riemergere i flashback dello stress post-traumatico. Francesco in Siria [p. 89] Giordano 11-12 descrive il pranzo non vegetariano. Giordano 14 sembra implicare che Francesco fosse in Siria quando il confratello laico arrivò dall’Italia. Flood (1983: 139), che è spesso molto critico sulle fonti, accetta la testimonianza di Giordano. Può essere che la presenza di Elia, superiore in Siria, sia all’origine della storia che Francesco andò in Siria. D’altra parte, sembra improbabile che le nuove leggi sul digiuno fossero state approvate, e il confratello laico arrivò in Oriente agli inizi di novembre, quando la Storia dell’imperatore Eraclio situa la partenza di Francesco dall’Egitto. Sicché anch’io accetto il viaggio in Siria.
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Il ritorno in Italia [p. 90] A dispetto dell’espressione di 1C 20 «Syriam perambulans», non vi sono prove attendibili che Francesco visitò Gerusalemme. Tale visita è sconosciuta prima di Angelo Clareno. La visita a Gerusalemme è probabilmente una congettura basata essenzialmente su ciò che Francesco avrebbe voluto fare, cosa su cui nemmeno vi sono prove. Basetti-Sani (1972) non solo passa in rassegna la mancanza di prove per una visita a Gerusalemme, ma pubblica la bolla di Onorio III Cum carissimi (23 luglio 1217), che proibiva ai cristiani di visitare la Gerusalemme musulmana. Probabilmente solo questo basta ad aver impedito a Francesco di andarci. Francesco, al massimo, visitò la sottile striscia di costa controllata dai crociati. Cfr. Brown (1965: 384) per il consenso tra gli studiosi a favore di un ritorno tardivo. Non vedo alcuna ragione per prolungare la permanenza di Francesco in Oriente. La ragione più usuale per protrarre la visita fino alla primavera è la “chiusura del mare” durante l’inverno. Sebbene fosse rischioso, le navi non si fermavano durante l’inverno e c’erano pellegrini che viaggiavano in inverno: ne è testimone il domenicano Giordano di Sassonia, la cui nave di ritorno dalla Terra Santa affondò con tutti i passeggeri nel febbraio del 1237.