Il teatro negato, di Giovanni Isgrò

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Indice

Introduzione 1. La “falsa partenza” cinquecentesca del teatro dei comici

VII

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2. La prima stagione teatrale dei gesuiti

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3. Il teatro di Stato

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4. La forma del teatro festivo e la scena degli artigiani

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5. Le due stagioni teatrali della prima metà del Seicento. La fortuna siciliana de Gli intrichi d’amore di Torquato Tasso

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6. Tommaso Aversa e l’idea della commedia urbana

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7. Dal declino settecentesco della ritualità festiva al teatro delle vastasate. La nascita dell’opera dei pupi

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8. “Trasumanazione” del pupo e nascita del grande attore

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Appendici I.

Contratto notarile di comici uniti a Palermo il 18 febbraio 1560

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II.

Prologo per la rappresentazione de Gli intrichi d’amore di T. Tasso al teatro dello Spasimo (1605)

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Contratti notarili per le rappresentazioni delle vastasate

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III.


Introduzione

Sfidando l’equivoco della “municipalità” questo saggio intende illustrare le dinamiche che – dopo aver bloccato sul nascere il mestiere del comico in Sicilia nel tempo in cui questa professione stava per prendere avvio come nel resto del continente italiano – favorirono lo svilupparsi di altre idee di teatro destinate, tuttavia, a rimanere ai margini degli statuti consolidati della storiografia. Lungi dal proporsi come défense fine a se stessa di un territorio, questo studio punta da un lato a fare chiarezza su una cultura diversa da quella dominante, dall’altro a stimolare riflessioni utili per una visione più ampia del panorama del teatro dell’età moderna, al tempo stesso proiettata verso gli sviluppi di quella contemporanea. La negazione del teatro in Sicilia, almeno fino alla seconda metà del Settecento, nasce dalla mancata partecipazione diretta al fenomeno della commedia dell’arte. Ciò in quanto l’humus culturale dell’isola, a partire dagli anni Sessanta del Cinquecento fu fortemente orientato dall’azione controriformista guidata dai gesuiti e dalla progettualità scenica della monarchia spagnola interessata alla promozione del teatro festivo urbano. Sembra che, fra le altre, quest’area del Mediterraneo abbia innanzitutto pagato il sostanziale mancato riconoscimento del ruolo avuto dal teatro gesuitico nell’evoluzione dell’arte scenica internazionalmente intesa. Se attenzione c’è stata, infatti, da parte della storiografia del teatro, essa è stata rivolta semmai al ruolo moralizzatore della Compagnia di Gesù, ostativo in particolare della pratica della commedia dell’arte. Al contrario, una adeguata, più ampia attenzione al fenomeno gesuitico avrebbe messo in risalto il grande lavoro drammaturgico svolto in Sicilia da Stefano Tuccio, uno dei protagonisti della prima stagione della scena mondiale della Compagnia di Gesù, così come avrebbe evidenziato l’originale processo di regolarizzazione della scena urbana da


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INTRODUZIONE

essa gestito, vero e proprio capolavoro di interazione fra urbanistica, architettura e teatro. In un caso o nell’altro si trattò di percorsi esemplari, se è vero che papa Gregorio XIII, apprezzando il lavoro di dramaturg e di geniale mettinscena di Tuccio svolto nell’isola, lo chiamò a Roma affidandogli, fra l’altro, l’aggiornamento della Ratio studiorum, mentre gli interventi sceno-urbanistici operati dai gesuiti in Sicilia costituirono di fatto riferimento fra i più significativi per lo studio delle tecniche di valorizzazione e teatralizzazione del territorio applicate dai padri della Compagnia di Gesù in tutto il mondo con straordinaria capacità di adattamento. Su un piano complementare, l’idea del teatro festivo collegata ai processi di rimodulazione del tessuto urbano, con le continue metamorfosi degli apparati scenici e le drammaturgie applicate a tutta l’articolazione degli spazi per gli spettacoli, costituiscono argomento che sarebbe assai riduttivo limitare ad una visione “siciliana”. Anche in questo caso, infatti, la riflessione si sposta sul versante di quell’hispanidad da contrapporre ad una visone umanistico-rinascimentale dalla quale in qualche modo la commedia dell’arte stessa discese. E come non consegnare alle valutazioni dei teatrologi la testimonianza offerta da Palermo con il suo Teatro di Stato ante litteram (1582) aperto gratuitamente al popolo o il teatro urbano ideato da Tommaso Aversa, prima delle sue produzioni drammatiche rappresentate a Roma e a Vienna, vera e propria anticipazione dell’idea del set territoriale che il cinema avrebbe preso a suo carico? Esempi di sperimentazione, si potrebbe dire, dalla quale non rimase escluso l’altrove quasi ignorato teatro comico di Torquato Tasso, che fu persino adattato con l’innesto del buffo siciliano. Sul piano delle polarità culturali, vengono in mente i ragionamenti di Cruciani e Taviani a proposito di Firenze promotrice delle artes mechanicae relative allo spettacolo rinascimentale, contrapposta ai centri delle arti letterarie applicate al teatro1. Perché non riconoscere, dunque, allo stesso modo la collocazione in ambito teatrale del mestiere degli artigiani della festa con i loro teatrinilaboratorio della cultura materiale della scena in contrapposizione al 1 F. Cruciani, F. Taviani, Discorso preliminare per una ricerca in collaborazione, in «Quaderni di teatro», n. 7, marzo 1980, pp. 31-66.


INTRODUZIONE

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mestiere dei commedianti, i quali pure vennero spesso in tournée in Sicilia, lasciando tracce che, al di là dell’attenzione degli accademici, sarebbero sedimentate per riaffiorare nel tempo del ritorno del comico? Mentre toccò proprio ai Siciliens, come scrisse Meldolesi, conservare in qualche modo la memoria dell’improvvisa (Andrea Perrucci), dopo averla onorata con il mestiere (Isabella Del Campo e Giuseppe Tortoriti) pur in assenza di corrispondenza interiore con l’humus della maschera2. Certo, bisogna spogliarsi dal condizionamento della dominante per apprezzare i messaggi avveniristici di quel teatro di festa tutto basato sull’intesa ideologica fra massa e teatro che tanto sarebbe piaciuta ai padri fondatori della scena novecentesca. E d’altro canto, come non vedere nell’insurrezione settecentesca del popolo artigiano contro il viceré illuminato lo svelarsi di una contrapposizione ideologica nei confronti del potere, dalla quale avrebbe preso forma il teatro dei ‘vastasi’? La messa in ridicolo di una nobiltà in decadenza, nella farsa Il cortile degli Aragonesi, così vicina per certi aspetti alle pulcinellate napoletane come pure al Goldoni del Campiello, ma al tempo stesso radicata nel contesto sociale palermitano, non fu forse la variante tradotta in parola di quanto da quasi due secoli accadeva nei teatrini delle botteghe palermitane, adescatori di curiosità e committenze? E chi ci dice, del resto, che proprio in quegli spazi non si coltivassero meccanismi di rappresentazione orientati verso quello che comunemente si definisce ‘teatro’? E come non vedere nell’esplosione rivoluzionaria dell’‘opra’ l’espressione più alta di questo percorso carico di energia espressiva? Si potrebbe dire che fu proprio la scena artigiana ad anticipare di quasi un secolo il senso di una presenza attorale destinata a sovvertire l’ordine del perbenismo borghese come quello delle aristocrazie di regime. L’inasportabilità del teatro artigiano della festa e l’impossibilità di dar vita a flussi e circuitazioni extra moenia hanno accentuato il pregiudizio della improponibilità dell’accostamento del professionismo scenico palermitano a quello dei comici di giro, e con esso l’impossibilità del riconoscimento di un ruolo apprezzabile sovranazionalmente. Va precisato 2 Cfr. C. Meldolesi, Les Siciliens: da Vincenzo Belando allo Scaramouche dei pittori, in Scritti in onore di Giovanni Macchia, Milano, Mondadori, II, 1983.


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INTRODUZIONE

tuttavia che esiste un filo rosso che, oltre a collegare il mestiere degli artigiani del teatro festivo con gli attori delle ‘vastasate’, e quindi con i professionisti dell’opra cui prima si è fatto cenno, porta direttamente ai grandi attori del teatro dialettale siciliano di fine Ottocento/inizio Novecento. Una condizione attorale, quest’ultima, antropologicamente connotabile, essendo i grandi attori sorti dall’humus del quartiere popolare della ‘Civita’ di Catania, animati da una stessa cultura e da una medesima identità territoriale. Non a caso, come coevamente accadde ai ‘Balletti Russi’, essi furono identificabili come ‘I Siciliani’ (o Les Siciliens o The Sicilians), una volta che diedero vita ad una intensa e fitta serie di tournées che li portarono frequentemente in Europa e in America, oltre che nel resto dell’Italia. E soprattutto non fu un caso che a creare il sodalizio artistico, poi preso a carico dall’appassionato manager/drammaturgo Nino Martoglio, fu il più grande puparo (un artigiano, dunque) dell’ultima generazione di quel tempo, Giovanni Grasso junior, al cui padre si devono ingegnosi esperimenti volti a far assomigliare il pupo all’attore in carne ed ossa. Dall’artigiano del teatro festivo all’artigiano/attore all’attore scorre un’unica storia, dunque, di un teatro che è stato negato, fino a quando la rivoluzione scenica europea restituì dignità alla parte terminale di un ciclo partito da lontano e sempre legato a quell’idea di ritualità festiva che superò di gran lunga i confini delle tournées dei commedianti dell’arte.

Ringrazio Pietro Gallo, Maria Geraci e Rosanna Maria La Chiana per l’apporto tecnico.


APPENDICE I

Contratto notarile di comici uniti a Palermo il 18 febbraio 1560

[Archivio di Stato di Palermo, Notaio Vincenzo Carnevale, v. 9549, 18 febbraio 1560].

[f. 1] ÂŤNobilis Dominicus Furlanus de Udene, Antonius Anellus David Neapolitanus, Bartolomeus Platena romanus, Gentili de Lattantio de Orto Ammari, Carolus Fortonatus de Nola, Matteus Imperno de Leocata, Julianus Irgintanus civis Panormi, Vincentius Vilardus civis Panormi, Antonius de Siragusa civis Panormi, Joannes Maria de la Navi venetus et Paulus de Bardi florentinus coram nobis mutua stipulatione infra societates faciendi comedias quasvis in hac urbe felicis Panormi et in quavis parte et loco mundi pro anno prima inditione ab hodie et in antea et potestate et solemniter convenerunt et conveniunt per infrascriptis accordatis et factis per ipsos socios in hunc quod sequitur etc. videlicet. In primis ditti compagni ut supra presenti costituixino per loro capo ad detto magistro Dominico Furlano. Item vono ditti compagni il ditto magistro Domenico Antonio Anello et Bartolomeo digiano conseguitare tri parti et mezza de lo guadagno per le dette comedie si fara fra tutti tre. Item vono ditti compagni chi Juliano, Matteo, Vincenzo digiano conseguitari un parti per uno. Item chi Carlo, Paulo et Antonio digiano conseguitari meza parti per uno. Item chi Giovanni Maria et Gentili digiano conseguitari una parti et meza fra tutte due. [f. 2] Item ditti compagni ut supra volino et acusĂŹ li piaciono fari che si uno di li ditti compagni cascasi malato per servicio di ditta compagnia, tutti li altri compagni quillo o i quilli digiano dari la sua parti come si fussi presenti a le ditte comedie et non bastando la parte sua li altri


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compagni siano tenuti aiutarlo et asecurarlo tanto quanto sarra besogno de lu suo necessario persino chi sarà sano. Item volino ditti compagni quelli chi fanno li intermedij digiano stare obedienti a loro capo di tutto quillo chi per iso sarrà comandato. Item chi volino tutti ditti compagni chi si per caso lo loro capo comandasse ad alcuno de loro in beneficio de la compagnia, tutti digiano a quillo obediri et non venir meno de le cose ad issi comandate pureche le ditte cose siano oneste et licite et per essi posibili da fare. Item volono ditti compagni che nexuno de loro digia nexiri fora de la stantia undi farranno dette comedie senza licentia de loro capo. Item volino ditti compagni chi si alcuno di loro usassi termini et non convenissiro ad usari chi lo ditto capo poza quilli oi quillo mandarlo via et metere altro o altri per parti di quillo oi quilli. Item volino ditti compagni chi lo capo non poza pigliari a nexuno altro que fuit di ditta compagnia senza intervento di ditti compagni et si alcuni di loro non fussi presenti, chi lo ditto capo [f. 3] non possa quillo arecogliere ne la ditta compagnia senza lo intervento di quillo. Item volino li ditti compagni chi lo capo sia tenuto portare la compagnia dove a lui sarra ben visto et quilla gobernarla da ogni loco ove sarra loro guadagno. Item volino li ditti compagni chi si alcuno de la ditta compagnia sindi andasi de ditta compagnia, tali casu ditto capo poza contra di quillo far che tutte quelle spese posibile da farche e dove serrà mandareci comesario et farche tutte quelle spese posibili da farche e dove serrà mandarchi comesario et algozirio a soi despese ut infradicto. Item volino li ditti compagni chi infra loro non pozano iocari a qualsivoglia ioco zoè intra la stantia dove farranno ditte comedie. Item lo ditto magistro Bartolomeo Platena vole et anzi se obligao gobernare tutti sogette de le dette comedie et quelle darne una parte accui esso vorra et sarra per esso ben visto. Item volino li detti compagni chi nexuno de loro degia refutare la parte seu sogette chi lo detto magistro Bartolomeo li dera per quelle receptare et si alcuno de loro refutassi quello iorno non poza ne degia consiguitari la sua parte contingente. Item tutti li sopradicti compagni iuramento confirmaro li supraditti capituli et accosì si contentaro per quelli observare».


APPENDICE II

Prologo per la rappresentazione de Gli intrichi d’amore di T. Tasso al teatro dello Spasimo (1605)

[Biblioteca Apostolica Vaticana. Cod. Barberiniano latino 4059, ff. 147 r. - 148 r.]

Prologo alla commedia intitolata Gli Intrichi d’Amore rappresentata in Palermo. In questo prologo parla Poesia. Al secolo d’oro, che a’ raggi di lucentissimo Sole, dopo tanti nuvoli, si gode hoggi Sicilia, ben si conviene la mia presenza; e qui, maggiormente, dov’è la maggioranza e ’l capo dov’è la corona e ’l trono Reale, e dove hora vassallaggio di fedeltà e divotione incomparabile a’ glorioso parto di Reina Augustissima con prospero nascimento di serenissimo Infante lietamente festeggia. Che se a me, che son la Poesia, tocca di celebrar gli Heroi, e di notare con solenni memorie i fatti e gli Honori loro, grande e magnifica fama divulgandone per tutto, ben ho fatto io questa volta, Palermo, che a’ gli antichi tuoi pregi dell’arringo e del teatro, con questa occasione ho risvegliato i tuoi generosi figliuoli. Ed ecco, se nol sai, di quegli habiti pomposi, di quelle chiare prodezze che a’ nobile armeggiare han fatto e fan tuttavia vaga e maravigliosa mostra, chi si è stata, se non io, l’inventrice? Ed hor su questo palco chi ha, se non io, richiamato i be’ motti, i gratiosi e dilettevoli ammaestramenti, l’allegrezza e l’applauso universale? Virtù e merito inestimabile del tuo magnanimo Principe fa’ che io mi glorij di esser ministra del giustissimo disiderio, che hai tu, d’ honorarlo e di mostrarglisi in ogni luogo ed in ogni tempo grata, si come in ogni tempo ed in ogni luogo ne ricevi gratie e benefici. A festa d’un figliuolo del più gran Re del Mondo; a lode del più gran Reggitore, che sia mai stato, ho scelto gli Intichi d’Amore, comedia del più gran Poeta dell’età presente. A commendation della quale basta dire, che opera sia del Tasso: ma ad istigation mia di più splendidissimamente con itermedi abbellita ed ornata da spirito illustrissimo della gloria e della grandezza del suo Be-


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nefattore facendo notabile ricordanza; e dalla previdenza Reale tutto il bene di sì felice governo riconoscendo. E per testimonia dell’eccellenze sue la scena rappresenta Roma; Roma, famosa tua madre, Palermo; poco fa delle sue chiarezze amplissimo campo, ma ab antica gentilissima origine del tuo nobilissimo sangue. Hor mentre io di qui ti porgerò mescolata la meraviglia col riso, e ’l pro ’l piacere, tu di costà presta silentio. Che io, così il cielo ti mantenga molti e molti anni co tale ottimo regimento spero, che per continuare sì dolci ed honesti sollazzi nella guisa, che hai già veduto risorgere in te l’honore e la stima della Cavalleria, vedrai pur ancor risorto il favore e la protettione non pur dell’Accademia, ma d’ogni altro virtuoso ed illustre esercitio.


APPENDICE III

Contratti notarili per le rappresentazioni delle vastasate

Contratti stipulati presso i notai Antonio Maria Cavarretta Conti e Francesco Maria Leone in Palermo, relativi all’attività dei casotti delle vastasate e del teatro S. Ferdinando dal 1793 al 1811 [Archivio di Stato di Palermo, fondo Notai defunti].

28 dicembre 1793 Sia a tutti noto, e manifesto qualmente D. Biaggio Perez, D. Francesco Majer e maestro Antonino Demma da una parte e maestro Francesco Morici dall’altra [...] di loro spontanea volontà hanno contratto e contragono l’infra Società per far le comiche improntate della Compagnia della Vastasata [...] e perciò il medesimo di Morici per la sua porzione promette e obliga costruire nel piano della Marina un casotto intero d’inverno ben turato di numero ventinove palchi di palmi sette ognuno d’imboccatura e di larghezza quanto comporta la lunghezza e pure piantare con teatro compito conformemente l’anno scorso, larghezza e lunghezza di plattea quanto riuscirà. La pittura dovrà essere secondo il solito, la soffitta di tela e la covertura di canali; più deve detto di Morici fare il luogo pel bollittinajo come fa per il credenziere e due camerini sopra il teatro; quale casotto e teatro intieramente sbrigato s’obliga detto di Morici consegnarlo per li otto del p.v. mese di gennaro 1794, quale il detto di Morici promette, e s’obliga conservarlo illeso sino all’ultimo giorno di Carnovale 1794, ben inteso però che per la costruttura del detto casotto dovrà conseguire, il detto di Morici onze ventitre quali l’altri tre socij dovranno pagarcele e sotto quale Società dovrà correre dall’otto dell’entrante gennaro 1794 sino e per tutto l’ultimo giorno di Carnovale di detto anno 1794 con che ogni sera dedotto le spese serali e la paga delli comichi giusta il convenuto fatto [...] come dissero e tutto quello resterà di lucro si dovrà dividere in quattro ugua-


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li parti e porzioni cioè una parte per ognuno di detti Socij. [...] il detto di Demma e promette e s’obbliga pagare per detta serata tutte le spese serali ed onze una alla Compagnia et tutto il resto abbisognerà pagarsi a’ comichi che si dovrà pagare da tutti li Socij inclusi anche il detto di Demma così conviene e nominalmente. [Notaio Cavarretta Conti Antonio Maria, vol.17965, ff.269 r. e v. - 270 r.]

4 agosto 1794 Sia a tutti noto e manifesto qualmente mastro Antonino Carini si ha obligato ed obliga a Don Biaggio Perez, Don Gabriele Parisi, Don Domenico Pignataro e Don Giuseppe Sarcì [...] costruire fuori Porta Felice di questa città un casotto intiero di numero ventinove palchi di palmi sette per uno, equalmente dovrassi costruire giusta l’arte dei casotti richiesta di modo che sia d’imboccatura e di larghezza quanto comporta la lunghezza come pure piantare un teatro compito conforme fu in questo Carnavale passato nel piano della Marina, larghezza e lunghezza di platea quanto riuscirà secondo li di ventinove palchi della appressata lunghezza; la pittura dovra essere secondo il solito, la soffitta di tela e la covertura di canali sopra il teatro solamente. Più deve fare come s’obliga di fare detto di Carini il camerino per il bollettinajo ed il luogo per il credenziere e due camerini sopra il teatro uno per il vestiario ed a lato per fare il conto serale. Quale casotto e teatro promette e s’obliga detto di Carini consegnarlo a detto di Perez e quanti come sopra stipulanti Otto giorni dopo si comincerà a fatigare dovendo principiare a fatigare ottenute che saranno le licenze obligandosi di Carini come promette e s’obliga conservare illeso sudetto casotto e teatro sino l’ultimo del mese di ottobre 1794 e non mancare altrimente. E ciò per tutto attratto e maestria in tutto onze trenta così di patto. [...] [Notaio Cavarretta Conti Antonio Maria, vol. 17967, ff. 695 r. e v., e 696 r.]

10 agosto 1794 Sia a tutti noto e manifesto qualmente mastro Nunzio Surdi si ha obligato e obliga a Don Biaggio Perez, da me pure conosciuto, illuminare il teatrino fuori Porta Felice destinato alle burlette nazionali obligandosi mettere innanzi il teatrino sudetto duodeci lumi a tre mecci grossi per lume che compongono numero trentasei lumi e se in caso al


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detto di Perez non piacerà in tal caso promette e s’obliga detto di Surdi mettere diciotto lemmitelli di sevo, come pure s’obbliga per imboccatura e quinte ad eccezione del fondo, mettere trenta lumi a detti tre mecci per uno che ascendono a novanta lumi et pure promette e s’obliga dare candele di sevo necessarie per la scena, candela per il bollettinajo, candele per li corridori dei Palchi, come pure candele per l’orchestra, per la porta dell’entrata e per la porta dei Palchi, candele per la platea et oglio per la lanterna del Commissario, da cominciare da oggi innanzi e continuare sino alla fine delle burlette che si faranno in detto teatrino in questo corrente anno 1794. E ciò per lo prezzo di tarì tredici in ogni due recite da farsi in un giorno, ed in caso si farà una recita di tarì dieci quali detto di Perez promette e s’obbliga darlo e pagarlo al detto di Surdi in denaro contanti e fuori tavola di giorno in giorno. [Notaio Cavarretta Conti Antonio Maria, vol. 17967, ff. 777 r. e v.]

14 dicembre 1794 Maestro Antonino Carini [...] intervenendo al presente qual amministratore e procuratore eletto della Società delle improntate da farsi nel casotto da costruirsi nel Piano della Marina di questa città per il carnevale venturo 1795, in vigor di atto di elezione stipolato all’atti di Notaro Don Salvatore Antonino Fazio e Gallo di questa città il giorno 7 ottobre 1794 il quale col nome sudetto ha eletto, ed eligge l’infrascritte persone colle cariche rispettive e colle paghe e cioè: a Don Giuseppe Santoro per bollettinaro colla paga di tarì due per ogni sera che si rappresenterà in detto casotto; a Don Domenico Pignataro per palchittiere colla paga di tarì uno per ogni sera come sopra; a Don Luigi Carini per situatore di biglietti e sedie colla paga di tarì 2 per ogni sera come sopra; a Don Francesco Schiera per assistente di portello di mezzo colla paga di tarì 1 per sera come sopra; a Don Michele Di Stauro per portaro di palchi colla paga di tarì 1 per sera come sopra; a Maestro Antonino Demma e Don Giuseppe Aloi per portaro di porta grande colla paga; cioè al detto Demma di tarì due e a detto Aloi di tarì uno e gr.dieci per sera come sopra; a maestro Gioacchino Ventimiglia per portaro di scene colla paga di tarì uno per sera e finalmente a Don Giuseppe Marino per messo colla paga di tarì uno per sera come sopra [...] con dover ognuno di loro osservare ed adempire il proprio rispettivo obligo con dover gode-


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re sera per sera sopra l’introiti serali la loro rispettiva mercede et non deficere alias. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24291, f. 13 r.]

3 gennaio 1795 Don Gaspare Siragusa s’obliga a maestro Antonino Carini, qual amministratore della Società del casotto pelle rappresentanze da farsi nel medesimo in questo corrente Carnevale 1795 [...] approntare per ogni sera che si rappresenterà l’infrascritto vestuario; cioè tre abbiti di carattere, uno di donna seria, due di trappola, due di donna, due abbiti secondo necessiterà, una veste di camera e gli abbiti che abbisogneranno di comparsa: due abbiti di amoroso, due di cifaro, due toghe e tutt’altro che occorrerà attinente a vestuario. Et hoc pro mercede alla raggione di tarì sei e grani dieci per ogni sera che si reciterà [...] quale mercede detto di Carini promette e s’obliga dare e pagare in ogni sera recitativa al detto Siragusa stipulante in denari contanti. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24291, ff. 177 r. e v.]

4 aprile 1797 Perché fu a me sottoscritto Don Michel’Angelo Pignataro tramandata la Potesta di Amministratore della Società contratta da Don Francesco Simoncini con diversi Socij in esecuzione di Real ordine al medesimo accordato di poter erigere tanto nel Piano della Marina, quanto fuori Porta Felice un Casotto per darvi al publico Comedie Nazionali; quindi dovendosi da me stesso col nome sudetto formare e stabilire il corpo dell’attori, i quali devono rappresentare le comedie sudette, ho pensato di unire nel sudetto corpo de sudetti attori Don Giovanni Pizzarone il quale aderendo a quanto da me sudetto ed in fratto se li avea proposto, si ha divenuto all’infrascritta obbligazione che perciò io sudetto di Pizzarone di unirmi con tutto il corpo degl’attori sudetti, e rappresentare nelle comedie sudette in quel carattere che mi sarà designato dal direttore e poeta signor Don Antonino maestro Fasone e fare quelle parti che mi saranno, dal medesimo designati a corrispondenza della mia abilita, intervenire a tutti i concerti che saranno necessarij tanto prima di principiare il corso delle comedie, quanto nel corso delle comedie ed a quell’ore che dal medesimo direttore saranno designande. E questo


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d’oggi innanti e per tutto quel tempo che durera la societa sudetta ed in quei luoghi, o sia di mare o sia Piano della Marina e viceversa [...] e in ricompenza alle onorate fatighe che dovrà prestare nel corso delle recite sudette il sudetto di Pizzarone gli ho assegnato il tangente di tarì nove per ogni sera recitativa e queste da pagarsi la medesima sera della recita. [Notaio Leone Francesco Maria, minute 24303, ff. 322 r. - 323 r.]

6 aprile 1797 Maestro Antonino Carini si obliga a Don Michele Angelo Pignataro, Don Francesco Simoncini ed Emmanuele Bando tanto col di loro nome proprio, quanto come amministratori, cassa e Socij della Società delle Comedie Nazionali, che si dovranno rappresentare in forza di loro società [...] di costruire un casotto di legname nella Marina di Porta Felice in numero trentasette palchi bene e magistrabilmente costrutto, e coperto con canali in quel sito, ed in quel luogo nella licenza designato e secondo richiede l’arte, e giusto lo stile che passati con farci la divisione, cioè i medianti di numero due tavole matte a loggia far la platea a lunghezza di canne sette con farci li soliti scanni con suoi braccioli e pedagne e suoi portelli di divisione, dovere eseguire l’imboccatura nel teatro a larghezza di palco a palco ventidue palmi il vano di punto di circolo della platea palmi trentuno e lunghezza di detto teatro sino al fondo canni cinque, che unite tutte le misure di lunghezza fanno la misura di canne 12, platea, teatro, palchi palmi sette e sei di centro e centro con daver fare il camerino del vestiario fuori del detto fondo, fare li camerini di confettiere e di bolletinajo fare le solite parti cioè porta di platea due parti di palchi con suoi scalini e porta di scene con suoi scalini e ciò a stile e maniera del casotto d’està fatto nell’anno passato 1796 a tenore della sopradetta misura, quale casotto debbasi eseguire sotto la direzione del capo maestro della città Gaetano Tabita, nella costruzione di quale sudetto casotto debba sudetto di Carini eriggere il teatro con tutte le scene solite, e mutazioni cioè: campagna con numero dieci quinte e due tiloni, fabena numero dieci quinte ed un tilone, camera corta quinte numero quattro ed un tilone, strada quinte numero sei ed un filone, dammusi, arie, introduzione, panno di sopra, sipario n.2 porte imboccatura con panno sopra ed infine il teatro sudetto atto ad andare in scena, e tutto magistrabilmente sotto la stessa direzione di


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sudetto capo mastro Tabbita, quale casotto una con tutti li suoi annessi e connessi di sopra espressati s’obliga detto di Carini consignarlo lesto dell’intutto la sera delli 23 del p.v. mese di giugno e durare sino alle 15 d’ottobre del medesimo anno 1797. [...] [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24303, ff. 346 r. 349 v.]

24 dicembre 1802 Carmelo Andrione e Nicolò La Mattina, sediarij, s’obligano a Don Giovanni Pinzarrone, trasportare con la loro portantina le donne che rappresentano nel teatrino di San Ferdinando di questa città dalle loro rispettive case sino al detto teatrino e da esso teatro sino alle dette rispettive loro case. E questo pella mercede alla raggione di tarì tre e grani dieci per ogni giorno. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24323]

14 gennaio 1804 Francesco Giangreco e Salvatore Rosciglione s’obligano ad Antonio Rubbini fare giuoco di pupi al di fuori il teatrino delli borrattini esistente nella vanella de’ Tintori, dietro la reggia Vicaria, con invitare tutto ciò che le sarà ordinato da detto Rubbini e tanto di giorno che di sera, ed in ogni qual volta piacerà a detto Rubbini con ponere detto Giangreco e Rosciglione il teatrino, pupi, pulcinella e tutt’altro sarà necessario per detti pupi e giuochi come anche a carico di medesimi la torcia a vento e questo d’oggi innanti e sino che terminerà detta impresa. E questo per la mercede di tarì 6 e grani 10 il giorno; quale mercede detto Rubbini s’obbliga darla di giorno in giorno. Procede di patto che detto Rubbini dovrà fare entrare franco un giovane solamente il quale dovrà tenere la torcia. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24330, ff. 206 r. e v.]

21 gennaio 1804 Raffaele Maniscotti ed Ignazio Frenda s’obligano ad Antonio Rubbini suonare con li loro violini nel teatro di borrattini esistente nella vanella de’ Tintori dietro la reggia vicaria di questa città, con suonare tutte le sinfonie, balletti ed altro che li sarà ordinato da detto Rubbini e questo


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d’oggi innanti sino che terminerà detta impresa. E questo per la mercede, cioè: al detto Maniscotti tarì due e grani dieci e detto Frenda di tarì uno e grani dieci per ogni sera, incominciando dall’ave sinocché detto Rubbini l’avrà di bisogno. Quale rispettiva mercede detto Rubbini s’obliga darla in ogni sera subito alzato il sipario. Beninteso però che facendosi la sera più di due rappresentazioni in tal caso detto Rubbini dovrà pagare anche il mezzo spesato. Procede anche di patto che se in qualunque sera nonostante che inviteranno con le sinfonie per mancanza di concorso non si alzerà sipario, in tal caso detto di Rubbini non sia obligato pagarsi la mercede. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24330, ff. 302 r. e v.]

28 novembre 1804 Fu dal capo maestro Antonino Carini locato al Sig. Ferdinando Pellizza il teatro S.Ferdinando di questa città in vigor di atto stipulato agli atti di notar Diego Lo Bianco e Zito sotto li 17 ottobre 1803, quale si disse sentirmi stipolato con tutti li patti, clausole, condizioni, obligazioni, espressati nel patto della precedente locazione stipulata agli atti del Notaio D.Giovan Battista Merito di Palermo sotto li 25 gennaro 1802 e fra l’altri patti in esso descritti leggesi il seguente patto cioè: più che detti gabellanti di Grifoni possono eligere tutti li subalterni di detto teatro ad esclusione del Palchettiere che resta in libertà del Carini di eligerselo, bene inteso che detto palchettiere non possa eriggere per il solito lojero di sedie a che le darà che un solo tarì. [...] [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24335]

2 maggio 1805 Con dispaccio del 18 passato aprile della Real Segreteria di Casa Reale mi è stato scritto lo che siegue. Sua Maestà a cui ho dato conto della rappresentanza di V.S. del decorso febrajo approva che il capo comico e impresario Ferdinando Pellizza possa concludere col proprietario di codesto Teatro di S.Ferdinando un nuovo affitto, finché non esista la Compagnia Nazionale; ma nel caso che quella si ristabilisse si torni al sistema già fissato delle recite alternative a forma delle precedenti sovrane risoluzioni di sovrano comando lo prevengo a V.S. per sua intelligenza e perché si serva favore l’uso che convenga Napoli ed io partecipo a


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IL TEATRO NEGATO

V.S. tal sovrana determinazione per intelligenza del ricorrente e per tutt’altro che occorra. / Il Principe di Cutò / Sig. Duca di Montalto / Capitano Giustiziere di questa capitale. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24340, f. 11 r.]

13 gennaio 1806 Magistre Joseph di Giovanni dicit recepisse a capite magistro Antonino Carini unciam unam e taiì quindecim et sunt pro attractu et magisterio ut dicitur di n.quattro ferri a matassaro con sue ti, scafini e collure, e n.sei gaffe per detti ferri da esso di Giovanni fatti per la machina dell’onde del mare per la comedia titolata il Furioso da rappresentarsi nel teatro San Ferdinando di questa città dimani sera che saranno li 14 del corrente. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24342, f. 204 r.]

7 settembre 1807 Il capo maestro Antonino Carini gabella a D.Vincenzo Berna il teatro S.Ferdinando, esclusi soltanto dalla presente gabella il palchetto laterale alla porta della platea, il primo palco di prima fila lettera B, il settimo di seconda fila lettera A, che sono in proprietà, e cioè: l’uno dell’illustre Sig. Conte di S.Marco e l’altro dell’illustre Sig. Principe di Resuttano ed esclusi altri due palchetti, cioè il secondo di prima fila lettera B ed il resto di terza fila lettera B, e tutto il resto incluso nella presente gabella cioè palchetti, posti, camerini, attrezzi teatrali, scene, corde, teloni, lanne ed altro [...] e ciò a tutt’usi tanto di comico, quanto di musico qualora il detto Berna potrà averne il permesso, quanto ancora per qualunque altro spettacolo di danze, forze ed altro a disposizione di esso Berna, tutto dell’istessa maniera e forma come fu gabellato a D.Giuseppe Bonura. Ad aversi dal detto Berna il teatro sudetto dalla domenica delle Palme per tutto l’anno seguente 1808 in poi e finire il sabato delle Palme dell’anno susseguente 1809. [...] [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24351, ff. 152 r. - 154 r.]

2 febbraio 1811 Maestro Nunzio Carini confessa aver ricevuto da Donna Caterina Perla


APPENDICE III

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onze una e tarì sedeci. Quali onze 1.16 detta per la paga de’ suoi propri denari. Sono per lo spesato serale di lume, macchinista e capomastro del Teatro S. Ferdinando al detto Carini dovuto per la rappresentanza fatta in detto teatro la sera del primo del corrente febraro 1811. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24367, f. 593 r. e v.]

2 marzo 1811 Il capo maestro Antonino Carini gabella ad Alessandro Li Voti il teatro nominato S.Ferdinando con tutti suoi palchetti, posti di platea, luoghi di orchestra, camerini, attrezzi teatrali, quinte, corde, teloni, lanne ed ogni altro del detto di Carini faciendo a tenore di come si ritrova nell’atto della gabella fatto a D.Vincenzo Berna [...]. D’aversi dal detto Li Voti il detto teatro di sopra gabellato dal giorno 7 aprile p.v. 1811 in poi a tutta la domenica delle Palme dell’anno seguente 1812. E per la piggione di detto teatro si è convenuto e stabilito di esiggersi dal detto proprietario Carini l’ottava parte di lordo di tutti gl’introiti facienti in detto teatro, ad esclusione di tutte le serate d’introito dovute agli attori, come parimenti accorda il detto Li Voti al detto Carini una serata d’introito giorno di vennerdì ad elezione del detto Li Voti, con pagare in esse le spese ordinarie ed estraordinarie [...] e s’obliga pagare al detto Li Voti la somma di onze 150 di denaro al detto Carini [...] Sotto l’infrascritti patti: primo, sia licito al detto Li Voti eligere tutti i subalterni di teatro ed a suo piacere rinnovarli, menoché Gaetano Carini che dovrà essere impiegato alla porta di platea e Don Vincenzo Serretta per secondo portinaio di patto. Secondo, l’elezione del capo maestro di detto teatro dovrà essere del detto Carini. Terzo, l’elezione del palchettiere sarà ancora dell’istesso Carini. [...] Quarto si permette la personale entrata in platea al detto Carini. Quinto, il detto Carini nel corso di detta gabella appronta al detto Li Voti il tetto morto o sia camerone per pingere e conservare lo scenario, quando il detto Li Voti l’avrà di bisogno, ed in caso, che dovrà detto Carini fabricare, li appronta un magazino nello Spasimo di patto. Sesto, il detto Carini concede al detto Li Voti l’uso dello scenario che trovasi a seconda della consegna, con acconciarsi a spese del detto Li Voti per riconsegnarlo al detto Carini alla fine della gabella dell’istessa maniera acconciato. Settimo, che il detto Carini potesse preferirsi all’illuminazione del teatro per quel prezzo che sarà offerto da farsi da qualunque persona. Ottavo, che il detto Li Voti dovrà


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IL TEATRO NEGATO

prendere il permesso all’ill. Duca di Cannizzaro e dall’ill. Cavaliere Forcelli se vorranno la preferenza al fisso per i palchi di loro proprietà. Nono, resta in facoltà del detto Carini l’elezione del bollettinaio [...] Decimo il detto Carini sia tenuto a dare all’impresario sudetto l’officina solita nel cortile per suo uso. [Notaio Leone Francesco Maria, vol. 24368, ff. 19 r. - 21 v.]


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