Indice
Prefazione di Danilo Zardin Premessa
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Introduzione
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1. Cornelis Jansen, la teologia lovaniense e l’agostinismo moderno: alcuni punti di fuga, p. 17 - 2. L’engagement accademicoteologico di Giansenio e il contesto di stesura dell’Augustinus, p. 20 - 3. Il prisma della natura umana nell’Augustinus, p. 29 - 3.1. L’orizzonte salvifico: Giansenio interprete di Agostino, p. 33 3.2. La confutazione della natura pura attraverso l’ordo amoris, p. 37 - 3.3. Finalità e statuto dell’amore, p. 45 - 3.4. L’amor proximi come experimentum crucis, p. 47
Nota editoriale
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Agostino di Cornelio Giansenio (Tomo II) Proemio sulla ragione e sull’autorità in materia teologica, in cui s’indagano i limiti della ragione umana in questioni teologiche e si afferma l’autorità di sant’Agostino nel
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tramandare il mistero della predestinazione e della grazia
Capitolo I. La verità della grazia di Cristo deve stare a cuore a tutti i cristiani come la vita e la salvezza Capitolo II. La ragione della composizione di questo labirinto di questioni che si occupano della grazia
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Capitolo III. La scoperta della verità sulla divina grazia e il difficile compromesso fra gli scolastici, che sono in disaccordo a motivo della filosofia. I mali che ne derivano Capitolo IV. La differenza tra filosofia e teologia: all’una serve la ragione, all’altra la memoria. La sua origine è la tradizione non scritta, occasionalmente anche quella scritta. Che cosa hanno avuto di mira Cristo e l’apostolo Paolo nell’insegnamento della teologia Capitolo VII. Il modo di penetrare i misteri divini è duplice: per mezzo della ragione umana e della carità. Il primo, proprio dei filosofi, è pericoloso; il secondo, proprio dei cristiani, è sicuro
La grazia del primo uomo. Libro unico sullo stato di natura innocente, ovvero sulla grazia del primo uomo e degli angeli Capitolo I. La creazione di Adamo in grazia e santità Capitolo III. La questione se nel primo uomo vi siano stati desideri innati e intensi di eccellenza e di gloria e tentazioni di superbia, come vogliono alcuni Capitolo VI. Adamo possedeva il libero arbitrio. Che cosa significa “libero”
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Lo stato della natura decaduta. Libro I. Il peccato originale
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Capitolo I. Il peccato originale secondo Agostino è la concupiscenza. La questione se il suo reato sia di colpa o di pena. Egli riconosce in esso l’iniquità, la morte dell’anima, l’impudicizia, il tradimento, ecc.
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Libro II. Le pene del peccato originale
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Capitolo V. L’ignoranza insuperabile: per diritto divino, per diritto naturale e di fatto. Quale di esse non giustifica il peccato Capitolo VI. S’indaga la radice di quell’arcana dottrina
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Capitolo VII. I nomi della concupiscenza: i suoi moti e i loro oggetti Capitolo XII. Senza peccato l’affetto d’amore non può inerire alla creatura Capitolo XVI. Il secondo affetto dell’anima è la fruizione. Perché accade. Secondo la dottrina cattolica la creatura razionale non può fruire di alcuna cosa creata Capitolo XIX. La ragione a priori per cui l’amore di qualsiasi creatura per se stessa non è lecito Capitolo XX. Si spiega ugualmente la ragione a posteriori, cioè a partire dagli effetti. Vengono presentati sette effetti dell’amore verso le cose create Capitolo XXI. In che modo occorre amare il prossimo, che è una creatura Capitolo XXV. Si esamina e si esplica il triplice fondamento di questa dottrina
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Lo stato della natura pura. Libro I 337 Capitolo I. Lo stato della natura pura secondo i moderni: la differenza del loro giudizio dall’opinione dei pelagiani Capitolo II. Il peso naturale della creatura razionale verso la propria felicità esige di poter essere soddisfatto. A partire da Agostino, sono presentati quattro stati o modi di esser felici; tutti contraddicono alla natura pura Capitolo III. Primo argomento contro lo stato della natura pura, secondo l’ordine della creatura razionale, che tende a Dio come principio e fine, senza il cui amore non può esser creata Capitolo IV. Si dimostra che quell’amore senza del quale la creatura razionale non può essere creata dev’essere ispirato tramite la vera grazia: e ciò per prima cosa dall’amore alla verità Capitolo XIV. Sesto argomento in base alla divisione dell’amore, nella creatura razionale, in carità e cupidigia Capitolo XV. Si spiega la prima aporia: se questo amore è naturale e in che senso
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Capitolo XVII. Seconda aporia, se nella creatura razionale innocente quell’amore sia dovuto alla grazia e in che misura. Alcune osservazioni riguardo al debito della grazia sufficiente secondo i moderni Capitolo XX. In che senso la volontà buona in cui la creatura razionale dev’essere fondata costituisce una grazia
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Note 451 Bibliografia 1. Cornelis Jansen, p. 469 - 2. Fonti , p. 469 - 3. Letteratura secondaria, p. 472
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Prefazione di Danilo Zardin*
Tra rinascita potente del classicismo e torsione in senso barocco del gusto estetico, gli uomini di cultura dell’Europa della prima età moderna furono spinti a ridisegnare il profilo delle loro architetture del pensiero. L’immaginario di cui si nutrivano e le forme di espressione a cui legavano la retorica del loro discorso e della loro arte subirono un rimodellamento profondo. La visione del mondo in cui si inscriveva la logica che ne governava la mente era, molto più della nostra, una proteiforme sintesi del molteplice, tesa ad abbracciare la totalità dell’esistente in ognuna delle sue dimensioni. Per essere coerente, doveva arrivare a ricongiungerle con la sostanza di quel mistero radicale dell’essere concepito come la matrice divina di una realtà così ricca, mirabile, e allo stesso tempo fragile, da non potersi essere fatta da sé. Il punto delicato su cui la costruzione reggeva era, da sempre, l’equilibrio elastico del diverso: o l’equilibrio veniva custodito, ripensato, costantemente aggiornato, o il suo inceppamento sfociava in modo inesorabile nell’enfasi poggiata su un aspetto a scapito dell’insieme, esasperando il peso e l’autonomia di una parte rispetto alle altre, lacerando il gioco complicato di tensioni e corrispondenze di un tutto che così perdeva la capacità di fondere in sé la polifonia magari anche acerba e incompiuta delle voci dissonanti. Al centro del parallelogramma delle forze contrastanti possiamo * Professore ordinario di Storia moderna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
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collocare il problema cruciale di come far coesistere e mettere in rapporto tra di loro l’ordine divino e la realtà del mondo, la dinamica della grazia che si espande riversandosi nella realtà e lo spessore materiale della natura con le sue leggi, le sue risorse e le sue aspirazioni interne. Nel contesto della cristianità del Cinque-Seicento, come è facile intuire, il luogo privilegiato in cui si proiettavano gli impulsi del dibattito intellettuale sulla vexata quaestio che stava in cima a tutte le altre non poteva che essere la scena teologica: era sul piano della fede che bisognava disputare per riuscire a trovare il modo di rimettere insieme, senza contrapporli né tanto meno confonderli, Dio e l’universo del mondo umano. Nella tradizione del pensiero cristiano, come riassume egregiamente Brad S. Gregory nella sua bella sintesi The unintended Reformation. How a religious revolution secularized society (Harvard University Press, 2012), fin dall’inizio si era imposto il senso del dualismo ontologico che separa l’ordine di Dio da quello della realtà esistente che da lui aveva preso vita. Il cuore di questa visione era il principio della creazione. Il mondo non era l’emanazione materiale del divino, il suo semplice rispecchiamento regolato dal flusso della continuità, ma qualcosa d’altro fuoriuscito dal grembo della sua origine trascendente e con cui Dio si poteva rapportare in un intreccio complesso di relazioni; una realtà così ‘altra’ da potersi persino rinchiudere nel caos della ribellione e da scivolare, di conseguenza, nella rottura dell’alleanza primordiale tra creatura e creatore. Il dialogo tra i due estremi era una dialettica aperta: instabile e conflittuale nella sua dinamica storica, tanto quanto nell’esigenza di comprendere anche concettualmente la possibilità di tenere insieme i due poli del dilemma. Secondo la ricostruzione di Gregory, è già nel cuore del pensiero dell’ultimo Medioevo che l’intuizione del dislivello tra Dio e il mondo dell’esistente si presenta attenuata, aprendo la strada a un appiattimento metafisico destinato ad alimentare il conflitto tra ragione moderna e teologia tradizionale. La questione è altamente complessa e difficile da padroneggiare in tutti i suoi risvolti analitici. Ma resta il fatto indubitabile che la fine del Medioevo cristiano ha lasciato in eredità al pensiero religioso della modernità nascente l’arduo compito di ridefinire la natura del 6
legame che tiene uniti e nello stesso tempo vede concorrere come dimensioni reciprocamente distinte il Creatore e il prodotto della sua azione creatrice, la grazia e l’ordine della natura, la potenza salvifica della fede e le opere che l’uomo è in grado di compiere pur nello stato di decadenza a cui il peccato lo ha consegnato. Come ben sappiamo, la Riforma di Lutero e dei suoi seguaci/ rivali ha trovato in questa sfida il suo perno decisivo. La scelta fu quella di un agostinismo unilaterale e irrigidito, che tendeva a separare troppo drasticamente l’eccellenza sovraeminente del principio divino dall’orizzonte della natura dell’uomo, concentrandosi sul principio della grazia e sulla giustificazione per sola fede. L’ortodossia cattolica, non senza fatiche e tentennamenti che solo il concilio di Trento e la successiva riaffermazione del potere papale riuscirono a contenere senza, per altro, del tutto annientarli, fu sollecitata a rispondere contestando l’idea della predestinazione resa ostile alla libertà del soggetto umano e riabilitando, al contrario, la sintesi pluralistica degli opposti. Ma il recupero dell’equilibrio a un livello superiore a quello dello scontro tra le confessioni nemiche rimaneva sempre difficile da gestire. Anche in seno alla Chiesa di Roma si svilupparono contese molto aspre in cui si combatteva per la verità da restituire alla coscienza cristiana del popolo dei fedeli. Esisteva il rischio di uno svilimento dell’alterità radicale del divino che poteva metteva in ombra il primato insostituibile della grazia – su cui pure Trento aveva voluto attestarsi con caparbia decisione. Si poteva fare spazio a un naturalismo che, nella presunzione di salvaguardare la libertà dell’uomo e la dignità autonoma della realtà secolare, poteva finire con l’eclissare l’assolutezza di Dio, emarginando la radicalità ontologica della novità della fede e risolvendosi in una sorta di ottimismo neo-pelagiano, trincerato nell’idea di una «natura pura» che poi bisognava a fatica rimettere in rapporto con il piano salvifico divino. Incombeva la minaccia riduttiva di fare dell’uomo e delle sue opere un pilastro concorrenziale, dentro un disegno di autosufficienza venato dai primi abbozzi della secolarizzazione alla cui espansione si sarebbe progressivamente assistito nei secoli successivi. Il modo in cui la grazia dispensata come dono da Dio veniva a incontrarsi con la 7
realtà dell’uomo e metteva in moto l’energia trasformatrice della sua risposta restava un terreno minato di controversia: c’era da riguadagnare un bilanciamento continuamente messo sotto tensione, per tentare di arrivare a una sintesi in cui riconoscersi nel modo il più possibile saldo e persuasivo. Nello scontro a volte feroce sull’ortodossia della fede tra correnti e istituzioni rivali della Chiesa dell’Occidente cristiano, all’indomani dell’avvio di quella che siamo abituati a etichettare, equivocamente, come l’età della «Controriforma», anche il teologo lovaniense e vescovo di Ypres Cornelius Jansen (1585-1638) mise a punto le sue armi per riaffermare una prospettiva proponibile all’intero popolo cristiano in termini di guida pedagogica sicura. Giansenio fondava la sua rilettura della dialettica cristiana sul grande padre fondatore Agostino, accostato alla luce delle urgenze polemiche dettate da una congiuntura in cui le buone maniere della vita civile dovevano cedere il passo alla lotta per la salvezza dell’uomo, quando erano messi in causa i valori più alti. Le sue interpretazioni furono giudicate a loro volta eccessive e unilaterali da una serie di ragguardevoli detrattori. Soprattutto i grandi teologi della scuola gesuitica, bersaglio primario della critica di Giansenio, reagirono con altrettanto accanito vigore. Da entrambe le parti fu data nuova esca a discussioni che si trascinavano da tempo e di certo non giovavano alla pace interna della cattolicità. Ci si combatté nei dibattiti accademici, dai pulpiti delle chiese, nella guerra delle scritture diffuse a sostegno delle tesi contrapposte. Gli avversari dell’agostinismo moderno godevano di più largo credito ai vertici del governo della Chiesa di Roma e fra i responsabili dell’apparato di controllo dell’Inquisizione. Fioccarono presto le condanne. Diverse bolle papali incriminarono i punti ritenuti più discutibili dell’elaborazione teologica del maestro di Lovanio, isolando un numero limitato di proposizioni che si dicevano prelevate dagli scritti dell’autore sotto accusa (ma sulla cui lettera e significato autentici, una volta estrapolati dal contesto originario, i pareri erano e restano oggi lontani dall’essere unanimi). Una volta lanciati gli strali delle autorità romane, si cominciò a discutere sul senso e la portata degli stessi pronunciamenti papali. La questione 8
si complicò sempre di più e settori consistenti del mondo religioso, soprattutto ai suoi più elevati livelli ecclesiastici e fra i suoi intellettuali, si sentirono in buona fede chiamati a identificarsi, con l’andare del tempo, aderendo a posizioni solidali con quelle rifiutate dai guardiani più intransigenti dell’obbedienza. Nella scia di quella che solo più tardi poté essere bollata, a scopo repressivo, come una deviazione ereticale, influenzata dall’infiltrazione di idee succubi dello spiritualismo evangelico luterano e calvinista, si raccolse una schiera agguerrita di seguaci, prima fra i cattolici del Nord Europa e della Francia, poi – fino al Settecento e ancora oltre – allargandosi ai notevoli apporti delle roccaforti mediterranee del cattolicesimo europeo. Da queste vicende contrastate prese forma il movimento che, in sede di controversie teologico-disciplinari, risultò naturale circoscrivere collegandolo al nome del suo discusso profeta. Si cominciarono a irraggiare i diversi filoni, ognuno con le sue sfumature e i suoi volti molteplici, di un «giansenismo» che percorre come un fiume sotterraneo la storia del pensiero (anche del pensiero filosofico e politico) degli ultimi secoli. Sotto la pressione delle controversie, ognuno dei contendenti fu costretto a precisare la sua identità, delimitando le posizioni che intendeva occupare nello scacchiere di una Chiesa segnata dai vincoli che si stavano allora stringendo con i poteri degli Stati in via di robusto consolidamento. Il fermento intellettuale sprigionatosi dal dibattito, se si annodava in prima istanza alle dinamiche interne della compagine intra-ecclesiastica, si dilatava ugualmente fino a includere la logica generale del sapere e il nesso della religione vissuta dagli uomini con le strutture politiche che governavano il consorzio sociale. Possiamo del tutto legittimamente vedere nella diatriba esplosa intorno alle ragioni del «giansenismo» uno dei vettori trainanti dello sviluppo della ragione moderna. Di quella esperienza vivacissima e articolata sono stati delineati i moventi, le fonti ispiratrici, molti degli esiti pratici. Una copiosa letteratura, spesso di livello molto qualificato, sia sul versante della storia generale della cultura religiosa (Orcibal, Ceyssens, Neveu; per noi italiani, Jemolo e Stella), sia su quello più specifico della storia della teologia (resta qui esemplare il lavoro di Henri de Lubac, in 9
particolare con il suo Surnaturel del 1946 e la successiva monografia Agostinismo e teologia moderna), ha sviscerato le implicazioni più rilevanti di un fenomeno che solo la superficiale ignoranza di noi post-moderni può indurre a sottovalutare. Ma tornare alla lettera del discorso originario di Giansenio, in primo luogo al testo della sua opera più fortunata e influente – l’Augustinus apparso postumo in tre volumi, due anni dopo la morte dell’autore, nel 1640 – resta comunque un passaggio fondamentale per mettere alla prova la solidità (o, all’opposto, l’inconsistenza evanescente) degli schemi di giudizio che noi contemporanei siamo portati a foggiare quando ci misuriamo con le infuocate questioni di coscienza dei nostri progenitori dei secoli scorsi. È perciò una opportunità davvero preziosa quella che Giovanna D’Aniello ora ci offre mettendo a disposizione una nutrita antologia, con corredo di traduzione italiana annotata, della compilazione del maestro del giansenismo europeo. La pazienza di un corpo a corpo diretto con il testo potrà consentire di introdursi nel clima di pensiero oltre che nello stile di linguaggio tipici del battagliero teologo impegnato nella riattualizzazione, senza compromessi né attenuazioni, di un Agostino esaltato innalzandolo al di sopra del magistero intessuto lungo i secoli in dialogo con il suo lascito imponente di memorie. Il problema di fondo di Giansenio restava quello eterno di rimettere in comunicazione l’aspettativa inesauribile dell’uomo che aspira alla perfezione del suo destino e la precedenza ontologica della gloria divina che risplende tramutandosi in una chiamata di grazia, facendosi incontro all’uomo con la forza di un appello a cui rispondere lasciandosi trascinare nel vortice di una corrispondenza amorosa, aperta ad accogliere il Tutto che riempie il Niente dell’essere creato. Sullo sfondo di una metafisica che non poteva fare altro – classicamente, e dunque anche secondo la mens costitutiva del discorso cristiano – che fare leva sulle catene di connessione della totalità dell’essere, bisognava partire dal riconoscimento che «l’amore è la forza motrice della natura umana, quella che comprende in sé tutte le altre affezioni e di cui costituisce la segreta radice» (come scrive D’Aniello nella sua Introduzione). Ma l’amore 10
continuava anche a concepirsi come un desiderio strutturalmente inclinato a compiersi nel rapporto con l’oggetto a cui era finalizzato, dalla parte dell’uomo guardando a Dio e in un certo senso (cristologicamente parlando) anche dalla parte di Dio abbassandosi per impulso di carità verso l’uomo. Nel fulcro più interno e centrale del dramma cristiano, l’amore era visto come destinato a sciogliersi nella «fruizione». L’amore era in sé una fruizione anticipata. Come scriveva Giansenio, infatti, «non si può comprendere l’amore senza una fruizione, né la fruizione senza l’amore, giacché l’amore costituisce l’inizio del fruire e la fruizione costituisce il fine dell’amare».
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Premessa
Questo lavoro nasce anzitutto dall’esigenza di rendere per la prima volta disponibile in traduzione una parte, seppure esigua, del monumentale Augustinus di Giansenio, opera che ha avuto grandissima eco in tutta l’età moderna sino ai nostri giorni, in molti campi del sapere: dal sentire religioso alla letteratura, dal pensiero filosofico alla teologia e alla politica. La scelta antologica dei brani è stata condotta a partire dall’iniziale interesse scientifico di rinvenire i motivi profondi della confutazione gianseniana dell’ipotesi della natura pura, seguendone le principali argomentazioni. Si noterà immediatamente, leggendo il testo, che il “labirinto di questioni” della tarda scolastica, denunciato nel Proemio al II tomo, trova ampiamente il suo contraltare in un’articolazione altrettanto intricata di motivi e suggestioni agostiniane. La traduzione, per quanto sia il più possibile fedele al testo di partenza, non potrà sfuggire del tutto ai limiti imposti dalla frammentarietà e dalla storicità del lavoro: lascio tuttavia al lettore attento il compito di giudicare l’utilità dell’impresa; del resto, il testo a fronte gli permetterà di guadagnare di volta in volta il senso più proprio dei passi qui proposti. L’appassionata lettura dell’opera e la verifica dell’ipotesi d’indagine sono maturate durante un breve soggiorno di studio presso la “Katholische Universität Eichstätt-Ingolstadt” in Baviera, ospite del prof. Norbert Fischer, e un più lungo soggiorno presso la “Katholieke Universiteit Leuven”. A Lovanio, in particolare, 13
l’indagine è stata condotta in un serrato dialogo col prof. Mathijs Lamberigts, all’interno del “Centrum voor de studie van Augustinus, Augustinisme en het Jansenisme”, e affiancata dalla lettura di alcune opere esegetiche di Giansenio. Un’occasione di vivo dibattito sull’origine del giansenismo è stata inoltre resa possibile dalla partecipazione al Convegno internazionale dal titolo Jansenismus. Eine katholische Häresie?, organizzato dal prof. Dominik Burkard e dalla dott.ssa Tanja Thanner, presso la “Julius-Maximilians-Universität Würzburg”, nel maggio del 2011. Desidero ringraziare il prof. Pasquale Porro e il prof. Costantino Esposito per aver scelto di ospitare questo germinale lavoro di traduzione dell’Augustinus all’interno della collana “Biblioteca filosofica di Quaestio”. Estendo la mia gratitudine alle Edizioni di Pagina per aver accolto il progetto. Un ultimo, cordiale ringraziamento va senz’altro alla dott.ssa Rosa De Salvia, per aver accompagnato la fase di revisione del lavoro attraverso un accurato esame e un’appassionata discussione di alcune scelte traduttive e interpretative. G. D’A. Bari, ottobre 2012
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