La terra che vogliamo

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la terra che vogliamo

i confini della vita sul pianeta Purtroppo i danni causati dall’agrochimica non si arrestano ai cambiamenti climatici. Le pratiche agricole del secolo scorso hanno dato un notevole contributo al superamento dei limiti di soglia di altre due condizioni fondamentali per la vita umana sulla Terra: il ciclo dell’azoto e la biodiversità. Questa almeno è la conclusione di un rapporto pubblicato sulla rivista Nature, frutto della collaborazione di 28 scienziati, tra cui il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen.8 Negli ultimi diecimila anni, nel periodo geologico dell’Olocene (era Quaternaria), la vita umana sul pianeta ha potuto svilupparsi grazie a un equilibrio abbastanza stabile dei sistemi naturali. Ma con l’ingresso in un nuovo periodo geologico, battezzato dallo stesso Crutzen “antropocene” e caratterizzato dalla capacità della specie umana di stravolgere i sistemi naturali, si sono aperti nuovi problemi che rischiano di far saltare le condizioni fondamentali per la nostra stessa esistenza.9 Il ciclo dell’azoto “reattivo”, ossia dell’azoto in grado di combinarsi in molecole più complesse, ha un pesante impatto non solo sull’atmosfera e sul clima, ma anche sulla qualità delle acque e sugli ecosistemi marini. L’eccesso di nutrienti azotati nelle acque provoca la crescita spropositata di piante e alghe microscopiche. Decomponendosi, questi microorganismi sottraggono l’ossigeno necessario alle altre forme di vita acquatiche, fino a creare vere e proprie “zone morte”, come è stato sperimentato in molte aree costiere. Ancora una volta, tra le cause principali dell’accumulo di azoto reattivo nelle acque e nell’aria troviamo la produzione di fertilizzanti. E questo vale anche per il fosforo. A differenza dell’azoto, il fosforo è un minerale che si accumula lentamente nelle rocce per processi geologici. Ogni anno circa 20 milioni di tonnellate di fosfati vengono estratti dalle rocce per essere in gran parte trasformati in fertilizzanti o in dentifrici, e dopo l’uso quasi la metà (8,5-9,5 Mton, otto volte il flusso dei processi naturali) finisce dispersa negli oceani provocando ulteriore anossia.

8.  Rockström J. et al., “A safe operating space for humanity”, Nature 461, 472-475 (24 settembre 2009). 9.  Il rapporto Rockström cita nove problematiche: il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione dei cicli biogeochimici dell’azoto e del fosforo, l’utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell’utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l’inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.

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