L'Illustre bassanese

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Fondato

nel 1989

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LA GRANDE STORIA DEL TERRITORIO

PIETRO FABRIS BIMESTRALE MONOGRAFICO DI CULTURA

N° 205-206 • SETTEMBRE-NOVEMBRE 2023


Città di BASSANO DEL GRAPPA

Comitato per la Storia di Bassano ROTARY CLUB BASSANO DEL GRAPPA CASTELLI Bassano del Grappa

SOMMARIO Saluto del Sindaco Elena Pavan Saluto del Presidente Gianni Tasca e dei consiglieri del Comitato per la Storia di Bassano Cronologia La Famiglia Maria Elena Fabris Il Patronato Nisio Vianello La Città Dario Bernardi Gianni Posocco La Politica Luigi D’Agrò Giuseppe Saretta Il Sociale Antonio Frison Mariano Maroso La Cultura Mario Guderzo Il Commiato don Andrea Guglielmi

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In copertina: Il senatore Pietro Fabris ripreso dal fratello Luciano, in viale dei Martiri.

PIETRO FABRIS L’ILLUSTRE BASSANESE PER ECCELLENZA Ricordare e onorare la figura di Pietro Fabris è per noi bassanesi un dovere irrinunciabile. Un obbligo morale che ci unisce tutti nella riconoscenza per l’importante eredità - sotto ogni punto di vista - che con la sua esemplare condotta di vita ha voluto lasciarci. Una figura straordinaria, che ha saputo coniugare un’innata carica umana, frutto anche dell’educazione familiare e di una balsamica formazione cristiana al Patronato San Giuseppe, con un’estimabile esperienza professionale, culturale, amministrativa, politica. Un uomo con i piedi per terra, razionale al punto giusto e armato di un salutare buon senso, ma sempre pronto al colpo d’ala, a intraprendere con lungimiranza iniziative coraggiose, di valore elevato. Figlio di un’epoca che oggi a molti appare sfocata, ha saputo adattarsi con garbo e intelligenza ai cambiamenti, in primis a quelli socio-economici, non rinunciando mai alla sua personalità decisa e disponibile al tempo stesso, distinguendosi nel panorama locale e nazionale per una visione equilibrata, avveduta, accorta, ricchissima di intuizioni (delle quali ancor oggi possiamo beneficiare). Innamorato della sua città, ha saputo promuoverla con efficacia, privilegiando con passione l’ambito culturale e incentivando studi, ricerche, pubblicazioni, mostre, eventi. Un impegno che si è riversato anche attraverso un prezioso sostegno a questa testata, della quale Pietro Fabris è stato un lettore attento e assiduo, fornendo spesso a chi scrive spunti e buoni consigli. Numerose e apportatrici di idee, le sue visite in redazione costituivano pure l’occasione per scambi di vedute sull’attualità: opportunità preziose, che ora purtroppo ci mancano. Andrea Minchio

Direttore de L’Illustre Bassanese

Ho riordinato le tessere. È stato facile. Sono andate al loro posto come fossero guidate da una mano invisibile. Una accanto all’altra, senza contendersi spazi. Sono stati abili gli “artigiani del cuore” a tracciarne i confini con delicatezza, sensibilità, memoria. Il mosaico s’è completato in poco tempo rivelando di Piero un ritratto schietto e reale. La figlia Maria Elena ne ha scolpito gli aspetti più intimi, familiari e umani: raffinato ricamo col filo dell’amore. Nisio Vianello ha scavato nel tempo, riportando alla luce gli anni della formazione e dell’amicizia, dello studio e del Patronato, del confronto a volte aspro con preti troppo severi. Con mano sicura, Dario Bernardi ha messo in rilievo lo straordinario rapporto di Piero con la città e i bassanesi. “Maestro” lo chiama riconoscente Gianni Posocco, subito in sintonia con il “sindaco” che lo volle accanto a sé in municipio. La lunghissima carriera politica è ripercorsa da Luigi D’Agrò. “L’allievo” ne sottolinea i traguardi prestigiosi toccati durante il cammino dai banchi del Consiglio al seggio di Palazzo Madama, Beppi Saretta sulla stessa frequenza. L’impegno sociale con gli anziani è stato tracciato da Antonio Frison. Delicato il pensiero di Mariano Maroso presidente dell’Anfass. La testimonianza di Mario Guderzo riporta alla vivacità culturale di una città che spesso ha tenuto il passo coi grandi centri d’arte, Piero promotore e regista dietro le quinte. Le parole di don Andrea Gugliemi svelano la personalità dell’uomo di fede. Preziosi suggeritori si sono rivelati Gianni Tasca e il fratello Luciano. Il mosaico trova ora ne L’Illustre Bassanese una degna cornice.

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Roberto Cristiano Baggio

Curatore di questa monografia

L’ILLUSTRE BASSANESE - Bimestrale monografico di cultura a distribuzione gratuita

... dal 1989

ANNO XXXIV n° 205 - Settembre 2023 - Autorizzazione del Tribunale di Bassano del Grappa n° 3/89 R.P. del 10-5-1989 Direttore responsabile: Andrea Minchio - Redazione: Livia Alberton, Elena Trivini Bellini, Chiara Eleonora Favero, Antonio Minchio, Elisa Minchio A cura di Roberto Cristiano Baggio, con la collaborazione di Luciano Fabris e Dario Bernardi Testi di: Dario Bernardi, Luigi D’Agrò, Maria Elena Fabris, Antonio Frison, Mario Guderzo, Andrea Guglielmi, Mariano Maroso, Elena Pavan, Gianni Posocco, Giuseppe Saretta, Gianni Tasca, Nisio Vianello Contributi fotografici: Musei Civici di Bassano del Grappa, Archivio Famiglia Fabris, Fulvio Bicego, Giancarlo Ceccon, Luciano Fabris, Aldo Remonato Stampa: CTO - Vicenza - Iconografia: divieto totale di riproduzione con qualsiasi mezzo Pubblicità e informazioni: 0424 523199 - 335 7067562 - eab@editriceartistica.it © COPYRIGHT Tutti i diritti riservati EDITRICE ARTISTICA BASSANO Piazzetta delle Poste, 22 - 36061 Bassano del Grappa (VI)


Elena Pavan, sindaco di Bassano del Grappa, con il senatore Pietro Fabris e Frank Schneider, Oberbürgermeister della città gemellata di Mülhacker.

Pietro Fabris un protagonista, nel vero senso della parola. Intelligente e generoso, ha interpretato, e fatto, la storia di questa nostra città. Con un unico obiettivo: il bene comune. Bassano era il suo mondo, il suo orgoglio; un amore infinito lo legava alle vicende di ieri, a quelle del suo oggi, in una visione di futuro ispirata ai grandi valori del suo essere un uomo al servizio della comunità. Ci sono le sue idee e la sua lungimiranza dietro molte realtà vissute da tutti noi nel quotidiano. La sua formazione cattolica, la passione per le arti, il cinema e la musica, la letteratura erano diventate condizioni di vita da condividere, da interpretare nella “cosa” pubblica. La bonomia, la cordialità, il valore della persona, l’incontrarsi con la gente erano il segno della sua umiltà, semplicità, saggezza. Autorevole, perché credibile, prodigo di consigli

preziosi, sapeva essere deciso, tollerante e rispettoso, mai polemico, guidato com’era dal rispetto delle idee altrui. In politica, nel sociale, nella cultura, nella scuola, nelle pratiche amministrative, in ogni ambito non ha fatto mancare un sorriso, la sua presenza e il suo contributo, attento ai più deboli, poveri ed emarginati in primis, agli anziani. La sua città l’ha stimato, gli ha voluto bene e gli ha conferito, doverosamente, una delle massime onorificenze, il Premio Città di Bassano del Grappa. Pietro Fabris era orgogliosamente testimone autentico di Bassano e di una singolare “bassanesità”. Elena Pavan Sindaco di Bassano del Grappa


Pagina a fianco La facciata del Palazzo Municipale di Bassano, con l’inconfondibile orologio astronomico, entrato in funzione nel 1430 (ph. Fulvio Bicego).

Ricordare il Senatore Pietro Fabris ad un anno dalla sua scomparsa è un dovere della nostra comunità. Pietro era innanzitutto un mio caro amico, come di tutti i cittadini: salutava ogni persona che incontrava e aveva per tutti un sorriso e una buona parola. È stata la figura istituzionale degli anni della rinascita del Bassanese, prima come assessore comunale, poi come sindaco, assessore regionale e infine come senatore della Repubblica. Non da ultimo, per quarant’anni, lo ricordiamo come presidente del Comitato Storia di Bassano a cui ha dedicato passione e competenza. Pietro era innamorato di Bassano, del suo territorio e della sua storia; basti vedere le svariate pubblicazioni uscite nel corso del tempo grazie al suo instancabile contributo, in particolare “La storia di Bassano” di Gina Fasoli e quella monumentale, curata dal professor Nico Berti, e da lui seguita passo dopo passo. Personalmente ho conosciuto Pietro nel 1975, avevo poco più di vent’anni, ed era in occasione della campagna elettorale per le regionali dove correva nelle liste della Democrazia cristiana. In quell’occasione ho partecipato assieme ad altri ragazzi, in particolare con suo fratello e mio caro amico Luciano, all’organizzazione e promozione della sua candidatura. Una bellissima esperienza di vita, dove ho potuto apprezzare la sua grande umanità, la sua concretezza e la sua leggerezza e lungimiranza. Già allora Pietro veniva da un’importante esperienza amministrativa in città contribuendo alla sua modernizzazione e pacificazione. Ricordiamo che Bassano è stata insignita della medaglia d’oro al valore della Resistenza per i fatti che tutti conosciamo e, in quegli anni, erano ancora presenti nella società gli uomini che avevano vissuto le divisive vicende del fascismo e della Seconda guerra mondiale. La sua missione è stata sempre e comunque la riappacificazione. Pietro veniva da un’esperienza politica nella storica Democrazia cristiana dove si cercava di vivere e testimoniare i valori cristiani all’interno della società, seguendo la via tracciata dai grandi fondatori del partito: don Luigi Sturzo, Alcide de Gasperi e Aldo Moro. Un partito che, grazie al loro contributo, mise solide radici nel territorio, non mancando mai di sviluppare una selezione della classe dirigente

democratica e meritocratica. Negli anni Ottanta ebbi modo di conoscere ancora più da vicino Pietro per i ruoli che ho ricoperto. Ricordo il suo impegno per le grandi opere del Bassanese dedicate alla viabilità, all’ambiente, allo sviluppo economico e alla sanità (nuovo ospedale). Il lunedì mattina la prima telefonata che ricevevo appena messo piede nello studio municipale era sempre quella del senatore che, oltre al saluto affettuoso, mi chiedeva “gli ordini e gli impegni della settimana”. Negli anni del lavoro in qualità di sindaco mi è sempre stato vicino, come un buon maestro, che dava consigli senza mai interferire però nelle mie decisioni; un uomo che ha sempre creduto nel gioco di squadra per risolvere le varie problematiche del territorio: tutto attraverso verifiche mensili con i rappresentanti istituzionali della nostra terra (così nacque l’idea della nuova autostrada). È difficile per me ricordare e descrivere in poche righe quello che è stato l’uomo, il politico, il padre di famiglia e credente; sinceramente posso dire che era pronto a qualunque sacrificio per i valori cristiani e per difendere le proprie idee. Nei suoi discorsi in pubblico non ricorreva mai al politichese, ma parlava con chiarezza e concretezza, senza giri di parole. Per questo è sempre stato apprezzato e amato come un uomo che per tutta la sua vita ha continuato a camminare tra il popolo. Grazie Pietro per esserci stato nella nostra comunità. Gianni Tasca Presidente del Comitato per la Storia di Bassano con i consiglieri: Dario Bernardi, Carlo Martini, Gianni Posocco, Renzo Stevan, Francesco Tessarolo, Andrea Visentin e Gianni Zen

Il sindaco Giampaolo Bizzotto (a destra) consegna il Premio San Bassiano al Comitato per la Storia di Bassano 2008. Lo ritira il presidente Pietro Fabris. Al suo fianco il fratello Luciano, assessore alla cultura. Questa la motivazione: AL COMITATO PER LA STORIA DI BASSANO Per la lunga opera di valorizzazione e promozione dei fatti storici, della storia dell’arte e dell’architettura di Bassano, per aver portato avanti da più di vent’anni il compito, voluto con appassionata intuizione da alcuni bassanesi, di tramandare la cultura della città, con la pubblicazione di oltre 20 volumi che sono testimoni imperituri dell’amore e della dedizione alla propria città ed alla sua storia. Fondato nel 1980 e giovandosi inizialmente della preziosa collaborazione della prof.ssa Gina Fasoli, esso ha rivolto la sua attenzione a tutti quei fatti che hanno contribuito a sottolineare ed affermare l’identità bassanese ed i punti salienti del percorso storico della nostra città. Un’azione meritoria, nell’interesse della città e soprattutto delle giovani generazioni.


Sopra, da sinistra Il 26 maggio 1987 il ministro Oscar Luigi Scalfaro visita Bassano. Con lui il sindaco Gianni Tasca, l’on. Giuseppe Saretta, Pietro Fabris e l’europarlamentare Francesco Guidolin. Il ministro Carlo Bernini a Bassano, nel 1990, con Pietro Fabris e il sindaco Gianni Tasca.

CRONOLOGIA 1934 - Nasce a Bassano del Grappa, il 16 novembre 1953 - Si diploma ragioniere all’Istituto Vaccari 1960 - Entra in Consiglio Comunale

1987 - Eletto senatore della Repubblica 1992 - Rieletto senatore. Settembre: inaugura col presidente del Consiglio Giovanni Spadolini la mostra dedicata a Jacopo dal Ponte

1962 - Il 12 maggio si unisce in matrimonio con Rosella Gnoato

2000 - Assume la presidenza della Casa di riposo

1964 - Rieletto in Consiglio comunale il 22 novembre con 1.339 preferenze. È il più votato dopo il sindaco Pietro Roversi (1.356 preferenze)

2005 - A luglio la città di Mülhacker gli conferisce la cittadinanza onoraria 2008 - Ritira il premio San Bassiano come presidente del Comitato per la Storia di Bassano

1967 - Il 14 dicembre subentra al dimissionario Pietro Roversi alla guida della città

2010 - Il 19 gennaio riceve il Premio Città di Bassano 2009 dal sindaco Stefano Cimatti

1975 - Eletto in Consiglio Regionale

2014 - Nel Duomo di Santa Maria in Colle il 30 novembre presenta la nuova Storia di Bassano

1977 - Assessore regionale ai trasporti 1980 - Rieletto in Regione, assessore all’urbanistica 1981 - Fonda e presiede il Comitato per la Storia di Bassano

2022 - Il 3 ottobre, a casa, conclude il suo percorso terreno


Sotto, dall’alto verso il basso Pietro (a destra) con i genitori Luigi ed Elena e i fratelli Antonio (al centro) e Saverio. I fratelli Pietro, Antonio, Saverio e Luciano Fabris nel 1950.

PIETRO FABRIS

UNA VITA PER GLI ALTRI

LA FAMIGLIA Dalle case operaie a palazzo Madama È passato ormai un anno da quando il papà è mancato e rimango sempre piacevolmente sorpresa da quante persone e associazioni continuino a ricordarlo e a manifestare vicinanza alla nostra famiglia. Del papà rievocano, oltre alle riconosciute doti, l’attenzione alle persone, in particolare a quelle che si trovano a vivere una qualche difficoltà, la capacità di ascolto che denotava un interesse autentico, l’essere un uomo del fare fino all’ultimo. Tutto questo è frutto indubbiamente del suo carattere aperto e cordiale, ma anche della sua esperienza di vita improntata sempre al far “fruttificare i propri talenti”. Pietro Angelo Claudio (i primi due nomi dai nonni paterni Pierina e Angelo), detto “Nino” per i familiari e quelli che lo conoscono fin da bambino, nasce il 16 novembre 1934 in casa, in via Piave, primogenito di una giovane coppia bassanese doc: Luigi, operaio alle Smalterie, ed Elena. Quando ha un anno, la famigliola si trasferisce con la nonna Pierina, detta “Nina”, in via Bonaguro dove vive la nonna materna Vittoria, “Pina” per tutti, con le figlie oltre ad

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Lo scambio delle fedi tra Pietro Fabris e Rosella Gnoato, il giorno del loro matrimonio nel Duomo di Santa Maria in Colle (12 maggio 1962).

alcuni zii paterni e cugini. Via Bonaguro all’epoca è nota come “Case operaie” dal momento che gli abitanti appartengono a questo ceto sociale; ci sono idee politiche diverse, vissute con grande passione, ciò nonostante il papà ricordava sempre come la sua contrada fosse una grande famiglia nella quale ci si aiutava e si condividevano gioie e difficoltà. Quattro fratelli La sagra di via Bonaguro (prima domenica di ottobre, ricorrenza della Madonna del Rosario,

in concorrenza con quella di San Fortunato) diventava occasione di festa, preparata con cura (le luminarie con i festoni a ogni balcone e lungo tutta la strada, il capitello adorno di fiori e di luci), a cui tutti piccoli e grandi contribuivano con entusiasmo. Era una comunità che usciva dalla guerra che aveva procurato distruzione anche lì, che riconosceva la protezione di Maria sulle vite dei suoi abitanti. Anche il loro appartamento era stato bombardato e il papà rammentava che le macerie avevano impedito l’ingresso ad alcuni soldati


Sotto, dall’alto verso il basso Pietro, al centro, con i suoi quattro figli: da sinistra, Francesca, Maria Elena, Antonella e Luigi. Pietro e Rosella festeggiano con i figli le nozze d’argento (maggio 1987).

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grande speranza nel futuro. Quando papà è adolescente, la famiglia si completa con la nascita di Luciano. Il rapporto con i suoi fratelli è sempre stato molto forte, condividevano infatti passioni come il cinema e valori che avevano maturato non solo in famiglia ma anche nel Patronato San Giuseppe, la seconda casa dove erano impegnati tra catechismo, Azione cattolica, Cineforum, Gruppo della Montagna, sport. Il papà, da bravo fratello maggiore, fungeva da apripista: catechista, delegato di Ac fino a essere presidente vicariale, animatore del cineforum e tanto altro. Le amicizie che crea in quegli anni l’hanno accompagnato per tutta la vita, sono rimasti i “tosi del patronato” che si ritrovavano almeno una volta all’anno, che ricordavano con riconoscenza e affetto i preti che li avevano seguiti e guidati nella loro crescita.

Il 12 giugno 2010 il figlio Luigi si sposa con Roberta Campana.

tedeschi sbandati in cerca di bottino anche in quelle semplici casette; raccontava come, per alcuni giorni, avevano dormito con il soffitto fatto di stelle e come la nonna, con le altre donne, era andata a tagliare gli alberi sulla strada che dava su Prato Santa Caterina e lui bambino aveva paura che la sua mamma fosse presa dai tedeschi. Anche i bimbi contribuivano all’economia familiare, il suo compito era quello di procurare il cibo ai conigli che tenevano nel piccolo orto, per cui partiva con i suoi fratelli Antonio (nato nel 1937) e Saverio in carrozzina, essendo venuto al mondo nel 1942, per cercare erba fresca e, se suonava l’allarme per i bombardieri in arrivo e non facevano in tempo ad arrivare nel rifugio, si nascondevano nei campi. Mi ha sempre impressionato il fatto che la sua generazione, che ha vissuto queste tragedie, sia stata in grado di affrontare l’esistenza con

Ragioneria al Vaccari I nonni erano convinti che la scuola fosse fondamentale, non si parlava ancora di “ascensore sociale”, ma questo era quello che per Elena e Luigi era importante: a costo di ulteriori sacrifici offrire ai propri figli la possibilità di studiare. Il loro primogenito aveva frequentato la scuola media perché era evidente che aveva le capacità per proseguire gli studi. L’avevano poi iscritto a Ragioneria, l’istituto privato “Vaccari” di via Jacopo da Ponte, così da garantirgli la possibilità di un impiego certo e a breve termine. Il papà era consapevole dei sacrifici dei suoi genitori e, anche se il suo sogno di bravo studente sarebbe stato quello di accedere all’università per diventare insegnante di lingue, aveva accettato e affrontato con convinzione la strada che i suoi avevano delineato per lui. Dopo una breve esperienza come “contatore di scatole di scarpe”, era stato assunto nell’impresa Oscar Pozzobon. Il titolare, che il papà ricordava sempre con gratitudine come un secondo padre, aveva intuito e messo a frutto le capacità del giovanotto, aveva iniziato a mandarlo in giro per l’Italia, dove la ditta aveva aperto cantieri, e gli aveva affidato responsa-


Con i fratelli Luciano e Saverio, in via Vittorelli a Bassano.

bilità sempre più grandi. Pietro nel frattempo aveva conosciuto e sposato Rosella, una ragazza del Borgo Margnan, impegnata come lui nel catechismo e in Azione cattolica, che gli aveva fatto conoscere i frati cappuccini e lo aveva portato ad aderire all’Ordine Francescano Secolare, di cui è rimasto un componente attivo fino a quando le forze glielo hanno consentito. La fede, vissuta “senza alcun rispetto umano”, ha cementato la loro unione. La famiglia si allarga e nascono Maria Elena, Antonella e Francesca, viene ad abitare con noi il nonno materno Luigi, rimasto vedovo, aumentano, però, anche gli impegni. Arte, musica e libri L’arciprete abate mons. Dal Maso lo invita a partecipare attivamente alla politica cittadina, così come fanno tanti suoi amici del Patronato, e a 33 anni diventa sindaco di Bassano. I pro-

blemi e le preoccupazioni li lasciava sempre fuori casa per non rattristarci ma condivideva tutto quello che di positivo riusciva a fare. Prima delle riunioni serali quotidiane, passava per casa per raccontarci la “storia della buona notte”: mi ricordo “Il gigante egoista”, “Il principe felice”, ma soprattutto i racconti buffi in cui gatto Silvestro incontrava immancabilmente la nonna in bicicletta. Si interessava della nostra quotidianità, anche delle cose più piccole, non ricordo rimproveri; quando era a casa, era completamente per noi: condivideva le sue passioni per l’arte, la musica, il cinema e la lettura. Aveva sempre un libro sul comodino, uno in valigia; ci raccontava che quando da ragazzino aveva iniziato a ricevere la paghetta, la spendeva in biglietti del cinema del Patronato (entrava il pomeriggio e usciva la sera) e in libri (i famosi romanzi della Bur) che conservava ancora gelosamente. In vacanza, a causa dei numerosi impegni dai quali


A fianco Pietro nel 2006 durante il viaggio nella Monument Valley.

Qui sopra Viaggio in Inghilterra. Pietro Fabris davanti alla Cattedrale di Lincoln nel 2007.

non si sottraeva mai, non veniva ma arrivava al mare il sabato a pranzo per ripartire la domenica pomeriggio pur di rimanere in famiglia qualche ora. Se qualche iniziativa lo portava a rimanere fuori casa per alcuni giorni, eravamo certi che a ognuno di noi sarebbe arrivata una cartolina (tutte diverse!) e un pensierino; quando rientrava a casa, ci raccontava con dovizia di particolari cosa aveva visto di bello e cosa aveva fatto e a noi pareva di vivere tutto insieme con lui. Era il primo a ricordarsi dei nostri compleanni e onomastici e a festeggiarli. I viaggi Nel 1975 viene eletto in Regione e nasce l’ultimogenito Luigi. Cominciamo a partecipare

tutti insieme ai campi scuola del gruppo famiglie di San Marco, una settimana in montagna, e, dal momento che noi figlie maggiori siamo già al liceo, inizia a organizzare i “viaggi di famiglia”. Il papà ci ha sempre lasciati liberi nelle nostre scelte (dalla scuola agli hobbies) e, quando terminavano le attività scolastiche, ci proponeva delle mete; quindi, quando tutti erano d’accordo, iniziava l’organizzazione. Ci coinvolgeva nella scelta dei monumenti da visitare; in questi percorsi in macchina in giro per l’Europa, ognuno aveva il suo compito: il diario di bordo, il chilometraggio, le cartoline da spedire, il ricordino per la nonna e le amiche. Durante il viaggio si cantavano le canzoni della tradizione veneta, quelle imparate ai


Sotto da sinistra Pietro con la moglie Rosella nella grotta della Madonna di Lourdes durante un pellegrinaggio organizzato dall’Unitalsi. Con il figlio Luigi, la nuora Roberta e i nipoti festeggia l’ottantasettesimo compleanno.

campeggi di Samone, il papà raccontava barzellette (era bravissimo!), ci faceva quiz geografici e musicali. Ci ha dato la possibilità di conoscere tante località italiane ed estere grazie anche alla sua ottima padronanza del Francese e dell’Inglese, ma anche del Tedesco e dello Spagnolo conosceva il vocabolario indispensabile. Noi eravamo dotati di dizionari tascabili, depliant e mappe e lui ci prendeva molto sul serio come navigatori seguendo le nostre indicazioni. Tra questi viaggi ricordo in particolare il Cammino di Santiago, che il papà aveva già scoperto e fatto individualmente ottenendo la “Compostellana”. Per anni, poi, era stato invitato a tenere conferenze su questo percorso, che era ancora poco conosciuto e a lui non pareva vero di condivi-

dere la sua esperienza di fede accompagnata dalle sue mitiche diapositive che, una volta concluso l’impegno politico attivo in Senato, avrebbe utilizzato (ne aveva di tutti i viaggi fatti) per rallegrare i pomeriggi degli ospiti della Casa di Riposo, anche al termine del suo servizio come presidente, fino a qualche anno fa. La sua attenzione agli anziani ci vedeva coinvolti spesso la domenica quando ci recavamo come famiglia a messa allo Sturm o a Villa Serena (sempre a Pasqua e a Natale). Prima o dopo la celebrazione salutava tutti singolarmente chiamandoli per nome e stringendo loro la mano, anche se erano segnati dalla malattia. Nessuno in difficoltà era escluso dalla sua attenzione: quanti lo fermavano per strada o suonavano il campanello di


Il conferimento, da parte del Borgomastro di Mühlacker, della cittadinanza onoraria a Pietro Fabris (luglio 2005).

casa! Nessuno se ne andava a mani vuote senza essere trattato da persona “che conta”. Gli amici di Mühlacker Il suo impegno a favore della città e del suo territorio è continuato fino alla fine (e le sue esequie ne sono state l’eloquente manifestazione): il Comitato per la Storia di Bassano, di cui è stato fondatore e presidente, il Rotary Club Bassano Castelli, l’Anffas cittadina, di cui era presidente onorario (l’ultima uscita di casa è stata per vedere come procedevano i lavori); manteneva stretti contatti con gli amici di Mühlacker, di cui era cittadino onorario, il primo non tedesco. Più che del titolo di Commendatore, di cui era stato insignito nel 1968 su proposta del presidente del Consiglio Mariano Rumor, era orgoglioso del premio

Città di Bassano e del fatto di essere un ragazzo del ’99 ad honorem e non mancava mai all’appuntamento annuale così come ha continuato a partecipare alla organizzazione della manifestazione sul Monte Grappa la prima domenica di agosto. I suoi ultimi anni sono stati rallegrati dall’arrivo dei suoi amatissimi nipotini: Pietro, Beatrice, Chiara e Giovanni Paolo, le foto con loro sono le ultime che lo ritraggono. È stato figlio, fratello, nipote, marito, padre e nonno straordinario; non abbiamo mai sentito di dividere il suo affetto e la sua attenzione con gli altri, piuttosto questi si sono moltiplicati, il suo cuore si è continuamente allargato per fare spazio a tutti. Maria Elena Fabris


IL PATRONATO Insieme verso il futuro Il ricordo di Piero è strettamente legato agli anni del Patronato S. Giuseppe. Fine 1945, primi 1946. Ragazzi sulla soglia dell’adolescenza, uscivamo finalmente dalle atrocità della guerra per tornare alla vita normale. Qualcuno aveva ancora negli occhi la tragica sfilata dei giovani patrioti, impiccati agli alberi di via Venti, come allora si chiamava l’attuale viale dei Martiri. Una sensazione indescrivibile, di libertà assoluta, di voglia di riprendersi la città. Io abitavo in viale Venezia, e fino al ’48 giocavamo a calcio con una palla di stracci direttamente sul viale, quando dal Termine o dal cavalcavia si vedeva arrivare una macchina bastava spostare i mattoni che facevano da porta. Piero veniva dalle casette di via Bonaguro, uno dei primi esempi di quartiere popolare a Bassano che però aveva il vantaggio di essere confinante con il centro. Nonostante le divergenze politiche - penso che, a differenza degli altri quartieri cittadini, qui la maggioranza votasse compatta comunista - passando per la strada centrale sempre affollata si percepiva una profonda affinità tra la gente, uomini e donne, vecchi e bambini, cementata dalla comune origine operaia. A metà di via Bonaguro sorgeva il capitello con la Madonna, nel mese di maggio diventava il punto di ritrovo di tutto il quartiere circostante per la recita del Rosario. Quella di Piero era una famiglia tutta di maschi. La mamma Elena, unica rappresentante del sesso femminile, il padre Luigi, quattro fratelli: Piero, che era il più vecchio e capo riconosciuto della congrega, Toni, Saverio e Luciano. La mamma aveva un bel da fare a tenere in ordine la famiglia. Passavamo spesso per casa Fabris perché era vicina al Patronato. Quello che colpiva erano la vivacità ed il chiasso, ma anche l’allegria che regnava nel piccolo appartamento. Le famiglie ci avevano educato ad una severa pratica cattolica, alla frequentazione della messa e delle altre cerimonie religiose. Anche ai ragazzini toccava qualche mansione: Piero e Vit-

torio Bianchetti ogni domenica mattina erano precettati alla porta di S. Francesco alla fine della messa per proporre ai fedeli che uscivano l’Osservatore Romano e la Voce dei Berici. Quando ci incontrammo stavamo per lasciare le elementari della Mazzini per entrare alle medie di piazza Castello. La vita stava tornando alla normalità, si sentiva il bisogno di incontrarsi e stare insieme. L’unico luogo della città che offriva questa occasione era il Patronato S. Giuseppe. E lì ci ritrovammo. Dai più lontani - io abitavo in fondo a viale Venezia, con Giorgio Faccio, che abitava nella casa dei ferrovieri - ci mettevamo venti minuti a piedi per arrivarci; ai più vicini come Piero che, abitando alle casette di via Bonaguro, bastava che saltasse il muro per entrare. Don Walter De Maria Il Patronato era diretto con mano ferrea da don Walter De Maria, nostro insegnante di religione alle medie, abituato a comandare senza dare tanta confidenza. Quando don Walter fischiava perché era ora dell’adunanza, tutti dovevano interrompere i giochi, fermarsi e restare im-

Alla posa della prima pietra, il 27 novembre 1960, partecipano mons. Ferdinando Dal Maso, don Ferruccio Sala, l’on. Quirino Borin, il sindaco Pietro Roversi e la sua nuova Giunta.

Sotto La festa dedicata alla Madonna del Rosario in via Bonaguro (Case operaie).


I lavori per la realizzazione del campo di calcio regolamentare, delle tribune e degli impianti di atletica, nei terreni donati alla parrocchia dalla contessa Giulia Giusti del Giardino.

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mobili come statue di marmo in attesa di ordini. I preti che collaboravano con lui erano più giovani e molto più alla mano, ci seguirono per anni anche da lontano quando abbandonarono Bassano perché promossi a fare i parroci nei vari paesi della diocesi. Tutti rimangono nel nostro ricordo. Nell’ordine don Francesco Grotto, don Virginio Balestro, don Giovanni Carretta, don Giuseppe Bassetto, don Silvio Parlato, fino a don Ferruccio Sala che avviò la costruzione dell’attuale Centro giovanile. Educatori attenti e preparati, ma anche vicini nei momenti di gioia e di dolore. È anche attraverso il loro insegnamento che alcuni amici più giovani - Giovanni Cecchetto, Pierluigi Dal Lin, Carlo Gastaldello - scoprirono la loro vocazione al sacerdozio. Cosa trovavamo nel Patronato tanto da farlo diventare quasi una seconda casa? Anzitutto un luogo in cui giocare lontano dai pericoli, perché l’unica alternativa era la strada. C’era un campo di calcio sterrato - dove ora sorge il cinema - così sassoso che avevamo sempre i ginocchi sbucciati per le frequenti cadute. All’interno c’erano alcuni tavoli da ping-pong, finché Sandro Scrimin fece costruire un pavimento in cemento che serviva anche come campo di pallacanestro. La domenica pomeriggio c’era il film, regolarmente un western, tutti seduti sulle file di sedie legate fra loro da assi di legno. Quando “arrivavano i nostri” le usavamo come i cavalli di John Wayne e Tom Mix, saltandovi sopra e finendo regolarmente a cadere sulla fila davanti. Lo stesso succedeva quando, molto frequentemente, il nastro della pellicola si rompeva. Il film veniva subito sospeso e finché “Notte”, l’addetto al proiettore,

non riusciva a far ripartire la pellicola saliva sul palco don Francesco che da attore consumato calmava gli animi intrattenendoci con barzellette e motti si spirito. Sopravvivevano però anche altre attività. La Filodrammatica aveva origini lontane, la tradizione veniva portata avanti da figure mitiche come Nico Gobbi (stretto parente del più celebre Tito, baritono di livello internazionale) e soprattutto da Marte Sabbadin. La sua “Madonnina del Grappa” chiudeva invariabilmente ogni rappresentazione tra applausi scroscianti e richieste di bis, che lui da consumato attore concedeva alla platea reverente. Ma c’era anche chi pensava ai ragazzi. Era sempre don Francesco a incaricarsi della bisogna. Memorabile l’edizione di “Pinocchio” che metteva insieme persone di grande levatura come il prof. Tua, direttore del museo, che faceva da regista e curava le prove con i giovanissimi interpreti. Piero faceva il muratore, Guerrini era Pinocchio, Giorgio Faccio il gatto, Dodi Rausse Lucignolo, Valentino Baccin il grillo parlante, Vittorio Bianchetti Arlecchino, Giorgio Marcadella Pulcinella, ed altri ancora. Pierluigi Dal Lin interpretava la fata dai capelli turchini. Per la tenacia di Sandro Scrimin rimaneva ancora in piedi la “Fides et robur”, associazione dedicata alla ginnastica, credo fondata ancora in epoca fascista per contrastare le società del regime. Ma ormai erano altri gli sport che appassionavano i ragazzi. Tra le tante cose Piero fu anche uno dei primi ad introdurre la passione per la musica classica. Aveva scovato un fornitore a basso prezzo e, insieme a Vittorio che poi riprese e sviluppò l’iniziativa, organizzò qualche serata facendoci apprezzare i pezzi più orecchiabili. Era il 1956, la Russia aveva invaso l’Ungheria, le musiche di Listz e Brahms, rapsodia e danze ungheresi, infiammavano i nostri animi incitandoli a sostenere la rivolta. Azione cattolica e Agesci Dal gioco e dal divertimento era quasi automatico passare all’impegno, religioso e sociale. C’erano due possibilità, la Giac, Gioventù ita-


liana di Azione cattolica e l’Asci Associazione scautistica cattolica italiana. La Giac era più orientata sul culturale, gli Esploratori più sullo sportivo. Ma si tratta di aggettivazioni grezze e generiche, la realtà era molto più complessa, la scelta tra i due contendenti avveniva in base alle amicizie. La nostra compagnia entrò nella Giac, nella sezione degli Aspiranti che raccoglieva i ragazzi fino alla scuola media. La Giac era condotta in modo “dittatoriale” da Pipa (Gianantonio) Bertoncello, coadiuvato da Carlo Bianchin e da altri delegati. Da qui il ritornello: “Se non ci conoscete guardateci il cervello, noi siamo gli aspiranti di Pipa Bertoncello” che cantavamo con forza per farci notare nei convegni diocesani. Ritornello che faceva il paio con quello dei chierichetti che servivano messa all’arciprete: “Se non ci conoscete guardateci nel naso, noi siamo i chierichetti di monsignor Dal Maso”. L’anno ecclesiastico iniziava regolarmente con gli esercizi spirituali dai Gesuiti a Villa S. Giuseppe. La prima sera era dedicata alla predica sulla buona morte, a dire il vero un po’ deprimente, ma a tirar su il morale ci pensava un fratello gesuita con qualche buona bottiglia di vino prodotto dalla casa. Ogni settimana l’adunanza tenuta dagli assistenti, talvolta anche da predicatori più vivaci come padre Laner. Le funzioni domenicali completavano la settimana, la messa a S. Francesco, e solo in qualche occasione il “brespio” al pomeriggio, che normalmente era appannaggio delle vecchie madeghe e poco appetito dai giovani. Anche perché l’ora coincideva con quella del film al Patronato. Era un’epoca che a guardarla con gli occhi di adesso può sembrare una cappa oppressiva. Il controllo della chiesa sulla vita sociale e soprattutto su quella politica - la neonata Democrazia cristiana - era ferreo e talvolta opprimente. Capofila di questa linea era la Diocesi di Vicenza, guidata dal vescovo Carlo Zinato, con mons. Domenico Passuello delegato per la gioventù. A Bassano ci pensava mons. Egidio Negrin, fedele esecutore delle direttive zinatiane; poi promosso vescovo di Ravenna. Vicenza rappresentava un caso esemplare per tutta la nazione. Si distingueva dalle altre dio-

cesi per la “fedeltà cieca, pronta, assoluta” alla gerarchia. Fortunatamente per noi dopo Negrin a Bassano venne nominato un nuovo abate mitrato - una specie di sottovescovo mons. Ferdinando Dal Maso, persona colta ed aperta, che ci proteggeva dai continui diktat che provenivano da Vicenza. Le prime campagne elettorali Il gruppo di amici si era rinsaldato attraverso passeggiate in campagna e gite in montagna. Ma occorreva darci una organizzazione. L’occasione ci venne dalle frequenti campagne elettorali. La città si riempiva di manifesti, c’era bisogno di gente che andasse ad attaccarli. Tutti i muri erano buoni, non c’erano gli spazi elettorali com’è adesso. Facemmo un accordo con Giorgino Sulsenti, segretario della Dc, per attaccare i manifesti e distribuire i volantini. Il ricavo venne utilizzato per comprare una tenda da campeggio, la prima attrezzatura della neonata “Giovane montagna” fondata nel 1952 grazie all’impegno di Guglielmo Bordignon ed ai soldi della campagna elettorale. Le occasioni per ritrovarci, soprattutto a cena, erano molteplici. Ricordo ancora le cene a casa di Piero. L’allegria dei quattro fratelli completati dal padre e dal simpaticissimo zio Toni grande animatore della compagnia - valicava le mura domestiche ma non sentii mai che i coinquilini protestassero. La mamma era una ottima cuoca, e le cene si chiudevano con un meritato applauso alla signora Elena. Ma erano molte le cene che allietavano le nostre serate, in particolare quelle a casa di Gino Bordignon in via del Cristo. L’attività nell’Azione cattolica continuava se-

La costruzione del Palazzetto dello sport al Centro giovanile.

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condo i classici livelli gerarchici. Dopo gli Aspiranti passammo agli Juniores, che raccoglievano i ragazzi fino alla maggiore età. Le vie cominciarono a divaricarsi. C’era chi continuava negli studi, allora a Bassano c’erano il liceo classico Brocchi e lo scientifico Da Ponte che preparavano all’università, per un percorso più breve c’erano il Vaccari per i ragionieri e il Rossi (a Vicenza) per i periti tecnici. Ma c’era anche chi entrava subito nel mondo del lavoro.

Con gli amici del Gruppo della Montagna del Patronato al sacello di Cima Grappa. In basso Pietro Fabris con il fratello Antonio e l’amico Franco Riello sopra Passo Falzarego nel 1958.

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Il mondo del lavoro La città si era ripresa rapidamente dai disastri della guerra, e le occasioni di lavoro erano sempre più frequenti. Al vertice delle aspirazioni la potentissima Banca Cattolica del Veneto, guidata dal commendator Giovanni Cosma; Pipa Bertoncello era già dirigente, Carlo Bianchin lo seguì a ruota. Per la maggior parte però lo sbocco erano le vecchie Smalterie. Piero, diplomato in ragioneria al Vaccari, entrò nell’impresa edile di Oscar Pozzobon, una delle maggiori del Veneto. Pozzobon aveva sviluppato una fertile idea, aveva piantato una fabbrica di canalette in cemento per irrigare i campi, con le quali riempì soprattutto il Meridione. Piero ben presto divenne responsabile finanziario della società, era quindi avviato ad una più che promettente carriera di dirigente aziendale. Ma altre istanze premevano. La chiesa di Pio XII non poteva accontentarsi della cura delle anime, riteneva indispensabile anche il controllo dell’attività politica. Preoccupata dal crescente peso del Partito comunista nella politica italiana, non si fidava nemmeno della Democrazia cristiana, non sempre obbediente ai dettami del clero come aveva dimostrato lo scontro tra De Gasperi (presidente del Consiglio) e Gedda (presidente dell’Azione cattolica), che intendeva spostare la Dc sempre più a destra. Dai vertici ecclesiastici venne l’invito - anzi la spinta - ad entrare in politica, ovviamente nella Dc. L’impegno era lungo e faticoso: si cominciava nella sezione del partito, poi un apprendistato nelle varie commissioni comunali, infine l’ingresso in consiglio comunale e nelle cariche

connesse dagli assessorati fino al vertice, il sindaco. Per i migliori si apriva la carriera politica con l’elezione al parlamento. Un percorso lungo e complesso che però aveva il vantaggio di garantire la scelta dei migliori. Tanto che il confronto con la situazione attuale si rivela - a dir poco - impietoso. Primo fu Carlo Bianchin, ben presto toccò a Piero. Va detto subito che il suo carattere era quanto mai adatto per una carriera politica. Temperamento pratico, cercava sempre un compromesso tra le diverse posizioni senza mai rinunciare ad una linea seria e coerente. Ma la sua dote precipua, affinata negli anni dell’Azione cattolica, era la naturale disposizione ad ascoltare la gente, anche le persone più umili, per condividere i loro problemi ed aiutarle a risolverli. Quando ci si incontrava in piazza, dopo la messa di S. Francesco, era sempre assediato da persone che ricorrevano a lui per qualche bisogno, anche solo di sostegno ed incoraggiamento. Lui li ascoltava pazientemente cercando una soluzione ai loro problemi, ed anche se questo non sempre era possibile gli interlocutori erano contenti di aver trovato uno che li stava a sentire. Purtroppo dopo pochi anni la Dc si divise in correnti legate ad un capo carismatico, sempre in lotta per controllare il partito. Nel Vicentino era prevalente la corrente dorotea Rumor-Bisaglia, contrastata a sinistra da quella sindacalista di Onorio Cengarle. La contrapposizione era forte, gli scontri continui, si ruppero anche vecchie amicizie, ma non con Piero. Pur essendo vicino alle posizioni prima di Rumor e poi di Bisaglia non faceva certo parte dei sostenitori fanatici, anzi cercava sempre di trovare un accordo tra le posizioni diverse. Guardare ai problemi reali ed ai bisogni della gente, questa era la dote che ha permesso a Piero di fare una lunga e feconda carriera politica. Con l’entrata nel mondo del lavoro l’adolescenza era finita, venne, anzi esplose, la stagione degli amori. Uno dei tanti difetti dell’educazione cattolica di quei tempi era la netta separazione dei sessi. Il Patronato era dedicato ai maschi, le ragazze stavano alle Canossiane, non c’era nessun contatto tra i due


gruppi. Ma certe cose succedono inevitabilmente, le vie del Signore sono infinite. Si aprì la stagione dei corteggiamenti, in dialetto veneto “star ‘drio a ‘na tosa”. L’incontro con Rosella Attraverso la scuola, le famiglie, gli amici, ma anche il caso, nascono le simpatie, esplode un sentimento più forte. In mancanza di altro anche in chiesa le occhiate dicevano tutto. Così Piero incontrò Rosella, e ben presto decise che sarebbe stata la compagna della sua vita. Ricordo ancora il giorno in cui comunicò la sua decisione a me e a Pilo Riello. Aveva aperto una strada maestra, anche noi non chiedevamo che seguirlo. Tutti avevano delle simpatie, ma non era semplice arrivare anche solo all’approccio, meno che meno alla conclusione. Anche perché mancava un contatto ufficiale tra le due associazioni cattoliche maschi e femmine - che permettesse un rapporto personale più intimo e ravvicinato. Piero fu uno dei primi a convolare a giuste nozze con Rosella. Rompendo la tradizione di famiglia, decisamente maschile, ebbe tre figlie - Elena, Antonella, Francesca - e solo più tardi arrivò il tanto desiderato maschio, Luigi. Una famiglia che più unita di così è difficile trovare. Abitavamo vicini e li incontravamo sempre quando si partiva per andare a messa, sempre a S. Francesco.

Tornando al Patronato la nostra militanza nell’Azione cattolica entrò in crisi nella metà degli anni ’50. Molti di noi facevano fatica ad accettare il principio della obbedienza “cieca, pronta, assoluta” che imponeva la gerarchia, soprattutto quella vicentina. L’avvento di un nuovo presidente nazionale, Mario Rossi, voluto dal cardinale sostituto Giovanni Battista Montini, futuro papa, fu il catalizzatore della rottura. Rossi propugnava un cattolicesimo più aperto alle istanze sociali che affascinava i giovani. Eravamo nel 1954. Con quasi tutti i presidenti Giac delle parrocchie del vicariato partecipammo ad un convegno a Rovigo aderendo calorosamente alla nuova linea. Non l’avessimo mai fatto! La tempesta di Zinato si scatenò sulle nostre teste. Il lunedì successivo tutti i presidenti del vicariato furono cacciati dalle sedi parrocchiali ed inibiti dal frequentare i locali dove si svolgevano le adunanze. Mons. Carlesso fece addirittura cambiare le chiavi della porta del patronato di Angarano dove si tenevano le adunanze. Solo io mi salvai. Il merito fu tutto dell’abate di Bassano monsignor Dal Maso, che mi protesse dalle scomuniche vescovili rischiando personalmente uno scontro col vescovo. Ma ormai eravamo alla fine di un’epoca. Nel 1958 Pio XII morì, fu eletto papa Angelo Roncalli, qualche anno dopo cominciava il Concilio. La Chiesa ebbe una svolta radicale.

Il 24 giugno 1961 il vescovo Zinato benedice le prime realizzazioni del nuovo Centro giovanile, prima che la contessa Giulia Giusti del Giardino proceda al taglio del nastro inaugurale.


Il 13 febbraio 1989 si svolge il convegno sull’area pedemontana. Al tavolo dei relatori, con il sen. Pietro Fabris, siedono, da sinistra, il sindaco Gianni Tasca, Lino Innocenti, presidente della Provincia di Treviso e Danilo Longhi, presidente della Camera di Commercio di Vicenza. All’estrema sinistra, nella foto, si intravede l’ing. Dionisio Vianello (Nisio).

Il tempo del ricambio Piero era nel frattempo entrato nel mondo della politica, e il suo “cursus honorum” procedeva sicuro e senza intoppi secondo il percorso classico di quei tempi: apprendistato nella sezione del partito, nella sede della Dc in un grande stanzone al primo piano in via Matteotti al quale si arrivava attraverso l’ingresso del cinema “Grotta azzurra”. Le sue capacità manageriali unite alla dirittura morale ed al contatto con la gente lo fecero subito apprezzare. Nella Dc c’era bisogno di giovani, era tempo del ricambio, occorreva sostituire la classe dirigente proveniente dal vecchio Partito popolare - Borin, Bottecchia, Roversi - che peraltro avevano gestito in modo esemplare la città nel difficile periodo della ricostruzione. Consigliere comunale, dai primi anni ’60 fu assessore con vari incarichi nella giunta di Pietro Roversi. Alle dimissioni di Roversi nel 1967 fu quasi naturale che fosse lui a sostituirlo. Venne eletto sindaco della città, carica che mantenne per due mandati. Piero portò con sé molti degli amici che lo avevano affiancato nel Patronato. Per primo Toni Basso. Altri amici del Patronato furono collocati in giunta o nelle commissioni comunali. Vittorio fu per anni assessore alle finanze. Io fui catapultato prima alle Orfane e poi all’Ospedale - non era ancora Asl - per seguire la realizzazione del nuovo ospedale. Con Luciano Giunta, straordinario direttore sanita-

rio, riuscii a convincere l’amministrazione ad abbandonare la vecchia sede del tutto inadeguata per realizzare un nuovo complesso fuori della città, in linea con le più avanzate esperienze europee. Il Piano Territoriale della Regione Dopo due mandati come sindaco nel 1975 Piero passò in Regione: dal 1977 assessore ai trasporti e dal 1980-’85 all’urbanistica. Dato che come professione ho scelto l’urbanistica ho seguito con attenzione Piero su questo argomento, prima come assessore e sindaco in quel di Bassano, poi come assessore regionale. A Bassano fece approvare il primo Piano regolatore della città. Ma la sua opera più rilevante fu la redazione ed approvazione del Piano territoriale della Regione Veneto, uno tra i primi in Italia. Invece di affidarsi ai grandi nomi diede fiducia ad un gruppo di giovani in parte facenti parte della struttura regionale, in parte professionisti esterni - di cui mi chiamò a far parte. Una esperienza del tutto nuova che Piero come sempre riuscì a chiudere in tempi brevi e con grande efficacia. A mio avviso Piero era il politico ideale nel rapporto con i professionisti incaricati del lavoro. Ci dava le direttive, ne controllava l’applicazione, ma soprattutto teneva i contatti - complessi e difficili - con le amministrazioni locali. Un esempio di rapporto corretto tra politici e tecnici che - nella mia lunga carriera professionale


Festa di San Bassiano con gli amici del Patronato San Giuseppe e il vescovo Cesare Nosiglia (2006). Sotto, dall’alto in basso La presentazione del volume “Amministrare lo sviluppo” (edito dal Comitato per la Storia di Bassano nel 2007). Da sinistra il sindaco Gianpaolo Bizzotto, Pietro Fabris, Giamberto Petoello e l’autore Giovanni Favero. Il consueto ritrovo annuale coi coscritti della classe 1934.

- ho riscontrato in pochissimi amministratori. Da Venezia il cammino portava inevitabilmente a Roma. Bassano mancava da sempre di un rappresentante locale al Senato: era considerato un seggio sicuro, e proprio per questo era da sempre appannaggio dei politici vicentini. Alle elezioni del 1987 la scelta fu unanime, Piero varcò la soglia di Palazzo Madama. Da allora e per sempre, fino alla sua scomparsa, Pietro fu per tutti il “Senatore” per antonomasia. Tuttavia la memoria del Patronato e le amicizie coltivate in tanti anni di vita comune rimanevano forti ed incise nella memoria. Come sempre fu Piero a lanciare l’ultima l’iniziativa. Incontriamoci ogni anno, tutti i ragazzi della Azione cattolica e degli scout degli anni d’oro. Il giorno prescelto era quello della festa di S. Bassiano. Invariabilmente il 19 gennaio, dopo la messa del vescovo, ci ritrovavamo al ristorante al Sole per un pranzo comunitario. Giorgio e Gugliemo tenevano le fila dell’organizzazione, Piero faceva da maestro della cerimonia. Gran parte degli amici ci hanno lasciati, sono tornati alla casa del Padre. Anche il Sole ha chiuso da tempo i battenti. Il pranzo di S. Bassiano è un ricordo del passato. Com’è inevitabile nella vita degli uomini, tutto ha una fine. Con Piero se n’è andata una figura importante nella storia dei ragazzi del Patronato, ma anche della sua amatissima città. Nisio Vianello


Sotto, dall’alto verso il basso Il via della tappa Bassano-Trieste del Giro d’Italia, il 31 maggio 1968. Festa degli alberi alla SS. Trinità, nella primavera del 1974. All’Adunata degli Alpini il sindaco Pietro Fabris precede il folto gruppo delle penne nere bassanesi.

LA CITTÀ L’uomo e il cristiano tra politica e fede “Non è possibile che la Città di Bassano abbia intitolato al suo patrono san Bassiano solo la via più corta del centro storico. Dobbiamo dedicare al vescovo di Lodi il nuovo ospedale”. In questa volontà di Pietro Fabris, portata felicemente a termine soprattutto grazie alla sua tenacia, trova sintesi lo stretto rapporto tra la Chiesa e la società civile bassanese. Un legame che corre lungo i secoli. È lo stesso senatore che ce lo spiega: “Nella storia della nostra città ci sono alcuni punti fermi, alcune costanti che ricorrono lungo i secoli su cui è bene fermare la nostra attenzione. Il rapporto con la Chiesa è uno di questi, e non solo perché la religiosità ha favorito il sorgere di tante chiese ed edifici per il culto, quanto piuttosto perché essa è stata così significativa da rivendicare per l’ente pubblico un ruolo primario nella gestione del culto, con innumerevoli contrasti fra il Comune e la Chiesa, risolti solo all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale con la rinuncia da parte del Comune del diritto di intervenire nella nomina dell’arciprete abate di Bassano. Ma oltre a questo aspetto, tutto sommato non importante, è contata molto l’influenza che la Chiesa ha esercitato sulla popolazione, certamente incidendo sul suo carattere, con la formazione, la promozione di attività nel campo sociale ed educativo che hanno lasciato il segno. Se uno pensa alla classe dirigente di Bassano dagli anni Sessanta ai Novanta, non può, ad esempio, non ricordare che essa proveniva, in gran parte, da coloro che avevano frequentato il Patronato S. Giuseppe, ora Centro giovanile. Forse vissuto in maniera laica ma c’è stato questo profondo rapporto fra la Chiesa e la società civile bassanese” (dalla presentazione della Storia di Bassano, edizione 2013). Pietro Fabris è l’esponente più rilevante di questa generazione della classe dirigente bassanese formatasi nel secondo dopoguerra del secolo scorso all’ombra del campanile. Un ambiente di vita, quello parrocchiale di Santa Maria


Pietro Fabris ha giocato un ruolo importantissimo e fondamentale per risolvere la grave crisi causata dai licenziamenti dei dipendenti della Smalteria e Metallurgica Veneta nel 1975-’76.

in Colle, che egli mai trascurerà e che lo vedrà particolarmente impegnato e partecipe. Un rapporto che per lui viene addirittura prima del lungo e appassionato impegno amministrativo e politico. Tant’è che si può affermare che Pietro Fabris è un cristiano imprestato alla politica, formatosi tra le fila dell’Azione cattolica. Il cineforum Da ragazzo la sua seconda casa è il Patronato San Giuseppe. Qui, tra gli altri sacerdoti, incontra don Antonio Dalla Riva, prete di grande cultura e ferma dottrina, animatore di importanti iniziative sociali e di formazione politica. Con lui ed altri, nel 1954, dà vita all’Associazione Cineforum: un gruppo che si propone “attraverso la visione e la discussione di film, di educare ad un giudizio globale degli stessi e del loro valore estetico, sociale e morale”. In morte di don Antonio, avvenuta il 5 aprile 1983, Fabris ricorda “i suoi interventi di chiusura in tante proiezioni del cineforum bassa-

nese. Poche pennellate per inquadrare il tema. Poche parole per sottolineare i meriti od i demeriti dei film, ricuperando gli interventi dei presentatori e degli intervenuti al dibattito, ed infine un giudizio preciso di ordine morale” (da Vita Parrocchiale, maggio 1983). I due si incontrano anche in classe all’istituto Vaccari di via Jacopo Da Ponte, la scuola per ragionieri voluta da alcuni insegnanti bassanesi per far crescere una cultura tecnica necessaria alla realtà economica locale in via di rapida espansione. Don Antonio dalla cattedra del Vaccari trasmette il desiderio di comunicare la fede attraverso il dialogo e la cultura. E per il giovane studente Fabris non tarda ad aggiungere l’impegno politico e amministrativo, in risposta anche a uno dei moniti più cari all’arciprete abate Ferdinando Dal Maso: “Un cattolico praticante ma soprattutto convinto è anche un buon cittadino”. L’approdo di Fabris alla Democrazia cristiana è conseguenziale.

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Da sinistra verso destra Don Antonio Dalla Riva, Antonio Basso, l’abate mons. Ferdinando Dal Maso e Pietro Fabris, al Centro giovanile verso la fine degli anni Sessanta.

Mons. Dal Maso All’inizio degli anni Sessanta, Fabris respira a pieni polmoni il vento del rinnovamento conciliare coinciso a Bassano con una stagione fortemente vivace per i giovani: la trasformazione del Patronato S. Giuseppe in uno dei più moderni Centro giovanile della diocesi. Un’opera pastorale e sociale condotta da don Ferruccio Sala, benedetta e sostenuta dall’abate Dal Maso che per l’intrapresa rinuncia senza indugio al beneficio parrocchiale di una vasta area a sud del Tempio ossario. Il futuro senatore è particolarmente legato all’abate Dal Maso e a lui esprime riconoscenza soprattutto per il Centro giovanile: “La sua azione di maggior rilievo - scriverà da sindaco

su Vita Parrocchiale dell’ottobre 1972 - fu la costruzione del Centro giovanile che sorse tra tante discussioni ed attese, ma anche fra tanti entusiasmi e speranze. Al di là dei risultati, che non ci è sempre possibile valutare in termini concreti ed immediati, credo conti soprattutto l’intenzione che ha spinto mons. Dal Maso a sacrificare ogni bene parrocchiale a questo scopo. È importante sottolineare questo atto di generosità verso la popolazione e soprattutto la gioventù bassanese, che voleva e vuole essere l’occasione di un incontro fra educatori e giovani, o anche solo fra giovani per parlarsi e discutere, per dare e ricevere, per migliorare e migliorarsi, per ricrearsi e offrire ricreazione. Mons. Dal Maso ebbe l’abilità di


A fianco, da sinistra Il sindaco Sergio Martinelli, l’on. Primo Silvestri, il tennista Adriano Panatta, il consigliere regionale Pietro Fabris, l’industriale Walter Pedrazzoli e alcuni sostenitori bassanesi del grande campione di tennis (metà anni Settanta). Nel 1975 assieme agli amici di Mühlacker Frank Fuchs, promotore del gemellaggio con Bassano, e Gerhard Knapp, borgomastro del comune tedesco e cittadino onorario di Bassano dal 1989.


Sotto, da sinistra verso destra L’ingresso solenne del nuovo arciprete abate, mons. Giulio De Zen, accolto dal sindaco Fabris. Festa del Ringraziamento con i Coltivatori Diretti in piazza Libertà (25 novembre 1980).

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utilizzare valide risorse di laici e sacerdoti, ma il gesto più importante restò il suo e certamente costituisce uno dei momenti più alti del suo periodo di apostolato a Bassano”. È all’alba del ’68, l’anno della contestazione giovanile, che il cattolico Fabris diventa sindaco della città, per la verità una manciata di giorni prima il 14 dicembre 1967, a seguito delle dimissioni del prof. Pietro Roversi candidato dalla Dc a un posto in Parlamento. Una manovra tutta democristiana che non porta il frutto atteso: il galantuomo Roversi, tra l’altro fondatore delle Acli bassanesi, non viene eletto. La città si ritrova capitanata da un giovane amministratore, di soli 33 anni, che già conosce come assessore e che ora si butta a capofitto e in prima persona nella guida del Comune. Se da una parte si distingue subito come il sindaco del fare, innovativo e intraprendente, dall’altra è apprezzato come l’uomo dell’ascolto e del coinvolgimento dei Comuni dall’area bassanese sui grandi temi del comprensorio. Il suo motto è “amministrare lo sviluppo” ponendo ben presto Bassano e il suo territorio tra le realtà più vivaci del Veneto. Ai bassanesi piace, piace tanto e, soprattutto, si fidano e si riconoscono in lui. Alle elezioni del 1970 è un plebiscito. Non solo la Dc guadagna due seggi in Consiglio comunale, attestandosi a 28 consiglieri su 40, ma Pietro Fabris racco-

glie ben 4.462 preferenze personali. Da cattolico impegnato in politica capisce e interpreta, senza fughe in avanti, il nuovo corso del rapporto tra fede e impegno politico voluto dal Concilio Vaticano II che porterà alla fine del collateralismo e al superamento dell’unità dei cattolici in politica. Da sindaco comincia a non dare più scontato l’appoggio e il consenso delle parrocchie e dell’associazionismo cattolico e cerca più volte il confronto anche con la comunità cristiana su temi e programmi amministrativi. A distanza di anni e in più occasioni, egli ricorderà con piacere il “franco, ampio, incoraggiante” confronto con i sacerdoti della città in occasione del dibattito in Consiglio comunale sul Piano regolatore generale, sulle scelte di fondo e sui meccanismi urbanistici dello strumento di pianificazione del territorio comunale che per la prima volta veniva adottato a Bassano e che avrebbe segnato il disegno definitivo della città dopo i difficili anni della ricostruzione. “È nato per il dialogo” Pino Marchi, direttore de Il Prealpe, lo storico mensile di informazione e costume della Pedemontana, il 10 luglio 1971, all’indomani dell’approvazione definitiva del Prg da parte del Consiglio nazionale dei Lavori pubblici, così introduce un’intervista al primo cittadino: “Pietro Fabris, ragioniere e sindaco di Bassano


del Grappa, è sempre disponibile. Sempre e in ogni circostanza; ad una condizione però, che si abbia tanta, molta pazienza d’attendere che abbia esaurito almeno qualcuno dei tanti colloqui che deve concedere soprattutto in quelle ore in cui ogni comune mortale se ne sta tranquillamente a casa sua, seduto in sala da pranzo, a scambiar quattro chiacchiere con moglie e figli. Noi Pietro Fabris non l’abbiamo mai incontrato in veste, diciamo così privata, forse una volta, ma sotto sotto il lavoro faceva capolino e turbava un po’ l’armonia dell’incontro. Comunque, quando si incontra il sindaco di Bassano del Grappa si affronta un amico. Un uomo aperto, sensibile ai problemi della città ed ai nostri: a quelli della città perché lui vive Bassano, intensamente e profondamente; i nostri perché com-

prende perfettamente le esigenze di un giornalista e di un giornale. Non ha reticenze, salvo quelle logiche che la cautela e la ragion di Stato, pardon, la ragion politica gli vietano. Ma in seguito, ecco, è proprio lui, Pietro Fabris a raccontarti tutto, a spiegarti, carte alla mano, che cosa ha fatto lui, che cosa ha fatto la giunta, che cosa hanno fatto tutti. Sì, tutti, perché il sindaco di Bassano del Grappa è nato per il dialogo, per il franco scambio di idee e di opinioni, cioè è niente altri che un vero democratico. E con questi chiari di luna non è poco. È molto anzi, è un titolo di merito che noi qui sottolineiamo con molto piacere e con profonda convinzione, al di là, si capisce, di ogni sia pur tenue valutazione politica del personaggio”.

All’ingresso della miniera di Marcinelle in Belgio, con alcuni rappresentanti dell’associazione Vicentini nel mondo.


Riunione con i sindaci della zona nel 1981. Sono riconoscibili Antonio Pasinato (Cassola), Galdino Zanchetta (Pove), Antonio Zen (Romano d’Ezzelino).

Sopra Lo stand di Bassano alla fiera di Francoforte nel 1983.

La riscoperta di S. Bassiano Il sindaco Pietro Fabris, tra i mille progetti, ha un sogno nel cassetto. Ridare valore e centralità alla ricorrenza del patrono San Bassiano, relegata in città alla parte religiosa e con qualche iniziativa ricreativa a far da corollario. Forse questo desiderio gli è suggerito da un gruppo a cui fa parte, “Gli Amici del Patronato San Giuseppe”, che dall’immediato dopoguerra il 19 gennaio si ritrova in duomo per una messa a cui segue un convivio sociale. Oppure hanno trovato in lui condivisione e riflessione le conclusioni di una tavola rotonda, tenutasi in città nel 1970, sulle tradizioni bassanesi, dove si rileva il rammarico che la festa patronale sia in progressivo decadimento. Infine, è plausibile che qualcosa gli abbia confidato pure Bortolo Zonta, figura epica del cattolicesimo bassanese e tra i fondatori degli scout in riva al Brenta, preoccupato della perdita della fedeltà alla tradizione da parte della comunità bassanese. Agli inizi degli anni Settanta, Fabris invia il

suo assessore Giovanni Battista Vinco Da Sesso, insieme con il vigile Alberto Giacobbo, a Lodi per incontrare le autorità locali e vedere come la città del vescovo Bassiano ne celebra la memoria. Dalla relazione di quel viaggio il sindaco fissa gli obiettivi per rinnovare la festa del Patrono: coinvolgere il più possibile la cittadinanza integrando l’aspetto religioso con quello civile; fare della festa del Patrono un’occasione di crescita e di sviluppo culturale. Non solo, con la gradualità necessaria, prevedere che il 19 gennaio da giorno feriale diventi festivo e pertanto dedicato al riposo per la scuola e quasi tutte le attività produttive e dei servizi. Il tutto in onore del Patrono. La svolta vera e propria gli è servita da una felice e significativa coincidenza: il 19 gennaio 1973 è fissato l’ingresso del nuovo arciprete abate della città. Alcuni mesi prima, pur non dovute, erano giunte al vescovo Arnoldo Onisto le dimissioni dall’arciprete Dal Maso, scritte nel luglio 1972 al compimento dei 70 anni e a seguito di un peggioramento delle


Pietro Fabris (con il figlio Luigi) assieme al campione di ciclismo Gino Bartali e al direttore dell’Ufficio Postale di Bassano Annibale Rebecchi, nel 1984.

condizioni di salute. Onisto, da poco alla guida della diocesi, individua nel suo collaboratore Giulio De Zen, in prima fila nell’impegno sociale e caritativo della diocesi, l’uomo giusto per la città del Grappa. Alle ore 18 di venerdì 19 gennaio, il sindaco Fabris è pronto a fare gli onori di casa a De Zen alle porte di una gremita chiesa di San Francesco. La Bassano che accoglie De Zen è totalmente diversa da quella che aveva “suggerito” nel 1952 l’arrivo di Dal Maso, e il novello arciprete è spogliato anche dalle insegne ecclesiastiche riservate lungo i secoli all’abate cittadino. Tra sindaco e monsignore nasce subito una collaborazione sincera e rispettosa, sostenuta da un crescente rapporto di vera amicizia che non verrà meno con la nomina di De Zen a vicario generale della diocesi il 31 dicembre 1988. Una relazione edificata anche dalla comune sensibilità per i problemi sociali. “La sensibilità sociale di mons. Giulio De Zen - ricorda Pietro Fabris - si rivelò a pieno a metà degli anni Settanta, quando il sistema

produttivo bassanese fu scosso dalla crisi di numerose aziende. La canonica divenne luogo di incontri di lavoratori, di sindacalisti, di industriali, di amministratori, di politici. Il caso più grave fu quello delle ex Smalterie Metallurgiche Venete, a proposito del quale egli si impegnò personalmente per sollecitare ed agevolare soluzioni atte a rilanciare l’azienda e rispettare i diritti dei lavoratori” (dal libro Una vita per gli altri. Mons. Giulio De Zen di Maria Sorio, pagina 211). Dal 1972 la festa del Patrono è un susseguirsi di attività religiose e culturali che animano la comunità, valorizzano le attività del Museo Civico e della Biblioteca Comunale, con prestigiose premiazioni ai cittadini benemeriti e alle associazioni meritevoli. Ma non è tutto. Perché sul finire degli anni Novanta Pietro Fabris si reca a Lodi e ritorna a casa decidendo di pubblicare un libro sulla vita del Patrono e sul culto verso il santo. Detto e fatto. Nel 1999 esce su sua diretta iniziativa, a cura del Comitato per la Storia di Bassano, il

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La presentazione del 30° Trofeo Alcide De Gasperi nel 1984. Ai lati di Pietro Fabris l’on. Giuseppe Zuech e il comm. Bruno Calmonte.

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volume San Bassiano, patrono di Bassano ieri e oggi, affidato alla competente penna di don Franco Signori. Un altro sogno realizzato. “Confesso - scrive Pietro Fabris nell’introduzione - che solo quest’anno ho visitato nel Duomo di Lodi, nella cripta sotto l’altare maggiore, il monumento funebre a san Bassiano che raccoglie le sue spoglie e l’altra chiesa, molto bella, a Lui dedicata a Lodi Vecchio, con i pregevoli affreschi. Ho capito che era il caso di approfondire la sua conoscenza cogliendone l’aspetto più evidente, e cioè l’identificazione con la tradizione religiosa ed i valori umani e spirituali della gente bassanese. Ed in un periodo come questo, di grande confusione e dispersione di tanti ricordi, ritrovare un punto di riferimento appare molto importante”. Pietro Fabris era un cristiano che viveva la propria fede senza ostentarla. Non brandiva la corona del rosario, ma la sgranava ogni giorno nel segreto del suo cuore e nell’intimità della sua fa-

miglia con cui partecipava ogni giorno alla celebrazione della messa, senza sedersi nei primi posti. Praticava le opere di misericordia, con lo spirito del devoto francescano che era, con gesti concreti che contano più di tante belle parole. Anche negli ultimi mesi della sua vita si recava con metodica puntualità a trovare anziani soli o ricoverati. Se la salute glielo impediva, si interessava comunque delle loro condizioni. Raggiunta l’età della pensione egli avrebbe avuto ben merito di rappresentare la Città in prestigiosi incarichi, magari in qualche consiglio di amministrazione bancario o istituzionale. Chiamato a presiedere la Casa di Riposo gli si aprì invece la possibilità di fare ancora bene del bene a partire dagli anziani non autosufficienti della città, una fascia di popolazione tra le più fragili e bisognose. Confidò agli amici di sempre: “Ho deciso di accettare mettendomi davanti al Crocifisso”. Dario Bernardi


Dall’alto verso il basso La presentazione dei Campionati mondiali di ciclismo su pista nel 1985. Da sinistra Fulgenzio Bontorin, Pietro Fabris, Antonio Basso e Luigi D’Agrò. Un momento della cerimonia del Premio San Bassiano nel 1991 al Museo Civico. Da sinistra l’assessore alla cultura Luciano Fabris, Sergio Campana, Gino Pistorello, il sindaco Gianni Tasca, Luigi Agnolin e Pietro Fabris.

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La presentazione dei tre volumi della Storia di Bassano del Grappa nel 2013. Pietro Fabris, con il sindaco Stefano Cimatti e Paolo Mieli, editorialista de Il Corriere della sera. Moderatore dell’evento, Gianni Posocco.

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Il mio “Maestro” Per l’anagrafe civile era il “rag. comm. Pietro Fabris”, per il mondo della politica e dintorni era “il Senatore”, per i bassanesi, che lo amavano tanto, era familiarmente “Piero”, per me era semplicemente “il Maestro”. Ero arrivato a Bassano da Vittorio Veneto nel 1967, vincitore del concorso per Dirigente ufficio statistica, per scoprire che l’ufficio statistica non esisteva e mi ritrovai ufficiale di stato civile alle prese con nascite, matrimoni e decessi. A fine anno una piccola rivoluzione: si dimette il sindaco Pietro Roversi e, fra la sorpresa generale, viene eletto un giovanissimo Pietro Fabris (allora solo 33 anni), pieno di entusiasmo, di carisma, di travolgente simpatia. Ancora poco più di un anno (siamo ad inizio del 1969) ed io sto già meditando di andarmene verso lidi più gratificanti. Mi chiama invece il neo sindaco e mi spedisce a Vicenza ad un convegno sulla crisi del settore orafo con l’obbligo di relazione che consegno il giorno dopo. Passano due giorni e sono davanti a Piero che, senza tanti preamboli, mi propone di diventare Capo ufficio segreteria generale, al posto di un carismatico Antonio De Paoli che stava andando in pensione. Avevo 25 anni, ero inesperto ma neanche a me mancava l’entusiasmo. Ci misi due secondi a dire di sì, a dimenticare ogni proposito di fuga, a legare per sempre la mia vita alla città di Bassano che piano, piano sarebbe diventata “la mia Bassano”. Da quel momento Piero, il Sindaco, mi prese sotto la sua ala protettrice, mi “adottò”, mi insegnò tutti i segreti e i “trucchi” del mestiere, mi fece crescere fino a diventare “autonomo”, ma sempre nel riflesso del “maestro”. Piano, piano Vicenza, Venezia, Roma, le stanze

del potere diventarono luoghi familiari dove portare avanti, anche con lusinghieri risultati direi, i progetti e le idee di Bassano sempre sulla scia delle sue visioni e dei suoi insegnamenti. Un esempio per tutti: l’entratura nelle mitica segreteria romana del sen. Bisaglia dove l’efficienza si toccava con mano ed i risultati si misuravano senza sosta. Al suo fianco ho visto Bassano crescere vertiginosamente passando da cittadina rurale agli albori dello sviluppo postbellico ad “ottava” provincia del Veneto, punta di diamante di una regione in forte decollo. Ho visto le sue idee, i suoi progetti, a volte considerati visionari, diventare realtà concrete prima nel ruolo di sindaco, poi in quello di consigliere ed assessore regionale, infine come senatore: il Piano regolatore generale (fra le prime città in Veneto), le Circonvallazioni Sud ed Est, il Nuovo ospedale, la rete fognaria cittadina, l’impianto di depurazione, il Centro studi, l’Acquedotto consorziale del Grappa (28 km. di condotta principale con partenza dai Fontanazzi del Cismon), gli studi e i convegni sulle prospettive dell’Economia del Bassanese, la grande struttura di Villa Serena (un modello per quei tempi), il lancio di Bassano in Europa (il progetto Educazione all’Europa, la Festa dell’Europa, il gemellaggio con Mühlacker), l’acquisto e valorizzazione di Palazzo Bonaguro con annesso brolo), solo per citare i più eclatanti. Tutti progetti di grande respiro, di apertura territoriale, diversificati nei vari settori strategici: urbanistica, viabilità, opere igienicosanitarie, economia, istruzione, sociale, cultura. Crescere accanto ad un uomo così è stata per me una fortuna personale che mi ha permesso poi, anche autonomamente, di portare avanti progetti interessanti e gratificanti. Ma, soprattutto, è stata una grande fortuna per Bassano averlo prima come sindaco e poi come proprio rappresentante a Venezia e a Roma. Pietro Fabris ovunque fosse o si trovasse “era Bassano” e la sua presenza faceva crescere questa nobile e fiera città. Grazie Piero! Gianni Posocco


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