L'Illustre bassanese

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La copertina di uno dei molti volumi dedicati alla 24 Ore di Le Mans.

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Il programma ufficiale della 24 Ore di Le Mans edizione 1975

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L’immagine dedicata ai vincitori dell’edizione 1975: Derek Bell e Jacky Ickx

driver palermitani, senza targa, per permettergli di andare velocemente a prelevare all’aeroporto di Catania un ricambio fondamentale in arrivo da Modena. Bozzetto, preoccupato per la targa mancante, chiese lumi

Gli risposero ridendo: «Oltre ‘ u recordd ru giru puru a taigga vai ciccainnù? E assicurazioni? Non ti proccupari Si ti fiemmunu i sbirri ricci chi a machina è i » (tradotto: oltre al record pure la targa vuoi, e l’assicurazione?, non ti preoccupare, se ti fermano i carabinieri digli che la macchina è di )

Nico Grosoli, “gasato” dal risultato conseguito in Sicilia, dove intrecciava importanti affari per il commercio di carni della Grosoli Spa di Cadoneghe, chiese a Bozzetto di partecipare, sponsorizzato da Ibi Banca, al Campionato italiano turismo, già iniziato. Pur penalizzato dal

ritardo e da qualche rottura, ma aiutato dai risultati ottenuti, spesso nelle prime posizioni, vincendo anche alcune corse della categoria turismo gruppo 3, sia in circuito che in salita, affiancò i piloti in testa alla graduatoria. Rischiò molto nella cronoscalata TolmezzoVerzegnis Distrusse infatti la Pantera GTS contro una parete di roccia, causa l’afflosciamento improvviso della gomma posteriore destra, dovuto ad una toccata con rottura di un cerchione, su uno dei tanti marciapiede, tipici delle gare su strada. Per continuare la scalata al titolo dovette ricorrere al muletto (auto di prova, meno performante di quella ufficiale) A fine stagione vinse la corona tricolore con pochi punti di vantaggio sugli inseguitori, aiutato anche dal record e dalla vittoria di gruppo e classe nella gara in salita del Costo di Asiago, dove si classificò ottavo assoluto (vittoria di Ranzolin con una Abarth Osella), precedendo pure qualche prototipo. Bozzetto diventò uomo immagine della De Tomaso e, a sua volta, della concessionaria Interauto srl di Padova. Era “costretto” a viaggiare con le auto della casa, Deauville, Longchamp, oltre alla Pantera, per promuovere le vendite. Un successo insperato, anche per i patron Nico Grosoli e Pericle Rettore, che vedevano premiati i loro sforzi economici nel motorsport

Le Mans

Per i risultati che stava ottenendo e su suggerimento dell’ingegnere Aurelio Bertocchi, direttore tecnico e AD della De Tomaso, fu ingaggiato dal team belga Claude Dubois, in coppia con il pilota belga Pierre Rubens, per partecipare alla mitica “24 heures du Mans” con la Pantera rossonera di gruppo 4, modificata nel telaio, sospensioni, freni e motore per adeguarla alle altissime velocità che il circuito imponeva In quel periodo le Porsche 917 sfioravano i 400 Km/h sul più lungo, famoso ed unico al mondo nel suo genere, rettifilo di Hunaudières, ora rallentato da due lunghe varianti.

Qualificarsi tra auto così performanti, preparate esclusivamente per questa corsa unica al mondo che metteva sotto stress piloti e meccanica a causa delle velocità elevatissime che

Colonna di sinistra, dall’alto verso il basso Il bassanese premiato dall’allora vice presidente dell’Aci Vicenza e fondatore della scuderia Palladio, Ceo Filippi

si raggiungevano in quasi tutte le curve del circuito, ad eccezione del tornatone di 90°, Mulsanne e la variante Arnage, non fu facile I tecnici ed i piloti, sapientemente guidati dall’instancabile ing Bertocchi, riuscirono a trovare la soluzione più idonea per far qualificare la vettura ad una media sul giro di oltre 190 Km/h. La Pantera si piazzò verso la fine delle cinquanta e più vetture qualificatesi Era un continuo susseguirsi di emozioni: dalla partenza lanciata ai fari lampeggianti, ai rombi assordanti di motori ad iniezione o a carburatori, con gli scarichi completamente aperti Per non dire dell’esaltazione degli oltre duecentomila spettatori in tribuna, assiepati su tralicci autocostruiti o disseminati lungo i rettifili ed i curvoni dei 13,626 Km del percorso. Era impressionante vedere i bolidi marciare vicinissimi ad altissima velocità, un serpentone di prototipi a caccia della scia più pulita, lungo il rettilineo di oltre sei Km, per guadagnare velocità e tempo, misurato e monitorato dagli uomini dei box

La Pantera numero 43 di Rubens e Bozzetto era tenuta d’occhio da Elena, allora compagna e poi moglie di Paolo Seduta su un angusto seggiolino, per 24 ore ininterrotte estrapolò dati, calcolando consumi di carburante (il “panterone” faceva mediamente 2 Km con un litro di benzina), registrando il tempo di ogni giro, calcolava i distacchi dagli avversari, la frequenza dei rifornimenti e rabbocchi di olio e acqua, il tutto con una precisione e puntualità di chi sa gestire con ampolle e matracci le reazioni chimiche, come lei, studentessa, faceva nei laboratori dell’università di Padova. Si rivelò precisissima a scandire, calcolare ed impartire ritmi ai meccanici nelle soste ai box, evitando anche il minimo errore di calcolo nei rifornimenti, che avrebbe potuto inficiare il risultato della interminabile e mitica 24 Heurs du Mans

All’imbrunire, i prototipi lampeggiavano con i fari abbaglianti, per avvertire le auto più lente di un imminente sorpasso.

«La confusione di luci era tale che inizialmente ed inconsciamente, con un colpo d’occhio in frenata agli specchietti retrovisori, per sicurezza, convinto che fossero i fari dei prototipi più veloci, detti spazio anche al bagliore infuocato, provocato dagli scarichi incandescenti e dai “tromboni” degli otto carburatori del suo enorme e mostruoso motore di 5760 c.c. con oltre 500 cv. di potenza. - spiegò tra il serio e il divertito Bozzetto - confondendoli, per alcuni giri, come abbaglianti dei prototipi in cerca di spazio per il sorpasso Persi decimi preziosi, segnalati tempestivamente dai box,

Da sinistra verso destra Bozzetto nella pit lane di Le Mans con la sua “cronometrista” e compagna Elena, che per 24 ore ha scandito tempi e distacchi, calcolando consumi e rabbocchi di olio, con la precisione dovuta al suo percorso di studi universitari Senza un inconveniente ai freni, la Pantera di Bozzetto/ Rubens al termine della gara sarebbe entrata nella top ten

A sinistra

Bozzetto e Rubens accanto alla De Tomaso Pantera Gr 4 del team belga Dubois

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Nel ’75 a tutti i piloti veniva sigillato con un piombo un bracciale con il numero identificativo, per riconoscere il pilota in caso di incidenti In quegli anni il fuoco era il peggior nemico delle corse automobilistiche

Da sinistra verso destra Foto di gruppo prima della partenza lanciata sul mitico e impegnativo tracciato di Le Mans

Paolo Bozzetto riceve dal collezionista Alberto Ventrice la riproduzione della Pantera De Tomaso, con la quale il pilota bassanese aveva disputato le 24 Heures du Mans nel 1975

Il bassanese impegnato nel disperato recupero delle posizioni perse a causa del surriscaldamento dei freni Impugnò il volante per le ultime 6 ore su pista bagnata, in sostituzione del collega che aveva avuto un malore per lo stress e per la tensione accumulata

da recuperare velocemente per non perdere posizioni in classifica generale»

Il sopraggiungere della notte fu il momento più pericoloso, sia per la rarefazione dell’aria che rendeva le auto più veloci e meno stabili, sia per l’umidità che si formava sull’asfalto, sia per la stanchezza che assaliva i piloti Molti furono gli incidenti sul rettilineo, uno dei quali venne abilmente evitato dal pilota bassanese in scia alla Lola di Alain de Cadenet, che perse tutto il cofano e l’alettone posteriori ad oltre 300 Km/h, accelerando invece di frenare Cofano ed alettone colpirono la Ligier di François Migault con tutte le conseguenze del caso.

Purtroppo, nelle gare di durata le sorprese

sono sempre dietro l’angolo. L’esagerata spinta del “piedone” del compagno belga Pierre Rubens surriscaldò esageratamente i freni nella discesa velocissima dell’allora curva Bosch Si bloccarono i pistoncini (otto per ogni pinza) sui dischi freni anteriori, anche se ventilati, stoppando così la vettura ai lati della pista.

Rubens era di stazza quasi doppia rispetto al bassanese, tanto che nei cambi, operati ogni tre ore di guida, i meccanici incastravano sul sedile originale, costruito appositamente per il “pilotone”, una sagoma calzante e abilmente predisposta per fasciare le sottili dimensioni del bassanese.

Mentre lo speaker annunciava il ritiro della

Qui sotto, da sinistra verso destra

La Pantera di Bozzetto/Rubens, nell’infinita bagarre con la Ferrari “Daytona” 365 GTB/4, e mentre affronta una delle adrenaliniche “virages Indianapolis” a velocità elevatissima (oltre 270 Km/h)

Pantera n 43, la squadra della De Tomaso fu presa dallo sconforto Mai dire mai, però La fortuna girò improvvisamente per il verso giusto. L’impianto frenante, infatti, raffreddandosi, permise ai pistoncini di rientrare di quel millimetro necessario per liberare dalla “morsa” i dischi freno, consentendo al belga di ripartire ed arrivare ai box

I meccanici praticarono lo spurgo dell’olio degenerato ed eseguirono il rabbocco con un olio freni più performante ed idoneo alle micidiali staccate che le pompe dovevano subire per ridurre la velocità dai 330 ai 70 orari in brevissimo spazio.

Al penultimo cambio, il volante ritornò nelle mani di Bozzetto.

Nonostante i 37 minuti di ritardo accumulati, riuscì a recuperare molte posizioni, portando la vettura a tagliare il traguardo al sedicesimo posto assoluto Un risultato insperato giacché si dovette sorbire anche le rimanenti tre ore di guida finali

Il bassanese pilotò, a parte i rabbocchi ed il rifornimento di benzina alla terza ora, per sei ore consecutive, a causa di un improvviso malore frutto della stanchezza accumulata dal belga, sotto una pioggerellina insidiosa ma provvidenziale. Paolo amava pilotare in condizioni estreme e di stress assoluto

La 24 Ore di Le Mans del 1975 si rivelò un trionfo per la De Tomaso e un motivo di riscatto per Paolo Bozzetto, superate finalmente le difficoltà, i sacrifici, le ingiustizie, gli sgarbi subiti l’anno prima.

Ne presero atto anche i suoi detrattori che avevano optato soluzioni inopportune e affrettate per un debuttante in una categoria così professionale come era stata la Formula 2

Al Giro d’Italia davanti a Munari

I risultati e la visibilità che stava ottenendo, convinsero il pilota a ripensare al suo vecchio amore, le “Formula” Un costruttore tedesco gli offrì il sedile per pilotare la Maco, una sperimentale monoposto, al Gran Premio internazionale del 31 agosto 1975 a Monza Bozzetto accettò e riuscì a qualificarsi 11° nella prima manche e 13° assoluto sui 35 qualificati, nonostante un telaio in evoluzione e lo stile di guida un po’ arrugginito per la Formula 3, più sofisticato e preciso rispetto a quello adatto alle Gran Turismo

Il costruttore, molto soddisfatto, avrebbe voluto un rapporto fisso col pilota, ma il momento era prematuro in quanto gli impegni che Bozzetto aveva preso con la De Tomaso e gli sponsor ad essa collegati, non concedevano attimi di respiro.

Doveva anche mantenere salda la classifica nel campionato italiano, che poi vinse, partecipare ad altre gare di durata e, dulcis in fundo, preparare seriamente con ricognizioni mirate, il Giro d’Italia, corsa lunga e interminabile che per la durata e la logistica impegnava risorse umane ed un notevole numero di ricambi, cerchioni, gomme Necessaria, poi, una vettura semi stradale da trasformare in auto da corsa, con porte e cofani alleggeriti in alluminio, finestrini di tipo aeronautico, pinze freni raddoppiate, sospensioni e molle adeguate con ammortizzatori regolabili per piste, salite, e strade normali da percorrere nei trasferimenti dalla domenica al venerdì sera successivo, senza interruzioni se non quelle del riposo notturno e della ristorazione Nel frattempo, il 28 settembre 1975 si corse a Monza la Coppa Intereuropea 8° Trofeo Enrico

Oltre

Il pit stop della Pantera De Tomaso n 43, durante la gara a Le Mans. Nel corso della breve sosta (circa due minuti), veniva effettuato il rabbocco dei liquidi, il rifornimento del carburante e il cambio piloti

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Sopra 200 000 spettatori sulle tribune di Le Mans

A fianco

Il bassanese testa una Maco Formula 3 su sollecitazione di un ingegnere tedesco di quel marchio, per verificare la bontà del nuovo telaio sperimentale

Da sinistra verso destra Bozzetto soddisfatto ai box, dopo i primi test e la gara a Monza

Bozzetto/D’Amore alla 6 Ore di Monza per Gran Turismo ottennero un buon risultato, arrivando sedicesimi su una cinquantina di partenti La gara venne vinta da Clay Regazzoni su Ferrari

Mattei, meglio conosciuta come “6 Ore di Monza”. L’Interauto schierò due De Tomaso Pantera Gr 3, una pilotata dalla coppia Bozzetto-Chicco D’Amore, e l’altra iscritta dalla scuderia Piave Jolly Club per Pietro Polese e Willer.

La gara, tiratissima, fu vinta da Clay Regazzoni su Ferrari Bozzetto-D’Amore si classificarono al sedicesimo posto assoluto (miglior tempo della corsa di D’Amore), mentre Polese-Willer dovettero ritirarsi per noie meccaniche

Gli occhi, tuttavia, erano puntati sulla manifestazione più amata dagli appassionati: il Giro automobilistico d’Italia, terza edizione, con partenza e arrivo in piazza San Carlo a Torino, capitale dell’auto

Fu uno dei giri automobilistici col maggior

numero di partecipanti Al via furono schierati prototipi ed auto di grande interesse come la Fiat Abarth SE 031 ufficiale di Pianta-Scabini, l’Alfa 33 TT stradale derivata dal prototipo che quell’anno vinse ben sette delle otto gare del campionato mondiale Marche, alla cui guida fu chiamato Jean Claude Andruet affiancato da Cartotto, le Lancia Stratos di Munari, Pinto e Facetti, molte Porsche 911 Rsr e Rs, ed alcune De Tomaso Pantera tra le quali quella di Bozzetto, coadiuvato dal navigatore, appassionato di motorsport, Eppe Martinenghi, laureando in farmacia che si era fatto coinvolgere, al quale non parve vero di mettersi alla prova in questa avventurosa corsa senza grossi mezzi di supporto Fortunatamente per il bassanese, la corsa si svolse quasi totalmente sotto la pioggia av-

vantaggiando moltissimo la “Pantera gruppo tre e mezzo” chiamata così in quanto non aveva la potenza dei mostruosi Gr 4 e 5 Era molto agevole da pilotare con la pioggia, tanto da tener testa all’Alfa di Andruet su alcune piste e alle favorite Stratos che arrivarono dietro o dovettero ritirarsi

L’unica Stratos ad entrare nella top ten fu quella di Sandro Munari, che si piazzò subito dopo la Pantera di Bozzetto

Nonostante ripetute coliche renali, combattute con iniezioni di Buscopan, la rottura del cuscinetto reggispinta della frizione e dei motori elettrici dei tergicristallo, riuscì a conservare la quinta posizione.

Il bassanese, per vedere la strada sferzata dall’acqua, escogitò un espediente per pulire il cristallo anteriore, impegnando il navigatore a tirare da destra a sinistra uno spago, fissato ai due tergicristallo fuori uso e fatto passare attraverso i finestrini laterali Un sistema primitivo, sufficiente tuttavia a garantire un po’ di visibilità

Il quinto posto fu guadagnato nonostante un grosso problema nell’ultima tappa al cuscinetto reggispinta della frizione, che costrinse il pilota a partire in ultima fila facendo muovere la Pantera Gr 3 5 con la prima marcia inserita da fermo, con la sola forza del motorino

di avviamento Guidò tutta la giornata senza l’ausilio della frizione per cambiare, esaltando maggiormente il risultato Enorme fu la soddisfazione quando la De Tomaso e Paolo Bozzetto furono premiati e festeggiati al parco “La Mandria”, dai vertici Fiat ed Aci Torino. Il Giro fu vinto dalla 031 gruppo 5 di Giorgio Pianta e Bruno Scabini Precedette la Porsche Carrera Rsr di “Victor”-Pilone, la 911 RS di BocconiLovato, la Rsr di Di Gioia-Stoppato e la Pantera di Bozzetto-Martinenghi.

L’avventura del Giro non finì lì

Per un disguido, l’autista della bisarca che doveva riportare a Padova le vetture che avevano partecipato alla competizione, compresa da De Tomaso Pantera di Bozzetto, partì senza informare il pilota La Pantera Gr 3 5 rimase a Torino. Paolo ed Elena non si persero d’animo e, per finire in bellezza l’avventura, con la loro Fiat 128 blu trainarono la Pantera, con tanto di numero “496” di gara sulle fiancate, da Torino a Padova via autostrada, rischiando il sequestro del mezzo allora, sicuramente sanzioni pesantissime ai giorni nostri.

Nuovi traguardi

Il 1975, apertosi sotto il pessimismo più nero, si rivelò al tirar delle somme un anno da incorniciare, ricco di successi e soddisfazioni.

Paolo Bozzetto con la De Tomaso Pantera Gr 3,5 miglior tempo nelle prove ufficiali di qualificazione, sotto un diluvio d’acqua Nella prima tappa del Giro d’Italia, stabilì il miglior tempo precedendo tutti i gruppi 4 e 5, comprese la Stratos Malboro di Facetti, l’Alfa 33 di Andruet e le Stratos Alitalia di Munari e Pinto

Sopra, da sinistra

Approfittando della pioggia, Bozzetto riuscì a contenere gli attacchi delle vetture più performanti

La Lancia Alitalia Gr 5 di Sandro Munari

I piloti Lancia mentre discutono dei problemi sorti durante il Giro d’Italia

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La medaglia di riconoscimento dei piloti del 3° Giro automobilistico

Sotto, dall’alto verso il basso Tony Brise con la Modus a Montecarlo

Graham Hill, campione mondiale in Formula 1 e titolare del team Embassy con il suo pilota Tony Brise. Danny Sullivan (che in seguito sarà pilota della Indy Car) alla guida della Modus Homes, con i colori dell’azienda Teddy Savory’s

A fianco

Lo splendido trofeo Alitalia consegnato a Bozzetto per il sorprendente risultato ottenuto al Giro

Sotto, da sinistra verso destra

In pista l’Alfa 33 di Andruet (Gruppo 5) e la Pantera di Bozzetto (Gruppo 3).

Proprio quello che ci voleva per rilanciare le ambizioni di Paolo Bozzetto

Dopo i festeggiamenti, le onorificenze e i premi per i risultati ottenuti nelle numerose competizioni alle quali aveva partecipato, Bozzetto si mise alla ricerca di un telaista interessato allo sviluppo di un progetto ambizioso, per ritentare la scalata alla massima formula.

Non fu facile convincere gli sponsor Paolo aveva però un palmares di tutto rispetto, che aveva dato lustro a chi aveva scommesso sul suo talento ed era disposto a giocarsi astutamente tutte le briscole magicamente tornate fra le sue mani

Con un’altra genialata delle sue avrebbe potuto coinvolgere mecenati ed amici

In famiglia lo chiamavano “trapano” per la caparbietà tipica del “capricorno” a non mollare mai. Tanto brigò, insistette e trapanò che convinse Nico Grosoli e la Interauto srl a finanziare uno sviluppo commerciale alternativo, per aumentare il loro business di affari legato alla vendita di auto stradali, implementando in un’area del loro enorme capannone un reparto corse per la vendita e l’assistenza di auto da corsa come Formula 3, Formula 2 e prototipi.

In poche parole: unì l’utile al dilettevole, facendo leva sulla fama che si era guadagnato domando la Pantera

Con questa soluzione avrebbe potuto finanziarsi le corse commercializzando le monoposto, che poteva anche assemblare ed assistere nel nuovo reparto, ricavandone pure un risultato economico e dando contemporaneamente una notevole visibilità alla Interauto, unica concessionaria a raggiungere quel valore aggiunto,

con il reparto corse, che dava un’accattivante immagine al commercio delle auto stradali In Italia non c’era alcun costruttore disponibile, al contrario di quanto accadeva in Germania e Francia, a dare mandati ad una realtà in embrione, come quella di Bozzetto con Interauto Cominciò a girare in lungo ed in largo la campagna inglese, dove erano nate e proliferavano le più famose case costruttrici di auto da corsa del mondo come McLaren, Lotus, Lola, Brabham, March, Chevron, in cerca di una loro disponibilità a sviluppare assieme l’ambizioso piano

Dopo aver ricevuto risposte negative da parte delle più note aziende costruttrici, tentò un approccio con una casa poco conosciuta, nata nel 1973 a Watton, in un piccolo paese vicino a Norwich Qui incontrò l’ingegnere Jo Marquard, progettista della Modus F3 della Teddy Savory’s company, al quale strappò una lettera d’intenti per l’importazione in Italia, delle scocche e degli accessori (sospensioni, cambio, freni) da assemblare con un motore rientrante nel regolamento della Fia, la Federazione internazionale dell’automobile

La Modus F3 aveva ottenuto qualche buon risultato con Tony Brise (secondo al G P F3 di Monte Carlo 1974) e nel campionato inglese F3 e Atlantic con Danny Sullivan, due piloti che arrivarono al mondiale di Formula 1 e Indycar. Non era uno dei telai più performanti e scorrevoli ma non avendo altre alternative e, soprattutto, invaghito dall’investimento del proprietario Teddy Savory che puntava sia alla F2 che alla F. Atlantic, abbozzò un contratto con Modus Factory a Watton

Sotto

L’artista Gianfranco Romagna dona a Paolo Bozzetto una scultura per i successi ottenuti nel Campionato sociale 1975 scuderia Città di Schio

Avuto l’ok di Interauto, ritornò in Inghilterra per l’acquisto di alcuni telai e ricambi da importare in Italia. Mr. Savory era un giovane imprenditore, titolare di molteplici attività a Watton, tra le quali un albergo raffinato e un eliporto con tanto di elicottero, usato spesso per prelevare Bozzetto all’aeroporto di Luton dove, sempre più frequentemente, atterrava per volare poi a Watton per definire il business e l’acquisto di telai e ricambi delle monoposto.

Camicia su misura

Gli affari andarono subito a gonfie vele, con sette telai prenotati per il campionato italiano 1976 da scuderie e piloti italiani che abbracciarono con entusiasmo la novità di BozzettoInterauto srl.

Ed ancora una volta, tramite Elio Nori, si fece avanti una ditta importante di Bassano, decisa a sponsorizzare il pilota Paolo Bozzetto che era entrato nei cuori dei veri appassionati di automobilismo.

I fratelli Danilo e Renato Calmonte, titolari della camiceria Calbros, azienda specializzata in abbigliamento, già conosciuti per la loro passione per lo sport in generale, decisero di avventurarsi in questa operazione, anche per accrescere la loro visibilità nel loro mercato della moda ed in particolare della camiceria e dei jeans

Dopo la presentazione al ristorante Ca’ Sette di Bassano, presenti autorità, giornalisti, amici ed appassionati, il debutto avvenne sul circuito del Mugello il 3 aprile Purtroppo Bozzetto fu costretto al ritiro per problemi all’impianto elettrico Non andò meglio a Varano per la fo-

ratura di una gomma A Montorp Park, in Svezia, si classificò ottavo assoluto mentre a Magione arrivò decimo Il 3 maggio partecipò anche alla corsa internazionale sullo storico circuito dell’Avus a Berlino, piazzando la sua Modus al nono posto. Ritornato in Italia, ottenne il quarto posto in batteria, ma poi si ritirò per incidente, a Pergusa Settimo in batteria anche a Casale Finalmente ottenne un significativo undicesimo posto assoluto al Gran Premio Lotteria di Monza su sessanta partenti. Non soddisfatto perché il telaio non lavorava a dovere (per ben due volte fu costretto a manovre pericolosissime per la rottura degli attacchi alle sospensioni anteriori in frenata, sempre ad altissima velocità sia al Mugello che a Monza), approfittando della pausa estiva decise di portare la sua scocca a Watton

Sopra, dall’alto verso il basso La presentazione al ristorante Ca’ Sette della Modus Formula 3 con la livrea dello sponsor Calbros (da Il Giornale di Vicenza dell’1 maggio 1976)

La Modus Formula 3 della Calbros, pilotata dal bassanese con uno stupendo anticipo alla seconda variante Ascari durante il Gran Prix di Monza del 1976 (foto di Ruggero Dal Molin)

Bozzetto, sul circuito di Snetterton in Inghilterra, collauda la Modus per migliorarne la scorrevolezza.

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Il logo della Modus

Il poster esposto nei negozi d’abbigliamento in Italia e all’estero, ricavato da una foto del bassanese Ruggero Dal Molin e voluto come nuova immagine sportiva dalla Calbros In quel periodo l’azienda stava progettando una linea di jeans, da affiancare al mercato della camiceria d’alta classe Con Elena, il meccanico Spallino, Maurizio Marchiori e l’ingegnere della Modus, poco prima della partenza del Gran Prix di Formula 3 a Monza

in Inghilterra per capire con l’ing Marquard cosa si potesse modificare per rendere più scorrevole la monoposto ed eliminare il difetto alle sospensioni.

Andò Oltremanica con il suo camioncino Fiat Iveco 50 super attrezzato, in quanto doveva ritirare anche delle scocche nuove e si fermò per quasi un mese a modificare e provare sulla pista di Snetterton, con altri piloti inglesi. A furia di modifiche e prove recuperò maggiore affidabilità, aiutato dal meccanico Adriano Morini e dall’amico Sandro Pavoni, laureando in ingegneria all’università di Padova. Anche se erano alle loro prime esperienze, avevano una grande passione Con Paolo risolsero alcuni problemi cronici della monoposto, riuscendo a limare quei decimi al giro molto importanti per piazzare più avanti negli schieramenti di partenza la Modus Calbros gialla Nell’ambiente e nella factory c’era un’aria troppo tranquilla e tutti i programmi e gli svi-

luppi avanzavano lentamente, tanto che nemmeno le scocche che avrebbe dovuto portare in Italia per i clienti furono finite in tempo Le prove però erano state positive, le sospensioni non si rompevano più ed il telaio aveva guadagnato quel mezzo secondo al giro, rispetto al primo test

I meccanici inglesi della Modus erano così lenti da prendersi pure pause lunghe per il caffè Per distrarsi sospendevano il lavoro per riposo sindacale, giocando qualche decina di minuti a ping pong Il meccanico Adriano Morini scalpitava e, pur di animarli un po’, sbottò in dialetto: «Paolo, o i se move o mi ghe fasso cascar el martel sui piè così i scominsia a correre».

Non a caso qualche anno più avanti tardi, passando da semplice meccanico a imprenditore, Morini fondò la Draco Racing, che accompagnò molti giovani di belle speranze in Formula 1, tra i quali Rubens Barrichello e

Il manifesto realizzato dall’Aci di Milano per pubblicizzare il Campionato Italiano ’77 In primo piano la Modus Formula 3 di Paolo Bozzetto

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Paolo Bozzetto, nei panni di rallysta, durante il Campagnolo del ’76, vinto a sorpresa da Antonillo Zordan.

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La medaglia di riconoscimento dei piloti del 4° giro automobilistico

Felipe Massa, entrambi ingaggiati a lungo dalla Ferrari

La sorpresa negativa era dietro l’angolo. Bozzetto, vuoi per lo stress, vuoi per la tensione che aveva accumulato perché il progetto non marciava come avrebbe voluto, ebbe delle dolorosissime coliche renali che lo costrinsero al ricovero in ospedale. Sottoposto ad un delicato intervento per l’eliminazione dei calcoli, dovette rinunciare alle restanti corse di campionato, ad eccezione dell’ultima, sul circuito di Casale dove, ancora convalescente, si piazzò settimo

Non era tutto oro quel che luccicava

Un buon segnale per il rilancio del progetto, se non fosse che, ritornato in Inghilterra, a Watton, per ritirare le scocche già pagate, trovò la zona artigianale della Teddy Savory company, compreso il capannone della Modus House, eliporto ed elicottero compresi, sotto sequestro giudiziario, con tanto di nastro bianco e rosso a delimitarne l’area. Vistosi cartelli e sigilli apposti dalla polizia ne impedivano l’accesso

Chicco D’Amore e Paolo Bozzetto, circondati da u n g r u p p o d i t i f o s i , s i d i m o s t r a n o f e l i c e m e n t e sorpresi dalle ottime prestazioni della loro Pantera

Gli unici che avrebbero potuto dare notizie erano i dipendenti che abitavano a Watton. Nessuno però sapeva dove fossero finiti il proprietario e Jo Marquard.

A nulla valsero le richieste, rivolte alla Polizia inglese, di avere almeno le scocche ed i ricambi ordinati e saldati, nonostante i documenti confermassero chiaro e tondo che il pagamento era stato effettuato e l’incasso avvenuto Bozzetto fu costretto a ritornare in Italia senza il carico e senza un programma per l’anno seguente Scoprì invece che il proprietario della Modus era latitante.

Una vicenda dai risvolti inaspettati e imprevedibili. Il pilota bassanese mai e poi mai avrebbe pensato che l’avventura intrapresa con la casa inglese finisse così malamente, senza poter nemmeno recuperare il materiale di alcuni clienti che avevano già versato l’acconto. Ancora una volta si ripresentò lo spettro del ritiro definitivo dalle competizioni nel motorsport e della fine del business ormai oliato con l’Interauto di Padova

Temprato dalle giravolte della vita, non si arrese Nonostante i problemi di salute, riprese in mano la Pantera e partecipò con l’amico Chicco D’Amore al quarto giro automobilistico d’Italia La corsa a tappe non gli riservò la soddisfazione dell’anno precedente nonostante D’Amore, con il quarto crono al Passo dello Spino, fosse riuscito ad avanzare in classifica La rottura del cambio, sostituito con grande impegno dai meccanici, rubò tempo prezioso facendo timbrare in ritardo al controllo orario l’equipaggio della De Tomaso Bozzetto tirò una zampata delle sue al Mugello, classificandosi secondo Il trentaseiesimo posto assoluto non pagò l’impegno profuso dai due amici

Il 21 novembre Bozzetto partecipò anche alla quarta edizione del rally Campagnolo con la Pantera di gruppo 3 navigato da Sandro Pavoni, lo studente di ingegneria inventore già a quell’epoca del monopattino elettrico; lo aveva costruito per agevolare gli spostamenti del personale negli ospedali Un piccolo genio La vettura, Polese docet, non era adatta per i rally ma per i due la competizione rappresentò

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Chiuso il capitolo Modus, Paolo Bozzetto venne ingaggiato dalla Pordenone Corse (patrocinata dalla Carmona Engineering), assieme al greco Giorgio Aposkitis per il Campionato europeo di Formula 3 con la Lola

un’avventura affascinante Superate le prime prove, con qualche buon piazzamento nei tratti veloci e asfaltati, dovettero cavarsela con le gomme slick su una strada imbiancata da un’improvvisa nevicata Impossibile mantenere in linea il bolide. Superarono la salitina di Stoner viaggiando di traverso, smoccolando contro la pazzia del meteo. In mezzo a tanto gelo andò in fiamme l’impianto elettrico, prontamente sostituito dai meccanici Senza i cavi arrostiti avrebbero ottenuto un risultato soddisfacente Conclusero al 39° posto, sesti di gruppo. Il Campagnolo fu vinto da Antonillo Zordan e Danilo Dalla Benetta con una Porsche 911 Carrera di gruppo tre battendo sul filo dei secondi la Lancia Stratos ufficiale di Toni Carello e Arnaldo Bernacchini. Un successo che fece scalpore: mai accaduto prima che un equipaggio privato precedesse due professionisti.

Cara Regina Elisabetta II...

A motori spenti e gare sospese per la pausa invernale, Bozzetto ripensò al futuro. Prima di

programmare una nuova stagione agonistica avrebbe dovuto recuperare fiducia e comprensione dallo sponsor e dalla Interauto I fratelli Calmonte e i dirigenti della concessionaria patavina avevano ben chiaro che contro la situazione creatasi Oltremanica era difficile trovare una via d’uscita Bisognava uscire da quel maledetto vicolo cieco.

In Inghilterra il rispetto delle regole era sacrosanto e non era tollerabile che qualcuno tentasse di frodare lo Stato non versando l’allora Vat (la nostra Iva) come nel caso della Modus Bozzetto ripercorse tutti passi che lo avevano portato a Watton

«Nel ricostruire gli incontri e le trattative mi ricordai che la Modus, per la vendita delle scocche, visto che gli affari andavano bene propose degli sconti particolari in cambio di un pagamento una tantum in contanti Per passare la dogana nascosi le sterline di carta tra due paia di mutande»

In quel periodo giravano talmente pochi soldi che, per risparmiare, alle auto che Bozzetto noleggiava negli aeroporti inglesi per recarsi

Il logo della Lola, allora la più grande factory a livello mondiale di auto da corsa (tra le quali la Ford GT40)

La Lola Formula 3 utilizzata da Bozzetto come apripista, alla cronoscalata del Costo di Asiago nel 1978

Sopra

Nel 1976 Bozzetto è tornato a pilotare la March F3

Sulla pit lane di Misano lo affiancano, con i meccanici, il cognato Giovanni Chenet ed Elena, con la tabella dei cronometri (ph Ruggero Dal Molin)

a Huntingdon, staccava il contachilometri

Un mattino fu chiamato dalla proprietaria del piccolo Motel dove alloggiava Scese e trovò ad attenderlo nella hall due poliziotti. Si erano accorti che il cavo del contachilometri era penzolante Oltre ad una sanzione pecuniaria vollero che Bozzetto scrivesse una lettera di scuse alla regina Elisabetta di Inghilterra

Prese la penna: Dear Queen Elizabeth II... Gli servì da lezione

Qualche settimana dopo il rally Campagnolo, il navigatore Sandro Pavoni lo presentò ai dirigenti di un’azienda, la Carmona Engineering, produttrice di cerchi in lega a Pordenone Volevano promuovere le loro ruote in Europa attraverso le competizioni. Manna dal cielo.

Qui sotto

“Alle prove è andato tutto liscio Ora è il momento della massima concentrazione, ancora un paio di incoraggiamenti, poi si parte”: questo il commento di un quotidiano locale austriaco, al piede di una foto di Paolo ed Elena a Zeltweg

Prima della partenza al 6°

Giro d’Italia, la Pantera con Antonello Costante, Gigi Pellanda e Paolo Bozzetto Non conclusero la corsa per problemi tecnici

Scelsero Bozzetto ed il greco Aposkitis per partecipare al campionato europeo ed italiano di Formula 3 con due telai Lola e motore Toyota della Novamotor.

Anche la Calbros rinnovò il contratto a Bozzetto mentre Aposkitis fu sponsorizzato da Olimpic Airline, compagnia aerea ellenica

L’Interauto cedette materiale e attrezzature alla Peg Carmona Engineering la quale, tramite la scuderia Pordenone Corse, presentò alla stampa la nuova realtà.

Pronto per una nuova avventura

Le premesse per il rilancio c’erano tutte La Lola era una grande azienda, dedicata unicamente alle auto da corsa, costruttrice anche del telaio ordinato da Henry Ford per la famosa

GT 40 che vinse per tre anni di seguito (19661969) la battaglia contro la Ferrari alla “24 hueres du Mans”. Ma si cullava troppo sugli

allori e sacrificò lo sviluppo delle formule minori, convinta che gli altri costruttori non avrebbero potuto superare i suoi progetti Purtroppo non sviluppò adeguatamente il telaio di F3 L’ing Broadlay, il titolare, era troppo interessato al suo business nei prototipi e nella Formula 1

Al debutto sul circuito di Le Castellet in Francia, sul curvone velocissimo di Signes, Paolo rimase coinvolto in un incidente causato da una intraversata di un pilota in centro al gruppone che distrusse diverse monoposto tra le quali anche il telaio della Lola F3 Carmona-Calbros

Per la successiva gara al Mugello dovette perciò riesumare la vecchia Modus F3. Mentre si trovava nella top ten un problema elettrico lo mise ko.

A Zolder in Belgio, la Lola ricostruita evidenziò tutti i limiti del mancato sviluppo classificandosi 19° tra oltre cinquanta vetture qualificate Bozzetto recuperò solo qualche posizione nella gara successiva a Zeltweg, in Austria Il team ne aveva abbastanza Mollò la Lola e si rivolse alla March.

La musica cambiò

A Monza Bozzetto si piazzò subito al 7° posto assoluto Alla partenza c’erano ben sessanta monoposto: mai visto prima uno schieramento tanto numeroso

Recuperata la fiducia, a Pergusa, in Sicilia, dopo una ottima qualifica ed un sesto posto in batteria, dovette fare i conti con lo scatenato Nelson Piquet (vincitore qualche anno dopo di tre titoli mondiali di F1) che, partito molto indietro, centrò alla prima variante,

dopo appena 300 metri dalla partenza, la monoposto di Bozzetto

Per estrarre il bassanese, gli addetti alla sicurezza dovettero tagliare la scocca Fortunatamente non riportò fratture La cellula di sopravvivenza della scocca aveva fatto il proprio dovere proteggendolo

Piquet si rese conto di aver commesso un grave errore e mentre Bozzetto, dolorante, gliene diceva di tutti i colori, il brasiliano gli andò vicino: «Boceto Boceto che bota tremenda » Era così spaventato che si inginocchiò accanto alle due monoposto da lui distrutte, in atto penitenziale La scena surreale era talmente ridicola che scoppiarono entrambi a ridere per lo scampato pericolo Divennero grandi amici. Oltre a ricomprargli una scocca nuova, Piquet cominciò a sostenerlo anche economicamente dividendo, nelle trasferte, le camere di albergo o cedendogli le gomme da lui usate ma ancora buone

Il passaggio delle coperture durò fino alle prove libere a Jarama, in Spagna, dove Paolo, con gli pneumatici usati da Nelson, fu più veloce del sudamericano

Nelson, battuta pronta, incassato lo smacco, lo accolse tra il serio e il faceto ai box dicendo: «Paolo, ti aiuto per le trasferte ma d’ora in avanti devi arrangiarti con le gomme» Era fatto così e, forse anche perché non aveva limiti di spesa, aiutava i colleghi contro il proprio interesse

«Un grande - lo ricorda Paolo - soprattutto nei rapporti umani Sapeva di essere un privilegiato sia economicamente sia per gli appoggi di cui godeva dalla stampa brasiliana Ogni sera, terminate prove, test o gare, telefonava ai media del suo paese per raccontare le prodezze di giornata Puntualmente, il giorno dopo erano pubblicate».

In Spagna, Piquet ottenne la prima vittoria di una carriera stellare, anticipando tutti sul traguardo di Jarama Bozzetto si accontentò della settima posizione in quanto, dopo un contatto con altro concorrente, dovette recuperare molte posizioni Festeggiarono assieme, passando una notte indimenticabile nei “Penas Flamencas” di Madrid Bassano diventò un rifugio per il pilota brasiliano che, potendoselo permettere economica-

La Modus di Bozzetto con gravi danni al telaio e alle sospensioni, sul carro attrezzi, dopo il contatto con la F3 di Alain Prost a Zeltweg (ph Ruggero Dal Molin)

Sul circuito di Perugia (ottobre 1978), a seguito di una pericolosa collisione con la March di Bianchi che ha agganciato la vettura di Bozzetto facendola volare, il bassanese ha rischiato la vita. Lo schianto del roll-bar gli ha infatti provocato gravi lesioni al capo e abrasioni al braccio destro Autosprint pubblicò un circostanziato reportage dell’incidente

In alto, colonna di destra

La Modus F3 restaurata dalla scuderia Franzoso, con la quale Bozzetto disputò alcune gare del Campionato Italiano

A fianco e qui sotto

La Branca F3 artigianale che Bozzetto, dopo vari collaudi, portò in gara a Monza con discreto successo

Elena, testimonial per Interauto, concessionaria Peugeot di Padova, della nuova 104 ZS

mente, viveva in hotel Non ci mise molto a farsi nuovi amici, tra i quali il gommista e promotore di molti eventi motoristici Elio Nori

A Novara, invece, trovò l’appoggio di Ferdinando Ravarotto, suo mentore e talentuoso preparatore di F3.

Mai, come nel 1977, tanto nel campionato europeo quanto in quello italiano, c’era stato un numero così alto di piloti, monoposto e team

Gli organizzatori erano costretti a ricorrere anche a tre manche di qualificazioni per la finale Spesso si presentavano settanta e più monoposto In pista era tutto un andare e venire e nei box la confusione totale. I meccanici erano costretti a lavorare in spazi ridottissimi

Un’autentica babilonia, per riassumere la confusione che regnava sovrana

A Varano de Melegari, pur qualificandosi 7° in batteria, Bozzetto fu costretto al ritiro per noie meccaniche A Zeltweg, invece, dovette fare i conti con Alain Prost col quale venne a contatto nella curva piu veloce del circuito distruggendo la monoposto. All’internazionale di Monza con ottanta partenti si classificò 13°, recuperando successivamente importanti posizioni a Vallelunga con un sesto posto in batteria. In finale, purtroppo, fu costretto a ritirarsi per la rottura del motore mentre viaggiava nella top ten

La gara di Magione del 23 ottobre mise fine alla sua carriera professionistica

Bozzetto, a causa di un tentativo impossibile di sorpasso tentato dal collega Bianchi alla curva parabolica del circuito umbro dedicato a Mario Umberto Borzacchini, spiccò il volo e capottò strisciando sull’asfalto con il braccio destro e il casco, per fermarsi in bilico sul guardrail Riportò conseguenze fisiche rilevanti, soprattutto alla testa, causa lo scoppio del roll bar Il casco integrale Agv gli salvò la vita Prontamente soccorso, i sanitari gli suturarono una vistosa ferita alla mano destra mentre era ancora in ambulanza privo di sensi. Al risveglio dal trauma cranico, dopo qualche giorno, fu sottoposto ad un trapianto di pelle alle dita dell’arto lesionato

Fu il periodo più grigio della carriera sportiva che, comunque, gli consentì di concludere operazioni interessanti con Peugeot Italia, coinvolgendo Elena, la sua compagna di sempre, diventando promoter della Casa d’Oltralpe

Programmi ridotti

L’incidente stoppò temporaneamente alcuni rapporti instaurati con scuderie e case automo-

bilistiche Stava infatti delineando la stagione 1978 che avrebbe dovuto portarlo a competere nel Mondiale Marche Endurance con prototipi e vetture da turismo Era tipico che piloti passati attraverso le monoposto, come il poliedrico bassanese, venissero dirottati sulle vetture a ruote coperte grazie all’esperienza maturata in pista La rieducazione della mano ed i problemi alle cervicali richiesero mesi di riabilitazione La stagione agonistica successiva lo vide ai blocchi di partenza molto avanti, a campionato iniziato Si occupò soprattutto di collaudi per conto di preparatori che apprezzavano la sua lunga esperienza. Era giunto il momento di appendere il casco al chiodo. I danni fisici ed un figlio in arrivo imposero una brusca sterzata alla quotidianità di Paolo Bozzetto. Oltre a riprendersi fisicamente doveva dare un assetto definitivo al rapporto con Elena, laureatasi nel frattempo in chimica industriale Il progetto principale divenne allora la formazione di una famiglia, giusto coronamento dei sogni dei due compagni che tante avventure avevano vissuto sui circuiti di mezza Europa.

La fama di collaudatore di auto da corsa (aveva ormai provato tutto quello che aveva un motore e quattro ruote) favorì l’incontro col concittadino Nino Balestra, gioielliere di grido, storico dell’automobile, collezionista e pilota, proprietario di una Merzario di Formula 1 che aveva partecipato alcuni anni prima al campionato mondiale spinto da un motore Alfa Romeo derivato dall’otto cilindri a V della Montreal

La Formula 1 Balestra gli propose di salire sulla monoposto del “Fantino” e Bozzetto non perse un secondo per dirgli di sì Dopo alcune prove in circuito per una prima messa a punto, Paolo suggerì a Nino una revisione ai carburatori Se ne occupò Nico Battistin di Breganze che tra ugelli, farfalle, polverizzatori, galleggianti e tromboncini sapeva muoversi come pochi altri. Passato attraverso le esperte mani del meccanico, il motore ritrovò il respiro pieno. Per rendere la Merzario performante erano però necessarie ulteriori modifiche sulle geometrie dell’assetto. I collaudi furono condotti sulla pista della Moto Laverda, costruita a fianco della fabbrica. Altri tecnici intervennero sulla ciclistica e sulle quadrature, sugli alti regimi di giri e sulle convergenze alle sospensioni. Era tutto un girar vorticoso di chiavi inglesi, dinamometri, cacciaviti Le operazioni non passarono inosservate Il rombo lacerante dell’otto cilindri con gli scarichi aperti lanciato a pieni giri divenne un richiamo irresistibile, tale e quale il canto delle sirene per Ulisse Il tam tam risuonò da una parte all’altra del paese, ammaliante A poco a poco, spinti dal passaparola, decine di curiosi si radunarono sulla piazzola di entrata della Laverda, inconsapevoli di essere confluiti in una pericolosa posizione, in traiettoria con un tratto di pista dove il pilota era obbligato ad una pesante frenata e a passare dalla quinta alla prima marcia in un solo passaggio prima di affrontare una curva secca Il caso volle che il pedale in magnesio del freno cedesse improvvisamente proprio in quel punto,

Da sinistra verso destra Bozzetto partecipò, con poca fortuna, anche alla 4 Ore Europeo Turismo a Monza del 1981 con una Bmw 2002 Prima Serie, in coppia con l’amico Gigi Pellanda, noto pilota di gare su pista, salita e rally Bozzetto, sotto la pioggia, con la Merzario Formula 1 sul circuito di Varano de Melegari a Parma

Qui sotto, dall’alto I logotipi della Branca e della Merzario Formula 1

A fianco

Pietro Brigato e Paolo

Bozzetto nella prima prova speciale del “Giro d’Italia vetture storiche” I due si piazzarono secondi assoluti precedendo Ferrari, Jaguar e Porsche. Purtroppo, per la rottura della guarnizione della testa del motore a Misano dovettero in seguito ritirarsi

Una delle Alfa TZ1 pilotate da Bozzetto nelle innumerevoli competizioni storiche al circuito di Imola La Maserati 300S di Brigato/Bozzetto nella gara in notturna a Misano con l’assistenza di Elio Nori e del suo giovanissimo figlio Massimo

Fabrizio Brigato e Paolo

Bozzetto premiati alla

Due Ore del Mugello da Giulio Dubbini, industriale del caffè e promotore delle competizioni con le storiche

costringendo il collaudatore a buttare letteralmente la monoposto contro il muro degli spogliatoi della ditta, per evitare una strage Il pubblico assiepato era troppo numeroso e non avrebbe avuto scampo, visto lo spazio risicato delle vie di fuga

Sceso dalla monoposto accartocciata Bozzetto, illeso, si trovò di fronte a uno spettacolo surreale: una trentina di scarpe sparse all’intorno, il meccanico disteso a terra, l’amico dentista ferito ad una mano ed il figlio del vicino di casa dolorante per una botta sulla gamba

Temeva il peggio, invece il bilancio tutto sommato risultò positivo perché era stato lucidissimo, in una frazione di secondo, a rischiare la

propria incolumità puntando il muro degli spogliatoi per evitare l’investimento di amici e

compaesani

Quanto alle scarpe, presto detto: le avevano perse gli spettatori nei tragici momenti del fuggi fuggi generale in preda al terrore Partita l’ambulanza coi feriti, ripresero coraggio e a piedi scalzi si misero a cercare le loro calzature. Una scena fantozziana che stemperò la pesante tensione calata sulla pista della Laverda.

Le storiche

Il ritorno alle corse di Paolo, smessa la veste del professionista, non fu dei più rosei ma gli

Sopra, dall’alto

I logotipi di Alfa Romeo, Maserati e Ferrari

A fianco, da sinistra Paolo Bozzetto con la Ferrari T2 di Formula 1 (ex Lauda) in azione alla curva della Tosa a Imola e durante una sosta ai box assieme ad Angelino Lepri e Pietro Brigato

Sotto, dall’alto

Le signore Bozzetto e Brigato prima della gara di regolarità Premiazione al Ferrari Day

spalancò nuove strade Tra i tanti appassionati vicentini di motori, c’era un collezionista di prestigiose auto da corsa che aveva assolutamente bisogno dei consigli e dei suggerimenti di personaggi che, come Bozzetto, avevano maturato esperienza in tema di collaudi, modifiche e assetti. Pietro Brigato, l’amatore, aveva raccolto un parco macchine straordinario, ma non sapeva come trattare tutti quei cavalli scalpitanti sotto i cofani che aspettavano solo di essere lanciati a briglia sciolta per ritrovare lo smalto originario

L’orafo berico convinse Bozzetto a gareggiare nei campionati italiani ed europei con le più prestigiose Ferrari, Alfa Romeo, Lancia,

Lotus, Maserati da corsa, costruite dagli anni 1956 fino al 1970, in assoluto le macchine più belle mai apparse in pista, da anni mute e immobili in garage

In quel periodo c’era un grande fermento e gli organizzatori allestivano manifestazioni e vere e proprie corse nei più celebri circuiti d’Europa tali da richiamare, per la grinta e il coraggio che mettevano i piloti, le sfide più spettacolari ed emozionanti dei piloti d’un tempo

Bozzetto iniziò la nuova carriera guidando una stupenda Alfa Romeo Zagato TZ1, progettata da Orazio Satta Puliga e Giuseppe Busso Montava un motore bialbero di 1570cc derivato dalla Giulia TI, a due carburatori Aveva

Bozzetto con la Ferrari 250 Le Mans in gara a Imola durante il Ferrari Day del 1982

Corrado Patella e il figlio

Guido nella loro officina

Omega, nota nel mondo per la ricostruzione dei motori da corsa che hanno fatto la storia dell’automobilismo

A fianco

Bozzetto e Brigato senior alla Targa Florio su Alfa

Romeo TZ1 (1990)

Da notare la presenza degli spettatori a bordo strada, incuranti del pericolo

La splendida Ferrari Berlinetta SWB con la quale Bozzetto ha partecipato a numerose gare storiche conquistando sempre il podio della sua categoria

Da sinistra verso destra

La Ferrari Gtl pilotata da Fabrizio Brigato, navigato da Paolo Bozzetto, a Imola nel 1982 al Ferrari Day Nel 1999 Fabrizio vinse l’Historique Challange Ferrari Shell con una Ferrari Berlinetta SWB

L’Alfa Romeo TZ1 con la quale nel 1990, a Monza, Bozzetto stabilì il record assoluto delle storiche, in occasione dell’ 80° anniversario dalla fondazione della Casa di Arese

Sotto, da sinistra

All’aeroporto di Codroipo, Paolo Bozzetto e Loris Kessel, su Apollon F1, sfidarono in una prova di accelerazione, un Aermacchi MB-339 della PAM La gara si concluse con un pareggio Foto di gruppo per i piloti bassanesi (fra i quali Miki Biasion e Nino Balestra) che si sfidarono in prove di accelerazione

freni a disco e cerchi in lamiera o alluminio Pesava solo 660 chili e superava i 215 orari. L’avevano “svezzata”, nel 1963, campioni del calibro di Bandini, Bussinello, Baghetti e Sanesi. La prima gara di Bozzetto era a Monza Con la TZ1 si trovò subito a proprio agio Salì, regolò il sedile, avviò il motore Due colpi di acceleratore per sentirne il “canto” Partì sparato Gli avversari non lo videro più. Vinse stabilendo il record di categoria Si divertì molto e ci prese gusto.

Alla Due ore del Mugello, qualche settimana più avanti, ingaggiò uno spettacolare ed avvincente duello con le Jaguar, britanniche dal temperamento irascibile Concluse secondo assoluto.

S u l p o d i o l o p r e m i ò i l p a d o v a n o G i u l i o D u b b i n i , uno dei primi a collezionare macchine d’antan e a credere nelle competizioni storiche.

Bozzetto partecipò pure al Giro d’Italia Da subito in lotta per la vittoria, mantenne a lungo la seconda posizione Fu costretto a cederla e

a ritirarsi a causa della rottura della guarnizione della testa del motore.

Brigato gli mise a disposizione anche la Ferrari

Le Mans e la Ferrari T2 ex Niki Lauda, mostri dal glorioso passato in grado, nonostante gli anni, di prestazioni incredibili Bastava avere il coraggio di premere l’acceleratore, senza temerarietà ma con coraggio intelligente

Le gare storiche divennero per Bozzetto, che nel frattempo aveva avviato a Breganze una agenzia di brokeraggio finanziario assicurativo, un lavoro a tempo quasi pieno

Scherzando, amava ripetere: «Fare l’assicuratore è molto più pericoloso che fare il pilota» Test e competizioni lo portarono a gareggiare non solo in Italia ma anche in Francia, Inghilterra e Germania

I risultati e i piazzamenti conseguiti con le stupende Ferrari, Maserati e Alfa Romeo di Pietro Brigato, perfettamente restaurate nella carrozzeria da Dino Cognolato e nella meccanica da Corrado Patella (mentore e tecnico di Paolo che lo seguì dal debutto in Formula Italia), lo ripa-

L’abitacolo e la strumentazione della Ferrari 250 Testarossa Bozzetto la pilotò nel 1998 all’Historic Challenge Ferrari Shell

Sotto, da sinistra verso destra

La Ferrari 250 Testarossa durante il restauro eseguito dalla Carrozzeria Nova Rinascente di Vigonza (PD); i carrozzieri Dino Cognolato e Gianni Semenzato posano a fianco della vettura a lavoro ultimato; la soddisfazione di tutto lo staff in una memorabile foto di gruppo

Da sinistra verso destra Paolo Bozzetto (n 46) scatta dalla prima fila a Digione 1998 Vincerà la gara con un buon margine sul brasiliano Carlos Monteverde

Il 12 cilindri Ferrari restaurato dal tecnico Corrado Patella, a fianco di Bozzetto fin dai tempi della Formula Italia

La bruciante partenza di Bozzetto in una gara del Campionato Ferrari. Alle sue spalle, il solito Monteverde. Sotto

Bozzetto festeggia la vittoria assoluta del Campionato Ferrari a Imola (1998)

Qui sotto

Carlo Monteverde, antagonista di Bozzetto, viene speronato da Jean Claude Bajon a Silverstone ’98 Incidenti come questo, anche molto pericolosi, si verificavano spesso nelle gare delle storiche per la forte rivalità fra i piloti

garono di tutte le amarezze che avevano costellato la sua gioventù Pur datate, le vetture sport viaggiavano a medie impressionanti, sfiorando spesso i 260 orari Per lanciarle al massimo dei giri ci volevano nervi saldissimi. D’acciaio quelli di Bozzetto

Con la TZ1 Alfa Romeo in livrea gialla-alluminio, disputò la Targa Florio. Il bloccaggio dell’acceleratore nella più pericolosa e veloce discesa della corsa lo costrinse alla resa. Disputò per diletto, accompagnando sul sedile di destra il collezionista, tre edizioni della Mille Miglia storica e la Stella Alpina con spirito corsaiolo, in quanto, per un velocista come lui, partecipare a gare dove vince chi va più piano ma regolare, era troppo difficoltoso Più volte fu richiamato dai commissari di percorso e dalla direzione gara per aver infranto le regole. Siccome faceva sognare il pubblico con le sue evoluzioni, gli organizzatori chiudevano un occhio, anzi due.

Record a Monza

Bozzetto, all’ottantesimo dell’Alfa Romeo a Monza, fece l’assoluto a suon di record, abbattendo tutti i primati precedenti delle TZ1. L’impresa gli procurò, oltre agli elogi dei vertici dell’Alfa Romeo, una stupenda coppa consegnatagli dall’ex pilota di F1 Andrea De Adamich.

Il trofeo è gelosamente conservato nella bacheca di casa, testimone della giornata storicamente più rappresentativa della casa del Biscione. Nello stesso periodo iniziava anche l’attività sportiva del figlio Enrico e, più tardi, del se-

condogenito Filippo. Paolo ed Elena - bellezza e grazia non le facevano difetto - entrarono nella sfera Peugeot, promuovendo le auto del “Leone”, in particolare la 104 ZS, che tanto successo ebbe in quegli anni. Bozzetto corse con tutto ciò che aveva di storico e partecipò a diverse manifestazioni anche con la Ferrari T2 ex-Lauda a Monza e la Ensign F1 di Norris Nunn Con quest’ultima monoposto a Codroipo, sulla pista dell’aeronautica militare, si confrontò in prove di accelerazione con i jet della squadra acrobatica

Campione Ferrari

Brigato iscrisse Bozzetto allo Historic Challange, organizzato nel 1998 dalla Ferrari e dalla Shell sulle piste europee, con alcuni ex piloti di F1, F2 e prototipi sulla linea di partenza, tra i quali David Piper, Jacky Ickx, Derek Bell e l’ex campione mondiale del 1961

Phil Hill

Il Challenge, campionato iridato a tutti gli effetti, era coordinato dall’ex direttore sportivo della Renault F1, Jean Sage, ingaggiato dalla Ferrari.

Si trattava di vere e proprie competizioni con punteggi come in F1 divise in due categorie: freni a disco e freni a tamburo Lo spettacolo era assicurato tanto che alla prima competizione, a Spa Francorchamps, c’era lo stesso pubblico presente al Gran Premio della massima serie nonostante la pioggia battente sia nelle prove quanto in gara Meteo caratteristico nella zona delle Ardenne.

Bozzetto, tallonato da Monteverde (nascosto) alla variante alta di Imola

L’arrivo vittorioso a Imola che assicura a Bozzetto l’assoluto del Challenge Ferrari 1998 davanti al leggendario David Piper

La coppa Ferrari, conquistata da Bozzetto: un trofeo ambito dai piloti di tutto il mondo

Tra amici in pizzeria, a Maranello, a festeggiare la vittoria del Challenge

Ferrari 1998

Da sinistra, Paolo Bozzetto, Elio Nori, Angelo Amadesi, Pietro Brigato e Giulio Borsari (il meccanico più longevo della Ferrari)

A fianco

Il trofeo vinto da Bozzetto per la vittoria a Silverstone

Sotto, da sinistra verso destra

La classifica de “I top della Ferrari”

Dopo alcuni giri con la safety car a causa del pauroso incidente subito da Monteverde, suo diretto avversario per il titolo, Paolo Bozzetto viaggia solitario verso la vittoria

Bozzetto si presentò con una stupenda Ferrari

250 TR del 1958 chiamata Testarossa Sulle

fiancate e sul musone spiccava il numero 46, casualmente lo stesso di Valentino Rossi, suo idolo nella Moto GP.

Alla partenza il bassanese, scattato con ir-

ruenza, tamponò leggermente, fortunatamente senza grosse conseguenze, la Ferrari prototipo 312 del belga Jacky Ickx, pilota ufficiale della Casa di Maranello a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, secondo assoluto nel mondiale del 1969 con la Brabham e sei volte primo nella “24 Ore di Le Mans” Si concentrò, badando a non strafare, dopo due spaventose imbarcate nelle battute iniziali nella famosissima curva “eau rouge” (i piloti della F1 la prendono ad oltre 300 orari) per superare alcuni avversari più lenti. Quando calò la bandierina a scacchi era tredicesimo assoluto, ma primo delle vetture con freni a tamburo

Proprio i freni a tamburo erano la fonte di preoccupazione principale Appena si riscaldavano, e bastavano poche curve, le ganasce perdevano affidabilità, diventando ballerine Quanti spaventi prima delle staccate!

A Dijon, in Francia, le due categorie, freni a disco e freni a tamburo, corsero separate. La gara fu piena di imprevisti e riuscì a imporsi solo alla fine delle due manche perché gli avversari non mollavano un metro nonostante Bozzetto premesse alle loro spalle

Il Challenge si spostò quindi sulla pista di Silverstone, in Inghilterra Paolo riuscì a ca-

Da sinistra verso destra Bozzetto con le titolari della Concessionaria Maserati Ferasin Automobili di Vicenza alla cerimonia di presentazione della vettura iscritta al Campionato Europeo del Tridente Paolo Bozzetto con il figlio Enrico. Assieme avrebbero dovuto disputare il trofeo Maserati, ma Paolo non se la sentì di far correre il figlio che non aveva maturato l’esperienza necessaria per auto così potenti.

varsela egregiamente dopo un pauroso incidente, vincendo la gara e allungando di molto il vantaggio nella classifica delle auto con freni a tamburo e piazzandosi nei primi posti della generale, aperta a tutte le Ferrari da competizione, prototipi compresi Il suo avversario principale, Carlos Monteverde, corse un rischio enorme. La sua Ferrari 250 Testarossa gialla venne tamponata al primo giro dalla Ferrari SWB del francese Jean Claude Bajon, riportando ingenti danni con un principio d’incendio Combattutissima la finale in programma sulla pista di Imola Il fatto di correre in casa probabilmente emozionò Bozzetto e allo start fu scavalcato da Monteverde, più agile nello

scatto. Rischiò l’osso del collo con una staccata al limite dell’aderenza prima della famosa doppia curva della “Acque minerali”. I freni, pur sollecitati, risposero meravigliosamente; il driver bassanese passò in testa al gruppo Rinfrancato, non tirò più indietro il piede, battagliando senza timori, frantumando un record dietro l’altro nelle fasi centrali della competizione

Con la vittoria conquistò matematicamente il titolo assoluto, scavalcando in classifica il più accreditato al successo finale, David Piper, al volante di una Ferrari 330 P2 freni a disco, famoso pilota degli anni Sessanta. Una carriera lunghissima, quella dell’inglese

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La Maserati Cambio Corsa pilotata dal bassanese al Nürburgring (aprile 2003)

A fianco, da sinistra Bozzetto discute con l’ingegnere di macchina sull’eccessivo utilizzo dell’elettronica nelle moderne auto da competizione, che non permette più al pilota di esprimersi liberamente Bozzetto, partito dalla prima fila con il secondo tempo di qualifica, guida il gruppo sul circuito del Lausitzring

Qui sotto, da sinistra verso destra

Luca Chenet, manager dello zio pilota, Paolo Bozzetto e suo figlio Enrico Quest’ultimo appare pensieroso e deluso per la mancata partecipazione - con il padre - alla gara del Nürburgring nel 2003

nato a Edgware, alle porte di Londra, nel 1930, costellata da decine di vittorie tra le quali ben sei edizioni della “9 Ore di Kyalami” in Sudafrica, cinque alla guida di Ferrari e l’ultima con una Porsche. Piper aveva partecipato alle riprese del film “Le Mans” con Steve McQueen. Mentre era alla guida di una Porsche 917 ebbe un grave incidente e perse parte di una gamba. La mutilazione non gli im-

pedì di continuare la carriera agonistica e di aggiungere altri allori al suo immenso palmares. Purtroppo la gioia di Bozzetto per la conquista della corona iridata venne smorzata da un’uscita di strada di Monteverde mentre stava provando la Maserati 450, macchina che corse ad Indianapolis pilotata da Alberto Ascari La vettura uscì rovinosamente alla curva della Tosa, impotente il pilota a correg-

Bozzetto su Maserati Cambio Corsa al Mugello

In basso, da sinistra verso destra Montezemolo si congratula con Bozzetto per la partecipazione al Trofeo Maserati a Monza I due si erano conosciuti nel 1975, quando Renato Sonda aveva contattato l’allora direttore sportivo della Ferrari per sostenere la candidatura del pilota bassanese

In attesa di un ingaggio “ non ancora concretizzato”, Bozzetto posa scherzosamente vicino alla Ferrari di F1 del 2003.

gerne la traiettoria. I soccorritori lo estrassero incosciente dall’abitacolo Gravissimo, fu trasportato d’urgenza all’ospedale, la vita in pericolo Fortunatamente il pilota brasiliano dopo qualche tempo uscì dal coma. Era sulla via della ripresa quando Paolo Bozzetto celebrò il titolo mondiale al museo dell’auto BonfantiVimar di Romano d’Ezzelino. La festa fu organizzata pochi giorni dopo la presentazione della Ferrari di F1 preparata per Michael Schumacher Tra gli ospiti c’erano il responsabile del Challenge Jean Sage, tecnici di Maranello, Pietro Brigato, Danilo e Renato Calmonte, Nino Balestra, Massimo Vallotto e i tanti amici che avevano seguito Paolo Bozzetto nella lunghissima carriera

Nel corso della serata, condotta dal giornalista che lo aveva fatto “salire” sulla Pantera De Tomaso, Giannino Marzotto, due volte vincitore della Mille Miglia, e il campione mondiale rally Miki Biasion, si congratularono con il pilota della mitica Ferrari Testarossa Tra il pubblico anche Elena, sorridente, compagna di mille avventure, il “motore” più importante e potente di Paolo

Mancava solo Renato Sonda. Il cuore lo aveva tradito tre anni prima, sulle scale di casa

Epilogo

Archiviato il titolo, classica ciliegina sulla torta a coronamento di tutte le corse disputate, Bozzetto era convinto di aver chiuso con il mondo dei motori, restando tuttavia nell’ambiente come mentore di Fabrizio Brigato figlio del patron Pietro, proprietario del team. A Misano Adriatico, durante una gara, incontrò casualmente l’amico e coetaneo - capricorno pure lui - Luca Cordero di Montezemolo, allora Ceo di Ferrari e Maserati. Tra una chiacchiera e l’altra, Montezemolo stuzzicò il bassanese proponendogli di partecipare al campionato europeo del “Trofeo Maserati cambio corsa” con la Coupé 4200 cc modenese motorizzata Ferrari.

Si lasciò convincere e abboccò, mai sopita l’antica passione, sempre folle, coraggioso e ribelle nelle scelte

Fu una esperienza che all’inizio lo mise in dif-

ficoltà, penalizzato da tutta quell’elettronica che comandava la Maserati Paolo era un pilota vecchio stampo, abituato a guidare auto senza tanti “aiuti artificiali” I suoi risultati dipendevano dalla bravura al volante e dalla sensibilità di approntare le vetture lavorando su assetti, tarature, scelta di rapporti al cambio e barre antirollio. Niente a che vedere con l’elettronica che sceglie al posto del pilota, lasciando pochissimo spazio all’immaginazione A trarne vantaggio sono le nuove generazioni, abituate sin da giovanissimi a programmare cervello e piede, non i gentleman driver di prezioso conio Per Bozzetto non fu facile adattarsi ed i risultati non furono all’altezza del suo passato agonistico, se non in alcuni casi, come sul circuito del Lausitzring dove, dopo aver supplicato il suo ingegnere di togliere l’elettronica almeno in prova, riuscì ad ottenere il secondo tempo e la prima fila sulla griglia di partenza, o sull’acqua a Magny Cours dove fece il miglior tempo in prova A Silverstone, invece, fu penalizzato in gara dal debimetro.

Risultato soddisfacente ma non appagante al Nurburgring: dopo aver fatto volare e capottare, con una toccatina al posteriore, la Maserati di un avversario-amico riuscì a piazzarsi al settimo posto come a Monza Non andò meglio al debutto nell’autodromo del Montmelò a Barcellona, coinvolto in un incidente spaventoso con la distruzione di tutto l’avantreno, colpito da un concorrente che aveva allungato troppo la frenata All’ultima di campionato finì fuori pista al terzo giro, “matato” da un avversario Malgrado tutto, fu una bella esperienza ritrovare il piacere della sfida e dell’acceleratore a martello.

Senza rimpianti appese definitivamente il casco al fatidico chiodo per dedicarsi ad altri sport meno pericolosi. Salvo rimetterci gambe e braccia con le moto e gli sci Quando la velocità scorre nelle vene niente può frenarla!

Roberto Cristiano Baggio

Dall’alto verso il basso Bozzetto viene premiato, con un modellino in argento di una storica monoposto, da Jean Todt e Piero Lardi Ferrari a Imola, nel 1998, all’Historic Challenge Ferrari Shell

Il bassanese con Jean Todt, allora amministratore delegato della Ferrari (e poi presidente della Fia), durante una pausa delle prove al Trofeo Maserati del 2003, concomitante con il Gran Premio di Monza

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Il giornalista Roberto Cristiano Baggio

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Per onorare la memoria del figlio, Elena e Paolo hanno dato vita nel 2022 al Trofeo Enrico Bozzetto, assegnato annualmente al vincitore della “10 Km” (nell’ambito della Mezza Maratona del Brenta) La prima edizione è stata vinta da Gajewski Matteusz

CIAO ENRICO

Noi ti aspettiamo sempre al traguardo!

sei stato un ragazzo semplice, rispettoso, generoso e sincero Per te questo è la conferma del successo della tua breve vita, per noi l’orgoglio di genitori di averti avuto figlio speciale...

Un passaggio del nostro saluto alla funzione di addio al caro Enrico: un tratto con quattro parole che, con commozione, le persone presenti hanno condiviso con un plauso

L’entusiasmo per la vita brillava nei suoi begli occhi blu fin dai primi giorni quando, sorretto dal papà, sgambettava correndo nell’aria; anche gli occhi di papà brillavano, perché già intuiva l’imprinting del suo talento: sarebbe stato uno sportivo!

Come sono diversi e unici i figli. Filippo, fin da subito, è stato sostenitore e contemplativo, sportivo a modo suo: a tutt’oggi è presente nei campi di atletica, negli stadi, nelle piste, pronto a commentare e incitare con competenza e con simpatia le squadre e gli atleti Enrico era puntiglioso e scrupoloso: già a quattro-sei anni si impegnava in gare di nuoto, nelle piste da sci e, da più grande, nella squadra di pallacanestro; aveva sempre la prossima gara come obiettivo, sia personale sia di squadra e la sfida con se stesso era quella di raggiungere il risultato

Con un panino per pranzo, dopo aver trascorso la mattina a scuola, aspettava il pulmino per Valmaron, per preparare le gare domenicali di Speciale e di Gigante sulle piste delle nostre Dolomiti: a volte sotto la tuta indossava la cintura da sub per pesare di più e avere maggiore aderenza nelle curve veloci, tanto era leggero

In estate, con quella stessa cintura, calava nei fondali marini, con amici e istruttori, per mantenere l’allenamento richiesto dal brevetto

Filippo era frastornato da tanta azione, ma era un grande ammiratore del fratello: la passione per lo sport è nata così, seguendo e imitando le imprese di Enrico e, pur con timidezza, ha praticato sci, nuoto, ippica, kart, hockey, tennis.

Ha partecipato sempre con la gioia del gioco e con lo spirito dello sport, lontano dal voler raggiungere il podio, ma con il piacere di condividere con i compagni le azioni sportive La sua passione continua ora incitando gli atleti e le squadre, documentando le imprese con cronache in diretta, con interviste e con articoli di elogio sulla stampa e per le TV locali Una strana casualità: papà e mamma si sono conosciuti nei campi di atletica, alle gare studentesche delle scuole del Bassanese, per poi ritrovarsi casualmente nei campi da tennis, sulle piste da sci e poi, insieme, negli autodromi Il talento sportivo di Enrico era veramente singolare: in ogni disciplina, intrapresa anche per curiosità, trovava immediatamente sintonia, come fosse la sua prescelta. Ma, anno dopo anno, metteva a fuoco la sua Musa, che lo faceva vibrare.

I risultati raggiunti nello sci promettevano un futuro interessante, ma il lavoro richiesto per mirare ai livelli nazionali mal si conciliava con l’impegno al liceo classico. È stato un amore immediato la frequentazione del campo di atletica di Santa Croce: da subito la partecipazione al GAB ha segnato una svolta. Convinzione, dedizione e perseveranza sono stati i caratteri che lo hanno portato ai tanti risultati raggiunti in quella sua amata specialità Era un atleta stravagante: scrupoloso nell’impegno, testardo nel cercare la forma perfetta, spesso temuto dagli avversari, ma anche imprevedibile, capace di sbagliare il traguardo o cadere in una banalità

Longilineo, alto quasi due metri, sfoggiava con eleganza e naturalezza una falcata straordinaria, che i suoi sostenitori definivano da “cavallo di razza”, capace di stupire e di offrire imprese

Elena e Paolo Bozzetto condividono nella luce del loro sguardo la gioia del progetto di vita Enrico Bozzetto, durante uno dei suoi ultimi allenamenti.

Sci e automobilismo, due sport importanti per Enrico Bozzetto

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Così Il Giornale di Vicenza ha titolato il record nella mezz ’ ora di corsa, stabilito da Enrico Bozzetto il 12 aprile 1995

geniali. Anche nella quotidianità Enrico era speciale: di carattere schivo, era sempre rispettoso del suo interlocutore, aveva una grande timidezza, che spesso mascherava con l’ironia Cercava con impegno di mettere a segno i suoi obiettivi nello studio prima, e nel lavoro poi Appena raggiunti, sembrava che quelle soluzioni non fossero più soddisfacenti, non conseguissero le sue aspettative e così ricominciava

Cercava una vita normale, condizionato dalle pressioni di noi genitori; un continuo ripartire, per lui faticoso, ha comportato una dialettica in famiglia, con momenti di criticità

L’analisi attenta delle sue provocazioni, delle sue affermazioni, delle sue stravaganze, delle sue infinite azioni, filtrata dall’emozione dolorosa della perdita, mette in forte discussione la bontà delle scelte compiute da noi genitori e ci porta a considerare quanto sia difficile questo ruolo

Paolo sognava in Enrico il pilota che lui è stato e, con la forza della persuasione, lo ha portato alla Scuola di Henry Morrogh: ma Enrico, spirito libero, mai convenzionale, pur avendo preso il diploma, scelse di continuare con la sua corsa atletica.

Il tempo ha allentato la sua determinazione, le difficoltà quotidiane hanno allontanato gli obiettivi e annebbiato i sogni di grandi imprese, lasciando varchi di incertezze e di dubbi: in un’altalena continua la voce della sua Musa arrivava, e lui la seguiva per provare quelle emozioni che gli davano la fiducia per continuare, ma poi si ritrovava nella quotidianità. Nell’estate 2021 la Musa, per l’ultima volta, lo ha spinto alla sfida più dura: partecipare alla selezione di atletica organizzata da Allianz,

Compagnia di Assicurazione per la quale il papà aveva lavorato La sua condizione era critica, perché senza allenamento e in sovrappeso Ma una straordinaria abilità lo ha portato in poco più di due mesi a partecipare e a uscire vincitore nelle sue specialità: 1500 e 3000 metri Aveva toccato il cielo, quel sabato di luglio, e già aveva in petto di affrontare l’impegnativo percorso per partecipare alle Olimpiadi di Allianz Mondo, in programma per luglio 2022 a Barcellona

Un atleta giovane, dotato di grande abilità fisica, sempre sostenuto da salute indiscussa, tale da sembrarne il ritratto perfetto, stroncato improvvisamente nel sonno: è difficile accettare che la morte arrivi senza lasciare una traccia! Di fatto lamentava stanchezza, fatica e bisogno di riposare nei suoi ultimi venti giorni di vita: una variabile era intervenuta, aveva fatto due dosi di vaccino per poter lavorare Le sue lamentele suonavano come una scusa e non sono state considerate da noi: il cuore, motore delle sue imprese, lo ha abbandonato, si è fermato all’improvviso e la scienza, o meglio la medicina, non ha saputo trovare un motivo Noi siamo ancora ad aspettarlo al traguardo, con le lacrime nel cuore, convinti che non ci deluderà: abbiamo voluto perpetuare le sue imprese dedicandogli il trofeo della 10 Km, gara inserita nella Mezza Maratona del Brenta: la sua Musa, ora scolpita nel legno di cirmolo dall’artista trentino e amico Sandro Scalet, lo traguarda nell’infinito, testimonia la volontà e la bellezza che Enrico amava e continuerà a regalare ogni anno al vincitore le emozioni pure che uniscono gli atleti

Elena Alberton Bozzetto

Sopra, dall’alto verso il basso Enrico con l’amico campione Miki Biasion e con i colleghi selezionati per le Olimpiadi di Allianz Mondo a Barcellona

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Filippo Bozzetto, fratello di Enrico, durante un’intervista alla sciatrice Mikaela Shiffrin

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