Il Fatto n. 063

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recensioni

giovedì 24 giugno 2010

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Il SegnaLibro. Cecità Invia un sms sull’articolo al 3471136778 inserendo il codice 2093

“Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che non erano partite tutte quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev’esserci un problema meccanico, l’acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o un’avaria nell’impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta. Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vede il conducente dell’automobile immobilizzata sbracciarsi dietro il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere l’automobile in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano furiosamente sui finestrini chiusi, l’uomo che sta dentro volta la testa verso di loro, da un lato, dall’altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così, come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno sportello. Sono cieco.” José Saramago, Cecità, trad. italiana di Rita Desti Einaudi, 1996, pp. 316. Improvvisamente, da qualche parte sulla Terra, una città senza nome si sveglia con gli occhi coperti da un velo di luce bianca, abbagliata da una strana epidemia che si diffonde rapida e a macchia d’olio. Tutti, uno dopo l’altro, i suoi anonimi e impersonali abitanti si scoprono ciechi: il medico, l’automobilista, le donne, le mogli, i figli, gli anziani, i meno giovani. Il vecchio con la benda, il ragazzino strabico, la ragazza dagli occhiali scuri. I politici e i soldati. Il paese intero.” È come essere immersi in un mare di latte ad occhi aperti”, dirà uno dei ciechi. Tutti colpiti tranne la moglie del medico. Per arginare l’epidemia, il governo decide di isolare i ciechi in diversi edifici: strutture semiabbandonate, manicomi ed ex manicomi. I nuovi gruppi “sociali” esistono

senza essere, percepiscono senza vedere e sopravvivono dandosi la caccia gli uni con gli altri: perché, anche al buio, homo homini lupus. Violenze, abusi e stupri si consumano all’interno degli edifici dove, svanita ogni regola di vita sociale, il caos e l’anarchia s’impongono brutalmente, rendendo vana ogni possibilità di inventare forme nuove di organizzazione e di condivisione. La banalità del male sgorga da un istinto animalesco verso la sopravvivenza, che si traduce in ricerca affannosa di cibo e prevaricazione autoritaria dei più forti sui più deboli, dei malvagi sui buoni. “Se non siamo capaci di vivere globalmente come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali.” – è il grido accorato di chi coltiva ancora una speranza. La

nuova gerarchia sociale, dalla parte dei buoni, si regge sugli sforzi organizzativi della moglie del medico, l’unica a non essere vittima del contagio e testimone dell’orrore infernale che si consuma. Ma proprio quando la patologia sociale è sul punto di trovare un equilibrio riparatore, la luce bianca lattiginosa scompare e i colori tornano a sfumare la realtà. Torna la vista, d’improvviso, così come era comparso il bianco accecante. Eppure il buio della malvagità ha oscurato l’anima degli uomini, divorati dall’indifferenza e dall’egoismo, dal potere e dalla sopraffazione. Saramago disegna la metafora universale di un’umanità bestiale e feroce, artefice di abbrutimento, violenza e degradazione decostruendo la punteggiatura, assottigliando la sintassi, scarnificando il

linguaggio. Un romanzo da leggere per non restare ciechi. “Uno degli ultimi Titani in via d’estinzione” – come lo definì Harold Bloom – ci ha lasciati qualche giorno fa. Si è spento un grande maestro di scrittura, un esempio di integrità e coerenza, qualità da tempo ormai a rischio scomparsa. José Saramago (Azinhaga, 16 novembre 1922 – Tías, 18 giugno) è stato uno scrittore, poeta e critico letterario portoghese, premio Nobel per la letteratura nel 1998. Online, all’indirizzo http://quadernodisaramago.wordpress.com/ la versione italiana autorizzata del suo blog O Caderno De Saramago. A cura di Angela Teatino

MovieNote. La nostra vita. Invia un sms sull’articolo al 3471136778 inserendo il codice 2094

“Perché col tempo cambia tutto lo sai, cambiano anche noi”. Claudio (Elio Germano)

Nella penombra della periferia romana si agitano le vite di Claudio (Elio Germano) ed Elena (Isabella Ragonese), forse non ancora trentenni, genitori di due bambini e in attesa del terzo. Due ragazzi innamorati che cercano ogni momento per amarsi lontano dagli occhi curiosi e un po’ indiscreti dei due figli piccoli. Distesi sul loro letto cantano “Anima Fragile” di Vasco Rossi

come due adolescenti, sembrano non aver perso l’incanto e l’ardore della giovinezza. Il tempo libero lo trascorrono al centro commerciale e al mare: sono una famiglia semplice e felice. Vivono con un solo stipendio, quello di Claudio, operaio edile, ma sognano la Sardegna come vacanza, e Claudio dice che ce la faranno, che troveranno il modo per andarci e quando lo dice ha negli occhi la luce della speranza, della sicurezza di farcela. Ma il fato interviene. Elena muore mentre da’ alla luce Vasco. Il mondo di Claudio si sgretola. Cerca di reagire, a modo suo. Vuole colmare l’abisso generatosi dalla scomparsa di Elena con beni materiali, vuole che i figli abbiano tutto ciò che desiderano. Decide di mettersi in proprio, di prendere in subappalto dal suo datore di lavoro, il corrotto Porcari (Giorgio Colangeli), la gestione di un cantiere. Entra in un giro di immoralità e malaffare. Tra lavoro nero e morti bianche, si ritrova in situazioni difficili da gestire data la sua poca esperienza. Ma Claudio non molla. Debiti e minacce non lo abbattono. Il mondo che lo circonda è alle prese con la precarietà lavorativa e sentimentale, ma il vicino

di casa, il pusher Ari (un quasi irriconoscibile Luca Zingaretti), sua moglie Celeste, il fratello Piero (Raul Bova), un bel single quarantenne, timido e imbranato con le donne, la sorella Liliana (Stefania Montorsi), materna e protettiva, lo aiutano come possono. Unico film italiano in concorso al Festival di Cannes 2010, una pellicola che ha permesso ad Elio Germano di vincere la Palma d’Oro come miglior attore protagonista, consacrandolo fra le stelle del nuovo cinema internazionale. Il film respira di vita vera. Il personaggio di Claudio sembra incarnare quell’inconscia voglia di farcela nonostante le difficoltà di tanti trentenni italiani di oggi, costretti ad affrontare un mondo che sembra non avere abbastanza spazio per loro, lacerati tra il ricorrere all’illecito pur di andare avanti o restare ancorati a quegli ideali di lealtà e amore ai quali, forse, sono stati educati. Una storia drammatica, ma venata di speranza. Penetrante il canto di Germano al funerale della compagna scomparsa. L’urlo di una giovinezza che non vuole arrendersi al disintegrarsi dei sogni di adolescente resta incisa nella carne.

Scheda del Film La Nostra Vita (2010) Un film di Daniele Lucchetti Genere Drammatico Produzione Italia / Francia Distribuzione 01 Distribution Durata 95 minuti circa Daniele Lucchetti, nato a Roma il 25 Luglio 1960, è regista, sceneggiatore e attore. Comincia la sua carriera come assistente alla regia in molte produzioni minori, straniere o per la televisione. Durante la scuola di cinema conosce Nanni Moretti, diventa suo assistente nel film “Bianca”, e aiuto regista in “La Messa è Finita”. Nel 1998 la Sacher Film di Nanni Moretti produce il suo primo film “Domani Accadrà”, con il quale si aggiudica il David di Donatello come miglior film esordiente. Nel 2007 fa incetta di David e Nastri d’Argento con “Mio Fratello è Figlio Unico”, con il quale partecipa al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard. Lucchetti è anche regista di molti spot pubblicitari. A cura di Alessandra Recchia


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