Monografia Stupor Mundi (Federico II)

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monografia mimmo deff (Laura 8-10-12)_gabbiarte 28/11/12 11.52 Pagina 7

Un’arte che si nutre di memorie

E’

un invito la pittura di Paladino, un invito a lasciare

l’esperienza ordinaria del quotidiano per immergersi, in silenzio, in luoghi emozionali dove informale e formale, storia e natura, mito e modernità, evocazione di un’antichità lontana e frammenti del presente, si fondono in un flusso libero di immagini potenti e coinvolgenti, opere che posseggono il fascino estetico del frammento ma sono capaci di alludere a forme universali che ci appartengono, che invitano a recuperare quella capacità di osservazione che rende disponibili e attenti a cogliere l’affascinante equilibrio dei contrasti di questo originale linguaggio visivo. «Ciò che più mi interessa – afferma l’artista – è l’assoluta libertà di lettura attraverso il dato fantastico che propongo: così il casuale stratificarsi di tutte le possibilità di decifrazione, che contemporaneamente danno scacco alla schematicità intellettualistica, generano uno stato di duplicità di riflesso, e quindi di ambiguità, che credo sia una costante di tutto il mio lavoro» (1). L’arte di Paladino non è narrativa ma simbolicamente evocativa: molteplici segni e forme figurative e astratte, ora descrittive, ora indecifrabili, vocaboli intercambiabili di un lessico pittorico unico, e quindi inconfondibile, convergono sulla superficie articolata del dipinto originando insiemi significativi che rendono la sua opera immediatamente riconoscibile. Dopo l’iniziale esordio nell’ambito dell’arte concettuale, che aveva monopolizzato per alcuni anni il panorama artistico internazionale, e dopo la realizzazione alla metà degli anni Settanta di fotografie contaminate dall’irruzione della scrittura, Mimmo Paladino rivendica il piacere della figurazione e nel 1977 appare un’opera che annuncia tutta la produzione successiva: Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro. Il dipinto è un punto di svolta nella sua opera e segna la fuga dal dogmatismo intellettualistico e dai rigorismi del concettuale, indicando all’artista la strada di un “ritorno” alla forma del quadro, alla pittura e alle sue infinite possibilità espressive. Questa nuova fase, ascrivibile alla corrente denominata Transavanguardia, teorizzata e definita criticamente da Achille Bonito Oliva, è caratterizzata da un nomadismo stilistico e dal recupero di miti, simboli e memorie silenti e ancestrali, che non denunciano regressione o anacronismo ma rivendicano una libertà eclettica, la volontà di lavorare sul tempo e sul recupero di un passato, anche molto lontano, che appartiene alla storia della nostra cultura figurativa. Un recupero per nulla rassicurante o addomesticato, anzi notevolmente sperimentale, inquietante, eccessivo e a tratti anche audace. I cinque autori prediletti da Bonito Oliva, Enzo Cucchi, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Francesco Clemente e Nicola De Maria, sono artisti che, come afferma il critico, operano nel campo della Transavanguardia inteso come attraversamento della nozione di avanguardia senza alcuna preclusione, adottando rimandi stilistici, formali, iconografici, narrativi, in tutte le direzioni.

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