GOOD LIFE. Food is art

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Mc Donald’s Splendere ancora

S

iamo tutti cresciuti con il McDonald’s. Nella stragrande parte del mondo c’è l’ammirazione totale per la multinazionale americana, in Italia ci sono state e continuano ad essere alcune ridicole resistenze ideologiche, ma tant’è, il mondo va avanti nonostante le loro isterie militanti. Un colosso, un punto di riferimento per il capitalismo e per il Made in Usa. Certo, ci sono ristoranti migliori, ci mancherebbe, ma nessuno nella storia è riuscito a creare un tale mito e ancor meno di diventare un luogo di aggregazione, giovanile e non. Qualcuno storcerà il naso, pensando che probabilmente non dovremmo occuparci di loro, vista l’impostazione della rivista, piena di chef stellati e ristoranti sognanti. McDonald’s però non è un fast food qualsiasi, non è junk food: è un mondo, una filosofia vincente. E’ la storia. Del capitalismo e della ristorazione. Non a caso di recente se ne è occupato anche il Financial Times. L’articolo di Anna Nicolau è straordinario. In breve: il nuovo amministratore delegato, Steve Eastbrook, è riuscito a riportare da McDonald’s gran parte della clientela che, a partire dal 2012, aveva iniziato di abbandonare la catena. Ft parla di mezzo miliardo di persone in meno: numeri impressionanti. Già immaginiamo i caroselli dei salutisti invasati, che si pregustavano la sconfitta e la sparizione del colosso degli hamburger. E invece no: con una strategia semplice, il nuovo Ceo ha riportato la gente alla base. Come? Riproponendo quello che la catena ha sempre fatto meglio. Per cui addio tentativi di accontentare “gli altri”, addio insalate tristi, si torna al core business, ovvero carne, carne e ancora carne. Addio hipster pallidi, addio gente urticante che vuole centrifugati senza gusto e insalate di quinoa, si torna ai pasti popolari e gustosi, ai prezzi bassi.”Reinvent McDonald’s as a modern, progressive burger company”, il suo mantra. Ha tutte le ragioni del mondo, anche perché, scrive Nicolau, i clienti disinnamorati non tradivano per andare a mangiare veg, ma si spostavano da Burger King o da Wendy’s. Non da Chipotle Mexican Grill, una specie di fast casual che ti fa pagare di più con la scusa di mangiare più sano: no, anche se c’erano dei timori per una fuga del genere. Semplicemente la gente voleva ancora il fast food, ma non quello proposto da McDonald’s: non si riconoscevano più in

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un menù assai folcloristico e ancor meno apprezzava i nuovi prezzi. Si torna dunque a splendere, negli ultimi mesi le azioni della compagnia hanno aumentato il proprio valore del 70 per cento, le previsioni parlano di altri rialzi. Il piano di Eastbrook prevede un investimento di 1,1 miliardi di dollari per modernizzare migliaia di ristoranti sul territorio statunitense. In Francia e Germania almeno un terzo dei locali è stato rinnovato: altri paesi seguiranno. Il mondo ha bisogno di un McDonald’s forte e potente, scintillante e vincente. E’ cool, chic e soprattutto un’arma potente contro l’avanzamento malato del mondo veg e affini. Che hanno dalla loro l’intera stampa progressista, qualsiasi cosa volesse dire la parola progressista.

McDonald’s però non è un fast food qualsiasi, non è junk food: è un mondo, una filosofia vincente. E’ la storia. Del capitalismo e della ristorazione.


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