GOOD LIFE

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Marco Pierre White Il libro dei libri

C

amilla Baresani sostiene che solo scrivendo un libro hai la possibilità di dire quello che pensi. Tradotto, sui giornali non si può: il direttore non vuole grane, scatta l’autocensura, impera la dittatura del politically correct e mille altri impedimenti più o meno assurdi. La stampa muore per colpe solo sue. Poi certo, uno deve anche la personalità e il coraggio di esporsi, qualità che a Marco Pierre White, il più giovane chef ad aver conquistato tre stelle Michelin non manca. Il suo ultimo libro, “La vita dannata di uno chef stellato”. Frasi cult, concetti chiari, alcun giro di parole. Sarebbe bello un mondo pieno di gente come lui. Qualche estratto. “Essere autodidatta è una macchia impossibile da lavare per uno chef che voglia far parte dell’elite. Nel mondo reale è un po’ come dare a uno del bastardo”. “Alcuni trovavano curioso che avessi vinto tre stelle Michelin senza aver mai messo piede sul suolo francese. I giornalisti venivano a intervistarmi e mi chiedevano di parlare del miglior pasto che avessi consumato in un ristorante d’Oltremanica. “Non so che dirvi”, rispondevo. “Non sono mai stato in Francia”. Mi limitavo a dire: “Beh, che ci volete fare? Sarà la prova che non occorre andare in Francia per vincere tre stelle Michelin”. Ah, facevano loro, e passavano alla domanda successiva”. “Riflettei sul fatto che avevo passato la mia intera carriera a farmi giudicare da persone che ne sapevano meno di me, che fossero ispettori o critici gastronomici. C’erano altre ragioni per cui avevo deciso di appendere il grembiule al chiodo. Il continuo processo di rielaborazione dei piatti, della ricerca della perfezione, mi aveva esaurito. Non volevo spingermi oltre. Le tre stelle non bastano a garantire un pò di tranquillità, perchè bisogna migliorarsi costantemente. La gente ti considera uno chef affermato e le sue aspettative diventano sempre più alte. Si tratta di spingersi oltre i

Un ristorante stellato deve rendere onore alla sua fama, altrimenti é inutile che resti aperto No 44

limiti. Purtroppo, però, non c’è mai fine a un processo del genere”. “Perché mai, vi chiederete, questi poveri giovanotti continuavano a lavorare per un despota violento come me? Buona domanda. E molti non solo continuarono a lavorare come me, ma rimasero per anni, fino al giorno in cui mi ritirai, nel 1999. Il fatto é che le sgridate non erano cose personali. Servivano a creare un breve-a volte non tanto breve- attimo di shock. Una mia scenata fungeva da sveglia. Era la tazzina di espresso di cui avevamo bisogno. Nel bel mezzo del servizio non avevo tempo di dire: “Arnold, scusa, ti spiacerebbe accelerare, per favore?”. Non potevo distrarmi e astrarmi dai miei doveri per dire educatamente: “Gordon, quando ritieni che sarà pronta quella faraona, amico?”. Il messaggio doveva arrivare forte e chiaro. Tutti lo capivano” “Al fine di realizzare il mio sogno credevo di aver bisogno di una brigata dalla disciplina militaresca e, come avevo imparato al Gavroche, la disciplina era figlia della paura. Quando hai paura, ti fai delle domande. Se non hai paura di qualcosa non ti interroghi alla stessa maniera. E se hai paura in cucina, non prendi scorciatoie. Se non temi il tuo capo prenderai delle scorciatoie, ti presenterai in ritardo. La mia brigata doveva soffrire, spingersi oltre i limiti- solo così avrebbe scoperto fin dove poteva spingersi. Io li costringevo a prendere delle decisioni. Se se ne andavano, tanto meglio: avevano deciso che una cucina stellata non era cosa per loro”. “Un ristorante stellato deve rendere onore alla sua fama, altrimenti é inutile che resti aperto. Quante volte siete usciti a cena e vi è capitato di mangiare un ottimo antipasto e un ottimo dolce, ma una portata principale così così? Non posso permettermi di mostrare alcuna debolezza. Qualunque essa sia, dal pane all’amuse bouche, dall’antipasto al piatto di pesce, dalla portata principale al dessert, dal caffè ai petit fours, dai cioccolatini al formaggio, tutto deve essere di suprema qualità. Costantemente”.


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