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Gennaio 2016

colare nello spettacolo teatrale il Leccese, parla di addizioni e di sottrazioni di vocali dell’attore, cioè di estendere e di amputare parti di un testo teatrale oltre che fare distinzione tra azione e atto, e distinguere il tempo tra chronos e aion (vedasi il suo Lorenzaccio); direi differenziare il tempo che fu e il tempo che è. Tanto che è stata giudicata “stravaganza” la sua mancata apparizione sulla scena e in ciò l’attore realizzava “la somma fra l’invisibile e l’inaudito” (Piergiorgio Giacchè), una maniera questa dell’ annullamento fisico che poteva intendersi come forma mistica da cui scaturisce l’opera Sono apparso alla Madonna. Tralascio gli aspetti filosofici che ci porterebbero lontano. Giuseppe Leone mette in relazione, per necessità argomentativa, la civiltà della scrittura e la civiltà della voce. Si tenga presente la funzione del teatro nell’antichità, essa “aveva il compito di consolidare valori tradizionali condivisi, il teatro dei popoli democratici – sostiene Toqueville – è il genere più adatto a introdurre innovazioni sociali e politiche.” (pag. 19, D’Intino). A parere di Leopardi e di Bene, la poesia e il teatro vengono uccisi dall’ intellettualismo introdotto tanto nella scrittura, quanto nel teatro, a cominciare da Platone “responsabile della morte del sonoro”; mentre i nostri due Autori sono contro la storia, e “a favore della voce contro il ‘morto orale’ dello scritto”. In entrambi gli artisti l’accento è posto sul pensiero della sonorità e dell’udibile. Leopardi ha ambito a sperimentare rappresentazioni teatrali, ma era inviso al padrone austriaco e pertanto non ne fu autorizzato, perciò il suo interesse si accresce nella ricerca della scrittura sonora e musicale che produca gli effetti desiderati. Credo che Bene abbia potuto realizzare quanto al primo sia stato negato; egli pone l’ accento sull’articolazione, sulla modulazione della voce, in prolungamenti o in accorciamenti; intendiamo la voce come “una sonorità immateriale, una musica in cui, come da una profondità immemorabile, ferve l’ essenza del mondo.” (pag. 31, Umberto Artioli). Ragionare intorno all’argomento non è cosa

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da poco, si rischia di girarci intorno, tranne che per gli addetti ai lavori. Si tenga presente del tipo di comunicazione nel teatro, che richiede un pubblico avvezzo al tipo di linguaggio; i frequentatori erano la maggior parte della popolazione. La tradizione orale è riconducibile a diversi fattori, uno è quello della mancata conoscenza della scrittura, così pure del linguaggio inteso nella sua complessità (voci, gesti, codici espressivi); man mano è diminuito il pubblico degli spettatori. Si pensi ai pupari siciliani e ai cantastorie di alcuni decenni fa per le strade del Sud paragonabili, per pubblico, al teatro antico. Giuseppe Leone rileva i molti parallelismi fra i due. In quanto ai nomi di battesimo all’ anagrafe: Giacomo Leopardi figlio di un conte, ne aveva sei (Recanati 1798 – Napoli 1837); Carmelo Bene figlio di un produttore di tabacco, ne aveva quattro nomi (Campi Salentina, Lecce, 1937 - Roma, 2002). Entrambi hanno avuto salute malferma; un’infanzia non goduta; costretti nel segno dell’educazione cristiana, avevano servito messa. I genitori di entrambi si rifiutavano di riconoscere nel proprio figlio la genialità. I genitori di Giacomo l’avrebbero voluto avviare alla carriera ecclesiastica, tanto che all’età di dodici anni il Poeta vestiva l’abito di abatino e aveva ricevuto la tonsura; essi vietavano ai figli di parlare con il fratello. Carmelo a 22 anni, già attore di teatro, viene fatto internare dal padre, come matto in manicomio, per avere sposato una donna più anziana di lui di sei anni (101); egli in Sono apparso alla Madonna racconta della sua esperienza di chierichetto. Entrambi sono grandi intellettuali. “Con loro si può dire che L’Italia abbia recuperato prestigio e reputazione, risollevandosi dallo stato di decadenza culturale in cui era caduta.”, di ciò non hanno dubbi Oreste Del Buono, Goffredo Fofi. I critici si erano interessati del Leopardi letterario mettendone in ombra il profilo filosofico, fatto emergere invece, per es., da De Sanctis e da Luporini; ma soprattutto è Emanuele Severino che sostiene che la filosofia d’Occidente è debitrice a Leopardi.


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