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Di emigranti, nomadi, estranei Of Immigrants, Outsiders and Outcasts di SAVERIO M. PAGLIUSO
utta la vita è una ricerca di Casa. sperato di terrore, di dolore, di solitudiTutta la vita una bramosia di Casa. ne, di abbandono, di ira infernale; urla Tutti i viaggi sono in qualche modo viag- l’incubo, l’orrore che è la sua esistenza, gi verso Casa. Quando nasce un bambi- l’urlo che è l’esistenza. È un alieno nel no quelli che lo aspettano sospirano dol- mondo. Sa di non poter mai ritornare a ci parole, dicono che è stato “dato alla lu- Casa sua. Tutta la vita avvertirà questo tormence”, ma per il nascituro la nascita è il massimo dei traumi – paragonabile solo to, ramingo in ogni terra, estraneo in ogni luogo, stressato fino ai limiti delle alla morte. Il suo soggiorno nel mondo comincia sue capacità. Vivrà una vita affannata, con l’essere tagliato fuori dalla Matrice, agitata, frenetica, sempre in cerca di quelsfrattato con violenza da Casa sua e “but- lo che non c’è, perseguitato da una scontato nel mondo” – un mondo freddo, finata inquietudine, un vuoto che non sconosciuto, estraneo, pieno di predatori. potrà mai colmare, un’ansia senza fine, Era una cosa sola con la Matrice, era par- sottile, tagliente, indefinibile come la Fate di Lei, non era a sé stante. Ora e-siste, me – la lupa di Dante – la bestia senza ex-siste, ora c’è! E sente l’immane peso pace che dopo il pasto ha più fame di pridell’esistenza, l’immane costo! L’esistenza ma. Sente di essere un frammento di non è gratuita. Esistere significa essere se- qualcosa che non più gli appartiene. Si sente perso in queparato, a sé stante, sta selva oscura che solo, e l’esistenza è l’universo. Come ha bisogno di essecanta una vecchia re sostenuta. Il canzone, si sente bambino deve socome un bimbo stenersi o morire. Il senza mamma, lonprimo passo: il Retano, lontano da spiro. Casa (Sometimes I Dunque, Respifeel like a motherless ra e Urla! È un urlo child. A long, long che annuncia la sua way from home). Il presenza, un urlo Cammino dell’Uoprimordiale, indifmo: una disperata ferenziato, indefi- Toronto – Saverio M. Pagliuso e un suo compagno ricerca di Casa, nibile, un urlo didi lavoro costruiscono un muro ciclopico
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orizzonte che più si avvicina più si allontana. Tutti i saggi hanno riconosciuto, ognuno a modo suo, questa immane, disgregante sofferenza come l’incubo nel cuore della Condizione Umana – quella che si osava chiamare “Natura Umana” – e, ognuno a modo suo e secondo le proprie tradizioni, ha dato nome allo Scopo della nostra disperata ricerca. L’hanno chiamata “felicità”, “eden”, “satori”, “eudaimonia”, “atarassia”, “bodhi”, “stato di grazia”, “nirvana”, “paradiso” e altri nomi. Qualunque sia l’appello è una ricerca di Casa: rifugio, sicurezza, protezione, stabilità, comprensione, solidarietà, fedeltà, unione, amore. Quando sei a Casa avverti la sicurezza che ti permette di denudarti, che ti rende libero di essere te stesso, senti la calma e la certezza che viene col sentirti compreso – comprensione che vince la solitudine – trovi fedeltà, trovi amore che ti dona perfino la tua prima identità, poiché sei nessuno fino a quando non sei amato da qualcuno, sei nessuno fino a quando qualcuno non ti dà valore e crede in te. Sì, solo l’amore ha il potere di dare Senso alla vita. La più grande esigenza degli umani: amare ed essere amati. A Casa trovi quella solidarietà, quell’unione che trascende il senso di essere solo un frammento, un atomo disperso nell’universo, che colma il Vuoto e ti dà quel senso di pace, di pienezza, di ben-essere che brami, e ti senti sazio, finalmente sazio, soddisfatto, come un bimbo nel grembo di sua madre. Ti senti “sano e salvo” qualunque cosa accada – persino la morte – come un bambino nelle braccia di sua madre. Sei una cosa sola con la Matrice – che i mistici chiamano Dio. Sei a Casa: la Condizione Umana è superata. Tutti i viaggi sono viaggi verso Casa anche quando ti portano lontano da casa.
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La Seconda Guerra Mondiale ha lasciato l’Europa distrutta, cinquanta milioni di morti, intere città rase al suolo, dappertutto povertà e disperazione. Si aprirono le porte verso le Americhe e così cominciò un altro esodo, la marcia di una nuova generazione di nomadi verso l’altra sponda dell’Atlantico. Erano viaggi incerti, colmi di paura e di speranza. Non posso non ammirare l’enorme coraggio della generazione di mio padre, di tutti coloro che si avviarono verso l’ignoto. Forse era il coraggio che solo una crisi devastante, fame e disperazione, possono dare alla luce. La maggior parte erano uomini nel mezzo del cammin della propria vita, soli, avendo lasciato indietro la famiglia, provenienti dal Sud Italia, quasi analfabeti che parlavano poco o niente l’italiano, provenienti da zone rurali, piccoli paesi ancora nell’era pre-industriale con politica arcaica, feudale (io ricordo l’ultima generazione dei “Patruni”, baroni di potere politico ed economico basato sul possesso dei terreni, secondo il modello dei feudatari medievali). Gli emigranti si avviavano verso un mondo completamente diverso, dinanzi al quale erano completamente impreparati. Arrivavano nelle moderne città industriali senza nessuna accoglienza, soli, senza casa, senza soldi, senza lavoro, senza esperienza nei lavori offerti dalla società industrializzata. Erano come bambini che non sapevano neanche parlare. Solitamente, dopo un po’ di anni, l’emigrante “chiamava” la famiglia. Così fece anche mio padre nei primi anni Cinquanta, quando ci “chiamò” e la nostra famiglia si trasferì da Malito, in provincia di Cosenza, a Windsor, nella regione dell’Ontario, in Canada. La cosa più importante per gli emigranti era comprare una casa. Ricordo ancora quella vecchia can-
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zone “Casetta in Canadà… luogo di felicità”. La casa si cercava sempre vicino alla chiesa italiana e là intorno si formavano le comunità italo-canadesi, in cui il prete era il punto di riferimento più importante. La chiesa e la comunità davano a noi immigrati un senso di sicurezza che non avevamo nella società allargata. Durante la guerra l’Italia era stata nemica e, mentre lo stato canadese ufficialmente permetteva l’emigrazione, nel tutto non eravamo ben visti. C’era molto più lavoro in Canada che in Italia, ma, naturalmente, erano lavori umili, mal pagati e, spesso, era lavoro saltuario. Fortunati coloro che lavoravano in fabbriche. Non conoscendo la lingua e non avendo esperienze lavorative non potevano fare altro in un mondo industrializzato. Io, per esempio, ho fatto quasi quaranta tipi di lavoro, cominciando a dodici anni come pinboy nei bowling, ho lavorato in campagna zappando, raccogliendo frutta, pomodori, tabacco e altre cose. Ho venduto una varietà di prodotti porta a porta, ho lavorato nelle viscere della terra in una miniera d’oro, ho lavorato in fabbriche, ho lavato automobili, lavato piatti e bagni in ristoranti, ho lavorato in mercati, ho fatto il muratore, ho lavorato nelle miniere di sale. Noi ragazzi lavoravamo di sera, di sabato e poi durante tutta l’estate per aiutare la famiglia e poter continuare a studiare. Nella metà degli anni Sessanta, dopo la laurea, lasciai la cittadina di Windsor e mi spostai a Toronto per continuare i miei studi: il Master all’Università di Toronto, il Ph.D. in Filosofia all’Università di Waterloo e la Scuola di Psicoterapia. In quegli anni ero molto impegnato nella formazione: insegnavo all’Università di York e, da filosofo e psicoterapeuta, mi accingevo a ricondurre il mondo della psiche alla dimensione esistenziale, alla
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sua matrice originaria, la filosofia, nel contesto educativo e non più clinico, come proposto da Socrate e Platone nel loro approccio maieutico. Così nel 1971, presso l’Università di York a Toronto, iniziai a praticare la filosofia maieutica, oggi definita “consulenza filosofica” , che ebbe inizio in Europa nel 1981 con il filosofo Gerd Achenbach. Per queste ragioni non mi interessai molto alla comunità italiana, ma le cose cambiarono drasticamente durante gli anni Settanta, quando, avendo preso coscienza delle gravi problematiche dei miei connazionali, decisi di riavvicinarmi. Toronto, la città più grande del Canada, contava già in quei tempi circa mezzo milione di emigranti italiani. Era stata un’invasione più che un’emigrazione. La comunità era più popolata di molte città d’Italia, tanto da creare una nuova lingua: l’ “Italiese”. Sentivo una signora dire ai suoi bambini: “Guacciativi quannu crossati u strittu ca ve pigliano i carri” (Guardatevi, fate attenzione, quando attraversate la strada – u strittu – perché vi investono le auto. Traduzione “italiese” di: Watch out when you cross the street that the cars will run you down). Le parole inglesi venivano italianizzate a secondo del dialetto d’origine. Gli emigranti avevano lasciato la propria terra con una sola intenzione: migliorare la loro situazione economica e nient’altro. Era una questione di soldi e soltanto di soldi. Non potevano sapere che si trattava di una migrazione dal Medioevo al mondo Moderno, dall’Era Agraria all’Era Industriale, da un’etica e da una politica feudale ad una società aliena, tanto diversa da non poter essere compresa. Paradossalmente le origini di questo strano mondo risalgono a Cosenza. Francis Bacon, uno dei padri fondatori del
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mondo moderno, dichiara Bernardino Telesio “il primo degli uomini moderni” o come preferisco tradurre “il primo della nuova stirpe di uomini”. L’Era Moderna, Industriale, ha una nuova concezione del mondo, una nuova concezione dell’Uomo e del suo posto nel cosmo. Dall’inizio, cinquecento anni fa, si vede un nuovo modo di affrontare i problemi della nostra esistenza, dai grandi interrogativi della vita alle cose di tutti i giorni. Telesio e Bacone avevano affermato che la funzione della scienza, che include la tecnologia, non è soltanto di conoscere il mondo ma di prenderne dominio. Per l’uomo medievale il mondo apparteneva a Dio non all’uomo: noi siamo di “passaggio” sulla terra. Mentre la nuova Era evolve, diventa sempre più chiaro che il nuovo Uomo prende possesso del mondo e ne conquista il centro, mentre Dio viene esiliato nelle periferie. Col tempo, poi, arriva Nietzsche che annuncia: “Dio è morto”. La questione non è se Dio esiste oppure no, si riferisce piuttosto al fatto che Dio è sparito dal nostro mondo, dalla nostra vita. La Scienza è diventata la nuova fonte di Verità: non più la religione e la chiesa, non la fede e la preghiera, ma la nostra industria e la nostra tecnologia sono la fonte del nostro benessere. Una volta si lavorava per vivere, ora si vive per lavorare e, mentre il vecchio Dio si spegne, emerge un nuovo Dio: il Dio denaro. Quando l’Era Industriale raggiunge la sua perfezione, cioè è completa, finita, il lavoro viene svolto dalle macchine e l’Uomo, che con la sua industria ha preso possesso del mondo, subisce una nuova metamorfosi: emerge l’Uomo Consumatore (di nuovo appare la “lupa” di Dante). Gli emigranti non erano coscienti di questo processo, ma la dolorosa, devastante, metamorfosi era avviata e penetra-
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va tutti gli strati della vita, nonostante il notevole miglioramento della situazione economica. Gli italiani, infatti, erano grandi lavoratori, cosa riconosciuta da tutti. La prosperità era evidente e meritata ma erano lontani dal trovare quel senso di Casa. Nella società moderna industriale, la famiglia allargata – con nonni, zii, nipoti, etc. – si riduce alla famiglia nucleare, cioè alla coppia e ai figli, che, a sua volta, si riduce alla sola coppia, poiché i figli iniziano a lavorare a diciotto anni e vanno via di casa. In seguito, la coppia non mette più al mondo figli, perché sono una grande responsabilità, per non dire una grande spesa. Inoltre, i vecchi non hanno più bisogno di essere mantenuti dai figli, perché hanno la loro pensione. Successivamente la coppia scoppia: tutte e due lavorano, sono indipendenti, sanno che c’è il 50% di chance che si separeranno e, dunque, si sposano con la separazione dei beni. Discutevo con una giovane donna: Quest’uomo lo porti a letto ma i soldi sono troppo intimi per condividerli?! Qui finisce la Famiglia, la famiglia che per l’emigrante era Casa. Finisce anche l’epoca del “Padre-padrone”, che esigeva rispetto e obbedienza. Irriconoscibile è la donna indipendente, che lavora e guadagna – non più sottomessa a suo marito. Mi diceva un uomo, un “vecchio di mezza età”: Sono diventato il somaro della famiglia, sono buono solo per portare soldi a casa. Persino la casa cambia definizione: non è più casa, è un “investimento”. Molti, dopo aver comprato una grande bella casa, la tenevano come un museo – per gli ospiti – mentre continuavano a vivere in cantina (basement, “bassamento”, “tavernetta” in italiano). Piano piano genitori e figli avevano sempre più difficoltà a comunicare a causa di mancanza di una lingua comune. Anche il senso del tempo
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cambia: quando fai un appuntamento ti aspettano solo per pochi minuti se non arrivi, poi, vanno via. Il contatto è finito: hai perso credibilità, non sei un uomo maturo, non capisci che “il tempo è denaro”. Cambia pure lo spazio sociale: la distanza che si frappone tra gli interlocutori aumenta e non si fanno visite se non concordate prima per telefono. Naturalmente tutto il senso del Valore si trasforma. In America di tanto in tanto si sente la domanda How much is he worth? (Quanto vale quell’uomo?). È sempre una domanda economica, vuole sapere quanti soldi ha. Tutte le dinamiche politiche, etiche, sociali, tutte le associazioni e formazione di gruppi di appartenenza subiscono una metamorfosi. Non sono più basate sulla parentela, famiglia, legami di sangue o amicizia ma su interessi economici, dunque, sul merito, sulla capacità della persona. Il lavoro viene affidato a colui che ha le migliori capacità per svolgerlo, a chi rende di più, non all’amico del nipote della zia del vicino di casa al quale devi un favore. L’emigrante, se non lui certo suo figlio, ha dovuto adattarsi a questo nuovo modo di vivere, che implica l’estinzione dell’Uomo Approssimativo Italiano, l’eterno adolescente che sfugge alle responsabilità, che non prende mai posizione, per il quale nulla è bianco o nero, vero o falso, giusto o ingiusto, ma vive nell’ambiguità, e, dunque, nell’impotenza e nella lagna. L’Homo Faber, l’uomo moderno tecnologizzato, appartiene a una nuova stirpe, una nuova specie. Gli emigranti non erano preparati a tutto questo. Il peso era troppo e lo stress visibilmente portava molti al di là dei loro limiti. Sotto e dietro la prosperità economica c’era un grande malessere. Coloro che conoscevano bene la comunità constatavano l’enorme aumento della depressione fra le donne,
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l’alcolismo tra gli uomini e l’uso di droghe fra i giovani. Alcuni medici avevano notato l’aumento di casi di malattie psicosomatiche. Contemporaneamente, si notavano le grandi lacune dei servizi offerti dallo stato canadese. Quando un emigrante andava all’ospedale non c’erano interpreti. C’erano a Toronto soltanto due psichiatri che parlavano l’italiano, un solo psicologo, soltanto due o tre assistenti sociali e neanche uno psicoterapeuta. C’è da dire che gli emigranti pagavano le tasse come tutti gli altri e avrebbero dovuto avere, dunque, uguali diritti. Ad un certo punto lasciai l’insegnamento in università per andare a lavorare presso un organizzazione statale d’eccellenza a livello internazionale, l’Addiction Research Foundation, che offriva servizi a persone con dipendenze da sostanze chimiche. Il mio compito era di relazionarmi con vari centri, ospedali e cliniche, per esaminare la loro “clientela” – in particolare quella di origine italiana, che aveva problemi con l’alcool e le droghe – al fine di progettare programmi e corsi rivolti alla formazione dello staff e fare consulenze e sedute di psicoterapia direttamente con gli utenti e le loro famiglie. In quei tempi c’erano a Toronto tre importanti organizzazioni che provvedevano a offrire vari servizi alla comunità italiana: – COSTI – che si interessava principalmente dell’insegnamento della lingua inglese e di tutte le varie problematiche e preparazioni che concernono il lavoro; – Italian Immigrant Aid Society (IIAS) – che aiutava la comunità nelle relazioni con burocrazia di stato e offriva assistenza psicologica a individui e supporto terapeutico alle famiglie; – National Congress of Italian Canadians (NCIC), il cui compito era di tutelare la comunità dal punto di vista politico.
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Io mi coinvolsi con tutte e tre le organizzazioni, realizzando insieme innumerevoli progetti di ricerca, continui programmi radiofonici e televisivi, articoli su giornali, conferenze, seminari, per offrire informazione e supporto alla comunità italiana. Durante la mia carica di vicepresidente dell’IIAS mi resi conto che avremmo potuto dispensare un servizio più completo unendo COSTI e IIAS. Il risultato fu la nascita del più grande centro di servizi sociali del Canada, al di fuori di quelli statali. In quel periodo non mancarono, ovviamente, gli incontri e gli scontri politici. Voglio raccontarne uno perché presenta le caratteristiche di un’esperienza parallela, direi paradigmatica, in riferimento ad una tematica che attualmente coinvolge in Italia la figura dei consulenti filosofici, dei counselors, degli psicologi e degli psicoterapeuti. L’episodio a cui farò cenno concerne ciò che potremmo definire in italiano “la proposta” dell’ordine degli psicologi al governo dell’Ontario. Erano i primi anni Ottanta e, poiché c’era una condizione poco chiara in merito ad alcuni aspetti delle professioni di aiuto, relativamente alle varie forme di psicoterapia e consulenza, l’ordine degli psicologi aveva deciso di mettere ordine nel caos. All’epoca io ero nell’esecutivo del National Congress of Italian Canadians e, al suo interno, ero anche capo del comitato “sanità e servizi sociali”. Come molti cittadini ero preoccupato per lo strapotere politico che il governo stava contemplando di dare all’ordine degli psicologi. In particolare, ero preoccupato perché i pochi servizi di consulenza e terapia offerti alla comunità italiana erano gestiti da persone che, nonostante fossero affidabili, scrupolose e con grande esperienza, spesso non erano in possesso dei titoli richiesti ufficialmente, offrendo l’occa-
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sione all’ordine di sospendere l’erogazione di servizi che si erano rivelati altamente utili e indispensabili all’intera comunità. Ci fu una guerra. La stampa, particolarmente il Toronto Star, il più grande giornale di Toronto, prese chiara e netta posizione contro l’ordine degli psicologi, a favore delle nostre argomentazioni. Contemporaneamente parlai con i capi delle comunità di altre nazionalità ed etnie, i quali nutrivano le stesse preoccupazioni in merito al pericolo di trasformare naturali bisogni di cittadini provenienti da altre culture in forme di disagio al limite del patologico. Successivamente, mi incontrai personalmente con il Ministro della Sanità per dimostrare, con coerente evidenza, le dannose conseguenze dell’orientamento intrapreso dagli psicologi. Il risultato fu una vittoria clamorosa (li abbiamo distrutti): per un’intera generazione l’ordine degli psicologi rimase nei propri ranghi, sottomesso e in silenzio, senza interferire più nelle normali pratiche di vita. Per tornare all’analisi del fenomeno migratorio, oggi la gran parte degli emigranti del dopoguerra è morta. Anche quella strana lingua, l’italiese, è quasi morta. I figli nati in Canada parlano quasi esclusivamente l’inglese e hanno perso – semmai lo hanno avuto – il legame con l’Italia. Quello che resta appartiene più al mito che alla realtà. Ognuno fa la propria ricerca, il proprio viaggio verso Casa, ma gli umani, Umani troppo umani, non raggiungeranno mai il loro scopo. Si potrà raggiungere Casa soltanto quando la Condizione Umana sarà superata. –——————— SAVERIO M. PAGLIUSO, Ph.D. Filosofo Maieutico - Psicoterapeuta Consulente Filosofico
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