Il Bollettino di Clio - NS - n.2 - Maggio 2014

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LETTURE

dichiarate tra resistenti, collaborazionisti e nazisti occupanti. Le regole della guerra, che bene o male erano applicate e rispettate nel primo conflitto mondiale, sono stravolte nel secondo che approda allo sterminio di massa. Il confine tra militari e civili, violato di fatto già nella prima guerra, manteneva pur tuttavia una sua leggibilità e un suo valore morale: scompare nella Seconda Guerra, nella quale i civili sono a volte bersagli privilegiati. Si afferma dunque un secondo paradigma interpretativo che considera la guerra come scontro tra società. Società fatte esse stesse di gruppi sociali o classi con interessi materiali, visioni etiche e strutture organizzative differenti. In questa concettualizzazione l’oggetto guerra del 1914 si allarga: se le cause della vittoria o della sconfitta sono da ricercare a livello sociale, allora bisogna prendere in considerazione le basi economiche degli sforzi bellici, il sistema produttivo, la mano d’opera, gli investimenti, i salari. Entrano in scena altri personaggi: industriali, finanzieri, sindacalisti. Cambiano gli schemi interpretativi: il modello narrativo continua ad alternare come in precedenza le decisioni alle analisi e alle intenzioni degli attori, ma questa volta privilegiando altri attori collettivi: operai, civili, soldati. L’attenzione si sposta sui contesti economici, i vincoli, i condizionamenti dentro cui sono costrette ad operare le volontà soggettive. E’ un modo di pensare la storia della guerra più globale (prende in considerazione il prima e il dopo della guerra, ciò che cambia nei rapporti sociali) e al tempo stesso più deterministico (si situa decisamente dalla parte della forza delle cose e dei processi materiali). Con un graduale spostamento di interessi, si afferma poi una terza configurazione: quella culturale. Si tratta di una transizione facile e molto rapida dalla configurazione precedente, perché il tema culturale era stato già a lungo presente nella storia sociale. Quello che cambia è il posto assegnato alla dimensione culturale che ora diviene essenziale e si afferma come paradigma esplicativo del conflitto. La storia della guerra è, per questa storiografia, narrazione dal basso con attenzione ai singoli casi, alle vicende degli umili, delle persone comuni, degli sconosciuti: in un ritorno dal collettivo all’individuale tutte le storie diventano degne di essere raccontate e meritano attenzione.

La guerra ‘14-‘18 non è vista più come il momento conclusivo del secolo dei nazionalismi, ma come l’inizio di un secolo tragico, contrassegnato dalla morte di massa. A questa storiografia non interessano le questioni messe a tema nelle configurazioni precedenti (le responsabilità, la rivoluzione): il focus è piuttosto sulle rappresentazioni che le sottendono. Il grande interrogativo che domina questa terza configurazione è il problema dell’adesione alla guerra da parte dei soldati. Esso rinvia all’analisi della violenza che i soldati hanno subito, assieme a quella vissuta da civili, prigionieri, famiglie con tutto il carico di lutti e sofferenze. La riflessione sulla violenza subita porta anche a considerare quella agita: la guerra appare allora come cultura della violenza estrema. Le catene causali si invertono. La cultura della guerra non è più conseguenza della guerra ma suo presupposto esplicativo: la guerra nasce dalla cultura della guerra non il contrario. Si afferma un nuovo paradigma centrato sulla comprensione dei vissuti, della dimensione privata e interiore: ogni esperienza individuale diventa in questa prospettiva preziosa. Da una parte, il rinnovato interesse alle storie dei testimoni della Grande Guerra rafforza l’intreccio tra memoria e identità. Dall’altra si assiste a una sorta di patrimonializzazione della storia della guerra; la scomparsa dei testimoni diretti porta alla riscoperta di luoghi, oggetti, fotografie, cartoline, monumenti, ex voto nelle chiese 5. Anche nella configurazione culturale la periodizzazione è più flessibile. In un certo senso la storia della guerra non è mai finita perché è la storia del modo in cui ciascuno ha compreso la guerra e le sue conseguenze 6. Secondo la lettura di P. Faussel, la memoria moderna che esce dalla Grande Guerra è la sintassi e la grammatica che possono guidare la nostra comprensione del mondo violento nel quale continuiamo a vivere. In questo contesto, diventa impossibile determinare una data per la conclusione del conflitto o per il suo inizio. E dentro i limiti tradizionali del 1914-1918 in cui rinchiudiamo la Grande Guerra, la periodizzazione diventa molto vaga. La concettualizzazione di cultura della guerra unifica lo sguardo sul conflitto: il prima e il dopo convivono nell’odio comune contro il nemico che approda e continua nella barbarie del mondo occidentale. Quando la storia culturale periodizza,

Il Bollettino di Clio – MAGGIO 2014, Anno XIV, Nuova serie, numero 2

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