DIGIMAG 32 - MARZO 2008

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costruzione di ambienti sensibili in cui lo spettatore non è solo osservatore passivo, ma elemento attivo e centrale del gioco percettivo dell’opera (Arte Cinetica e Programmata), ma piuttosto a ragionare sulla natura del cinema e sulla possibilità di fruirlo al meglio.

un pannello nero dal suo vicino ed in cui non ci fossero riflessi o altre luci che avrebbero distratto la concentrazione dello spettatore, l’ambiente dell’ Invisible Cinema diventa quindi lo spazio in cui realizzare un’esperienza sensoriale completamente rivolta alle immagini in movimento ed al suono. In altre parole, il Black Box perfetto.

Questo il nucleo della ricerca realizzata nella costruzione, nel 1970, dell’ “Invisible Cinema”, una sala cinematografica disegnata a New York a dal film-maker austriaco Peter Kubelka e costruita nella sede dell’ Anthology Film Archives, centro di ricerca e diffusione sul cinema sperimentale e di avanguardia che ha iniziato ad operare a New York a partire dagli anni Sessanta con il coordinamento di Jonas Mekas. Secondo Kubelka, la qualità del film non dipende solo dalla qualità di pellicola, cineprese e proiettori, ma anche dalla sala in cui il Cinema è proiettato, che dovrebbe essere una macchina perfetta disegnata per guardare films. Il “Cinema Invisibile” era quindi la sala cinematografica perfetta, in cui lo spettatore si trovava coinvolto solo nello schermo, senza altri tipi di distrazioni esterne allo svolgimento della pellicola. Uno spazio in cui i sensi umani venivano tutti concentrati nel film ed in cui input esterni erano totalmente cancellati. Costruito con arredi neri, materiali neri insonorizzanti, sedili neri in cui ogni spettatore era diviso con

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Cinema e Installazioni Da grandi contenitori suddivisi in white cubes, gli spazi dedicati all’arte si stanno evolvendo in serie di black boxes pronti all’installazione di progetti video, cinema e new media art. Basta osservare le principali esibizioni internazionali di arte contemporanea che sembrano quasi esclusivamente dedicate all’esibizione di progetti video a discapito di media più tradizionali come pittura o scultura. L’esempio probabilmente più calzante è la penultima Documenta di Kassel curata nel 2002 da Okwui

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