Firenze e le avanguardie radicali | Mello

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un percorso di ricerca

Credere di poter attingere a delle sintesi fornite ‘in sé’ di significato — scrivono perciò i progettisti — ha equivalso ad abdicare ad ogni eventuale ‘radicamento’ tattico di quelle proposte. Noi oggi riteniamo invece che l’architettura, come veicolo segnico e come stimolo di comportamenti, debba recuperare un ruolo operativo ‘per sé’, denunciando il cortocircuito ideologico di ogni ‘in sé’ […]4.

Il ruolo operativo proposto è un progetto di trasformazione che recupera il giardino-parco urbano inserito dal Poggi (1865), che nel suo piano di ingrandimento della città tendeva a creare nella vasta area della Fortezza un vuoto radicale capace di esercitare — una volta rotto il perimetro sacrale — una tensione centripeta che realizzasse la convergenza di attività collettive dei riscoperti comportamenti agresti della nuova borghesia. Firenze può essere salvata grazie a un progetto ‘fuori scala’ che cerca di coniugare la dimensione ‘in scala’ del centro storico con quella ‘senza scala’ delle conurbazioni circostanti: ne nasce un continuum di situazioni ambientali e architettoniche che parte dalla Fortezza e si dirama verso Piazza della Libertà, dov’è prevista la collocazione del Palazzo di Giustizia. Grazie alla creazione di una vera e propria collina artificiale, l’area compresa tra il Mugnone e il viale Spartaco Lavagnini (cioè la spina di edifici prevista dal Poggi che va dalla Fortezza a Piazza della Libertà) viene interamente demolita per dar luogo a un nuovo sistema murario con funzione di contenimento e drenaggio. Ciò che nasce è una sorta di parco urbano pedonale, all’occasione ‘lottizzato’ secondo un sistema di lame inclinate a 50 gradi che darebbe luogo a un giardino pensile in cui trovano posto alcuni episodi di eccezione come, ad esempio, la chiesa russa. Per quanto riguarda la Fortezza i progettisti dichiarano la volontà di considerare la stessa una specie di ‘natura archeologica’: La Fortezza da consacrato modello repressivo, ultimo baluardo del potere oligarchico, estremo rifugio del Principe nel mito, viene rilanciata come propulsiva cerniera di iniziazione a quella operazione di riaffioramento, nel contesto morfologico indifferenziato della città infinita, che qui rivendichiamo, delle fondanti matrici storiche che fanno da specchio fedele all’inconscio collettivo dell’uomo e alle quali è demandato il compito di costituire la struttura primaria, il ‘segno’ di quella nuova ‘natura’ archeologica, vera, natura naturans dalla quale usciranno i nuovi comportamenti collettivi (AA.VV., 1973, p. 25).

In sostanza, il gruppo riprende il progetto lorenese (conservato presso l’ISCAG di Roma), che prevedeva la costruzione di un ampio sistema bastionato di terrapieni esterni al perimetro fortificato, tendente a proiettare la Fortezza verso l’esterno — progetto che era stato re-

4 Dalla relazione di progetto (settembre 1973) di M. Dezzi Bardeschi, B. Cruciani, S. Salvadori, Centro Studi Architettura “OUROBOROS”, in AA.VV. 1973, p. 18.

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