Firenze e le avanguardie radicali | Mello

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firenze radicale

stenere ‘affettivamente’ l’esistenza di ciascuno. Basti pensare a un designer contemporaneo come Philippe Starck nel momento in cui afferma che gli oggetti sono dotati di un’anima8. In questa direzione restano esemplari il divano Joe (prodotto da Poltronova nel 1970-71) di Paolo Lomazzi, Donato D’Urbino e Jonathan De Pas, il Pratone (prodotto da Gufram nel 1970-71) del gruppo Strum, la poltrona Sacco (prodotta da Zanotta nel 1969) di Piero Gatti, Cesare Paolini, Franco Teodoro. Gli oggetti, dopo il bagno di razionalità che li aveva resi celebri alle masse, puntano come detto sul coinvolgimento emotivo. L’universo delle funzioni si apre a forme di elaborazione sempre più autonome e d’impatto, fino a ‘fare ambiente’, a creare situazioni ambientali. Come osserva Filiberto Menna: If we analyze the meaning that these works have for us at the moment in which we encounter them, we note that the most significant fact is their physical presence, their proximity that impinges upon our senses besides involving us mentally. At the same time, we observe that the object, precisely because it rejects the role of traditional sculpture, contributes to our realization of a vital space, transforming itself into a kind of stage property for the mise-en-scène of our daily existence. Accordingly, the object finally locates itself not only within the real and inhabited space, but incorporates and keeps within itself a portion of space. The work transcends the discontinuous boundaries of the object and transforms itself into environment, into a space that enclose it (Menna, 1972, p. 408).

La mostra è anche l’ultima grande occasione ufficiale dove le ricerche in campo progettuale provenienti dall’Italia sono protagoniste assolute a livello internazionale. Ed è un raffinato osservatore come Eco, curatore di un dossier sull’evento per il settimanale «l’Espresso», a trarre le dovute conclusioni: È indubbio, come si sta dicendo a New York in questi giorni, che il design italiano fa oggi scuola nel mondo, ha spodestato quello scandinavo e appare qui in America come the real thing, forse sta prendendo il posto della pizza e degli spaghetti come veicolo della fama nazionale, indubbiamente ha conglobato quella immagine di eccellenza e di stile che sino a pochi anni fa riguardava soltanto quel particolare settore del design che è l’abbigliamento, con i modelli di Emilio Pucci e le scarpe dalla punta inconfondibile, oggi minacciate dalle misure economiche di Nixon. […] Un risultato è certo: la mostra mette in tavola tutti i problemi del design oggi, senza pudori, in una continua oscillazione tra trionfalismo e masochismo. Il fatto che sia ‘bella’, avvincente, teatrale, giocata sul linguaggio ‘multimedia’, non guasta. I drammi italiani non assumono mai forme calviniste, la lamentazione è sempre pubblica, e fastosa. 8 Sul lavoro del designer francese mi si permetta il rimando a Mello, 1997; sul tema più generale della storia e teoria del design contemporaneo dai primi del Novecento ad oggi mi si permetta il rimando a Mello, 2008a.

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