Gli spazi della globalizzazione

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Movimenti internazionali di capitali

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livelli dei tassi d’interesse, sia le quotazioni del dollaro, che finirono per uniformarsi a livello mondiale, grazie alla crescente liberalizzazione dei movimenti di capitale102. La debolezza del dollaro, tuttavia, suscitò la speranza, presso alcune autorità di governo di altri Paesi sviluppati, di poterlo scalzare dal ruolo di moneta chiave per la maggior parte delle transazioni reali e finanziarie del mondo. In corsa per raccoglierne l’eredità c’era in primo luogo la sterlina, che non aveva mai accettato di essere stata estromessa dal proprio ruolo egemone all’inizio degli anni Trenta103: la City di Londra si era sempre proposta come principale piazza finanziaria mondiale e a questo obiettivo le autorità britanniche avevano sempre sacrificato le scelte più favorevoli al sistema industriale del Paese, anche a costo di indurre a gravi sacrifici soprattutto le classi lavoratrici. Questa politica comportava un afflusso di capitali da tutto il mondo alla ricerca di investimenti remunerativi: una scelta che non significava però necessariamente un consolidamento della sterlina come moneta al centro del sistema monetario mondiale104. Paradossalmente gli operatori erano spaventati dalle quotazioni troppo sovrastimate del cambio della sterlina, frutto di accorti interventi di politica monetaria da parte delle autorità, oltre che dall’inadeguatezza del suo sistema bancario a fronteggiare le esigenze finanziarie di tutto il mondo: si trattava di banche troppo specializzate a gestire i portafogli degli investitori e la loro liquidità eccedente, ma meno pronte a sostenere finanziariamente progetti che comportassero un elevato impiego di capitali in giro per il mondo. Era questa carenza che impediva di sostenere in misura adeguata il ruolo centrale della sterlina105. Vista l’impossibilità di rilanciare il disegno imperiale per la moneta britannica, non rimanevano che altri due Paesi ad aspirare a gestire posizioni egemoniche a livello mondiale: la Germania e il Giappone106. Questi due Paesi, pur distanti geograficamente, presentavano notevoli analogie che li rendevano abbastanza simili tra loro. Ambedue rifiutavano un’immagine del capitalismo senza regole e individualista, centrato sul dominio incondizionato dei liberi mercati. In entrambi i casi veniva privilegiato, invece, il modello definito renano, che pretendeva di regolamentare i mercati, al fine di evitare i sistematici fallimenti degli stessi107; le decisioni venivano prese non in termini individualistici, ma come risultato della contrattazione sociale, che coinvolgeva tutte le forze e i soggetti interessati; il sistema bancario, infine, non poteva muoversi alla ricerca dei propri profitti in contrasto con gli interessi del sistema industriale, ma doveva continuare a svolgere il suo compito di servizio a sostegno delle attività produttive. Questi, in estrema sintesi, i princìpi a cui si ispirava il capitalismo regolamentato di Germania e Giappone, e già questa impostazione ideologica insospettiva tutti i sostenitori del modello liberistico radicale circa un eventuale utilizzo, a livello mondiale, delle loro rispettive monete. Esisteva, tuttavia, un altro elemento che rendeva praticamente impossibile la centralità di marco e yen: i due Paesi che emettevano queste monete pre-


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