O Madre

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O Madre

Daniela Matronola

Era stranita, Margherita, e felice. Da fuori le arrivava ora un tono nuovo nel flusso dei suoni emessi da Suor Fiore: era il tono fermo e suadente che Suor Fiore aveva quando impartiva le sue lezioni alla scolaresca, un tono pedagogico al cui fondo covava un raschio, un nodo rabbioso, trattenuto lodevolmente, sempre sul punto di sciogliersi in qualche raffinato esercizio persecutorio. Margherita sembrava tesa a indovinare in cosa l’ennesima vendetta in agguato si sarebbe tradotta. Ora il famoso dito di Suor Fiore, in tutto simile all’indice armonioso e soave del Padreterno michelangiolesco, era tornato malignamente a tendersi tra le figure nel libro, a insinuarsi tra i liquami escreti dalla donna, tra le sue gambe, e a puntare la testina del neonato, e riecheggiò ancora la parola feto che a Margherita suonò per la prima volta come unica parola intelleggibile in quel profluvio per il resto indistinto e stridente, appuntito – e interamente chiara nel suo senso: di corpo e oggetto. Andreina, con la sua punta di naso perforante, si affacciò soddisfatta, per impicciarsi. Si fece anche largo con le mani, per guadagnare un accesso comodo allo spettacolo, e prese subito a blaterare di tutto quello che sapeva lei in materia, grazie a suo padre che le lasciava sfogliare i suoi manuali zeppi di fotografie grafici e disegni, e si prodigava in spiegazioni su fenomeni e meccanismi, soddisfacendo qualunque sua curiosità su ogni argomento medico. Al fiume imperioso di suoni si era aggiunta, dunque, questa nota stridula e arrogante che aveva avuto il potere di riaggregare attorno a loro tre anche tutti noi, una specie di pubblico occhiante dopotutto stralunato. Margherita inviò a me un’occhiata mite. Subito dopo, ruotò il telescopio, riallineò gli assi pupillari perfettamente in parallelo per riassestare la complessiva traiettoria visuale su Andreina e Suor Fiore, e senza esitazione, come una macchina gagliarda piena di vita, trafisse entrambe col proprio sguardo splenetico – innervato adesso come da una lama metallica, che lo faceva letteralmente lancinare.

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