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Michele Rizzo, Rest
Cosa sta alla base del collezionismo contemporaneo? Investimento finanziario? Amore per l’arte? Definizione di un certo status? Nessuna delle motivazioni avanzate da Adriana Polveroni e Marianna Agliottone in apertura de Il piacere dell’arte. Pratica e fenomenologia del collezionismo contemporaneo in Italia (Johan &Levi, Monza, 2012) sembra adattarsi pienamente alla collezione di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo. La questione in questo caso è più complessa. A muovere la raccolta d’arte contemporanea di Sandretto, una delle più ricche e conosciute in Italia, e tutto quello che le ruota attorno (prestiti, mostre, le Fondazioni di Torino e Madrid e un intenso lavoro di mediazione) è la filantropia: il de-

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Rest
FOTO A SINISTRA: Michele Rizzo, Rest (2020; 4 sculture
montate su portantina, 53 x 200 x 83 cm, 160 x 95 x
165 cm, 38 x 160 x 68 cm, 60 x 160 x 71 cm; Collezione
Sandretto Re Rebaudengo)
siderio, cioè, da un lato di sostenere la creatività e lo sviluppo del pensiero artistico e dall’altro di mettere a disposizione della società un patrimonio artistico capace di parlare del nostro presente e di anticipare il futuro. Si tratta del resto di uno dei volti migliori del collezionismo contemporaneo, lontano da concetti, quali l’anonimato o la segretezza, un tempo molto in voga. La stessa Sandretto invece ha più volte sottolineato come il suo impegno voglia porsi al servizio della comunità, in una città, la “sua” Torino, che fin dagli anni Sessanta si è dimostrata terreno fertile per le tendenze del contemporaneo. La collezione d’arte di Sandretto è frutto della fascinazione personale della proprietaria, che fin da ragazza aveva manifestato una certa propensione per la pratica collezionistica iniziando a raccogliere porta-pillole. Aveva proseguito poi in età adulta con una raccolta di oltre mille pezzi di Costume Jewelry, monili acquistati a partire dagli anni Ottanta che contraddistinguono anche ogni sua mise. L’amore per il contemporaneo sboccia negli anni Novanta, quando alcuni viaggi (basilare quello a Londra del 1992) permettono a Sandretto di avvicinarsi all’arte, anche mediante le visite agli studî degli artisti, dove può entrare in contatto con le loro visioni e con il loro modo di operare. Tra i primi incontri, fondamentale risulta ad esempio quello con un giovane Anish Kapoor, allora agli inizî della sua carriera. È in questo periodo che si situa il momento di svolta,
A muovere la raccolta d’arte contemporanea di Patrizia Sandretto, una delle più ricche e conosciute in Italia, è la filantropia della collezionista.
Space Oddity
FOTO PAGINE PRECEDENTI: Veduta della mostra Space Oddity (Torino, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 4 dicembre 2020 al 14 febbraio 2021)
per non dire la folgorazione per le manifestazioni artistiche contemporanee. Inizia così a prendere corpo una collezione che Sandretto definisce “generazionale”: le opere acquistate sono sempre rappresentative di uno scambio tra la collezionista e l’artista, che, spesso coetanei, condividono in molti casi una stessa lettura, una stessa visione, costruttiva o decostruttiva, del mondo. La raccolta cresce e si sviluppa secondo cinque linee diret-
La Collezione Sandretto Re Rebaudengo è un patrimonio privato che di fatto è tuttavia concepito per essere uno strumento culturale rivolto al pubblico.
trici: arte inglese dalla Londra dell’ultima decade dello scorso secolo (di recente al centro della mostra London Shadow. The British Revolution from Gilbert & George to Damien Hirst, a cura di Luca Beatrice, Gallerie d’Italia, Palazzo Zevallos Stigliano, Napoli, dal 10 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019); arte losangelina: il legame, anche qui, è con un secondo, importante viaggio che Sandretto compie in California; arte italiana, con l’obbiettivo di far conoscere e valorizzare gli artisti nazionali in un momento storico in cui pochi erano i luoghi del contemporaneo che potessero accogliere le loro proposte (proprio a Torino il Castello di Rivoli Museo d’arte contemporanea, aperto al pubblico nel 1984, costituiva un punto di riferimento in tal senso); arte al femminile, nell’intento di richiamare l’attenzione sui lavori di donne che all’epoca e in larga parte ancora oggi, per questioni di genere, non godono del riconoscimento che meriterebbero. Un’ultima sezione è dedicata esclusivamente alla fotografia: a differenza degli altri ambiti, esclusivamente votati al contemporaneo, quest’ultimo filone comprende anche un fondo più antico, che dà spazio alla fotografia delle origini a partire da quel 1839 che si è soliti considerare l’anno di nascita del nuovo mezzo artistico. Rispetto a tale divisione originaria, la collezione nel giro di pochi anni si apre liberamente al mondo dell’arte, seguendo le linee di una realtà che anche in campo artistico dagli anni Ottanta appare sempre più globalizzata. Il criterio che guida ora le scelte di Sandretto è quello di ricercare opere d’arte in grado di offrire uno spaccato dell’epoca in cui viviamo. La collezione finisce per spaziare tra tutte le modalità espressive del contemporaneo (pittura, scultura, fotografia, video, performance) e includere tanto artisti giovani e non ancora affermati, quanto vere e proprie star del sistema dell’arte. Tra le ultime va senz’altro menzionato Maurizio Cattelan, cui nella collezione Sandretto viene riservato ampio spazio, con opere come Bidibidobidiboo (1996). L’installazione, di piccole dimensioni, rappresenta una sorta di “mascotte” per la collezione. Diversamente da ciò che il titolo sembra suggerire per mezzo di un’allusione alla magia bianca della fata madrina di Cenerentola, qui l’incantesimo è rotto: Cattelan invita a focalizzarsi (e a interrogarsi) sul microcosmo di disperazione di uno scoiattolo suicida nella sua solitaria cucina. Tra le opere più emblematiche della raccolta, che include, tra gli altri, pezzi di Vanessa Beecroft, Julie Becker, Tony Cragg, Roberto Cuoghi, Richard Deacon, Barbara Kruger, Luisa Lambri, Paul McCarthy, Charles Ray, Rachel Whiteread, si annoverano poi: Love is great (2004) di Damien Hirst: nella grande tela, che sembra una porzione di cielo azzurrissimo in cui sono imprigionate, immobili, delle farfalle, l’esponente dei Young British Artists porta avanti una profonda riflessione sul tema della vita e della morte; alcuni Film Still realizzati alla fine degli anni Settanta dalla performer statunitense Cindy Sherman per indagare il ruolo dei media nella costruzione degli stereotipi di genere; A divided self (I e II) (1996), videoinstallazione con la quale Douglas Gordon, artista scozzese, sonda il nostro mondo interiore e la nostra doppiez-

za, come nel racconto del connazionale Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jeckyll e del signor Hyde. Le nuove acquisizioni della collezione fanno vedere bene come Sandretto inoltre non si limiti alla scelta di un’opera, bensì partecipi all’intero progetto artistico, talvolta sostenendone la realizzazione. È il caso di Rest di Michele Rizzo, che già nel 2019 era entrato in contatto con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, portando sere accompagnata da un’azione performativa, lenta, evocativa, che mira a instaurare un parallelo tra la pratica del clubbing e il rituale religioso. Solo nell’ultimo anno, altri due lavori sono stati portati a compimento con l’appoggio di Sandretto. Si tratta dell’opera video di Marwa Arsanios, Who’s Afraid of Ideology? (Part 3) – Microresistances (2020), capitolo finale di una trilogia sugli intrecci tra femminismo ed ecologia commissionato dall’undicesima Berlin Biennale, e della video-in-
a Torino la sua performance HIGHER xtn. (2018). L’installazione, corredata di luci e suoni e prodotta in occasione della Quadriennale di Roma (2020), si compone di diverse sculture di corpi umani sdraiati, a riposo, ed è concepita per esstallazione immersiva Neural Swamp di Martine Syms, che impiega l’intelligenza artificiale nella scrittura di una sceneggiatura e nella costruzione di personaggi di un potenziale film, all’interno di una meditazione più ampia sulla politica della


Space Oddity
FOTO PAGINE PRECEDENTI: Veduta della mostra Space Oddity (Torino, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 4 dicembre 2020 al 14 febbraio 2021)
Bidibidobidiboo
FOTO PAGINA A FIANCO: Maurizio Cattelan,
Bidibidobidiboo (1996; scoiattolo tassidermizzato,
ceramica, formica, legno, pittura, acciaio, 45 x 60 x 58; Collezione Sandretto Re Rebaudengo)
tecnologia e sull’influenza che i sistemi di comunicazione hanno sugli individui e sulle relazioni. La collezione, le cui opere sono catalogate e conservate secondo gli standard di conservazione più aggiornati, è dinamica e trova una delle sue ragioni d’essere proprio in una grande mobilità, per cui musei e istituzioni di tutto il mondo possono attingere tramite prestito a questo patrimonio è stata inaugurata una seconda sede, a Torino, nell’edificio dell’ex fabbrica Fergat, riconvertito e riqualificato per l’occasione dall’architetto Claudio Silvestrin. La sede torinese dell’istituzione, definita da Polveroni e Agliottone un vero modello per le nuove fondazioni italiane, guida dal 2014 il Comitato Fondazioni Italiane Arte Contemporanea, senza però trascurare il contesto locale. Tra gli obiettivi principali ha infatti quello di porsi quale interlocutore e alleato di realtà pubbliche cittadine, come la GAM Galleria d’Arte Moderna. Quotidianamente la Fondazione promuove la creatività contemporanea supportando in modo attivo e creativo gli artisti e accompagnando i visitatori alla scoperta del variegato universo contemporaneo delle arti visive. Alla Fondazione piemontese è infine venuta ad aggiungersene una spagnola, la Fundación Sandretto Re Rebaudengo, avviata nel 2017, con sede a Madrid nella Nave 9 del Centro de Creación Contemporánea Matadero, ex mattatoio rinnovato dall’architetto ghanese-britannico David Adjaye. Da sempre
privato che di fatto è tuttavia concepito per essere uno strumento culturale rivolto al pubblico. Nel 1942, all’apertura della sua galleria di New York, Peggy Guggenheim auspicava che il dialogo con gli artisti e con il pubblico potesse «essere d’aiuto al futuro» e non si fermasse a «registrare il passato». L’«avventura unica ed entusiasmante» di Sandretto risponde a un identico anelito, configurandosi come un «percorso filantropico, costruito sul presente e proiettato nel futuro». La raccolta privata, che in totale conta più di 1.500 opere, nel 1995 ha trovato coronamento alla sua vocazione pubblica con l’istituzione di una fondazione no profit, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Due anni dopo è seguita l’inaugurazione di un primo spazio espositivo, nel settecentesco palazzo di famiglia, a Guarene d’Alba, una residenza tutelata dalla soprintendenza sottoposta a un attento lavoro di restauro dagli architetti Corrado Levi, Alessandra Raso e Alberto Rolla. Nel 2002 Sandretto opera con un respiro internazionale e la fondazione madrilena ribadisce il suo desiderio di proseguire in un’ottica globale l’attività svolta in Italia da oltre venticinque anni. Un’attività che ci ricorda quanto il collezionismo, nei casi migliori, non smetta di costituire una delle linfe più vitali del sistema dell’arte contemporanea, quando non un vero e proprio propellente, capace non soltanto di contribuire alla sua stessa esistenza, ma anche di mettere costantemente in moto un suo proficuo rinnovamento. Da tale punto di vista all’importante esperienza di Sandretto si attaglierebbe perfettamente il titolo dell’ultima mostra allestita negli spazi di XNL Piacenza Contemporanea sul tema del collezionismo contemporaneo: La rivoluzione siamo noi. ◊
https://fsrr.org/

CONTEMPORARY LOUNGE | Bertozzi & Casoni
Modellare il tempo testo di Alessandro Romanini
Gli esiti più recenti delle ricerche del duo Bertozzi & Casoni, maestri della ceramica, si sono rivolti alle indagini sul tempo e sulla temporalità, per declinarne alcuni aspetti pregnanti, in particolare quelli legati alla dimensione della caducità umana. Sono questi i temi su cui i due artisti continuano a lavorare.
Nell’attuale panorama artistico, sotto la definizione di scultura, sono comprese sia le opere realizzate con materiali e tecniche “tradizionali” come il modellato e l’intarsio sia, in un’accezione molto più ampia, le installazioni spaziali, gli ambienti e gli assemblaggi, gli interventi in spazî esterni e le numerose declinazioni plastiche a carattere multimediale. Bertozzi & Casoni è una società fondata a Imola nel 1980 da Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, 1957) e da Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, 1961): sin dagli esordî ha interpretato la ceramica nelle sue potenzialità espressive creando uno stile e una poetica inconfondibili. Una poetica in grado di coniugare in maniera sinergica la scultura con la pittura, per il tramite strutturante del disegno, inteso anche nella sua identità astratta-progettuale. È importante illustrare la loro opera secondo una scansione diacronica, sottolineandone l’evoluzione linguistica e tecnica. Frequentano entrambi l’Istituto Statale d’Arte per la Ceramica di Faenza, dimostrando precocemente la
Composizione n. 12
FOTO PAGINA A FIANCO: Bertozzi & Casoni,
Composizione n. 12 (2008; ceramica policroma, 350 x 160 x 154 cm)

Cestino della discordia
FOTO PAGINA A FIANCO: Bertozzi & Casoni, Cestino della discordia (2018; ceramica policroma, 32,5 x diametro 29 cm)
volontà di superare la mera dimensione artigianale connessa alla ceramica, per dialogare con il mondo dell’arte. Questo ha preso avvio da un recupero filologico della scultura ellenistica dipinta e dal dialogo co-autoriale con i materiali, legato ai fenomeni aleatorî e all’incertezza degli esiti, connessi alla cottura degli stessi. La loro attitudine alla sperimentazione e la vocazione allo sviluppo del materiale ceramico trovano terreno fertile all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove partecipano al proliferare di manifestazioni che mettevano in luce le “nuove ragioni” della ceramica. La parte finale degli studî accademici sullo scorcio degli anni Settanta e la costituzione della loro società nel 1980 avvengono in parallelo all’insorgere del grande fenomeno del ritorno alla pittura e alla scultura, dopo un ventennio di dominio concettuale, inserite a posteriori tra le correnti del postmodernismo. In questo contesto Bertozzi & Casoni sviluppano una poetica e un linguaggio che mette in sinergia le istanze delle correnti processuali e la fresca riflessione sulla scultura come medium di un linguaggio affermativo e non come gesti difensivi (come teorizzava Achille Bonito Oliva) nei confronti dell’arte concettuale. Fanno uno scarto in avanti, arricchendo la fascinazione legata all’identificazione della scultura con la materia, proposta con forza dall’Arte Povera e dall’Informale, con la considerazione dell’opera plastica in grado di incarnare l’idea in sé frutto della lezione di Lucio Fontana. Fedele all’esempio di Arturo Martini per cui l’arte plastica non potrà mai essere spontanea come la pittura e dovrà essere «più di maniera che di immitazione naturale» come indicava il Vasari, la scultura di Bertozzi & Casoni è sempre frutto del connubio fra una dimensione astratta-elaborativa e una tecnico-pratica. La coppia di artisti supera da subito lo storicismo e soprattutto la dimensione evolutiva attribuita all’arte per connotare il “nuovo”, che ammantava la scultura degli anni Ottanta, come descritto acutamente da Rosalind Krauss. Tutto ciò è ben visibile nelle prime opere degli anni Ottanta, di piccole dimensioni, realizzate in sottile maiolica policroma, che sviluppavano in sordina un linguaggio colto e raffinato all’ombra del superomismo espressivo dei movimenti come la Transavanguardia e i Nuovi Selvaggi tedeschi. L’attitudine all’innovazione, che non viene scoraggiata neanche dalla connotazione attribuita alla scultura di Sovrana Inattualità da Flaminio Gualdoni, trova libero sfogo nel secondo quinquennio degli anni Ottanta, in cui divengono ricercatori del Centro Sperimentazioni e Ricerche sulla Ceramica. Periodo fervido di riflessioni, quello di metà anni Ottanta, stimolate anche dall’acceso dibattito diffusosi sulla scultura, alimentato da grandi manifestazioni espositive come quella promosso dal Centre George Pompidou di Parigi nel 1985, Qu’est-ce que la Sculpture moderne?, curata da Margit Rowell, che dispiegava opere di tutti i più importanti movimenti modernisti dal 1900 al 1970. In questo periodo matura l’interesse per il design, che si indirizza verso un territorio ibrido, di sperimentazione ibrida, fra scultura, design e architettura. È in parte, sicuramente, un’eredità dettata dalla vocazione storica alla funzionalità della ceramica e in parte da un’insopprimibile spinta ad indagare le relazione fra forma e funzione, che li vedrà impegnati nell’ambito del design per quasi un decennio, dal 1984 fino a tutto il 1993. È in questo contesto che si ricorda il notevole esito raggiunto dalla loro ricerca, simboleggiato da un’opera come la Poltrona Ercolano, realizzata per Dino Gavina, e un altro nutrito gruppo di progetti presentati in numerose occasioni, sia a manifestazioni espositive e fieristiche come Abitare il Tempo a Verona, sia alla Triennale di Milano e allo spazio Dilmos, sempre nel capoluogo lombardo. Questo articolato complesso di esperienze maturate negli anni Ottanta ha generato intorno a Bertozzi & Casoni un’aura di virtuosismo esecutivo e di “ipetrofiche espressività” (come le definiscono gli stessi artisti). L’inizio dell’ultimo decennio del XX secolo vede il duo incessantemente impegnato in radicali soluzioni linguisti-

Composizione in bianco
Bertozzi & Casoni, Composizione in bianco (2007; ceramica policroma e bronzo, 150 x 600 x 300 cm)


che, come testimonia un complesso di opere, tra cui spicca Scegli il Paradiso del 1997, che sancisce l’apice dell’acquisita perizia formale. Quest’ultima opera segna anche l’abbandono della maiolica dipinta, a favore di una vasta gamma di tecniche e materiali di derivazione industriale, che aprono percorsi sperimentativi fino ad allora inesplorati in direzione di una maggior “consistenza” fisica e di pregnanza nelle relazioni spaziali delle opere. In questo ambito Bertozzi & Casoni sviluppano una specifica ricerca che ha come fulcro la relazione fra opera e contesto e perseguono assiduamente l’annullamento della connotazione autoriale, che rischiava di alimentare attribuzioni precostituite nel fruitore. I due artisti si allineano al concetto secondo cui la presenza dell’opera è in grado di “cannibalizzare” lo spazio, catalizzare cioè le istanze percettive di chi è presente nel contesto, articolando la dimensione espressiva del luogo. Si allineano al pensiero kantiano, secondo cui lo spazio non esiste in sé, ma solo come forma soggettiva dell’intuizione della soggettività umana. Secondo loro è il luogo fisico a incarnare le volontà espressive dell’opera, come dimostra il display scelto per allestire il museo a loro dedicato, ospitato in maniera permanente nella Cavallerizza Ducale di Sassuolo. Si allineano all’idea che accomuna il pensiero sulla scultura greca e quello dei tempi moderni, che vede nel corpo (e nell’apparato percettivo) dello spettatore detentore della visione il fulcro di rappresentazione dello spazio stesso. Gli anni Novanta sono testimoni anche di una marcata virata in direzione metaforica e fantastica (intesa nell’accezione di Todorov) di quelli che erano diventati moduli espressivi consueti, le Vanitas e il Memento Mori, affrancati dal virtuosismo stilistico. Bertozzi & Casoni mirano ad eliminare non solo la connotazione autoriale dell’opera ma anche quella di una specifica connotazione temporale: gli artisti intendono calare le loro opere in una dimensione atemporale,
Grottesca con fenicottero
FOTO A DESTRA: Bertozzi & Casoni, Grottesca con fenicottero (2014; ceramica policroma, 84 x 90 x 86 cm)

Madonna scheletrita
Bertozzi & Casoni, Madonna scheletrita (2008; ceramica
policroma e argento, 200 x 354 x 241 cm)


Regeneration
Bertozzi & Casoni, Regeneration (2012;
ceramica policroma, 160 x 213 x 190 cm)

declinarle in un tempo imperfetto, sospeso e propizio al desiderio e alla riflessione. Il loro vocabolario nel nuovo millennio si arricchisce di fonemi che esorbitano il paradigma di quelli meramente plastici, di peso, volume e dimensioni, per approdare a quelli relativi alla temporalità, come movimento, durata e processo, come si vede nella recente mostra allestita negli spazi di San Agostino a Pietrasanta, intitolata Tempo. Il primo ventennio del Terzo Millennio li ha visti impegnati nel ciclo delle cosiddette Contemplazioni del Presente, in cui le opere diventano dispositivi che fungono allo stesso tempo come stimolatori di riflessioni soggettive e di atteggiamenti attivi da parte del fruitore. Una sorta di epopea del trash come la definisco gli autori, nella quale gli elementi su cui viene catalizzato l’interesse creativo, sono quelli legati alla dimensione della caducità umana, il concetto di effimero e transitorio che pertiene all’esistente. Il nuovo percorso di ricerca poetica e tecnica è accompagnato dall’approfondimento dei concetti come quelli di trash e kitsch (con le sue derive postmoderne) rielaborando i principî espressi a vario livello, da Benjamin a Eco, da Sontag a Baudrillard e Dorfles. Connessa a questa tematica continua la riflessione a carattere metalinguistico, che viene distillata attraverso una serie di opere che richiamano nello spettatore il ricordo di opere del passato, da Warhol a Vermeer, da Morandi (a cui hanno dedicato un’intera mostra) a Frida Kahlo, generando un doppio livello interpretativo nel fruitore. Le opere di Bertozzi & Casoni sono ormai dei veri dispositivi di stimolazione del pensiero e della riflessione, come è stato accuratamente esposto nelle loro recenti partecipazioni al Festival della Filosofia di Modena e a quello di Sophia a Pietrasanta. Filosofia, pensiero formalizzato in dimensione plastica, grazie a una prassi che è rigorosamente frutto di un’etica rigorosa, che si oppone sia alla “liquidità” del rapporto dell’arte contemporanea con il saper-fare che al pensiero debole e superficiale che accompagna molte opere d’arte contemporanea. ◊

bertozziecasoni.it









