Ariel Toaff. Uno scomodo ebreo a Gavardo

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sei anni di lavoro e che quando ho presentato alla televisione israeliana nel 2005 i primi risultati di quella ricerca non ci sono state reazioni di sorta, semplicemente una discussione su alcune interpretazioni. Il motivo per cui nel 2007 è scoppiato il pandemonio ancora prima che uscisse il libro, vi ricordate, subito dopo il paginone de “Il Corriere della Sera” con Sergio Luzzatto, e i rabbini intervennero immediatamente, molto prima di avere letto il libro, è una cosa che dovrà essere successivamente indagata per qualche riguarda la psicologia, la paura dell’antisemitismo, che molto spesso fa sì che l’immagine dell’ebreo diventi non viva, ma una caricatura. In questo sono perfettamente d’accordo con mio padre: l’ebreo è come tutti gli altri, ce ne sono stati di buoni, ce ne sono di cattivi, ci sono stati periodi in cui l’ebraismo è stato all’avanguardia, ci sono stati dei periodi e dei luoghi in cui ci possiamo anche vergognare di quello che è successo e di come ci siamo comportati in certe occasioni. Secondo me, questo rende l’immagine dell’ebreo un’immagine viva, l’immagine di un gruppo che ha dato tanto all’umanità, ma che talvolta ha commesso i suoi errori. Io rifiuto e continuo a rifiutare l’immagine stereotipata di un ebraismo virtuale (questo è il titolo anche di un mio piccolo saggio che ho pubblicato per Rizzoli), disancorato totalmente dalla realtà, perché non soltanto non è vero, non soltanto provoca dispetto in chi lo affronta in maniera obiettiva, ma è proprio questo che porta acqua al mulino dell’antisemitismo. Perché, secondo me, l’immagine dell’ebreo come è realmente, quello che ha fatto realmente di bene e quelli che sono stati gli errori inevitabili che ha commesso fanno sì che l’ebreo sia un personaggio umano, un personaggio che può essere amato, può essere criticato, ma presente. Se invece lo mettiamo con l’aureola della santità, nessuno ci crede e indispettisce chi deve affrontare il problema della storia ebraica, che ha avuto dei momenti estremamente tragici, ma su cui non si può condensare tutta l’essenza ebraica. Noi parliamo di Shoah, ma voglio dire con concretezza che l’ebraismo non è nato nella Shoah e non si esaurisce nella Shoah: è stato un episodio estremamente tragico, che ha lasciato delle cicatrici indelebili, ma che non può essere l’unica porta d’ingresso all’ebraismo. L’ebraismo ha dato molto di più: l’ebraismo non è stato soltanto passivo, non è stato soltanto vittima. Questo ho cercato nel mio piccolo di esaminare nei miei libri, compreso l’ultimo, che parte proprio dalla considerazione che un ebraismo non è mai univoco, come il precedente in cui parlavo degli ashkenaziti, dei sefarditi, degli italiani, facendo le debite diffe9


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