Cultura commestibile 154

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23 GENNAIO 2016 pag. 12 Maria Mannelli cf2627@yahoo.it di

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opo che l’amore tra maschi è stato sdoganato nei film ormai da anni, ora è la volta dell’amore lesbico a spopolare sugli schermi, tanto da far pensare ad un filone di moda da cavalcare finchè solletica la curiosità degli spettatori. Anche in Italia si sono cimentate recentemente in questo ruolo due attrici nostrane che vanno per la maggiore e che finora si erano caratterizzate in ruoli di seduttrici di maschi, tanto per dire come il tema dell’amore fra donne vada per la maggiore e sia diventato quasi un banco di prova per attrici di grido. Diciamo subito che in Carol la protagonista è grandiosa e vale da sola il prezzo del biglietto. Di Cate Blanchett non si sa più cosa dire per commentarne la bravura e la versatilità. Qui interpreta una signora dell’altà società americana negli anni ’50, sposata, con figlia piccola, il cui matrimonio è agli sgoccioli a causa della sua inclinazione verso il proprio sesso. Donna bellissima, elegante, di gran fascino, colpisce al cuore una giovane commessa di un grande magazzino a cui basta venderle un giocattolo per rimanere preda di ammaliamento. Da quando la vede la prima volta, la piccola rimarrà per tutta la durata del film con gli occhi (belli) sbarrati dall’ammirazione e lascerà perdere il banale giovanotto con cui viveva e che la voleva sposare. Meglio, molto meglio seguire la ricca signora in un’avventura on the road che le vede allontanarsi da casa in un viaggio verso il nulla, se non la passione reciproca. Ma non si possono lasciare a lungo dietro le spalle i doveri e le convenzioni, c’è sempre un guastafeste: nella fattispecie, il marito della signora, che dopo averla supplicata inutilmente di ritornare a casa (anche lui l’ama disperatamente), vuole il divorzio togliendole la figlia per indegnità morale. Eccoci al dunque, per Carol: che fare? Rientrare nei ranghi, per ottenere l’affido congiunto o seguire il cuore e la passione? La seconda. Carol non rinuncia a vivere secondo le proprie inclinazioni e, con la morte nel

Carol, femme fatale versione lesbo cuore ma fiera e coraggiosa, sceglierà di esprimere se stessa senza compromessi. Che dire del film. E’ un melodramma il cui merito maggiore (oltre alla Blanchett) è la ricostruzione perfetta, quasi una parodia, dell’atmosfera e della filmografia americana di quegli anni, a cominciare dagli abiti, pellicce, gioielli, cappellini, guanti, foulard indossati dalla protagonista con splendido e voluto atteggiamento alla Lana Turner; dove case, auto e musiche dell’epoca fanno

Francesco Cusa info@francescocusa.it di

Carol” di Todd Haynes è un film noioso ed estetizzante che deve la sua fortuna ai magnetici volti di Cate Blanchett e Rooney Mara. La magnifica, quasi maniacale, preziosa ricostruzione degli anni ’50, gli artifici della macchina da presa, rendono il film un prodotto sofisticato, decorato di piccole perle. Tali sono gli squarci sul natale di quegli anni, le scene girate in automobile, la bellezza dei capi d’abbigliamento (sublime la maglietta rosa indossata da Rooney Mara che la fa assomigliare in maniera impressionante a Audrey

da perfetta cornice; sigarette sempre in bocca e cocktail in mano quasi in ogni scena; l’amore contrastato da filo conduttore. La femme fatale è trionfante laddove il topos della passione proibita vorrebbe che nell’America bacchettona di quel periodo la madre fedifraga si sacrificasse per amore della figlia o almeno fosse raggiunta da una qualche punizione (Anna Karenina docet, e non era neppure lesbica). Il tema dell’omosessualità inaccettata negli USA anni ‘50,

ma dalle pulsioni comunque irrefrenabili a costo di scardinare l’impianto familiare e sociale, sembra essere caro al regista Todd Haynes che lo aveva rappresentato qualche anno fa con lo stesso malinconico sguardo in Lontano dal Paradiso, con, anche lì, una protagonista di prima grandezza, Julianne Moore (ma dove era il marito ad essere gay). A maggior ragione, c’è da chiedersi quale sia l’interesse di questo ultimo film a parte la raffinata ricostruzione d’ambiente, visto che la storia non esprime granché di nuovo, al riguardo. Anticipatrice e coraggiosa, invece, fu la scrittrice Patricia Highsmith che compose veramente nel lontano 1952 il romanzo da cui è tratto il film; ma dovette pubblicarlo sotto falso nome.

L’estetica noiosa Hepburn). Lentamente, sotto la superficie, scorre la trama dei sentimenti, come un plasma denso, a percorrere vecchie tubature incrostate dalla norma e dal perbenismo borghese di quegli anni. Questo è al contempo il pregio e il limite del lavoro di Todd Haynes, il quale illustra indossando dei guanti per non sporcarsi le dita. Certamente occorre una grande capacità registica per saper rendere, nella stasi seduttiva degli sguardi, il fremito di una passione

senza limiti, costretta negli ambiti angusti del contegno sociale; ma al di là di questo non si procede. Pur rispettando la poetica di “Carol”, è pur vero che si esce dalla sala con una certa pesantezza alla testa, lievemente storditi, come dopo una visita alla gioielleria in qualità di distratti ospiti. La mancanza d’una partecipazione emotiva che non sia figlia dello stupore contemplativo, rende alla fin fine sterile la trama e giustificabile qualche innocente sbadiglio.


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