Cultura Commestibile 43

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DA NON SALTARE

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di Simone Siliani s.siliani@tin.it

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Camus

100 anni di

solitudine

el centenario della nascita di Albert Camus si svolge a Firenze un programma articolato di iniziative culturali dal titolo “Albert Camus, solitario solidale”, curate da Sandra Teroni, già docente di Letteratura Francese all’Università di Firenze, che ha accettato di parlarne con noi. Iniziamo col titolo: perché? In diverse occasioni Camus si è definito “solitario e solidale”. Insieme a una constatazione, era anche un programma di vita e di pensiero. Perciò la figlia Catherine ne ha fatto il titolo del libro uscito per i 50 anni dalla morte dello scrittore. Per queste ragioni abbiamo messo i due aggettivi accanto al nome di Camus, ma anche perché particolarmente pertinenti per il programma delle giornate fiorentine. Lo straniero e Il deserto sono figure estremizzate della solitudine. Lo straniero è figura di una estraneità assoluta: al mondo, agli altri, e a se stesso perché il senso dei suoi atti gli sfugge. Il deserto raffigura la coscienza di quel che rimane quando si è fatto tacere tutto, intorno e dentro di sé. Sono entrambe fondamentali nella problematica dell’Assurdo e per l’assunzione della Rivolta che la accompagna. La solidarietà è con gli uomini, nella loro concretezza e nelle condizioni storiche in cui si trovano a vivere. Innanzitutto con gli ultimi, con i poveri delle periferie e delle colonie, dove lui stesso era nato e cresciuto. Questo senso della solidarietà è testimoniato sia dagli scritti che dalle azioni fin dalla giovinezza (la militanza nel Partito Comunista, la creazione del “Teatro del Lavoro”, la mobilitazione per la Spagna, il sostegno al movimento di Messali Hadj sciolto dal governo Blum, il reportage in Cabilia, la Resistenza). E’ al fondamento delle sue ripetute campagne non solo contro la pena di morte ma anche contro ogni ideologia che legittimi la violenza, la morte, la menzogna in nome di una liberazione futura, di ogni politica per cui il fine giustifica i mezzi. Su di esso si basano anche le sue prese di posizione sulla guerra d’Algeria, con cui si smarca dalla sinistra schierandosi incondizionatamente dalla parte di tutte le vittime, lanciando tra gli insulti un appello alla tregua, proponendo una federazione di arabi e francesi. Ritroviamo dunque questo senso della solidarietà negli anni difficili, che sono paradossalmente quelli del successo nel dopoguerra e poi del massimo riconoscimento con il Premio Nobel per la letteratura nel 1957, a 44 anni (uno dei più giovani in assoluto). Ma associato questa volta a un senso di solitudine vissuto come isolamento, sofferto soprattutto dopo la violenta rottura con Sartre nel 1952, fino al sentimento dell’esilio, che lo avrebbe indotto a intraprendere una ricerca delle origini perdute (Il primo uomo, un romanzo autobiografico rimasto incompiuto e pubblicato postumo).

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n 43 PAG. sabato 21 settembre 2013

In ogni caso la solidarietà, lungi dall’essere in contrasto con la rivolta, ne è una implicazione. La celebre formula “Mi rivolto dunque siamo” rovescia il cogito cartesiano anche nel legame stabilito tra la prima persona singolare e quella plurale, tra un atteggiamento esistenziale, soggettivo, e la condivisione. E implica la responsabilità personale nelle vicende della storia. A cento anni dalla nascita Camus ci si presenta oggi come un intellettuale di straordinaria modernità, molto più di altri temporalmente più vicini a noi. Mi pare che questo sia posto al centro del vostro convegno. In quei due aggettivi associati c’è una grande lezione: l’invito – quasi un imperativo – ad assumere una solitudine sostanziale e ad essere al tempo stesso solidali con il mondo degli uomini, a partecipare delle loro lotte e del loro destino, accettando la sfida di essere ricacciati ognuno nella propria solitudine. L’invito a non perdere mai l’umano, per dirla con Camus. Questo è il senso che abbiamo voluto dare all’omaggio a un grande scrittore. A rileggerlo, a farlo parlare oggi alle

nostre sensibilità e alla luce della storia che ci sta alle spalle come a quella che viviamo, avremo persone che sanno coniugare la serietà della ricerca e del ragionamento con una grande attenzione a ciò che è in gioco nella storia quotidiana. Fra questi, Valerio Magrelli, poeta e scrittore, ordinario di Letteratura Francese all’Università di Cassino, collaboratore di “Repubblica”; Sergio Givone, filosofo e ordinario di Estetica all’Università di Firenze che ha dedicato importanti studi a problematiche come il nichilismo e il nuovo pensiero tragico centrali nell’opera di Camus, Benjamin Stora uno dei massimi esponenti di quella storiografia che solo a parecchi decenni dalla conclusione formale della guerra d’Algeria ha affrontato il terreno con distanza storica e sempre maggiori competenze (ricordo che è stato consulente di Amelio per il film Il primo uomo); Maïssa Bey, una delle voci più importanti del mondo arabo che a Camus ha reso un lucido e commosso omaggio, L’ombre d’un homme qui marche au soleil, eccezionalmente prefato dalla figlia dello scrittore. Camus ha amato moltissimo l’Italia e Firenze, in particolare, di cui troviamo traccia nei suoi scritti. Sì, penso a un testo scritto tra i 24 e i 25 anni, Il deserto, nato da un primo folgorante incontro con Firenze nel settembre 1937, in un momento di grossa crisi esistenziale (tubercolosi, separazione coniugale…). Camus cominciò a scriverlo qui, prendendo appunti sui suoi Taccuini e li rielaborò nei mesi successivi destinando il testo a completare un volume di saggi ispirati da paesaggi algerini pubblicato in pochissime copie a Algeri, Nozze (1939). In contemporanea iniziava la sua trilogia dell’Assurdo: Lo straniero, Caligola, Il mito di Sisifo e abbandonava un primo romanzo d’impronta nietzschiana. E’ dunque un testo, tra il narrativo e il saggistico, di grande importanza oltre che bellezza perché fa da cerniera tra i primi scritti e alcuni dei suoi capolavori. Poche pagine ma particolarmente dense, che Sergio Givone ci aiuterà a capire e di cui Italo Dall’Orto leggerà ampi estratti. Ne sentiremo anche il passo finale in francese dalla voce stessa di Camus, una lettura struggente. Per rendere ancora più sensibile questo approccio abbiamo organizzato una passeggiata sulle orme dello scrittore attraverso il Giardino di Boboli, guidata dal Direttore della Galleria Palatina e del Giardino Alessandro Cecchi. Il Rapporto con Sartre: forse a posteriori possiamo dire che Camus aveva ragione e Sartre ha avuto torno. O no? Ho sempre avuto l’impressione che la querelle Sartre-Camus sia stata semplificata. Ci siamo tutti schierati da una parte o dall’altra in modo netto, mentre le cose guardate un po’ da vicino sono più complesse. Si sono conosciuti a distanza attraverso i loro rispettivi libri, prima della guerra, e apprezzandosi a vicenda. E si sono co-


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