61 - VS Settembre2012

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csv informa

Settembre 2012 - Anno VII - n.61

disabilità

Speciale Censimento

Un Registro Europeo dei pass

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FUTURI SOSTENIBILI

Editoriale

A Tricase il 29 settembre la prima tappa del Forum Provinciale del Volontariato

Alle pp. 8-9-10

VERSO GLI STATI GENERALI DELLA POVERTÀ

Si conclude con un open space il percorso di progettazione partecipata “I valori della povertà” del Csv Salento

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i è concluso venerdì 14 settembre il percorso di progettazione partecipata “I Valori della Povertà” che, nei mesi di maggio e giugno, ha visto volontari e operatori coinvolti in una sperimentazione di strumenti di ispirazione comunitaria applicati al tema della povertà. Il gruppo di lavoro, ha deciso di chiudere con un Open Space Technology (OST): uno spazio di discussione aperto a chiunque, un metodo di lavoro basato sull’autorganizzazione e

sulla capacità propositiva delle persone che partecipano all’evento. Non ci sono relatori chiamati a parlare né programmi predefiniti: i partecipanti creano l’agenda della giornata, propongono i temi di lavoro e discutono le priorità. Unici protagonisti, pertanto, i partecipanti assieme alla loro esperienza, le loro idee, la loro voglia di mettersi in gioco. COME COSTRUIRE RETI PER ESSERE MENO POVERI? Continua a pag. 2

le parole che contano

“La crescita è la causa della crisi che stiamo vivendo e quindi non può essere la soluzione” Maurizio Pallante

GIRAVOLTE, STORIA DI UN VICOLO E DI UNO SFRATTO ANNUNCIATO

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na storia annunciata di sfratti e di sofferenze. Non poteva che iniziare così il racconto di ciò che sta accadendo nel centro storico di Lecce, in Vico delle Giravolte, dove una trentina di donne e uomini immigrati hanno ricevuto ordine di sfratto dal loro stabile nel quale vivevano. Si tratta di abitazioni di proprietà delle Suore Benedettine, ricevute in donazione nel 2004 dalla “Mara”, transessuale leccese scomparsa in quell’anno, e nelle quali da più di vent’anni vivono decine di persone pagando regolarmente l’affitto. Quegli stabili però sono, sotto il profilo igienico-sanitario e strutturale, invivibili e pericolosi. Quegli stabili però sono, sotto il profilo igienico-sanitario e strutturale, invivibili e pericolosi. Continua a pag. 12

di Luigi RUSSO

LA TERZA FASE DEL VOLONTARIATO ITALIANO

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robabilmente non esistono degli storici del fenomeno del volontariato nazionale, anche se ricerche ne sono state fatte tante in questi ultimi anni, a cominciare dai tempi del compianto Tavazza. Tuttavia si può dire che ormai il volontariato che agisce in Italia ha un suo consolidamento, culturale, numerico e temporale. Detto questo, però, appare più interessante capire che cosa sta succedendo e dove sta andando il nostro mondo, al quale appartengono almeno 4-5 milioni di persone. Vediamo il processo nella sua interezza, con delle opportune semplificazioni. La prima fase del volontariato italiano è quella che si è conclusa agli inizi degli anni novanta, quando fu approvata la Legge 266/91. Questo volontariato era piuttosto di matrice cattolica o confessionale, aveva principalmente a cuore la “salvezza” delle fasce deboli della popolazione. La seconda fase è stata quella della più esplicita riconoscibilità pubblica del volontariato e del consolidamento della prassi democratica interna, e questo è certamente accaduto e si è rinforzato con la nascita dei CSV che si reggono con le risorse che provengono dalla Fondazioni bancarie. I volontari, insomma, hanno sposato la via della democrazia, ma hanno anche cominciato a chiedersi quale ruolo possono avere per sviluppare la cultura della responsabilità sociale, e a realizzare lo sviluppo del capitale sociale con mezzi trasparenti. E siamo ad oggi. L’assemblea del 5-7 ottobre a L’Aquila dovrebbe segnare un passo decisivo in avanti. Ma in che senso? Nel senso della nascita di una nuova lobby che tenta di incidere nelle dinamiche di potere nazionale? Oppure, come tutto il recente dibattito sui “beni comuni” sembra volere indicare, nella direzione del consolidamento della soggettività politica del volontariato italiano, che insieme a tutto il patto parasociale può e deve ormai diventare quella terza colonna dello Stato, che mira a sviluppare la cultura della solidarietà e della responsabilità, lo sviluppo dei beni comuni, senza subalternità alla religione del PIL.


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