A CURA DEL COORDINAMENTO TERRITORIALE D’AMBITO - UNIONE GIULIANA Anno 2 - Numero 7 - Novembre 2018
Editore Centro Servizi Volontariato FVG Viale Martelli, 51 - 33170 Pordenone Telefono 0434 21961 - 040 635061 Sito web www.csvfvg.it Direttore responsabile Pierpaolo Gregori Responsabile Privacy Francesco Monea
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Distribuzione gratuita
Coordinamento editoriale Cristiano Drosg e Domenico Maiello Aut. Trib. di Pordenone n. 713/2017 R.G.V.G.
Progetto sostenuto dal CSV FVG
Impaginazione Mittelcom srl Via del Toro 18 - 34125 Trieste Progetto Grafico Giuseppe Morea
Uno spazio per eventi, convegni, manifestazioni per la diffusione del volontariato
Il volontariato al Centro: Montedoro Shopping Center Il Coordinamento Territoriale d’Ambito Unione Giuliana punta sulla diffusione del valore del volontariato attraverso gli eventi delle associazioni Il Coordinamento Territoriale d’Ambito Unione Giuliana punta sulla diffusione del valore del volontariato attraverso gli eventi delle associazioni. Il volontariato esercita un ruolo importante nella nostra società con servizi puntuali che vengono offerti a sostegno del territorio e delle persone. Donare spontaneamente il nostro tempo agli altri è un valore da coltivare e valorizzare. Molto spesso l’aspetto della comunicazione viene sottovalutato quasi si trattasse di una forma di esibizionismo convinti che il bene vada fatto più che comunicato. Nella società contemporanea questa idea va completamente rivista. Comunicare è diventato essenziale e deve essere inteso come momento cardine dove si ha l’opportunità di mostrare agli altri la ricchezza del nostro operato, i risultati che un lavoro fatto volontariamente con passione può portare e l’impatto che esso ha sulla società nella quale viviamo. Comunicare permette anche di dare la possibilità agli altri di avvicinarsi
L’Editoriale
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uò sembrare strano ma, benché in tutti i 6 numeri precedenti (iniziamo ad avere una bella storia alle spalle) abbiano contenuto in via più o meno diretta riferimenti ai Diritti Umani in alcuni temi, mai come in questa uscita questo tema diventa il fulcro principale attorno cui ruotano un numero rilevantissimo di articoli. Anche all’interno delle singole Associazioni, vuoi per routine, vuoi perché presi dalle mille attività, ci si dimentica che pressoché tutti noi che ci dedichiamo al Volontariato lavoriamo perché noi stessi (nel caso delle Organizzazioni di mutuo aiuto) o qualcun’altro riesca pienamente a vivere qualcuno dei tanti diritti che sono intrinseci nella vita di ciascuno. Ciò che più mi ha colpito dalla lettura di questi interventi è la varietà oltre che la profondità di riflessione di questo tema che è molto più ampio di quanto potessi immaginare ma che ora intravedo più distintamente. Non voglio spoilerare di quali diritti si parla in questa rivista però ho approfittato di questa occasioni per andarmeli a rileggere così come sono riportati nei 30 articoli della Dichiarazione
alle nostre idee, condividere i nostri interessi, essere di esempio e diventare punto di riferimento. In una società che attraversa un momento co m p le sso diventa importante poter immettere messaggi positivi che incentivino valori di mutuo aiuto e solidarietà. Dare alla comunicazione spazi adeguati nei quali le persone possano incontrarsi, scambiare idee, organizzare percorsi formativi ed eventi è il centro del progetto Montedoro sul quale punta il CSV sostenendo la nuova iniziativa
di Pierpaolo Gregori Universale dei Diritti Umani. Alcuni di questi, mi pare evidente, a tutt’oggi non vengono rispettati. Neppure nel nostro Paese e forse neanche nelle nostre case. Tra i principali vorrei elencarne alcuni, che siano di riflessione per tutti: 1) Siamo nati tutti liberi e uguali. 2) Non possono esserci discriminazioni. 3) Tutti hanno diritto alla Vita. 4) Nessuno può essere schiavo. 5) Nessuno può torturare nessuno. 6) I Diritti sono tali ovunque si vada. 7) Tutti uguali davanti alla Legge. 8) Nessuna detenzione ingiusta. 9) Diritto ad avere un giusto processo. 10) Innocenza fino a prova contraria. 11) Diritto alla Privacy. 12) Libertà di movimento. 13) Diritto di cercare un posto sicuro in cui vivere. 14) Diritto ad avere una Nazionalità. 15) Diritto al matrimonio e creare una famiglia. 16) Diritto a ciò che ti appartiene. 17) Libertà di pensiero. 18) Diritto di riunione e associazione. 19) Diritto alla democrazia. 20) Diritto alla sicurezza sociale, ai lavoratori, allo svago, all’istruzione. 21) Diritto ad avere cibo e un tetto. E, infine, l’ultimo articolo: nessuno può privarti di questi diritti fondamentali.
del CTA Unione Giuliana. L’obiettivo è quello di accompagnare le associazioni nella diffusione sul territorio del proprio impegno ma anche incentivarle ad interagire tra di loro, unirsi in rete e rendere il volontariato ancora più incisivo nelle sue azioni. Lo spazio sarà a disposizione gratuitamente di tutte le associazioni del territorio presso il Centro Commerciale Montedoro. Non saranno ammesse attività di raccolte fondi e attività commerciali ma sarà dato libero
sfogo alla fantasia per corsi di formazione gratuita, convegni, eventi ricreativi e tutte quelle iniziative di condivisione che serviranno ad informare e ampliare l’interazione tra associazioni, istituzioni, volontari e territorio. Una nuova importante finestra per il volontariato in un ambiente aperto e facilmente accessibile con il vantaggio del parcheggio gratuito. Un’opportunità da non perdere per farsi sentire e soprattutto per cercare di contagiare positivamente la comunità. Un gruppo di lavoro si è costituita all’interno del CTA per organizzare le procedure per la richiesta degli spazi, programmare il calendario, valutare le richieste che stanno arrivando e supportarvi nell’organizzazione. Vi invitiamo a segnalare quanto prima via mail al CTA la vostra idea di evento. E’ il momento giusto per mettersi in azione. Marta Vuch Coordinatore di Progetto giuliana@cta.fvg.it
In questo numero Disabilità e salute mentale
Il premier Conte a Trieste
p. 4 Spiagge sommerse dalla plastica
Il Beach littering
p. 10
Il triestino misconosciuto
Carl Weyprecht
p. 6 Centro diurno di Villa Sartorio
L’Open day AISM
p. 13
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Gruppo Sociale
GOAL: lo sport oltre la guerra
Dal Friuli Venezia Giulia un progetto per i bambini siriani rifugiati in Turchia Continua e si rafforza con nuove attività la cooperazione tra la nostra Regione e la comunità dei siriani rifugiati in Turchia. Si è infatti dato avvio a Trieste al progetto “GOAL”, finanziato attraverso il recente bando della Legge 19/2000 di cooperazione internazionale della Regione Friuli Venezia Giulia e che prevede la promozione dello sport per l’inclusione sociale e il benessere psicofisico dei bambini siriani rifugiati in Turchia. Il progetto GOAL, promosso e coordinato dalla Polisportiva Fuori c’entro di Trieste, si pone come obiettivo generale quello di promuovere la pratica sportiva a favore dei bambini rifugiati nell’area di confine tra Turchia e Siria come strumento di supporto al percorso di superamento dei traumi post conflitto e di inclusione sociale. Il progetto, della durata di un anno, si svolgerà nell’area compresa tra le città di Gaziantep, Killis e Reyhanli, nel sud della Turchia, e prevede la formazione di educatori sportivi locali e di psicologi dello sport e la realizzazione di attività sportive per i bambini. Tale progetto conferma l’impegno del Friuli Venezia Giulia nella risposta alla crisi siriana, e consolida la collaborazione avviata dal 2015 con progetti promossi dalla Regione nella zona, centrati sul supporto pisco-sociale e lo
sviluppo di formazione professionale per le donne rifugiate siriane, progetti grazie ai quali è stato anche aperto un centro femminile a Reyhanli. All’incontro svolto-
Shishakly, venuto da Gaziantep (Turchia) e presente a Trieste in questi giorni, ha affermato che il progetto è ancora più importante perché si svolge nella zona a sud
si a Trieste hanno preso parte i rappresentanti degli enti regionali coinvolti nel progetto GOAL, la Polisportiva Fuori c’entro e il CUS Trieste, e del partner in loco, Maram Foundation, Ong siriana con sede in Turchia. Il Direttore di Maram, Yakzan
della Turchia al confine con l’area di Idlib in Siria, che è attualmente una delle zone più calde della crisi siriana. La zona interessata dal progetto GOAL, quindi, che ha già ospitato circa 500.000 rifugiati siriani dall’inizio del conflitto, rischia di avere
un nuovo flusso di persone che scappano dalla zona di Idlib. I bambini sono sempre una delle categorie più colpite dalla guerra e rispetto alla crisi siriana l’ONU parla di “lost generation” per la presenza di quasi 1 milione di bambini rifugiati nei paesi confinanti con la Siria senza educazione o che hanno dovuto abbandonare i percorsi scolastici. Il progetto GOAL avrà come suo luogo centrale di intervento l’orfanotrofio di Reyhanli gestito da Maram Foundation, e vuole dare un contributo ai percorsi formativi educativi e di inclusione sociale dei bambini grazie all’esperienza e all’intervento degli educatori, degli psicologi e degli allenatori delle realtà triestine coinvolte. L’attività sportiva è da ritenersi parte integrante dell’educazione e strumento indispensabile per il superamento dei traumi causati da una lunga guerra che ha influenzato indirettamente lo scenario socio-culturale anche della nostra regione. La ricostruzione di un paese inizia puntando sull’educazione che servirà a formare quelle figure chiavi indispensabili per riportare la stabilità e la Pace. Luca Bianchi Polisportiva Fuoric’entro www.facebook.com/polisportivafuoricentro/
Due importanti eventi per l’associazione Psicologi per i Popoli FVG Onlus
Dai diritti umani alla Psicologia dell’Emergenza Volendo dare una definizione di diritti umani si parla di bisogni vitali, spirituali e materiali di una persona e, continuando nel gioco di definizioni, un bisogno è un elemento che attiva e dirige il comportamento, in modo da ristabilire continuamente l’equilibrio omeostatico della persona. Quando si verifica una catastrofe, come un terremoto o un’alluvione, questo equilibrio viene completamente stravolto, venendo a mancare uno dei bisogni primari dell’uomo, alla base della piramide di Maslow, ovvero il bisogno di sicurezza. Il termine sicurezza deriva dal latino sinecura, senza preoccupazione, e si riferisce alla conoscenza che l’evoluzione di un determinato sistema non produrrà stati indesiderati, all’essere consapevoli che una certa azione non provocherà danni futuri. Un sistema può evolversi senza dar luogo a eventi indesiderati, ma non per questo può essere ritenuto sicuro, prova ne è l’alto numero di terremoti che colpiscono la nostra nazione, dove per quanto ad oggi abbiamo a disposizione notevoli strumenti tecnologici, ricerche e lavoro continuo di studiosi, resta comunque l’impossibilità di previsione certa di tali fenomeni. Per poter fronteggiare però fenomeni ad alta imprevedibilità, entra in gioco la prevenzione e la formazione. L’associazione Psicologi per i Popoli FVG, pone tra i suoi obiettivi principali quello di divulgare una cultura di prevenzione, oltre a porsi
in prima linea, operando in situazioni di emergenza e post emergenza a motivo di calamità e disastri, naturali o provocati dall’uomo, in modo da promuovere e tutelare il benessere psicologico. Proprio il tema della sicurezza, era al centro del XII Campo Scuola a Marco di Rovereto, tenutosi dal 14 al 16 settembre, presso il Centro di addestramento della Protezione civile della Provincia autonoma di Trento; a cui gli psicologi dell’emergenza PXP Fvg hanno partecipato in gran numero, come momento di formazione personale, professionale e momento di crescita associativa. Al Campo, c’è stato un primo momento incentrato sul tema delle manifestazioni pubbliche e le nuove norme per i volontari di Protezione Civile, con riflessioni sulle esperienze di collaborazione degli Psicologi dell’Emergenza con le altre forze del soccorso in occasione dei grandi eventi. Al sabato, una tavola rotonda, dove i rappresentanti delle associazioni territoriali di Psicologi per i Popoli, hanno condiviso le loro esperienze creando un momento di forte coinvolgimento emotivo di tutta la platea. Nella stessa giornata, quattro laboratori di condivisione e approfondimento, che hanno trattato i temi di Protezione Civile, persone scomparse, sicurezza e professionalità nell’accoglienza ai migranti. Concludendo alla domenica con uno scenario simulato di maxi-emergenza incendio, a cui ha
partecipato anche il personale dei Vigili del Fuoco di Trento. Un altro evento a cui i nostri psicologi hanno partecipato, a sostegno dei diritti umani in una metafora simbolica della libertà, è la Barcolana, dove per il secondo anno consecutivo hanno dispiegato le vele dell’imbarcazione «L’Inglese». «il cielo chiaro dopo la paura,
dopo la paura di esserci perduti e tornerà la vita in questo mare. Soffierà, soffierà il vento forte della vita. Soffierà sulle vele e le gonfierà di te» (dal canto liturgico «Tu Sei»). Hanna Farah Psicologi per i Popoli fvgonlus psiperipopoli.fvg@gmail.com
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Intervista a Yakzan Shishakly di Maram Foundation
Diritto allo studio: ricostruiamo le persone poi penseremo alle case Lo scorso mese di settembre l’associazione Hope For di Trieste ha invitato in città il presidente dalla Fondazione Maram per dargli la possibilità di partecipare all’importante giornata per la firma del Memorandum d’intesa tra dieci poli scientifici della regione Friuli Venezia Giulia sul supporto di scienziati rifugiati. Hoper For si occupa di cooperazione internazionale con obiettivo principale facilitare la formazione ed educazione a tutti i livelli. Studiare è un diritto e la ricostruzione di un paese non significa solo ricostruire edifici ma deve investire anche sulle persone, sui bambini, sul sapere. Hope For e Maram collaborano in questo senso e cercano di sensibilizzare la comunità internazionale proprio in questo aspetto cercando di indirizzare su questa linea di pensiero i programmi di cooperazione. Abbiamo incontrato il Presidente di Maram, Yakzan Shishakly, e gli abbiamo chiesto quale sia la situazione del conflitto siriano a 7 anni dall’inizio. <<Si parla della nostra guerra solo quando ci sono eventi che fanno notizia per numero di morti o interventi particolarmente sanguinosi. Noi subiamo la guerra e ad essa dobbiamo adattare i nostri interventi cercando di assistere i civili a sopravvivere. Si avvicina un nuovo inverno con nuove difficoltà. Questa è la situazione del conflitto>>. E’ possibile parlare dei primi passi per la ricostruzione? <<La ricostruzione presuppone la restituzione alla popolazione di una situazione di normalità in tutti i servizi. Oggi in Siria non è pensabile poter iniziare a costrui-
re. Abbiamo l’autorizzazione ad intervenire solo in situazioni di emergenza. Tutto quello che viene ricostruito può diventare un nuovo target e nuovamente distrutto per questo motivo la comunità internazionale supporta solo programmi di emergenza e noi ci dobbiamo adeguare>>. Quale futuro vede per il suo paese? <<Abbiamo discusso a lungo quest’estate anche con i soci di Hope For su questo tema e cercato di trovare una chiave che permettesse di dare speranza alla popolazione. Non possiamo sapere cosa succederà della Siria, tutto si basa su rapporti internazionali che noi non possiamo gestire ma subiamo solo le conseguenze delle decisioni prese più in alto. Per noi quest’anno inizia la nostra ricostruzione. Abbiamo deciso di investire quanto possibile sulla formazione ed educazione. Vogliamo dare ai ragazzi che hanno subito il conflitto la possibilità di studiare e raggiungere i livelli dei loro coetanei in altre parti del mondo. Loro sono il futuro del nostro paese, sono loro che potranno ricostruire con il loro sapere quello che la guerra ha distrutto. Un paese vive grazie ai suoi medici, avvocati, ingegneri, operai. Sul diritto allo studio si basa tutto il nostro impegno. Il rischio è che con la ricostruzione ci sia una nuova forma di influenza esterna a causa della mancanza di figure professionali che non si sono formate a causa del conflitto. Un ragazzo che vive in un orfanotrofio deve avere le stesse opportunità di quando viveva nella sua città; è cambiata la sua condizione ma non le sue possibilità. Sentiamo parlare di
generazione perduta, di ragazzi senza un futuro. Ecco queste sono cose che ci fanno soffrire più delle bombe che cadono. La scuola e la conoscenza sono la chiave su cui concentrarsi in tutti i contesti di emergenza>>.
La scuola come speranza e come diritto innegabile per tutti per investire sul nostro futuro. Marta Vuch Hope for… www.hope-for.com
Un’esperienza che sentivo di dover fare già da anni ora finalmente si è realizzata
Il mio volontariato Quando la luce del faro del veicolo di servizio illumina l’uomo che dorme sulle scale del teatro lo riconosco subito: e` Jelec, un barbone, anzi Il barbone; lui invece non mi ha riconosciuto. Lo faccio spostare come ho avuto disposizione di fare. Jelec e` uno dei tanti che ho conosciuto da quando ho iniziato a fare volontariato in un dormitorio; d’estate siamo gli unici ad offrire un pasto ed un tetto a chi ne ha bisogno, il paradosso e` che come operatore di polizia locale devo allontanarli e come volontario accoglierli; ho scelto di andare a svolgere il servizio la` proprio perche` volevo essere in prima linea fra gli ultimi, quelli che di solito si cerca di evitare perche` sono sporchi e puzzano oltre ad essere spesso ubriachi; in effetti non sono belli da vedere. Quasi subito la mia idea sul clochard buono e sfortunato ha iniziato a vacillare; avevo un’idea romantica di creature oltre gli standard imposti dalla societa` ma dopo poco ho capito che non era cosi`. Volevo fare volontariato perche`, come spesso capita ai figli, ambivo ad essere come mia mamma che lo faceva da anni. L’occasione mi si presento` il giorno che lessi un post che invitava a frequentare un corso per la formazione di volontari proprio in via
Udine alla comunita` di San Martino al campo: lo feci e alla fine non ci pensai un attimo a restare. Sentii di dover essere in prima linea, dove arrivavano i derelitti senza nessuno e cosi` mi fu assegnato il dormitorio; sparì quasi in un attimo il romanticismo quando mi trovai a che fare con anime affatto sublimi e spesso con problemi di dipendenza, abituate a galleggiare sfruttando ogni occasione compreso il buon cuore degli altri. Oggi mi sento di dire che solo alcuni cercano il contatto con noi, gli altri si limitano a mangiare e a dormire al caldo ma questo non mi ha demoralizzato, ho continuato in maniera delicata a cercare un filo e` sono stata piu` volte ripagata. Ho conosciuto donne bulgare che chiedevano la carita` in strada con gli occhi persi nel vuoto e che poi a cena mi raccontavano dei loro figli e della loro casa con il sorriso sul-
le labbra; ho conosciuto Marco, accolto completamente sbandato e che dopo alcuni mesi se n’ e` andato felice di esser riuscito ad intraprendere un percorso di disintossicazione; Romano con la vita distrutta dal passato e dall’alcool che quando gli hanno assegnato un appartamento si e` messo a piangere perche` stava bene in dormitorio. Poi Francesco: l’avevo visto ciondolare in stazione con i suoi piedoni enormi, sformati e neri; quando l’ho visto entrare in comunita` con i capelli lunghi e arruffati e lo sguardo perso ho pensato che non sarei mai piu` riuscita a sedermi con lui a mangiare mentre ora i suoi piedi non li vedo piu` e ho davanti una persona. Dedicare anche una piccola parte del mio tempo a loro mi fa star bene... Licia Bassan Comunità di San Martino al Campo, Trieste www.smartinocampo.it
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Gruppo Sociale
Il Presidente del Consiglio Conte a Trieste Il Vice Ministro alla Famiglia e Disabilità dott. Vincenzo Zoccano porta all’attenzione del Presidente del Consiglio le problematiche della disabilità, anche quelle della salute mentale Vi sono grata per avermi dato la possibilità di essere presente in questa sede e parlare di salute mentale. E sono orgogliosa di farlo da questa meravigliosa città che esattamente 40 anni fa ha assistito con l’entrata in vigore della legge 180, al concretizzarsi di quella che è stata la rivoluzionaria intuizione di Franco Basaglia: la chiusura dei manicomi, luoghi di non cura e privazione di qualunque diritto umano. Una storia di oltre 40 anni travagliati da tentativi di ritorno a sistemi coercitivi, un percorso di civiltà condotto da migliaia di famiglie che hanno chiesto e chiedono per i loro cari l’inclusione sociale, l’abitabilità se necessario assistita, il lavoro che è un diritto di tutti, l’assistenza terapeutica che non contempli l’aberrante pratica della contenzione e non di secondaria importanza il superamento dello stigma. Sono altresì orgogliosa di poter affermare che il “modello Trieste” è considerato un modello da studiare, imitare, esportare con operatori altamente specializzati e proprio perché fedeli alle teorie basagliane con-
tattati da tutto il mondo. Purtroppo però è un modello che da tempo presenta preoccupanti crepe e non a causa della ridotta operosità e professionalità degli addetti ai lavori.. E’ già accaduto nella nostra città di aver richiesto inutilmente in passato un aumento del personale ed un incremento del budget destinato a Trieste e agli altri dipartimenti di salute mentale della regione. Purtroppo nel tempo la situazione è ulteriormente peggiorata. Di fronte ad una crescente richiesta di interventi (ad oggi gli utenti nella nostra città sono circa 4.500 su circa 205.000 abitanti) le risorse attualmente erogate sono insufficienti,sono carenti i fondi per i budget di salute individuale da destinare ai progetti di riabilitazione psico-sociale. Allarmanti i numeri in
aumento dei giovani, tra i quali purtroppo annovero anche mio figlio ora ventenne, seguito da ormai quattro anni. Numerosi sono i casi di persone cronicizzate che vivono in solitudine, bisognose di tutto ma in particolare di quella dignità che non si può e non si deve negare a nessuno. Siamo famiglie che vivono il presente sopportando carichi emotivi, fisici, economici, burocratici a volte insostenibili e pensano al futuro con grande preoccupazione chiedendosi cosa ne sarà “dopo di noi”? Trovo un significativo sostegno nell’associazione A.fa.So.P. NoiInsieme ONLUS -Associazione Famigliari Sofferenti Psichici - presente a Trieste da ben 30 anni e insieme perseguiamo obiettivi comuni, rivendicando con forza maggior attenzione e impegno.
Collaboriamo con diversi enti, primo fra tutti il nostro Dipartimento di Salute Mentale allo scopo di realizzare azioni sinergiche e concrete. Facciamo parte di una rete di associazioni che operano sulle diverse realtà territoriali di Udine, Tolmezzo, Gorizia, Palmanova e Pordenone. Aderiamo all’U.N.A.Sa.M. che rappresenta in Italia le Associazioni dei famigliari e degli utenti dei servizi di salute mentale impegnate attivamente in tutte le regioni. Unitamente alla stessa chiediamo una seconda Conferenza Nazionale a distanza di 17 anni dalla prima. Chiediamo un sostegno forte e responsabile a questo Governo e a questa Giunta Regionale perché è urgente che vengano messe in campo più risorse finanziarie necessarie per rispondere adeguatamente alla complessità dei bisogni che le persone che vivono la condizione di sofferenza mentale esprimono. Tiziana Tomasoni A.Fa.So.P. Trieste afasop.noiinsieme@gmail.com
MEMORANDUM: le istituzioni scientifiche a sostegno dei ricercatori in fuga dalla guerra
La scienza per la pace Il giorno 17 settembre 2018, presso la Budinich Lecture Hall del Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam, si è tenuta la cerimonia per la firma del Protocollo d’Intesa (Memorandum of Understanding) con il quale dieci istituti scientifici di Trieste Città della Scienza e della Regione Friuli Venezia Giulia hanno celebrato la creazione di una piattaforma operativa condivisa, a supporto di scienziati e ricercatori rifugiati. Dieci istituzioni scientifiche d’eccellenza del Friuli Venezia Giulia, 3 università e 7 centri internazionali, si sono allineati per fornire opportunità di studio e ricerca a scienziati costretti ad abbandonare i loro Paesi d’origine a causa di guerre e conflitti. Il documento che sancisce il patto tra le dieci istituzioni, italiane e internazionali, riporta che esse “offriranno agli scienziati coinvolti la possibilità di arricchire
le loro competenze professionali, favorire la loro integrazione e il loro sviluppo umano e professionale e incoraggeranno il loro rientro nel Paese d’origine quando le condizioni lo permetteranno”. L’accordo è il risultato di un progetto avviato circa un anno fa dai centri di ricerca per sostenere scienziati, sociologi, medici, ingegneri e studenti costretti ad abbandonare i loro Paesi d’origine. Esattamente non si sa quanti siano i ricercatori in queste condizioni, ma secondo alcune stime sono migliaia quelli che negli ultimi anni hanno abbandonato Paesi come Siria, Iraq, Yemen, Afghanistan e Venezuela. Molti si trovano adesso nei Paesi confinanti ai loro Paesi d’origine come Giordania, Turchia e Colombia, mentre altri sono in Europa e Nord America. Diversi tra loro non hanno avuto la possi-
bilità di riprendere il lavoro per la mancanza di opportunità e programmi specifici. Trieste e il Friuli Venezia Giulia sono riconosciuti come capitale mondiale della scienza, con molti istituti impegnati nella creazione di competenze scientifiche nei Paesi in via di sviluppo. Il nuovo accordo conferma la consolidata esperienza delle istituzioni scientifiche regionali nelle attività che promuovano la science diplomacy grazie alle quali hanno acquisito un ruolo di leadership a livello internazionale. La giornata di del 17 settembre è iniziata con la proiezione di un estratto del film della regista triestina Nicole Leghissa dal titolo Science in Exile ed è continuata con la testimonianza diretta del presidente di Maram Foundation a sottolineare che i primi passi per la ricostruzione di un paese dopo
un conflitto come quello che ha interessato il suo, la Siria, nascono da un investimento sull’educazione, la formazione e la preservazione della cultura attraverso il suo capitale umano. La tavola rotonda di chiusura e la firma del documento hanno sottolineato l’importante ruolo che la scienza e le istituzioni rappresentate possono avere in questo senso. Trieste si avvia verso ESOF 2020 lavorando per la Pace. Marta Vuch www.sissa.it
Uno di noi: diritto alla vita fin dal concepimento Ogni individuo ha diritto alla vita: così recita l’art. 3 della dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Non a caso tale diritto è citato per primo, in quanto presupposto necessario di ogni altro diritto. Sono passati settant’anni da allora, ma possiamo ancora chiederci se la vita è veramente diritto di tutti o privilegio di pochi. Da un lato ci sono affermazioni di principio che riconoscono il valore e la dignità di ogni essere umano in quanto tale, senza alcuna distinzione di razza, nazionalità, religione, opinione politica, ceto sociale. Dall’altra c’è la realtà di guerre, fame, uccisioni, sfruttamenti, persecuzioni, aborti, eutanasia.... E’ fondamentale pertanto che ci siano persone che si spendano perché i diritti enunciati trovino
effettiva applicazione. E’ questa la motivazione che spinge molti volontari ad operare in settori diversi. I Centri di Aiuto alla Vita e le associazioni locali di M.p.V federati nel Movimento per la Vita Italiano, sono sorti proprio allo scopo di difendere la vita di ogni essere umano senza eccezioni, dal concepimento e in tutto l’arco del suo sviluppo, fino alla morte naturale. La Federazione promuove l’affermazione di una cultura davvero aperta al riconoscimento, all’accoglienza e alla protezione di ogni essere umano, in qualsiasi fase del suo sviluppo ed in qualsiasi condizione esso si trovi. Così recita lo statuto e con tale spirito operano i volontari. Nei Centri di Aiuto alla Vita l’attenzione è posta soprattutto sulla vita nascente, riconoscendo nel concepito uno di noi che non
ha voce, ma che ha in sé, fin da subito, tutte le caratteristiche di essere umano con il suo DNA individuale che lo identificherà per tutta la vita: originale, unico, irripetibile. A tre settimane batte il suo cuore, a sei settimane si può rilevare il suo encefalogramma, a otto settimane i suoi organi sono formati. Perché possa nascere è però necessario che sia accolto dalla sua mamma e che la sua mamma trovi intorno a sé un ambiente favorevole a sostenerla nel suo ruolo. In realtà non sempre ciò accade perché altre sono le priorità che vengono poste all’attenzione della donna, soprattutto se la gravidanza è inattesa o, per qualunque motivo, difficile. La relazione di coppia non è significativa, Il padre del bambino non si sente pronto ad assumersi il suo compito, la famiglia d’origine è contraria, il lavoro è precario o addirittura manca… L’attaccamento della mamma al suo bambino inizia però subito dopo il concepimento, al di là della volontà o meno della donna a proseguire la gravidanza in quanto si attivano processi psichici inconsci
che esulano dal suo controllo consapevole. Per tale motivo quando una donna deve scegliere se proseguire la gravidanza o interromperla si trova difronte a vissuti ambivalenti e dolorosi. E’ in tale contesto che operano i volontari del Centro di Aiuto alla Vita: le offrono ascolto, aiuto, accompagnamento in modo che non si senta sola, possa far chiarezza in se stessa ed attivare le sue risorse. Obiettivo dei volontari è che nessuna donna possa dire di essere stata costretta ad abortire perché non ha trovato qualcuno che le desse una mano. Si stabilisce così una relazione di aiuto, che prosegue anche dopo la nascita del bambino, in un percorso verso l’autonomia. La gioia più grande è vederle venire, con il bambino in braccio, orgogliose e felici. Senza minimizzare le difficoltà che talora devono superare non ci è mai capitato di sentirle rimpiangere la scelta fatta. Maria Tudech Federazione Regionale per la Vita F.V.G. federvita.fvg@vodafone.it
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Gruppo Sociale 5
“I Narcos mi vogliono morto”
Un milione di dollari per uccidere un prete La sera di martedì nove ottobre mia moglie propone di partecipare all’incontro «Messico, tra i narcos, migranti e preti: un testimone» al Centro Culturale Veritas. Le rispondo prontamente di no, poi ci ripenso ed è così che conosco padre Alejandro Solalinde Guerra, un sacerdote messicano e la sua storia. L’incontro, organizzato dal Centro Veritas, la casa editrice EMI e la Comunità di Sant’Egidio è stato anche l’occasione per presentare il libro «I narcos mi vogliono morto» di padre Solalinde. Non è un caso che al Centro Veritas sia attiva una scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito dell’italiano ai migranti. All’età di sessant’anni, dopo una vita vissuta da comune sacerdote, viene a conoscenza della violenza a cui sono sottoposte le persone che fuggono dall’inferno dell’America Centrale. Arrivano dal Guatemala, Honduras e El Salvador attraversano il Messico per entrare negli Stati Uniti. Sono 500.000 tra uomini, donne e bambini che senza documenti intraprendono il difficile cammino verso gli USA. Ventimila migranti vengono rapiti ogni anno dai narcos, banditi senza scrupoli che si arricchiscono con la droga e con il riscatto. Richiedono denaro e le persone non vengono mai rilasciate. Inoltre opera-
no attraverso il contrabbando di organi e la prostituzione. Molte persone vengono ridotte in schiavitù e forniscono così tanta manodopera a costo zero. Padre Solalinde è stato testimone di quanto accadeva e nonostante l’elevato grado di corruzione delle forze dell’ordine e dei politici stessi, ha trovato il coraggio e la forza di denunciare i fatti. Non solo, ha fatto molto di più, a sessant’anni suonati ha deciso di aiutare questi fratelli in pericolo facendo con loro il percorso attraverso il Messico a piedi. Mai si sarebbe immaginato di saltare su e giù dai treni in corsa alla sua età e compiere tragitti a
piedi così faticosi. In una giornata gli capita di viaggiare dal mare alla montagna, raggiungendo altezze superiori ai duemila metri o viceversa percorrere la strada dalla montagna al mare e si stupisce che il suo fisico si adatti a questi grandi cambiamenti. Molto spesso è costretto a soffrire la sete perché mentre i migranti bevono da qualsiasi pozza qualunque acqua trovino lui non può permetterselo. Ha costruito nel 2007 un ricovero per aiutare e proteggere questi fratelli in viaggio, il centro «Hermanos en Camino» luogo dove possono trovare aiuto e riparo dai narcos e dalle forze dell’ordine. Padre So-
lalinde ha sporto molte denuncie formali su questo enorme sistema di persecuzione, per questo motivo è stato messo più volte in carcere ed è stato minacciato di morte più volte. Ha subìto attentati alla sua vita da parte dei narcos, che godono della complicità delle autorità messicane. Adesso padre Solalinde gira con una scorta di quattro uomini, non ha paura per la sua vita perchè è un uomo di Fede e cammina con i più poveri e più bisognosi come ha fatto Gesù Cristo; nella paura ha ricevuto la fortezza dello Spirito Santo. C’è una speranza ora, dice padre Solalinde, il popolo messicano ha votato per un buon presidente che si insedierà tra breve. Hanno votato per il cambiamento, nonostante le minacce ricevute anche da parte dei vescovi locali. Papa Francesco gli ha detto vai avanti così. Padre Alejandro Solalinde è candidato per il premio Nobel per la pace. Ho portato a casa una grande ammirazione per la forza e per la Fede di questo fratello che cammina con Cristo e una copia del suo libro con la sua firma e una dedica personale. Giorgio Cassoni Associazione Comunità e Famiglia Friuli Venezia Giulia
INTERVISTA A BEATRICE SULL’ASSOCIAZIONE «LUNA E L’ALTRA»
Una casa tutta per noi «Luna e l’Altra» cos’è? È un’associazione di donne nata nel 1990 dall’incontro tra donne che a diverso titolo, agivano nell’esperienza triestina di trasformazione istituzionale nel campo della salute mentale e donne protagoniste di altre esperienze sul terreno teorico-pratico delle tematiche femminili che rilevavano la necessità di affrontare con modalità diverse i percorsi di sostegno alle donne che attraversavano il disagio mentale. Questa necessità è stata riportata anche all’interno delle istituzioni che operano nella salute mentale e con l’impegno di questo gruppo di donne è stato possibile immaginare e sviluppare progetti specifici attenti alla differenza di genere. Qual’è la tua esperienza in questa associazione? Per quanto riguarda l’Associazione «Luna e l’Altra» credo sia importante sottolineare che la mia esperienza si limita al contesto del progetto di genere «Una Casa tutta per noi», nella sede in via Genova. Cos’è «Una Casa tutta per noi»? L’Associazione organizza le attività per le donne che frequentano «Una Casa tutta per noi» perché la prima cosa è avere uno spazio dedicato, accogliente dove le donne si sentano libere ma anche sicure. Si creano momenti di socialità e confronto, si attivano importanti rapporti di sostegno alla pari ma sopratutto si creano situazioni favorevoli ai percorsi di recupero. L’appartamento offre accoglienza diurna in determinate fasce orarie prestabilite, dal lunedì al venerdì. L’accoglienza notturna riguarda invece la disponibilità di due posti letto, riservati però a donne in particolari condizioni di necessità, che quindi risiedono stabilmente nell’appartamento per alcuni mesi. Tu che ruolo hai? La mia esperienza nella Casa è iniziata a Luglio del 2017 sotto forma di tirocinio non
retribuito, in affiancamento alle operatrici nell’accoglienza delle utenti e nelle attività organizzate dall’Associazione, nei laboratori artistici e di cucina, frequentando l’appartamento per un giorno a settimana dalle 10:30 alle 17:00. A partire da Agosto, ho avuto l’opportunità di usufruire di uno dei posti letto, risiedendo nella casa per tre giorni a settimana. Lo scopo del tirocinio e dell’alloggio era quello di permettermi di entrare in contatto con la realtà sociale e lavorativa di Trieste, ricevendo supporto ed orientamento da parte di diverse figure professionali che collaborano con l’associazione e con l’Azienda sanitaria. Da Ottobre 2017 continuo a frequentare la Casa come semplice utente nelle attività diurne, per uno o due giorni a settimana. Cosa fa l’associazione? L’Associazione sviluppa progetti individuali che riguardano donne che hanno bisogno di reindirizzare la propria vita dopo un periodo di disagio pesante o dopo un’esperienza che le ha particolarmente segnate. Il lavoro si svolge sempre in stretta collaborazione con le operatrici del DSM e i Centri di salute mentale creando un gruppo d’appoggio che si attiva su più fronti. Viene data sempre molta attenzione alle richieste delle donne stesse. Si affrontano argomenti come l’alimentazione, le terapie farmacologiche e il corpo delle donne o argomenti più personali anche con l’aiuto di espressioni diverse dalla parola, come la scrittura, la pittura, la lettura. Perchè hai scelto questa immagine? Il quadro, diventato il simbolo del progetto «Una Casa tutta per noi», raffigura alcune donne che sono parte attiva della vita nella Casa, con ruoli diversi, ma tutte unite dai colori, dalla gioia dei loro volti e dalla passione nel realizzare un progetto comune. Giorgio Cassoni lalunaelealtre@gmail.com
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Gruppo Culturale
Lungimirante, innovativo, supereroe
Carl Weyprecht, un triestino misconosciuto
Chi era costui? Pochi lo sanno, ma vale la pena di conoscere questo personaggio, nato in Germania nel 1838, ma vissuto a Trieste sin da giovane quale cadetto di marina e quindi poi da ufficiale della Marina Asburgica, partecipando ad importanti battaglie navali del tempo, tra cui quella di Lissa. Sino ad oggi, la scarsa conoscenza della vita di Carl Weyprecht aveva portato a considerarlo come uno scienziato tedesco, senza alcun collegamento con la città di Trieste. Le ricerche effettuate negli archivi cittadini (ma non solo), hanno invece dimostrato una realtà diversa, supportata pure dalle centinaia di lettere private di Weyprecht, conservate dalla sua discendente Dr.Heidi von Leczszynski. Carl Weyprecht nell’estate del 1872 organizzò una importante spedizione polare che si avvalse della nave polare da lui concepita con tecnologie innovative, la Admiral Tegetthoff (prima nave pensata e costruita per resistere alle pressioni dei ghiacci polari), nel corso di un’epica e quasi impossibile impresa con equipaggio composto da triestini, istriani, fiumani, dalmati, austriaci, ungheresi, boemi, e che lo portò a scoprire nell’Artico la terra
più a nord dell’intera Eurasia, battezzata “Terra di Francesco Giuseppe”. Rientrato nell’autunno del 1874, dopo un’epica ritirata fra i ghiacci, reputò che simili imprese condotte da singoli Stati, avrebbero dovuto essere abbandonate in favore di progetti scientifici di ben più ampio respiro e con la collaborazione scientifica internazionale, quindi tramite trattati diplomatici che prevedessero l’impegno diretto degli Stati nella loro realizzazione. Nasceva così l’Anno Polare Internazionale del 1882-1883, prima grande impresa che apriva la strada alla ricerca scientifica internazionale come oggi la conosciamo. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1881, si è continuato con la realizzazione di progetti scientifici internazionali sempre più ambiziosi (ad es. l’Anno geofisico Internazionale del 1957/58 che, tra l’altro, ha dato l’avvio alla conquista dello spazio, o gli anni scientifici internazionali del 2007/08) che hanno visto l’espansione del “progetto Weyprecht” dalla Geofisica all’Eliofisica e, quindi, allo studio dell’intero sistema solare).. Non si può qui presentare l’impresa polare di Weyprecht e del suo equipaggio, basti immaginare le peripezie, i momenti tragici, gli avvenimenti di quella spedizione durata ben 2 anni in un luogo sconosciuto, inospitale, alla mercè del mare in tempesta, venti gelidi, temperature al limiti della sopravvivenza. Ci sono vari libri che descrivono il viaggio compiuto da questi uomini, vale la pena di leggerne qualcuno e rendersi conto della grandiosità dell’impresa Chi ne volesse sapere di più, ci contatti. Abbiamo in programma alcune conferenze su questi temi. Edvige Ackermann Associazione culturale Friedrich Schiller
L’angolo della Poesia Complice il tempo stupendo di questo inizio di autunno, voglio condividere con voi questa poesia scritta da Edda Vidiz qualche tempo fa. Mentre leggete pensate al nostro Carso ora, con i suoi colori rossi, gialli, bruni, la apprezzerete ancora di più. Fa parte di un libro di poesie in dialetto triestino tradotte in esperanto, da me e da Elda Doerfler, la nostra seconda lingua. CARSO TE SALUDO
KARSTO, VIN MI SALUTAS
La tera cariga de sede ga partorido i sassi de sto Carso, che un per un me pesa co son via, ma co torno respiro come l’aria de un bel giorno. Ve saludo mureti scartazai del tempo, orto de nona, grampà a la vita come na bela dona. Ve saludo carpini rosegai del vento, volto de piera, che ti ga alzà più de na bandiera. Carso te saludo, chissà se st’altro inverno te vedarò bianco soto na neve che tut’int’un xe iazo. Te saludo Carso: cussì graspo e avaro e cussì duro de spaventarme come un amor, che più no se speta.
La tero plensoifa naskis la ŝtonojn de ĉi Karsto, kiuj unu post alia pezas sur min kiam mi forestas, sed revene mi spiras kiel l’aero de tago bela. Saluton al vi muretoj broŝitaj de l’ tempo, legomĝardeno de l’avinjo, alkrampita al la vivo kiel bela virino. Saluton al vi, karpinoj ronĝitaj de l’ vento, ŝtonvizaĝo, kiu altenlevis pli ol unu flagon. Karsto, vin mi salutas, kiu scias, ĉu venontvintre vidos mi vin blankan sub neĝo kiu tujtuje iĝas glacio. Mi salutas vin, Karsto: tiom amara kaj avara kaj tiom dura ke vi min timigas kiel amo, ne plu atendita.
Che ne dite, vi è piaciuta? Un commento: nored@tiscali.it Edvige Ackermann Associazione Esperantista Triestina www.esperantotrieste.altervista.org
L’apporto prezioso del volontariato
L’acqua madre di vita Quando abbiamo deciso di dedicare un corso fotografico all’acqua, non era solo il desiderio di occuparci di qualcosa di diverso dai soliti ritratti, foto di animali eccetera. Ci premeva affrontare un problema che, di fatto, interessa tutti noi: quasi 2 miliardi di persone in tutto il mondo vivono oggi senza acqua potabile sicura; altri 2,5 miliardi fanno quotidianamente i conti con la scarsità di risorse idriche; e secondo gli esperti delle Nazioni Unite, entro il 2030, il 50% della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato stress idrico. Il 28 luglio 2010 la Dichiarazione dell’Assemblea Generale dell’ONU sosteneva che “l’accesso all’acqua potabile è un diritto umano inalienabile e come tale va assolutamente tutelato”. E già nel lontano 1992 si decise di istituire una giornata dedicata al tema dell’acqua. Per noi l’acqua è un elemento «ovvio», ma non è così in molti paesi del mondo: l’ac-
qua potabile è un vero e proprio lusso e la sua mancanza genera emergenze sanitarie e conflitti armati. Il volontariato può rappresentare un valido strumento per evidenziare, denunciare, combattere situazioni di iniquità, migliorando in maniera concreta la qualità della vita nelle zone d’intervento. Sebbene il 70% del pianeta Terra sia ricoperto d’acqua, solo una piccolissima parte di questa enorme quantità (lo 0,5% circa), è acqua dolce. Se il patrimonio idrico è oggi minacciato da fattori quali l’inquinamento, la sovrappopolazione, i cambiamenti climatici in corso, alla diminuita disponibilità di acqua fa riscontro un suo aumentato impiego: l’acqua è utilizzata per irrigare le coltivazioni ed abbeverare gli animali d’allevamento, certo, ma anche per svariati impieghi industriali, per produrre energia elettrica, persino per estrarre gas e petrolio, grazie alla discussa tecnica della fratturazione idraulica.
Molti paesi usano tutta l’acqua disponibile e più di quanta ritorni a disposizione grazie al ciclo naturale. Devono quindi procurarsela altrove, e l’unica soluzione è sottrarla ad altri, perché l’acqua, come scrive Marq de Villiers, è un gioco a somma zero, in cui il guadagno di un partecipante è perfettamente bilanciato dalla perdita di un altro partecipante. Se in passato si combatteva per accaparrarsi la terra, un numero sempre maggiore di conflitti è legato oggi alla conquista dell’acqua; secondo la Banca Mondiale, sono oltre 500 i conflitti recenti o in corso legati al con-
trollo delle risorse idriche. Ci è sembrato allora doveroso, attraverso questo corso di fotografia ed antropologia dell’acqua, in cui si incrociano lezioni teoriche, riflessioni sociali e momenti di esperienza concreta (grazie al contatto diretto con il territorio cittadino e le svariate realtà legate alla “vita liquida” che lo percorre), contribuire a una maggiore consapevolezza delle implicazioni che l’acqua assume non solo sul piano estetico-paesaggistico, ma altresì storico e sociale. Laura Luzzatto www.anteastrieste.blogspot.com
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DONNE E ARTE
Se il talento musicale è femminile: Augusta Rapetti Bassi (1885-1970) Pochi conoscono un’artista che è stata protagonista della vita musicale triestina nei primi decenni del Novecento. Cercherò brevemente di delinearne la biografia. Augusta Rapetti, nata a Bologna ma triestina d’adozione, aveva studiato con Marco Enrico Bossi, Bruno Mugellini, Luigi Torchi e Raffaele Santoli nel conservatorio della sua città natale, dove si diplomò in pianoforte e composizione. Fu molto attiva come compositrice e scrisse tra gli altri un Preludio per piena orchestra in mi bem. maggiore e un Concerto per pianoforte e orchestra celebrati con molto entusiasmo dalla critica musicale dell’epoca. Nel giugno del 1905 fu protagonista di un’occasione storica: fu infatti la prima donna, ancora giovanissima, a dirigere a Bologna l’orchestra del Conservatorio e la cosa fece notizia e anche un po’ di scalpore: ne scrissero i quotidiani, tra cui il Resto del Carlino. La sua opera compositiva comprende un centinaio di titoli, tra musica per pianoforte e per organo, concerti per orchestra e strumento solista, per quartetto d’archi, liriche per voce e pianoforte, composizioni anche molto virtuosistiche, specchio della sua tecnica perfetta. A partire dal 1908 lavorò molto nei teatri lirici e fu attiva anche come cantante:
fu Norina nel Don Pasquale, Anna nella Loreley di Catalani, Amina in Sonnambula, Linda di Chamonix, Michaela nella Carmen, etc. Aveva infatti studiato anche canto con grandi maestri, tra cui Fiorello Giraud e Giuseppe Borgatti, di cui fu anche accompagnatrice al pianoforte. In quegli stessi anni collaborò come pianista anche con il violinista francese Jacques Thibaud, che tra l’altro fu a Trieste per una serie di concerti negli anni Trenta. Nel marzo del 1912 era giunta per la pri-
ma volta nella nostra città – , dove era destinata a rimanere per il resto della sua vita - per cantare al Teatro Verdi la parte di Bellangere in Arianna e Barbableu di Paul Dukas, e qui incontrò il suo futuro marito Marcello Bassi, che avrebbe sposato prima dello scoppio della guerra. Dal suo arrivo a Trieste contribuì alla rinascita artistica della città, dopo la devastazione di quel primo conflitto mondiale, eseguendo spesso nei suoi concerti brani nuovi per Trieste (molti anni prima che venissero eseguite al Teatro Verdi per
Il volontariato dei nativi nelle rivendicazioni dei loro diritti La protesta dei nativi nei confronti del Governo Centrale non si limitò più esclusivamente alle vie legali spesso insoddisfacenti, ma assunse anche le forme delle manifestazioni sulla scia del Black Power che sono un mezzo più rapido per attirare l’attenzione. I Cherokee dell’Oklahoma rivendicano attivamente i loro diritti di caccia; i Passamaquoddy del Maine impongono un pedaggio agli automobilisti che transitano sul loro territorio sulla base di antichi privilegi già garantiti dallo stesso presidente George Washington; I Nativi dello Stato di Washington riaffermano il loro tradizionale “fish in”, guidati dalla nativa Puyallup Janet McCloud. Secondo gli antichi costumi, i nativi potevano pescare con le reti, mentre il governo permetteva soltanto la pesca con amo e lenza, per favorire le compagnie private. L’arresto di Dick Gregory nel 1966 assieme ad altri pescatori Nisqually ed il successivo sciopero della fame di sei settimane non solo focalizzò l’attenzione dell’opinione pubblica su questo problema, ma segnò anche la prima manifestazione della nuova tattica
adottata dai militanti del Red Power che esploderà negli anni ‘70. Un’ulteriore spinta alla riaffermazione della propria identità culturale viene data con la creazione dell’American Indian Movement (AIM) nel 1968 a Minneapolis da parte dell’Anishinabe Dennis Banks, dall’ Ojibwa Clyde Bellecourt, da Mary Jane Wilson, George Mitchell dall’Oglala Sioux Russell Means, Vernon Bellecourt ed altri attivisti,nonché dai capi spirituali Wallace Black Elk e Leonard Crow Dog, con lo scopo anche di fornire consulenze ed interventi di carattere legale su questioni inerenti i diritti umani dei nativi: caccia, pesca, raccolta di riso selvatico. Proprio a difesa dei diritti acquisiti, molti nativi si specializzano in giurisprudenza ed anche si consorziano in associazioni, come ad es. il DNA che riunisce gli avvocati Navajo, che contribuiscono alla rinascita economica del popolo, e alla salvaguardia dei diritti umani dei nativi. I bianchi infatti non smettono di violare le leggi tribali, creandone di nuove ad hoc per il proprio beneficio. Gianpaolo Dabbeni EOS gianpaolo.dabbeni@alice.it
la prima volta), di autori quali Riccardo Pick-Mangiagalli, Alberto Iginio Randegger (anch’egli diplomato a Bologna), Riccardo Zandonai e Bruno Croatto (musicista oltre che pittore), e collaborando con Antonio Smareglia, Antonio Illersberg, Eusebio Curellich, Gastone Zuccoli, Cesare Barison e moltissimi altri, unica donna in quell’importante ambiente musicale. Alcuni suoi ex-allievi hanno scritto di lei, lasciando la loro testimonianza. La ricordano come una donna schiva di onori e riconoscimenti, una vera maestra d’arte, senza vanità o ambizioni per se stessa. Compì spesso scelte di libertà nel teatro, come anche nell’insegnamento: lasciò infatti il Conservatorio Tartini, dove pure insegnava, per fondare una propria accademia di musica, che fu attiva a Trieste per oltre 40 anni, fino alla sua morte. A distanza di oltre un secolo, la Rapetti Bassi rimane un esempio – purtroppo ancora raro – di musicista straordinaria che affrontò con grande competenza settori di eccellenza, come quello della direzione d’orchestra e della composizione, settori che ancor oggi, nonostante i progressi in tanti campi, restano di fatto preclusi a molte donne. Paola Zelco Eos paolazelco@gmail.com
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Volontariato, diritti umani e filosofia L’universalità dei diritti umani di fronte al suo mancato riconoscimento
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Indiani d’America
I diritti umani sono universali, in quanto inerenti ad ogni individuo posto come soggetto, da sempre presenti nella natura stessa dell’uomo ed assolutamente veri; tuttavia non sono universalmente riconosciuti da tutte le culture ed in tutti i momenti storici, se puntualmente si sente la necessità di codificarli. Ad ogni mutamento storico-politico in chiave democratica è seguita una dichiarazione dei diritti dell’uomo ( Dichiarazione Universale del 1948, Convenzione europea del 1950, Atto finale di Helsinki del 1975, Dichiarazione Universale dei diritti dei popoli adottata ad Algeri il 4 luglio 1976), dai quali emerge come sia problematica l’armonizzazione dei diritti individuali con quelli collettivi e come il diritto alla sicurezza collettiva possa limitare alcune libertà individuali. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, fu promossa dalle Nazioni Unite perché avesse applicazione in tutti gli stati membri; è un codice etico di importanza storica fondamentale perchè è stato il primo documento a sancire universalmente, cioè in ogni epoca storica e in ogni parte del mondo, i diritti che spettano all’essere umano. La Dichiarazione può essere considerata la conclusione di un dibattito filosofico sull’etica e i diritti umani che nelle varie epoche ha visto impegnati filosofi quali Locke, Rousseau, Voltaire, Kant, fino a quelli contemporanei, dopo la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino stesa nel 1789 durante la Rivoluzione Francese, i cui diritti civili e politici dell’uomo confluirono in questa carta. Questi Filosofi hanno svolto un lavoro importante di
volontariato nell’insegnamento presso i giovani studenti nelle varie epoche interessandoli e informandoli sui vari aspetti della società del loro tempo e contribuendo ad alcuni cambiamenti di quella determinata società. Alla Dichiarazione sono poi seguiti il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e il Patto Internazionale sui diritti civili e politici, elaborati dalla Commissione per i Diritti dell’Uomo ed entrambi adottati all’unanimità dall’ONU il 16 dicembre 1966. La Dichiarazione rappresenta l’essenza di molte delle conquiste civili della seconda metà del XX secolo ed è la base ideale della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea confluita poi nel 2004 nella Costituzione Europea. La Dichiarazione è composta da un preambolo e da 30 articoli che sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona. I diritti dell’uomo vanno quindi suddivisi in due grandi aree: i diritti civili e politici e i diritti economici, sociali e culturali. La Dichiarazione può essere suddivisa in argomenti: il preambolo enuncia le cause storiche e sociali che hanno portato alla necessità della stesura della Dichiarazione; gli articoli 1-2 stabiliscono i concetti basilari di libertà ed eguaglianza (già sanciti dalla Rivoluzione francese); gli articoli 3-11 stabiliscono i diritti individuali; gli articoli 12-17 stabiliscono i diritti dell’individuo verso la comunità (anche qui rifacendosi a un dibattito filosofico che va da Platone ad Hannah Arendt). Aldo Antolli EOS aldoa._10lorib@alice.it
Al solo pronunciarle queste parole rievocano in me immagini di immensi e sconfinati spazi, di sentieri millenari, di lotta per la sopravvivenza di uomini e donne contro i crudeli e spietati elementi della natura; di tradizioni, di riti sacri e profani per ringraziarsi gli spiriti soprannaturali e fondersi con essi. Non certo un popolo di guerrieri, ma persone fiere, schive, e riservate, dotate di un animo profondo e contemplativo. Una vita di silenzi e di rituali, non di un semplice vuoto spaziale, ma una quiete ed una dignità tumultuosa quasi assordante nella sua intensità, che colta può diventare un alternativa morale indimenticabile e un esplosione di colore. Da questi sentimenti intensi e marcati e dopo aver studiato con Paolo Zanier ruota di medicina per ben 22 anni, nasce la voglia nel tempo di raccontare e condividere la storia di questo popolo d’oltreoceano, non solo attraverso quadri che esprimono emozioni e appunti di viaggio, ma creando un festival sullo spaccato di vita dei nativi, in cui sono racchiuse tutte le sfaccettature e la storia degli indiani. Il sostegno e la collaborazione dell’Associazione Italo Americana American Corner e allora, Consolato Americano, e l’entusiasmo e la determinazione dello studioso Paolo Zanier sono stati da collante per dar vita al primo festival oltreoceano dei nativi “Indian Time”. Quest’ultimo, è stato creato per ricordare con onore per non dimenticare il medicine man Paolo Zanier, che purtroppo è venuto a mancare nel 2016, il quale ha improntato il suo stile di vita allo studio e alla storia dei pellirosse portando a Trieste per la prima volta usi e costumi dei nativi e vivendo come loro. Partecipare all’Indian Time oggi, significa immergersi in uno spazio e in un tempo a molti sconosciuto. Ma chi erano e chi sono oggi gli indiani? Qual è la
loro filosofia di vita? Come si sono adattati al territorio? Quali sono le loro cerimonie? Che usi e costumi hanno? Quali sono le loro leggi? Perché l’indiano si adorna di piume, usa i tamburi e vive a contatto con la natura? Che rapporto ha con essa? Chi sono stati i grandi capi e cosa hanno fatto? Per capire tutto questo ed altro all’interno del festival ho inserito una serie di conferenze del professore Dabbeni e di Giada Vitale che possono spiegare ampiamente il comportamento e le usanze del popolo rosso, mentre i documentari in lingua originale e la serata di diapositive dell’ovest americano mostrano i luoghi in cui si svolge tutto questo. Costumi, volti, suppellettili, ambientazioni... sono invece racchiuse nella serie di fotografie storiche e poesie in bianco e nero raccolte e catalogate da Zanier, e saranno esposte all’associazione italo americana in piazza Sant. Antonio Nuovo 6 per tutto il periodo del festival. La parte più spirituale del percorso è lasciata alla conferenza di Pizzichillo dal titolo: camminare in armonia, che descriverà accuratamente come utilizzare le carte indiane nel nostro percorso della vita e al bellissimo spettacolo “Canyon di stelle” che vi farà immergere completamente nel mondo Navajo e Anazasi. Interpretato dai ragazzi dell’AMTT e con regia di Giada Vitale lo spettacolo vi aprirà il cuore e la mente in un altro tempo e in un’altra dimensione facendovi rivivere emozioni primordiali legate al rapporto uomo natura perso da ormai molto tempo e che ritroverete infine a chiusura del festival nella mia personale sulla cultura degli indiani d’America al New Age Center di via Nordio 4 che chiuderà il grande cerchio. Sabrina Matucci EOS
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Il WARN a tutela dei diritti alla salute dei nativi Storia dell’organizzazione pan-indiana di tutte le attiviste americane, sorta nel 1974 Nel 1974 le donne di tutte le Nazioni Rosse fondarono un’organizzazione pan-indiana di tutte le attiviste native americane: il WARN, Women of All Red Nations, affiliato all’ AIM (American Indian Movement) con lo scopo di puntualizzare i ruoli della tradizionale leadership femminile nella cultura dei nativi. Questo movimento partecipò anche alla creazione, nel 1979, della Black Hills Alliance in South Dakota, insieme ad attivisti nativi e bianchi, il cui scopo era quello di educare le popolazioni native di quella zona sulla pericolosità dell’industria mineraria nucleare e sulla contaminazione ambientale. In quel periodo, infatti, si rilevò un’incidenza del cancro ai polmoni presso i Navajo, nella cui riserva era accaduto uno tra i più seri incidenti nucleari il 16 luglio 1979. Lo sfruttamento selvaggio delle risorse minerarie all’interno delle riserve portò i nativi ad organizzarsi in modo autonomo ed indipendente dal BIA per proteggere i loro diritti. Nel 1975 venne fondato a Denver in Colorado il Council of Energy Resource Tribes (CERT) che faceva capo a 25 leader tribali, il cui primo presidente fu il Navajo Peter MacDonald. Dopo 35 anni di danni perpetrati nei confronti della tribù Navajo a causa delle miniere di uranio che si trovavano nelle loro riserve, appena nel 1990 il governo centrale decise di indennizzare le famiglie dei minatori che ne erano state vittime; però, meno di un terzo ricevette i fondi a causa di lungaggini burocratiche. Anche i Mescalero Apache, senza rendersi conto, andarono incontro a serie conseguenze quando, ritenendo positivo l’incremento dei posti di lavoro, permisero al
La tutela dei diritti dei nativi pellirosse
governo di utilizzare la loro riserva come deposito per lo stoccaggio di scorie nucleari. Nel 1994 si formò la Indigenous Enviromental Network, un consorzio di nativi che opponendosi fermamente alla decisione dei Mescalero puntava l’attenzione sulla pericolosità di queste attività per la salute pubblica e per la grossa incidenza di cancro. Una sostanziale vittoria per i nativi si ebbe nel 1996 quando un Giudice della Corte Federale dell’Arizona dette ragione ad un gruppo di 500 tradizionalisti Navajo delle Black Mesa in una causa contro la multinazionale Hanson, proprietaria della Peabody Coal Company, la più importante produttrice di carbone negli Stati Uniti. La sentenza si basava sul fatto che questa industria produceva un forte inquinamento sia dell’ aria che della terra, con gravi conseguenze per la salute degli abitanti e con grosse morìe delle loro pecore, nonchè la distruzione dei Luoghi Sacri. Pertanto il Giudice imponeva alla compagnia una stretta osservanza delle leggi vigenti in merito a problematiche ambientali, senza le quali non avrebbe più avuto un permesso operativo permanente. Il problema della salute dei nativi era già stato preso in esame nel passato recente e nel 1976 il governo approvò una legge per migliorare i servizi sanitari nelle riserve e per istituire centri di preparazione per medici e paramedici pellirosse. Gianpaolo Dabbeni EOS gianpaolo.dabbeni@alice.it
L’occupazione dell’isola di Alcatraz Il Civil Rights Act del 1968 garantiva ad ogni individuo che sporgeva denuncia contro l’autorità tribale anche i privilegi del Bill of Rights che in precedenza non avevano valore nei confronti del governo tribale, limitando ulteriormente l’autonomia dei nativi e creando grossi allarmismi fra i giuristi indiani. Vine Deloria jr. afferma che sarebbe opportuno promuovere un’azione legale nei confronti del Civil Rights Act per mantenere separate le leggi vigenti poichè le consuetudini sono diverse. Ispirati in parte dai movimenti anti-colonialisti e dalle lotte afro-americane per l’autodeterminazione, i militanti del Red Power volevano scuotere le loro genti dall’apatia e miravano a combattere il sistema governativo che li aveva per troppo tempo ridotti in miseria, li aveva disgregati e umiliati. Il movimento aveva fondamentalmente due motivazioni: l’eliminazione dello stato di abbandono e di sudditanza della popolazione nativa e dall’altro la riaffermazione dell’identità indiana e dell’eredità tribale, con il desiderio di resistere alle pressioni esercitate dalla società capitalista. Sulla base di questa presa di posizione, successivamente, avrebbero occupato l’isola di Alcatraz, nella baia di San Francisco, Fort Lawton, vicino a Seattle, nello Stato di Washington ed Ellis Island, nel porto di New York. In quest’ultimo caso, la proposta dei militanti era quella di trasformare l’antico centro di raccolta per immigrati in una sede assembleare, quartier generale della cultura dei nativi, che doveva includere anche un “museo degli orrori” commessi dai Bianchi sui Rossi per colpa delle malattie, dell’alcool, dell’indigenza e della dissoluzione della cultura. Il Red Power segue una tipologia politica di manifestazioni simboliche che non intendono quindi scatenare violenze, ma piuttosto suscitare rimorsi ed accentrare l’attenzione anche mondiale. Figura di spicco del Red Power è Vine Deloria jr., presidente del NCAI dal ‘64 al ‘67, giurista, studioso di religioni ed autore del manifesto programmatico “Custer Died for Your Sins”, che si propone obiettivi a lunga scadenza concernenti l’autogoverno tribale e la sua piena libertà. In esso si prevede la tutela dei Pellirosse che vivono nelle metropoli lontano dalle riserve, e, quindi, senza alcun riconoscimento dei loro diritti ed a rischio di assimilazione forzata e di rifiuto dei propri valori. Mentre i giovani del NIYC individuano proprio all’interno della tribù la possibilità del recupero di una coscienza e di una cultura indiana per un’ offensiva aliena da compromessi. Gianpaolo Dabbeni EOS gianpaolo.dabbeni@alice.it
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Gruppo Ambientale
I RISULTATI DELL’INDAGINE “BEACH LITTER 2018” DI LEGAMBIENTE
Rifiuti sulle spiagge: per l’80% è plastica Il 50% di essa è dovuta alla cattiva gestione a terra
Diritto al cibo, una sfida ambientale Tra inquinamento prodotto e diritto a una sana alimentazione, la tecnologia sta trovando una terza via. Tra i diritti umani universali, quello ad una corretta alimentazione è uno dei più importanti. Questo poiché fa parte di quei bisogni primari che necessita l’uomo per una vita dignitosa. Nell’ultimo secolo, nonostante i miglioramenti tecnologici, la produzione di cibo non è riuscita a sfamare l’intera popolazione mondiale che, causa un boom demografico, è ormai prossima ai otto miliardi di persone. Anzi, l’agricoltura intensiva è andata a peggiorare il rapporto uomo-natura, andando a inquinare le falde acquifere con prodotti chimici e diserbanti. Inoltre ad aggravare il quadro d’insieme, l’agricoltura di massa è fortemente energivora e dissipatrice di materie prime fondamentali, come il suolo o l’acqua e nonostante il suo diffondersi, la fame e l’alimentazione squilibrata è ancora endemica in molte zone del globo. Oggi giorno il trend viene però cambiato da nuove pratiche agriculturali. Tramite l’agricoltura urbana, non in orti sociali ma proprio all’interno di edifici, si riesce a massimizzare la produzione, riducendo l’impatto sul sistema ambientale. Infatti l’uso dell’acqua, tramite l’introduzione della cosiddetta agricoltura idroponica, viene fortemente ridotto. Il sole e il calore viene controllato da sensori e macchine affinché le colture beneficino al massimo per la loro crescita, senza sprecare alcuna risorsa. Il suolo naturale non riceve alcun inquinamento indotto da fertilizzanti chimici o altri prodotti. Dunque non solo la produzione viene intensificata ma a parità di produzione agricola c’è una notevole riduzione del uso e consumo di suolo e di superficie arabile, che può essere lasciata alla natura e alla salvaguardia della biodiversità. Esempi di questa agricoltura ce ne sono molti al mondo. Canada, Stati Uniti, Francia e anche Italia. Le dimensioni di queste aziende agricole futuristiche sono variegate: si parte dal piccolo edificio ristrutturato sugli Appennini per la produzione di pomodori, fino ai 24 metri della Cité Maraichère a Romainville vicino a Parigi. Ma anche a Trieste qualcosa si muove. Progettiamo Trieste presentò un anno fa ad un convegno del Rotary l’idea di una serra mercato all’interno di Porto Vecchio, dove la produzione, la vendita e la consumazione di verdure si potrebbero incrociare generando economia, conoscenza e valore, diventando il biglietto da visita della nuova Trieste, che auspicalmente verrà costruita sulle ceneri dello scalo portuale di Porto Vecchio. Francesco Pinat ProgettiAmo Trieste progettiamotrieste.it
Legambiente ha presentato durante la tappa di Goletta Verde a Muggia una mostra itinerante sui risultati dell ’indagine Beach litter 2018 . Legambiente ha monitorato 78 spiagge con 48.388 rifiuti rinvenuti in un’area complessiva di 416.850 mq (pari a circa 60 campi di calcio) e una media di 620 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia (lineari) campionata, 6,2 per ogni metro di spiaggia. Quello che si trova sulle spiagge italiane è soprattutto plastica (80%). Oltre la metà dei rifiuti raggiungono le spiagge perché non vengono gestiti correttamente a terra. La cattiva gestione dei rifiuti a monte è, infatti, la causa principale del continuo afflusso dei rifiuti in mare. Ma non è la sola. Anche i rifiuti abbandonati direttamente sulle spiagge o quelli che provengono direttamente dagli scarichi non depurati e dalla cattiva abitudine di utilizzare i wc come una pattumiera. Sul podio dei rifiuti più trovati lungo le spiagge ci sono i frammenti di plastica, ovvero i residui di materiali che hanno già iniziato il loro processo di disgregazione, anelli e tappi di plastica e infine i cotton fioc, che salgono quest’anno al terzo posto della top ten. Gli oggetti che si trovano praticamente in tutte le spiagge monitorate sono tappi e anelli di plastica (95% delle spiagge), bottiglie e contenitori di plastica per bevande (96% delle spiagge) e bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica (90% delle spiagge monitorate). Questi oggetti usa e getta di uso diffuso rappresentano un problema comune per tutte le spiagge. Altro rifiuto molto diffuso sono i materiali da costruzione, presenti nell’85% delle spiagge monitorate. L’indagine di Legambiente è una delle più importanti azioni a livello internazionale di citizen science, ovvero il risultato di un monitoraggio eseguito direttamente dai circoli di Legambiente, da volontari e cittadini, che ogni anno setacciano le spiagge italiane contando i rifiuti presenti, secondo un protocollo scientifico comune e riconosciuto anche dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, a cui ogni anno vengono trasmessi
i dati dell’indagine per completare il quadro a livello europeo. Un’ esperienza unica che ogni anno fornisce dati ed elementi per denunciare una delle più gravi emergenze ambientali dei nostri tempi a livello globale, al pari dei cambiamenti climatici. I rifiuti marini hanno impatti su tartarughe, mammiferi e uccelli marini, filtratori, invertebrati o pesci, ossia tutti gli esseri viventi che vivono in contatto con l’ecosistema marino. Questi rifiuti possono intrappolare, ferire o essere ingeriti. L’ingestione dei rifiuti di plastica, in particolare, provoca soffocamento, malnutrizione ed esposizione alle sostanze tossiche contenute o assorbite dalla plastica. L’ingestione della plastica è stata documentata in oltre 180 specie marine. Un recente studio coordinato dall’Università di Siena e condotto nel Tirreno settentrionale sulla tartaruga Caretta caretta, documenta l’ingestione di rifiuti di plastica nel 71% degli individui per i quali è stato analizzato il tratto gastrointestinale. In 22 campioni sono stati trovati 483 frammenti di rifiuti marini, con una media di oltre 16 pezzi a campione. Inoltre i rifiuti offrono un mezzo di trasporto alle specie aliene per raggiungere nuovi ambienti, al di fuori dei loro confini naturali, mettendone in pericolo la biodiversità, come riscontrato anche nel Mediterraneo. Su scala europea, secondo uno studio commissionato ad Arcadis dall’Unione europea, il marine litter costa 476,8 milioni di euro all’anno. Una cifra che prende in considerazione solo i settori di turismo e pesca perché non è possibile quantificare l’impatto su tutti i comparti dell’economia. In particolare, il costo totale stimato per la pulizia di tutte le spiagge dell’Unione europea è pari a 411,75 milioni di euro. Ma il problema più grande è che i rifiuti non scompaiono. Dispersi nell’ambiente, si degradano ad opera di raggi UV, vento, moto ondoso e altri fattori, e si frammentano in pezzi sempre più piccoli, impossibili da rimuovere e da individuare: le microplastiche (frammenti di dimensione minore di 5 mm) han-
no una via facilitata per entrare nella catena alimentare e contaminarla La soluzione richiede politiche e misure coordinate, che coinvolgano più settori (gestione dei rifiuti urbani, legislazione per la prevenzione dei rifiuti, plastici in particolare, sensibilizzazione e informazione sui corretti comportamenti individuali, settori industriali a partire dalla pesca, etc…), misure che puntano ad azzerare la dispersione nell’ambiente dei rifiuti plastici, con attività di prevenzione, incrementando il riciclo degli imballaggi e prevedendo anche misure per la messa al bando di alcuni materiali. Per le buste in plastica l’Italia è all’avanguardia, con il suo bando iniziato nel 2013, che ha già permesso l’eliminazione dalla circolazione di quattro sacchetti non biodegradabili e compostabili su cinque. Bando implementato nel 2018 anche per quanto riguarda i sacchetti di plastica più leggeri, utilizzati ad esempio per l’acquisto dell’ortofrutta nei supermercati. Così come nel dicembre 2017 è stata approvato il divieto di commercializzazione di cosmetici da risciacquo contenti microplastiche, a partire dal 2020, e dei cotton fioc in plastica dal 2019. Per l’usa e getta di plastica, dall’Unione Europea stanno arrivando provvedimenti importanti che saranno discussi nelle prossime settimane, come la Direttiva sulla riduzione dell’inquinamento da plastica. Ad esempio, nel prossimo futuro i tappi potrebbero rimanere attaccati alle bottiglie, per evitarne la dispersione; per le stoviglie usa e getta si sta andando verso il divieto, a favore delle alternative compostabili che ad oggi esistono, ma che non devono essere una scusa per continuare a disperdere rifiuti nell’ambiente. La mostra è stata poi esposta quest’estate sulle spiagge del litorale e ora si trova al Centro di Educazione Ambientale Urbano di via Weiss 14 a Trieste disponibile a viaggiare ovunque venga richiesta . Tiziana Cimolino Legambiente Trieste Alice Balzai Mesfin Noliani Arci Servizio Civile Trieste
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Secondo l’Istat in Italia ci sono oltre 6 milioni di volontari. La loro importanza durante le emergenze
Volontariato e diritti umani In Italia secondo l’Istat siamo oltre 6 milioni di persone che pratichiamo il volontariato. Il volontariato proporziona aiuto in forma gratuita a persone in necessità d’assistenza. Il volontariato può essere fondamentale per affrontare emergenze occasionali e può essere molto importante per fare del lavoro d’interesse collettivo, come individui o come membri di un’associazione. Il volontariato per essere tale è assente di lucro, deve avere una struttura democratica e divieto assoluto di retribuzione. Il volontariato mette in contatto gli uomini per cercare insieme soluzioni ai problemi delle persone fragili e bisognose. Il campo di operazione può essere la propria nazione o l’estero dove agiscono volontari internazionali. Un esempio importante è l’Operación Milagro (Operazione Miracolo), una delle più importanti iniziative di solidarietà sanitaria dei governi di Cuba e del Venezuela nel terzo mondo, che dava supporto medico a delle persone con problemi come cataratte, glaucoma, strabismo etc. L’impossibilità di pagare gli interventi è la causa della cecità di oltre 30 milioni di persone nel mondo. L’operazione Milagro cambiò la vita in meglio di oltre 1.5 milioni di persone in molti paesi poveri del mondo in pochi anni. lI concetto dei diritti umani esiste dalla remota antichità. Esempio il codice Hammurabi nella Mesopotamia (1780 a.C) e i libri Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio della Bibbia ebraica. Con la scoperta del continente americano l’Università di Salamanca diede supporto al concetto dei diritti naturali: la vita, la proprietà, la libertà di pensiero, la dignità. Questo in un momento storico nel quale si riduceva alla schiavitù le popolazioni autoctone dell’America e se portava in catene milioni di essere umani dall’Africa a lavorare nelle piantagioni
delle nuove colonie europee. Lo studioso tedesco Reinhold Schneider nel suo romanzo Las Casas vor Karl V (Las Casas di fronte a Carlo V) racconta l’incontro a Valladolid in Spagna tra Carlo V, Fray Bartolomé de las Casas, difensore degli indiani e Juan Ginés de Sepulveda, storico ufficiale della Corte Spagnola, per discutere se gli indiani avevano l’anima. In seguito furono emesse “Las Leyes Nuevas” nel 1542 che vietavano ridurre in schiavitù i popoli autoctoni. Eventi gravi come i terremoti che elenchiamo con la sua magnitudo, mettono a buona prova il volontariato e la protezione dei diritti delle popolazioni (fonte: scienze fan page.it) Umbria/Marche – 30 ottobre 2016 – 6,5 L’Aquila – 6 aprile 2009 – 6,3 Umbria/Marche – 26 settembre 1997 – 6,1 Centro Italia – 24 agosto 2016 – 6,0 Finale Emilia (MO) – 20 maggio 2012 – 5,9 Marche – Umbria – 26 ottobre 2016 – 5,9 Molise Puglia – 31 ottobre 2002 – 5,8 Medolla (MO) – 29 maggio 2012 – 5,6 Lipari – 26 ottobre 2006 – 5,6 Palermo – 6 settembre 2002 – 5,6 A livello internazionale sono coinvolte le unità di crisi e le figure dei missionari e volontari che lavorano in forma molto stretta con le popolazioni locali. Si ricordano il terremoto del 4 febbraio del 1976 in Guatemala, il terremoto del Messico il 19 settembre del 1985, lo tsunami e maremoto dell’oceano indiano del 2004, il terremoto di Haiti del 2010, lo Tsunami in Giappone del 2011, il
terremoto nel Nepal del 2015, il terremoto dell’Iran del 2017, l’eruzione del Volcán de Fuego in Guatemala del 3 giugno 2018, e purtroppo lo tsunami che ha colpito l’isola di Sulawesi in Indonesia questo mese di settembre. Oscar García Murga Legambiente Trieste www.legambientetrieste.it
Come si produceva e conservava il ghiaccio a Trieste? Sfruttando una particolare porzione del Carso
Quando non c’erano i frigoriferi: le jazere di Draga Forse il freddo era l’unica risorsa da sfruttare sul Carso? Detta così può sembrare uno scherzo, ma in realtà, prima dell’avvento dei frigoriferi elettrici, il ghiaccio era una risorsa di un certo valore: nacquero così queste “jazere” o “ledenice”, ovvero delle profonde buche nelle quali conservare il ghiaccio prodotto durante l’inverno, da far poi giungere alla città per mille usi, in primis per le birrerie… perché la birra calda non piace… A ben vedere però non siamo esattamente in un territorio “carsico”, anzi, la presenza di questa attività era possibile proprio perché nella valletta di Draga (il toponimo vale appunto “piccola valle stretta”) il terreno non è dappertutto “carsico”, ovvero calcareo, e quindi qui, oltre al freddo che non mancava certo in tutto il Carso triestino, c’era anche l’acqua, necessaria per fare il ghiaccio; perché sul terreno carsico in senso stretto l’acqua non c’è. La valle di Draga è infatti per buona parte costituita da una “lente” di terreno marnosoarenaceo, il cosiddetto flysch, sul quale del resto sorge anche la città di Trieste; quindi abbiamo delle acque superficiali, in particolare due stagni piuttosto estesi presso le “jazere”. Durante l’ escursione, con partenza da Draga, dopo aver percorso un tratto della ex-ferrovia, abbiamo risalito
quindi una zona umida, seguendo un piccolo corso d’acqua affiorante e serpeggiante in una foresta d’alto fusto, per raggiungere le due jazere con i rispettivi stagni, in uno dei punti più suggestivi del Carso triestino, qui così poco “carsico” nell’aspetto. Il luogo è davvero bello, anche se i due stagni, alla fine di quest’estate 2018 così calda ed avara di pioggia, appaiono davvero poca cosa: chissà se con il riscaldamento globale in atto sarebbe ancora possibile questa antica attività di produzione del ghiaccio, al di là del fatto che ora ci sono i frigoriferi … Dobbiamo però osservare la mancanza totale di cartelli o informazioni, sia nel paese che nella segnalazione del sentiero. Inoltre nelle jazere stesse e li intorno abbiamo trovato rifiuti ingombranti triestinissimi come cicine, stufe oltre che a vestiario sparso per il bosco appartenente a qualche profugo di passaggio. Dagli stagni siamo ritornati verso Draga aggirando una collinetta per scendere per ampi prati ed infine per un sentiero parallelo alla strada asfaltata. La durata dell’escursione è di un’ora e mezza circa, una bellissima passeggiata per parlare di natura, paesaggi e storia dei nostri territori peccato che nessuno se ne prenda cura. Paolo Privitera Tiziana Cimolino Legambiente Trieste
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DIRITTI UMANI E QUALITA’ DELLA VITA
L’inquinamento minaccia il diritto alla salute La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo stabilisce l’uguaglianza di tutte le persone relativamente al “diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” (art.3). Ciò potrebbe venir interpretato come diritto alla salute o meglio a non vedere la propria salute messa in pericolo ad opera di altri uomini, per azioni aventi fini di lucro. Ebbene, nel nostro Paese purtroppo quotidianamente ci vengono proposti esempi di situazioni in cui l’inquinamento minaccia la salute di cittadini e li limita nella loro libertà di usufruire dei propri, sia pur modesti , beni . Ci sono persone che abitano in prossimità di discariche, di industrie ed altre fonti inquinanti, che sono sommerse da odori sgradevoli ed irritanti, polveri e talora anche rumori che rendono arduo sostare all’aperto, li costringono a vivere chiusi in casa per evitare situazioni sgradevoli e cagionevoli per la salute. Ma che cosa si nasconde negli odori, polveri e fumi ? Gli odori non sono qualcosa di immateriale e quindi solo causa di percezioni sgradevoli ma possono nascondere la presenza nell’ambiente di qualcosa di oggettivamente pericoloso per la salute; essi infatti vengono percepiti quando le molecole di determinate sostanze colpiscono i recettori collocati nel nostro naso, ma tali molecole possono venire assorbite dal nostro organismo con effetti diversi se trattasi di profumo di fiori o ad esempio idrocarburi provenienti da combustioni, di cui alcuni riconosciuti cancerogeni . E le polveri? Nell’immaginario collettivo imbrattano, ma che sarà mai un poco di sporco? Basta prendersi il fastidio di pulire una volta di più! Ma nelle polveri si nasconde un pericolo subdolo innanzitutto perché le particelle sono capaci di adsorbire sulla loro superficie diverse sostanze con proprietà tossiche ma soprattutto perché la loro pericolosità è legata alle dimensioni dei singoli granelli: quelle più grossolane si depositano sugli oggetti, ma quelle più sottili, note come PM 10, cioè di dimensioni pari a 10 millesimi di millimetro o inferiori, restano sospese a lungo nell’aria e possono venir inalate. Il particolato fine è pericoloso perché si insinua nell’organismo umano a livello del sistema respiratorio: minore è la dimensione del particolato e maggiore è la penetrazione
all’interno del sistema, arrivando fino ai bronchi e agli alveoli nel caso del particolato più fine, inferiore quindi ai 2,5 µm , e da lì passa nel circolo sanguigno andando a depositarsi in vari distretti dove può esercitare un’azione mutagena sulle cellule portando all’insorgenza di fenomeni irritativi. L’impatto sulla salute umana si manifesta con una maggiore incidenza dei tumori ma anche con l’aumento di malattie respiratorie croniche e malattie cardiovascolari. Ed ecco allora che il diritto alla difesa della propria salute e ad una vita dignitosa viene leso per le persone che hanno la sfortuna di risiedere in zone dove è presente una forte quantità di tali sostanze . Infatti in certi studi scientifici coloro che risiedono in prossimità di industrie inquinanti sono stati definiti “socialmente deprivati”. Orbene, se per deprivazione si intende “sottrazione, assenza di ciò che è necessario e in particolare, nell’essere umano, di diritti considerati naturali e inalienabili ” nel nostro caso trattasi sì di deprivazione ,ma non sociale, bensì privazione di un diritto inalienabile alla salute e ad una qualità della vita dignitosa . La scrivente è fiera di far parte di tale categoria e, insieme alla sua Associazione, continuerà a battersi affinchè il diritto di poter disporre senza costrizioni dei propri beni e di non dover temere per la propria salute venga garantito a tutti i cittadini, dovunque risiedano . Ma a chi spetta il controllo e la limitazione delle sostanze nocive immesse nell’ambiente dall’attività dell’uomo , attività che il più delle volte viene effettuata a scopo di lucro? Ma naturalmente alle Istituzioni, i cui responsabili vengono liberamente eletti dai cittadini con il dovere di porre in atto politiche positive per i cittadini stessi. Come è possibile che in una società evoluta e civile come quella attuale esistano e vengano ancora tollerate discariche a cielo aperto o attività industriali di tecnologia vetusta, l’uso di fanghi industriali come fertilizzanti, che immettono nell’ambiente ogni sorta di inquinanti? Queste sono domande le cui risposte risiedono in sfere molto più alte di quelle accessibili a noi comuni mortali!! Alda Sancin Associazione Nosmog nosmog@aol.it
Un viaggio durato due anni
“Sauro100” è arrivato a Trieste
Nel pomeriggio di sabato 6 ottobre 2018, in concomitanza con le manifestazioni della «Barcolana 50» e in prossimità del centenario della fine della Grande Guerra, si è concluso a Trieste il progetto “Sauro100”, promosso dall’ammiraglio Romano Sauro in ricordo del nonno Nazario, impiccato dagli austriaci nel 1916 a Pola per alto tradimento perché, suddito dell’Impero austro-ungarico, era andato a combattere con l’Italia. Sauro è attraccato al Molo Audace al timone di uno sloop di 9 metri denominato “Galiola III”, accompagnato da altre imbarcazioni che avevano a bordo, tra gli altri, giovani studenti della Scuola secondaria di primo grado “Guido Brunner” di Trieste: si concludeva così, dopo due anni di navigazione, un meraviglioso viaggio marittimo e culturale per rievocare un personaggio simbolo della storia patriottica italiana. Durante il progetto “Sauro100“, partito il 4 ottobre 2016 da Sanremo, il nipote dell’eroe capodistriano ha compiuto un itinerario a vela lungo tutte le coste italiane, con escursioni in Albania, Montenegro, Croazia e Slovenia, toccando più di 100 porti e incontrando più di 40.000 studenti ai quali ha ricordato la figura del nonno, «persona generosa, al di fuori degli atti di eroismo, un fervente mazziniano, sempre pronto a correre in aiuto, come fece con i terremotati della Mar-
sica e con i patrioti albanesi». A Trieste in particolare il progetto “Sauro100” è stato presentato agli studenti di diverse scuole grazie all’Associazione “Radici&Futuro” che l’ha inserito all’interno di un suo progetto sulla Grande Guerra in cui sono coinvolti non solo cinque istituti scolastici cittadini, ma anche licei di Graz in Austria, Buie e Pola in Croazia. Tutte le scuole hanno avuto l’opportunità d’imbarcare degli studenti sul “Galiola III” (dal nome dello scoglio nel Quarnaro in cui si incagliò il sommergibile di Sauro) e di navigare per brevi tratti con Romano Sauro, esperienza che hanno vissuto con entusiasmo. L’occasione è servita non solo a far conoscere un capitolo di storia che coinvolge la nostra città da vicino, ma ad avvicinare i giovani al mare, a sensibilizzarli al rispetto dell’ambiente marino e delle sue inestimabili risorse. Il progetto «Sauro 100» comprende anche un libro, scritto dall’ammiraglio Sauro con il figlio Francesco e intitolato “Nazario Sauro. Un marinaio nella Grande Guerra“, il cui ricavato andrà a due associazioni che aiutano i bambini malati (Associazione Peter Pan di Roma e l’ABC del Burlo Garofolo). Laura Luzzatto ANTEAS Trieste www.anteastrieste.blogspot.com
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Un esempio di sinergia tra Associazioni e Territorio per la tutela del diritto all’autodeterminazione
Open day al centro diurno AISM di Villa Sartorio
l giorno 21 settembre presso il Parco di Villa Sartorio il Centro AISM di Villa Sartorio ha organizzato, su richiesta rivolta a tutti i Centri dallo stesso Comune di Trieste, un “Open day: festa di fine estate”. L’intento era promuovere la conoscenza delle attività svolte presso il Centro e la Sezione dell’Aism e ringraziare tutte le realtà locali che in tutti questi anni, ma soprattutto nell’ultimo, hanno fatto rete con l’Associazione e la Cooperativa Itaca per la realizzazione delle attività. Alla presenza dell’Assessore Carlo Grilli, del Responsabile Aism attività complesse Giovanni Martino, dei rappresentanti del Cda dell’Aism di Trieste sono state presentate le iniziative svolte quest’anno e si sono ringraziati i rappresentanti della Coop. Clu Basaglia, dell’Associazione Roiano per Tutti, della Rete Espansioni e dell’Accademia Danza di Trieste. Obiettivo della manifestazione non era solo la promozione di quanto svolto dall’Associazione e della Cooperativa ma anche trovare un momento di condivisione del prezioso lavoro dei volontari, della promozione della tutela dei diritti umani, della realizzazione di azioni per aumentare la consapevolezza e l’informazione e per far si che la persona afferente al servizio e all’associazione diventi protagonista del suo futuro e possa realizzare i suoi progetti di vita, incoraggiando l’empowerment con più realtà presenti sul territorio. Matteo operatore Centro diurno AISM di Villa Sartorio aism.it
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Il fattore più importante per l’autonomia di una persona con disabilità
Disabilità e organizzazione: la chiave
Nel mondo della disabilità, oltre l’accessibilità delle infrastrutture nulla è più cruciale dell’organizzazione. Mi spiego: essendo una persona con disabilità motoria mi è necessario, organizzarmi per praticamente qualsiasi evenienza. Sia essa un’uscita a teatro, un appuntamento, l’andare in università ogni giorno e cosi via. Ci sono molte variabili che devo considerare, quando devo muovermi al di fuori di casa. Alcune tra le domande più importanti che mi pongo sono:”Dove sto andando c’è un bagno?” “Come scendo in città?” “Come torno a casa?” “C’è qualcuno che può spingermi in caso il luogo non sia abbastanza ampio per la mia sedia a motore?”
Voi normodotati magari direte, che questo tipo di organizzazione e forse eccessiva, ma mettetevi nei panni di una persona che necessità di andare in bagno e non può farlo perché luogo dove si trova non ha un bagno accessibile. Cosa fare a quel punto? Vi auguro di non dover mai dare una risposta a questa domanda. Va anche detto che l’eccesso di organizzazione, o meglio il focalizzarsi e pianificare in ogni minimo dettaglio una cosa come per esempio, un viaggio all’estero può provocare l’incontro con quella paura che prima o poi ogni persona disabile che fa dell’organizzazione il centro della sua vita è destinato ad affrontare almeno una volta nella vita. La paura di cui parlo e la paura dell’imprevisto. E’ quella paura fortemente irrazionale ed
al di fuori di ogni logica, (caratteristiche comuni a quasi ogni paura del resto), che insinua delle domande nella propria psiche che incominciano a far temere per il successo positivo della faccenda, come per esempio un viaggio che stiamo per intraprendere. Sorgono domande di questo genere: “Ma cosa succederà se il fattore accessibilità dell’albergo verrà a mancare”? “E se gli amici che mi accompagnano vogliono stare un po’ per conto loro, io che ho bisogno di loro come posso fare? Finirò per diventare un peso per chi mi accompagna?” Io questa paura l’ho incontrata e ammetto con non poca vergogna di essere stato sconfitto da questa paura. Con questo paura ci combatto, ogni volta che devo affrontare qualcosa di nuovo e molto spesso riesco a sconfiggerla mettendola in disparte e fare l’attvità che mi
ero prefissato. E’ una battaglia strettamente personale, che mi rendo conto sia forse di difficile comprensione per chi non vive con una disabilità giorno per giorno. Ma sì, si può sconfiggere convincendosi a provare cose nuove e ad essere sempre più autonomi. La disabilità fisica è si, un limite, come lo l’inacessibilità di un edificio. Ma nella stragrande maggioranza dei casi il limite più grande è quello che noi poniamo noi stessi anche se in modo inconscio o irrazionale. Ma si sa, che i limiti sono fatti per essere superati. Carlo Benedetti ProgettiAmoTrieste progettiamotrieste.it
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Il diritto a non essere legati ai letti quando si è ricoverati in Ospedale “nasce” anche con la legge 180
Diritto alla salute: Trieste antesignana
Si parla sempre di meno di diritti dell’uomo. Diritti a risiedere dovunque ciascuno di noi ritenga di scegliere di risiedere. Diritti a disporre di una residenza civile. Diritti di welfare. Diritto alla Salute. All’interno di quest’ultimo spicca in particolare il diritto a non essere legati ai letti quando si è ricoverati in ospedale, o in una casa di riposo. Da questo punto di vista Trieste è stata antesignana rispetto a tutta l’Italia. Ora a Trieste non si contiene al letto più nessuno, e questa è una battaglia che è durata quaranta anni, dalla data della legge 180 – 833, o meglio 47 anni, da quando Basaglia è venuto a Trieste. Trieste sta attualmente rappresentando una leadership a livello nazionale, ed il resto del Paese ne sta venendo influenzato lentamente, quanto inesorabilmente. Si tratta, come si vede, semplicemente di un percorso di civiltà e di promozione e rispetto dei diritti dell’Uomo. La questione della fusione dell’Ente Ospedaliero con l’Ente Territoriale, e dell’Ente Universitario, ricalca esattamente questo percorso: quello di potere quanto più possibile consentire e promuovere un decentramento delle prestazioni ospedaliere in domiciliari. Fa parte dei diritti dell’uomo potere ricevere il personale medico e infermieristico a casa propria, senza doversi recare all’Ospedale, facendo lunghe file e all’interno di un rapporto di subalternità e di subordinazione all’apparato istituzionale e burocratico ospedaliero. E ciò tanto più in quelle situazioni in cui le prestazioni necessarie ed erogabili non rivestono carattere di acuzie e di ugenza. Per esempio per ciò che riguarda tutte le terapie palliative, incluse le prestazioni quali prelievi ematici o di altri liquidi corporali. Una tale concezione e queste pratiche consentono alla fine di mettere in discussione dei poteri: il potere del medico e degli infermieri nei confronti dei pazienti e delle famiglie. Anche in ambito sanitario generale e non solo psichiatrico può esistere una
deistituzionalizzazione. Il paziente lungodegente si sente alla fine circondato da maggiori sicurezze ed affetti quanto più le terapie soprattutto palliative domiciliari si stanno a questo punto diffodendo in tutta Italia, e non solo a Trieste. Tutto quanto detto funge da premessa per la comprensione dell’avvenuta fusione dell’Azienda Ospedaliera con quella territoriale (e in più con quella universitaria). In questo contesto appare chiaro il senso della richiesta della Città di Trieste, rappresentata dalle Associazioni di Volontariato, di potere “tornare a morire a casa”. Tale è stato il titolo e sono stati i contenuti del convegno che si è svolto presso il Circolo della Stampa il 12 ottobre scorso. Il passo successivo sarà quello di dibattere e richiedere il riconoscimento del diritto a decidere sull’eventuale rinuncia alle cure salvavita, quando si tratta solo di prolungare una forse inutile agonia, sul modello di quanto attuò e chiese un illustre precedente e protagonista di una vicenda di qusta fattispecie: sempicemente papa Karol Woytila. Ora l’ammalato in fase terminale viene frequentemente portato dalla propria casa o dalla casa di riposo a morire in ospedale, dove, fra l’altro, è molto difficile riuscire ad accompagnare il morente in maniera appena appropriata e dignitosa. Eppure la morte non è una malattia, che in quanto tale vada trattata in ospedale. Va da se’: bisogna praticare ogni intervento che controlli sintomi e sofferenza, ma per questo non è necessario l’ospedale. Le cure palliative, per quanto essenziali non possono, da sole controllare paure, angosce e la solitudine che tormentano il morente. Alla fine si tratta di tornare a valorizzare i diritti della singola persona, sottoponendo a questi i modelli organizzativi in sanità e nel sociale, e non più, quanto più possibile, viceversa. Lorenzo Toresini Associazione per la Difesa del Malato di Trieste
Parole “grandi”, a volte “generiche”. E’ questo il problema: “volontariato”, “diritti umani”, ma ognuno di noi che ne pensa, come si pone, come li vive e cosa fa ogni giorno di fronte a parole come queste?!?
Volontariato e diritti umani Leo era un giovanotto di circa 30 anni con la sindrome di down. Ogni mattina, per quasi tre anni, mi ha portato un fiore: apriva la porta del mio ufficio e mi diceva “buongiorno Giacomo, questo è per te”. Non ricordo altri discorsi con Leo, se non qualche timida parola qualche anno dopo, quando lo incontrai in aeroporto con sua madre: quella volta fui io ad andargli incontro, gli chiesi se si ricordava di me e lui timidamente rispose di no. Lavoravo come psicologo nel centro diurno dove Leo andava ogni mattina per imparare qualcosa di nuovo: ha provato in cucina come aiuto cuoco, ha provato nel laboratorio di mosaico, ha provato anche a lavorare in giardino col giardiniere. La costanza con cui mi ha proposto quel gesto di affetto mi è rimasta impressa. Altro non c’era, solo quello, un gesto! Chi fa il mio lavoro questa cosa la vive spesso. Non mi riferisco esclusivamente al gesto d’affetto, ma è la semplicità la “cosa complicata” di cui parlo. Il tema dei diritti umani e del volontariato mi fanno venire in mente questo: la semplicità e ciò che c’è alla “base” dell’umanità (intesa come “essere umano”). Se togliamo molte (troppe!!!) sovrastrutture non arricchiamo e non impoveriamo la relazione: c’è qualcosa di fondamentale che rimane ed è l’incontro tra “umanità” diverse, “vissuti” diversi e una graduatoria non la si può fare, non ci sono relazioni
di “serie A” e relazioni di “serie B”. Un incontro è un incontro , proprio come un diritto è un diritto! Chi non ha il diritto ad incontrare altre persone e ad avere relazioni? C’è forse una “categoria” di persone a cui si possa non riconoscere questo diritto? Chi non ha il diritto di conoscere le cose ed “istruirsi”? C’è forse una parte dell’umanità per la quale questa cosa qui è del tutto trascurabile? Chi non ha il diritto di essere curato se sta male? C’è forse qualcuno che può fare a meno di questo? L’ovvio, l’indispensabile, sono quello di cui ci parlano i diritti e con le mille cose che abbiamo e le 100.000 che possiamo avere è proprio dell’ovvio e dell’indispensabile (sempre preziosi!) che ci stiamo dimenticando. L’altra cosa che mi spiazza dei “diritti” è che non hanno un “prezzo” e io, come molti, non so più come siano le cose “che non hanno un prezzo”: abito da troppo tempo (da sempre) un mondo in cui tutto ha un prezzo. Il volontariato e i volontari possono essere un aiuto imprescindibile per riprendere contatto con “ciò che sta alla base” … … della nostra esistenza. Giacomo Coppola Comunità La Fonte www.lafontefvg.it
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Presentazione della graphic novel “Salvezza” di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso Venerdi 23 novembre 2018 alle ore 18 presso l’Antico Caffè San Marco, via Battisti 18, la giornalista Elisa Cozzarini dialoga con l’autore Bonaccorso, che nel libro racconta una missione sulla nave Aquarius Associazione: Legambiente Trieste e il Dialogo Creativo Contatti: info@legambientetrieste.it Riflessioni su G.B.Vico: Ricorsi storici: modernità e postmodernità Salone Matteucci,CSV, via Besenghi, 16 2°piano.Trieste, mercoledì 28 novembre ore 16.30-18.30 Associazione: EOS Centro Internazionale di studi delle Culture Contatti: gianpaolo.dabbeni@alice.it
Solidarietà climatica Come i saperi scientifici reagiscono ai disastri ambientali Evento di discussione sulla resilienza dei territori e sulla prevenzione del dissesto idrogeologico. 12 dicembre alle 17.00 in units Associazione: ProgettiAmo Trieste Contatti: Info@progettiamotrieste.it
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Natale in festa 15 dicembre casa di riposo Stuparich Sistiana e 17 dicembre sala giochi Burlo. con tanta musica, giochi e divertimento i volontari saranno presenti per rallegrare i dolcissimi ospiti della casa di riposo ed i piccoli degenti del Burlo Associazione: Astro-associazione triestina ospedaliera per il sorriso dei bambini Contatti: info@astrotrieste.it
40 anni a fianco delle donne: mostra in sala Veruda dall’11.12.18 al 2.1.19 in occasione del quarantennale dell’associazione sarà aperta una mostra che ripercorre l’attività e i cambiamenti del periodo, culminerà il 18 dicembre con un evento Associazione: Centro di Aiuto alla Vita “Marisa” Trieste Contatti: cav-trieste.it
L’immaginazione diventa realtà Corso di modellazione tridimensionale. Dare forma all’immaginazione per creare oggetti, spazi e ambienti. 18 Gennaio 2019. Info su facebook.com/agireaps Associazione: A.Gi.R.E. Contatti: agireaps@gmail.com
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CICLO DI 5 CONFERENZE SULLA STORIA DI TRIESTE
Diadays 26/11 CSV incontro scuola 1/12 convegno c.o.n.i Ass.sportive Associazione: Insu agd Trieste Ass.giovani diabetici Contatti: Insu.agd.ts@gmail.com
115 anni dall’inaugurazione dell’edificio di via del Coroneo 15 - Trieste 2 dicembre 2018, h. 18, sala beethoven - via del coroneo 15 trieste. Breve storia di come si è giunti alla realizzare dell’edificio, a cui segue un concerto del quartetto Lumen Harmonicum di Trieste dedicato ad un compositore boemo di quell’epoca: Karel Moor. Associazione: Associazione Culturale Friedrich Schiller Contatti: schillertrieste@gmail.com
George Orwell; un profeta contemporaneo Salone Matteucci, CSV, via Besenghi, 16 2°piano. Trieste, mercoledì 12 dicembre ore 16.30-18.30 Associazione: EOS Centro Internazionale di Studi delle Culture Contatti: gianpaolo.dabbeni@alice.it
Memorial l.l.Zamenhof nella ricorrenza della nascita dell’iniziatore dell’esperanto, celebriamo la “Giornata del Libro” L’evento si terrà il 16 dicembre dalle h.10, nella sede dell’associazione esperantista, v. Coroneo 15, trieste, con una mostra di libri di scrittori di tutti i continenti, e di magliette e sacchetti realizzati per i congressi internazionali più importanti. Associazione: Associazione Esperantista Triestina Contatti: Edvige Ackermann
Brindisi di Natale 2018 Brindisi di Natale con i soci e i simpatizzanti di ProgettiAmo Trieste. 18 Dicembre ore 19.00 Associazione: ProgettiAmo Trieste Contatti: Info@progettiamotrieste.it
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2019
Trieste: dalle origini ai tempi nostri Punto d’incontro di molti popoli che ne formano il carattere
Associazione: Donatori Sangue di Trieste Contatti: www.anteastrieste.blogspot.it
Novembre
Giornata per la Vita Iniziativa di sensibilizzazione e raccolta fondi promossa a Trieste e nelle altre sedi federate della Regione con l’offerta di primule e materiale informativo 3 febbraio 2019 Associazione: Federvita F.V.G. Contatti: federvitafvg.it
Se vuoi partecipare all’iniziativa contatta il CTA dell’Unione Giuliana alla email giuliana@cta.fvg.it
INSIEME olonta ria mente La rivista del CTA dell’Unione Giuliana è realizzata nell’ambito del progetto “Il valore della comunicazione”, progetto elaborato dalle Organizzazioni di Volontariato del CTA e sostenuto dal programma regionale di valorizzazione dei Coordinamenti Territoriali di Ambito del CSV FVG Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio ed ai quali rimane la responsabilità. © 2017 - Tutti i diritti sono riservati.