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cultura

17 luglio 2009 • pagina 19

Vincenzo Ghionni, presidente della Federazione italiana liberi editori

«Riforma subito o sarà un’ecatombe» di Francesco Lo Dico

ROMA. «La piccola editoria italiana versa in una crisi senza precedenti da diversi mesi. Urgono provvedimenti e e regole del gioco certe o il sistema giungerà al collasso. I tanto vituperati contributi pubblici hanno consentito a oggi l’esistenza di un centinaio di quotidiani, che rischiano di essere spazzati via da tagli per più di cento milioni di euro. Se non ci si siede attorno a un tavolo, e non si procede a una riforma vera, si verificherà un’ecatombe. Insieme a giornali e lavoratori, rischiano di sparire per sempre principi cardine della nostra democrazia come il pluralismo e la libertà di informazione. A differenza di quanto si strepita con tribunizia faciloneria, Il sostegno all’informazione non è un costo della politica, è un costo necessario a tutela della democrazia». Vincenzo Ghionni, presidente della File (Federazione italiana liberi editori), commenta così il plumbeo clima di incertezza che grava su decine di imprese tramortite prima da tagli per 130 milioni di euro all’editoria (ma erano duecento fino a poco tempo fa) annunciati dal ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, l’anno scorso, e poi da una recessione che, al di là di ogni più rosea professione di ottimismo, ha attanagliato l’Italia in una morsa epocale. In Francia sono stati convocati gli Stati generali dell’editoria, e sono stati destinati, oltre un miliardo di euro di contributi pubblici ai giornali. E in Italia? Qui da noi è successo il contrario, perché sono stati diffalcati inzialmente duecento milioni, di recente scesi a circa 130 milioni. Nè tanto meno, si sono fatti gli Stati Generali, per i quali è comunque troppo tardi. Si continuano a fare discussioni generiche, ma la riforma, pur essendo urgentissima, è ancora lontana. Perché tanto attendismo, da una parte, e decisionismo a oltranza, dall’altra, quando è il momento di aprire i cordoni? Certi abusi portati all’attenzione dell’opinione pubblica, hanno creato qui da noi una vera e propria caccia alle streghe. A causa di singoli scandali, è stato invocato il rogo per un’intero genere di stampa, bersagliato dall’anatema di editoria parassitaria. Si è attribuito al sostegno pubblico un alone spregiativo che ha travolto, nella babele di insulti e scoppi d’ira, la basilare e serissima esigenza che presiede a una stampa plurale. E così si è perso di vista il giusto approccio alla vicenda. Invece di pensare a una riforma, e rimettere le mani su una legge che data al 1981, si è puntato il fucile sul mucchio. È come se, in presenza di un caso di vaiolo, invece di studiare un vaccino a tutela di chi è sano, si preferisca sparare a tutti quelli che sono a rischio di contagio. Quali gli obiettivi di una riforma di un’ipotetica riforma? La riforma deve, a nostro avviso, tener conto della endemica fragilità del sistema dell’infor-

mazione in Italia e della necessità di garantire la sopravvivenza anche alle imprese caratterizzate da scarsi ricavi da pubblicitari. L’obiettivo principale deve essere quello di garantire un sistema pluralistico, unitamente alla salvaguardia dei livelli occupazionali ed alla libertà dei giornalisti. Ogni giorno che passa, aumenta il potenziale distruttivo della crisi, insomma. Esattamente. Occorre che in attesa di una riforma dell’editoria, le imprese possano operare in un clima di certezze. Per fare i giornali ci vogliono i giornalisti, grafici, segretarie,investimenti. Non è possibile fare informazione con una spada di Damocle sospesa sulla testa. A costo di enormi sacrifici, i giornali continuano ad uscire, e a pagare, tra mille acrobazie, fornitori e dipendenti. Non sembrano affatto gli stessi scenari di privilegio denunciati a gran voce in tutta la Penisola. Si è lasciato credere ai cittadini, che l’Italia sia una mostruosa anomalia europea. Al contrario, basta una corretta informazione per dimostrare come i contributi all’editoria sono presenti in gran parte dei Paesi dell’Unione. In Francia, ce ne sono 17 tipi diversi, ad esempio. Un privilegio non troppo esclusivo, insomma. Il sostegno pubblico all’editoria, gestito in modo responsabile e tramite regolamenti certi, non è affatto un privilegio ma una necessità atta a salvaguardare la libera circolazione di idee e opinioni. Un valore altamente significativo all’interno dei nostri confini, dove l’imperio del bipolarismo schiaccia con i suoi giganteschi apparati comunicativi proposte e riflessioni alternative, che rinunciano a intrupparsi nella battaglia mediatica. Un cortocircuito che, specie negli ultimi tempi, ha trasformato i nostri gruppi editoriali principali in fondamentalisti avversi, impegnati in un sanguinolento corpo a corpo. Ha parlato di una legge dell’editoria ferma a quasi trent’anni fa. Che cosa va rivisto? Quando fu promulgata quella legge, la televisione commerciale era ancora ai primi vagiti, i pc erano appannaggio di pochi utenti che ne studiavano ancora le possibili applicazioni e la reta era poco più che un segreto militare. Oggi siamo invece in piena globalizzazione, cioè come se vivessimo in un’altra era geologica. Perché la piccola editoria deve sopravvivere, in ultima analisi? Perché nei nuovi equilibri mondiali, l’esigenza di tutelare il pluralismo e le diversità culturali, politiche e sociali deve accrescersi in quanto portatrice di sviluppo e di democrazia. Di un dibattito sano e aperto, che non imbavaglia i più piccoli in nome delle strategie dei colossi. Qualcuno diceva: “Io non condivido una sola parola delle tue idee, ma mi batterò con tutte le mie forze perché tu le possa esprimere”.

Invece di pensare a una riforma, si è puntato il fucile sul mucchio. È come se, invece di studiare un vaccino, si preferisca sparare a tutti quelli sani

conomia che stiamo attraversando. Nel 2008 il settore ha registrato una contrazione degli utili del 30 per cento, con il fatturato editoriale in calo del 3,3 per cento rispetto al 2007. La componente dei ricavi che ha mostrato segnali di maggiore debolezza è stata la pubblicità, con una flessione media annua del 3,8 per cento. In presenza di costi di produzione sostanzialmente stabili, la flessione dei ricavi ha prodotto una preoccupante riduzione dei margini industriali, circostanza minaccia le capacità operativa delle aziende. Eppure, dal 2001 al 2008, i lettori di quotidiani so-

no aumentati di 3,78 milioni di unità (+19,3 per cento), con un indice di penetrazione tra la popolazione adulta che è passato dal 38,9 al 45,3 per cento. I provvedimenti strutturali a lungo rimandati, dunque, sono diventati urgentissimi.

La legge di riferimento italiana per il settore dell’editoria risale ormai a quasi trent’anni fa (entrò in vigore il 5 agosto 1981). Con il ritmo attuale di sviluppo delle tecnologie che scandiscono l’evoluzione dei mezzi di comunicazione, si tratta – minuto più, minuto meno – di qualche secolo.


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